DISONORE, CONTAMINAZIONE E GIUSTIZIA CRIMINALE AD AUGUSTA NELLA PRIMA ETÀ MODERNA

Item

Title
DISONORE, CONTAMINAZIONE E GIUSTIZIA CRIMINALE AD AUGUSTA NELLA PRIMA ETÀ MODERNA
Creator
Kathy Stuart
Ciro Lo Muzio
Date Issued
1998-12-01
Is Part Of
Quaderni Storici
volume
33
issue
99 (3)
page start
677
page end
705
Publisher
Società editrice Il Mulino S.p.A.
Language
ita
Format
pdf
Relation
Discipline and punish, New York, Vintage Books, 1979
Rights
Quaderni storici © 1998 Società editrice Il Mulino S.p.A.
Source
https://web.archive.org/web/20230920134024/https://www.jstor.org/stable/43779154?searchText=Foucault&searchUri=%2Faction%2FdoBasicSearch%3FQuery%3DFoucault&efqs=eyJsYV9zdHIiOlsiYVhSaCJdfQ%3D%3D&sd=1975&ed=2000&pagemark=eyJwYWdlIjo3LCJzdGFydHMiOnsiSlNUT1JCYXNpYyI6MTUwfX0%3D&groupefq=WyJjb250cmlidXRlZF90ZXh0Iiwic2VhcmNoX2NoYXB0ZXIiLCJjb250cmlidXRlZF9hdWRpbyIsInJlc2VhcmNoX3JlcG9ydCIsInNlYXJjaF9hcnRpY2xlIiwicmV2aWV3IiwibXBfcmVzZWFyY2hfcmVwb3J0X3BhcnQiXQ%3D%3D&ab_segments=0%2Fbasic_search_gsv2%2Fcontrol&refreqid=fastly-default%3Aa3d3de9a38443275aa1ce03da49d0ec3
Subject
discipline
confinement
exclusion (of individuals and groups)
biopower
power
extracted text
DISONORE, CONTAMINAZIONE E GIUSTIZIA CRIMINALE AD AUGUSTA NELLA PRIMA ETÀ MODERNA
1. Introduzione
Il patibolo municipale della libera città imperiale di Augusta era occasionalmente adibito, da parte di privati cittadini, a un uso non ufficiale e non autorizzato, era utilizzato, cioè, non come strumento mortale, ma come luogo di affissione. Nel 1629 alcuni provocatori protestanti affissero sul patibolo un catechismo cattolico con un topo morto '. Nel 1703 un manifesto, o «pasquinata», attaccato al patibolo denunciava che un cittadino benestante era padre di numerosi bastardi2. Nel 1762 una poesia scurrile venne affissa al patibolo come protesta nei confronti di un recente decreto ministerialeJ. Tali atti erano commessi da anonimi durante la notte. Alcune pasquinate erano illustrate con rappresentazioni del patibolo. In un caso, un tessitore caduto in rovina intese vendicarsi sui ricchi mercanti che dirigevano la sua corporazione affiggendo, nel quartier generale della corporazione dei tessitori, un’immagine raffigurante tre forche, da ciascuna delle quali pendeva un impiccato. Le immagini erano accompagnate dalle parole «predicatore, seduttore, furfante, assassino»4. In tutte queste pasquinate, la gente comune sfruttava l’aura di disonore che circondava la forca per propri scopi privati. Il disonore prodotto nel corso dei rituali di punizione orchestrati dallo Stato assumeva vita autonoma, diffondendosi in modi che non potevano essere controllati dal governo.
Il governo cittadino cercò di reprimere quest’uso non ufficiale del patibolo organizzando i propri rituali del disonore. Se i magistrati non erano capaci di esporre alla gogna gli autori delle «pasquinate dei patiboli», quanto meno potevano ottenere che il boia bruciasse sulla gogna il manifesto offensivo, facendo rimbalzare l’infamia sul suo autore. In una di queste occasioni, nel 1735, i
Traduzione dall’inglese di Ciro Lo Muzio.
QUADERNI STORICI 99 / a. XXXIII, n. 3, dicembre 1998



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magistrati proclamarono che se in futuro l’autore fosse stato identificato, sarebbe stato punito nel pieno rispetto della legge e, «nel frattempo, egli era dichiarato infame per l’eternità»’. Le autorità ponevano particolare enfasi sul fatto che i manifesti infamanti dovevano essere dati alle fiamme «per mano del boia»6, del cui tocco veniva così sottolineato l’effetto disonorante7.
Sia per la gente comune sia per il governo, tali pratiche traevano la propria forza simbolica dall’evocazione del complesso del-YUnehrlichkeit, cioè del disonore. Nella Germania della prima età moderna, il disonore costituiva una forma di contaminazione rituale che aveva il suo centro nella persona del carnefice e si estendeva a un’eterogenea gamma di mestieri, tra i quali gli scuoiatori, i becchini, i pulitori di latrine, i barbieri-chirurghi, i tessitori di lino e tutti i funzionari di polizia di basso rango. Lo status marginale di questa «gente disonorevole» (unehrliche Leute) non era sancito dalla Chiesa o dallo Stato. Tali categorie di persone erano invece perseguitate dalle classi popolari e in particolare dagli appartenenti alle corporazioni urbane. Il disonore era trasmissibile sia per eredità sia per contagio. Le persone disonorevoli erano escluse dalle corporazioni artigiane ed erano frequentemente costrette a praticare l’endogamia sociale, in quanto i matrimoni che varcavano i limiti dell’onore facevano esplodere conflitti di contaminazione rituale. I membri onorati delle corporazioni dovevano osservare un codice ritualizzato di condotta per evitare la contaminazione del disonore. Le trasgressioni rituali, come l’uccisione di un cane, contaminavano un onorato mercante stabilendo analogie simboliche con l’operato dei carnefici o degli scuoiatori8.
Jacques Le Goff e altri hanno interpretato lo status contaminante del boia come una forma di «tabù del sangue» ’. Non è questo l’approccio che noi adotteremo. Potrebbe darsi che la contaminazione del disonore derivasse originariamente da «antichi tabù di società primitive» 10. La condizione contaminante del carnefice è certamente un fenomeno di assai lunga durata, le cui origini rimontano all’infamia del carnifex romano11. Le pubbliche esecuzioni nell’Europa della prima età moderna erano orchestrate, secondo Michel Foucault, «per marchiare di infamia la vittima» 12. Tuttavia, la diffusione dell’infamia, l’espansione del disonore nel contesto della giustizia criminale e al di là di essa, è, come Peter Spierenburg ha dimostrato, un problema specificamente tedesco15. Nella forma che assunse nella prima età moderna la Unebrlicbkeit emerse nel XIV secolo, si irrigidì nella prima metà del XVI secolo, per continuare a espandersi nel XVII secolo. Paradossalmente, essa sviluppò la sua massima virulenza durante l’età dell’Illumini-

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smo, nel XVIII secolo. Piuttosto che rintracciarne le ataviche origini, dobbiamo chiederci la ragione di tale persistenza del disonore e quale fosse il suo ruolo nella società. Perché emersero nel corso della prima età moderna nuove attribuzioni di disonore? P. Spierenburg ipotizza che il disonore tedesco operasse come «un tipo ideale, un’etichetta da appuntare su determinati gruppi quando, per varie ragioni, l’atteggiamento nei loro confronti cambiava in senso negativo [...] Una preesistente nozione di infamia fu sovrapposta a stereotipi negativi di elaborazione più recente» H.
fl presente saggio esamina il modo in cui questa etichetta negativa fu manipolata in un particolare contesto sociale, l’arena della giustizia criminale. La nostra discussione è basata su un’analisi dei conflitti di disonore che si verificavano nel corso dell’amministrazione quotidiana della giustizia criminale nell’Augusta della prima età moderna15 e in numerose altre città '6. A partire dal 1600 il disonore si espande al di là della spettacolare infamia del boia e del criminale condannato alla forca per colpire le figure più quotidiane della giustizia criminale, scaccini, balivi e tutti gli altri funzionari di polizia di basso rango. La punizione inflitta nel nome delle autorità sovrane (Obrigkeit) occupava un posto centrale nelle idee popolari sul disonore. L’ipotesi che si vuole qui avanzare è che la formazione dello stato, l’applicazione del «disciplina-mento sociale» e l’espansione del disonore nella prima età moderna siano processi storici interdipendenti. H paradigma del discipli-namento sociale, elaborato per la prima volta da Gerhard Oe-streich, è attualmente uno degli approcci teorici dominanti nella storia della Germania della prima età moderna17. Per disciplina-mento sociale si intende un processo mediante il quale le autorità governative e le chiese territoriali cooperavano alla formazione di uno stato confessionalizzato assolutista. Tale stato in via di modernizzazione si impegnò con crescente efficienza a «disciplinare» i suoi sudditi, ossia a imporre la disciplina del lavoro, norme restrittive nel campo della morale sessuale, l’ortodossia confessionale e a sradicare le superstizioni popolari. Secondo gli storici che applicano il modello del disciplinamento sociale, queste misure ebbero l’effetto di trasformare e addomesticare la cultura popolare in generale e di inculcare un’assoluta obbedienza nei confronti degli strumenti dello stato “. Secondo il modello postulato da Oe-streich, questo processo ebbe inizio nelle città tardo-medievali. Le pratiche di disciplinamento urbano furono imitate dai nascenti stati territoriali assolutisti nel XVI secolo. La disciplina sociale cominciò veramente a prendere piede quando gli stati territoriali assolutisti trasformarono i loro corpi di funzionari e le burocrazie

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statali in affidabili strumenti di governo. Infine, nel XVIII secolo questo processo giunse al suo esito più importante con la fase del «disciplinamento fondamentale», quando il disciplinamento sociale si era effettivamente esteso a tutti i livelli della società 19. Vi è una sorprendente sovrapposizione cronologica tra il processo del disciplinamento sociale e l’espansione del disonore nei secoli XVII e XVIII. Il disonore era una forza paradossale. I governi della Germania della prima età moderna lo usavano come severa sanzione criminale e come potente strumento di coercizione per attuare il loro programma di disciplinamento sociale. I governi potevano valersi del potere contaminante del disonore e sfruttarlo alla stregua di uno strumento di controllo sociale. Tuttavia, quanto più energicamente le autorità utilizzavano il disonore, tanto più la contaminazione del disonore sfuggiva al loro controllo. Come dimostrato dalle «pasquinate dei patiboli», anche la gente comune poteva manipolare il disonore ai propri fini. Talvolta, le regole popolari concernenti la contaminazione minavano dalle fondamenta l’autorità sovrana. La contaminazione causata dal disonore ostacolava seriamente la capacità delle autorità di far rispettare le leggi e le ordinanze politiche che, nella prima età moderna, venivano promulgate con sempre maggiore frequenza. Man mano che i governi dell’epoca orchestravano rituali punitivi sempre più elaborati, il disonore fluiva in direzioni impreviste e non prestabilite dalle autorità. In tal senso, i comportamenti degli artigiani nei confronti della contaminazione possono essere interpretati come una forma di resistenza alla crescente invadenza e indiscrezione dei primi Stati moderni20.
2. Strumenti di punizione
Nel 1588 parecchi cittadini di Augusta furono puniti dalle loro corporazioni per essersi arrampicati sulla forca allo scopo di avere una migliore visione di una decapitazione che stava avendo luogo. Questi artigiani non avevano toccato il boia, né il malfattore, la spada o il sangue, e non erano stati in alcun modo coinvolti nell’esecuzione, tuttavia il semplice contatto fisico con il patibolo costituì una grave violazione dell’onore artigianale2'. Patiboli e forche potevano agire da «conduttori»22 di disonore, contaminando gli individui che venivano a contatto con essi. Il loro potere contaminante perdurava nel tempo ben oltre la fine dell’esecuzione; esso non si dissolveva con il tempo. Questi oggetti potevano trasmettere disonore anche al di fuori di un contesto punitivo25.

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A volte, tuttavia, gli artigiani non potevano fare a meno di venire in contatto con le forche. Scalpellini e carpentieri erano periodicamente chiamati a erigere un nuovo patibolo o a rinnovarne uno già esistente. In tali occasioni il rischio di contaminazione era alto; erano pertanto necessarie elaborate precauzioni. Nel 1531 il patibolo di Augusta necessitava interventi di restauro. «A tutti i carpentieri e scalpellini fu ordinato di lavorare insieme», registra un cronista, «affinché nessun [artigiano] potesse recare offesa agli altri» 24. Questo rituale di costruzione collettiva del patibolo era consueto nel Sacro Romano Impero25, almeno a partire dal 1471. In quell’anno i carpentieri di Norimberga, maestri e lavoranti, in tutto 150 uomini circa, ripararono il patibolo. Quando il lavoro fu terminato essi tornarono in città formando una processione accompagnata da pifferai. Quando raggiunsero la piazza del mercato, furono loro offerti pane e vino mentre i menestrelli suonavano .
Gli aspetti cerimoniali di tali rituali si fecero via via più complicati. Le processioni erano organizzate in modo tale da procurare la massima pubblicità. Nel 1670 i carpentieri e gli scalpellini di Norimberga marciarono dalle sedi delle loro corporazioni passando davanti al municipio, alle chiese maggiori e per il mercato, al suono di flauti e tamburi, mentre ciascun artigiano mostrava con orgoglio gli strumenti che simboleggiavano il suo mestiere27. A volte, prendevano parte alla cerimonia anche rappresentanti del governo della città. Quando la città di Francoforte riparò la sua forca nel 1561, un membro del consiglio cittadino accompagnò la corporazione dei fabbri al patibolo. H consigliere si arrampicò sull’impalcatura e inchiodò egli stesso una delle catene al patibolo28. Nel tardo XVII secolo e, soprattutto, nel XVIII, il ruolo dei rappresentanti di governo divenne più pronunciato. Quando i patiboli ebbero bisogno di riparazioni nel piccolo territorio urbano di Weickersheim, sul fiume Tauber, nel 1722, il magistrato di città e altri funzionari municipali condussero a cavallo la processione della corporazione che marciava verso la forca. Qui, il magistrato si rivolse alla folla e dichiarò il patibolo onorevole in nome e in virtù della sovranità del suo signore territoriale. Dopo aver ripetuto questa formula tre volte, il magistrato garantì che nessuno avrebbe dubitato dell’onore degli artigiani che avevano lavorato in quel luogo. Quindi il magistrato e altri funzionari municipali toccarono il patibolo, dopodiché gli operai cominciarono a lavorare29. A volte queste celebrazioni si trasformavano in dispendiosi e stravaganti cerimoniali che coinvolgevano centinaia di partecipanti. Forse il più elaborato cerimoniale di costruzione di un patibolo fu quello

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che ebbe luogo a Francoforte nel 1720. Vi lavorarono per cinque giorni milleduecento artigiani, i quali conclusero il loro lavoro con una celebrazione nel corso della quale consumarono 10.000 salsicce e 10.000 Ohm di birra e vino ’°.
Che interpretazione si deve dare di questi rituali? La strategia messa in atto dagli artigiani per tenere lontano il disonore operava in tre modi. L’immunità era garantita dal numero; se tutti i membri della corporazione partecipavano ai lavori, nessun singolo artigiano poteva essere accusato di disonore dai suoi colleghi. Tuttavia, questo tipo di lavoro collettivo proteggeva soltanto da offese all’interno della corporazione. Gli artigiani erano ancora vulnerabili rispetto ad accuse dall’esterno. E per scongiurare questo pericolo, orchestravano pompose esibizioni pubbliche. Facendo passare le loro processioni davanti al municipio, gli artigiani sottolineavano che essi stavano adempiendo ai loro obblighi civili. Tali marce erano simili ad altre parate di artigiani, quali le processioni delle corporazioni nella ricorrenza del Corpus Domini. Gli artigiani miravano deliberatamente a ottenere il massimo della pubblicità per rafforzare un’interpretazione positiva di quella che altrimenti avrebbe potuto essere giudicata come un’azione infamante. Ma la mera esibizione pubblica non era sufficiente a cancellare l’infamia, soprattutto man mano che cresceva il timore degli artigiani nei confronti della contaminazione nel corso dell’età moderna. La partecipazione delle autorità divenne indispensabile. Dichiarando il luogo onorato e poggiando le mani sull’oggetto pericoloso, i funzionari governativi facevano sì che gli artigiani potessero toccarlo senza pericolo. Questi funzionari, di consueto patrizi e nobili, appartenevano alle più alte sfere sociali ed erano dunque più onorati degli artigiani che proteggevano. Organizzando e partecipando a questi rituali di costruzione del patibolo, le autorità riuscivano a sfruttare simbolicamente il disonore per elevare il proprio status e accrescere il proprio onore. H messaggio comunicato in queste cerimonie era che le persone di rango elevato erano in qualche modo immuni alla contaminazione del disonore. Non solo: esse potevano purificare un oggetto dal disonore da cui era permeato.
Nonostante l’adozione di misure così elaborate per attenuare e neutralizzare il disonore, il venire a contatto con gli strumenti di punizione restava un’azione rischiosa. La gogna, come il patibolo, era un importante simbolo di autorità. Solo i territori sovrani dotati di «alta giustizia» ne possedevano una. Diversamente dal patibolo, situato al di fuori delle mura urbane, la gogna era solitamente collocata nel cuore della città51. Ad Augusta, la gogna era costi-

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tuita da un balcone d’angolo del municipio che affacciava sulla piazza centrale. Il colpevole vi si doveva esporre in piedi con una catena di ferro attorno al collo’2. Il potenziale di contaminazione della gogna è illustrato da un conflitto di disonore scoppiato nel 1727 nella piccola città di Mindelheim, nella Germania meridionale. La balaustra di ferro che delimitava la gogna doveva essere sostituita; il consiglio municipale incaricò la locale corporazione di metallurgici di effettuare i lavori necessari”. Le autorità cittadine organizzarono il restauro della loro gogna alla maniera del tipico rituale di costruzione del patibolo. Questa era un’occasione pubblica e festiva in cui la corporazione dei metallurgici eseguiva le riparazioni collettivamente con gran pompa e cerimonia dinanzi a diverse centinaia di spettatori. Tutto procedeva tranquillamente, finché un artigiano non commise un errore fatale. Uno dei membri della corporazione, Tobias Hàuserer, prese per scherzo l’anello con il quale i colpevoli venivano attaccati per il collo alla gogna e lo lanciò a un suo compagno. Quest’ultimo non ne fu divertito, e Tobias cercò di placarlo mettendosi l’anello intorno al collo. Fatto questo, Tobias si presentò al pubblico che assisteva ai lavori esclamando, «in questo giorno, tutto è permesso» M.
Ma aveva torto. Il pubblico e la natura collettiva del rituale consentivano agli operai di accedere a uno spazio che normalmente era loro precluso, ma non permettevano di giocare con il disonore. Tobias, come raccontano i suoi colleghi, «ebbe la sfrontatezza di prendere un anello della vergogna [Schandring, cioè l’anello per il collo], che non necessitava di riparazioni e che stava appeso alla gogna da molti anni, e che era stato adoperato dal boia per attaccare malfattori alla gogna e gettare su di essi il disonore...,» e indossarlo egli stesso al cospetto di un folto pubblico. Questa fatale leggerezza causò a Tobias conseguenze disastrose. Mindelheim era governata da un regime di corporazioni; essendo un maestro di corporazione, Tobias era membro del consiglio. La sua «vergognosa scostumatezza» dimostrò che egli aveva «dimenticato l’onore»; dunque, fu escluso dal consiglio, espulso dalla sua corporazione e gli fu impedito di lavorare”. Il suo errore gli costò i mezzi di sussistenza e l’identità sociale come membro di corporazione e cittadino.
3. La pelliccia infame
Il patibolo, la forca e la gogna erano spettacolari simboli pubblici della sovranità e della facoltà di punire. Il disonore permeava

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anche strumenti di punizione più pedestri, celati alla vista del pubblico, all’interno della torre di Augusta. Nella gestione dell’equipaggiamento e degli spazi della torre, i governanti di Augusta cercarono di raggiungere un delicato equilibrio tra lo sfruttamento del disonore, come strumento di coercizione, e il contenimento di una sua espansione incontrollata. L’inventario delle attrezzature presenti nella torre nel 1660 includeva una pelliccia associata a ima particolare tradizione esistente nella cultura penale della città: «Anche prigionieri e residenti onorati, che siano stati imprigionati per una piccola infrazione, e non per un crimine serio o malefico, sono obbligati senza distinzione di persona o della natura del crimine, a comparire [a essere interrogati] con la pelliccia indosso». L’aver indossato la «pelliccia del ladro» (diebs pelz), costituiva un marchio infamante anche dopo la scarcerazione. Per prevenire questo effetto stigmatizzante, le autorità cittadine decretarono che i cittadini onorati, arrestati per reati minori, potevano portare con sé da casa le proprie pellicce per proteggersi «dal freddo e dal gelo» della prigione. Solo i prigionieri accusati di reati capitali avrebbero dovuto ancora subire l’umiliazione e il disonore di stare al cospetto dei loro inquisitori patrizi con indosso la pelliccia infame .
Quando i consiglieri municipali continuarono a pretendere che gli autori di crimini gravi indossassero la «pelliccia del ladro» durante gli interrogatori, erano sicuramente coscienti della pressione psicologica che questa pratica umiliante consentiva loro di esercitare, ed è probabile che essi non volessero rinunciare interamente a questo potente strumento di coercizione. Questa misura era tipica della loro generale strategia di gestione del disonore nei processi giudiziari. Si distingueva tra colpevoli il cui onore andava protetto e prigionieri il cui onore poteva essere minacciato o che, dal punto di vista dei consiglieri, non avevano alcun onore da difendere. Tale distinzione tra prigionieri di «qualità» diverse si rispecchiava in una complessa divisione del lavoro tra magistrati inquirenti, scaccini e guardie carcerarie. In tal modo, le autorità cercavano di delimitare e isolare il gruppo di prigionieri esplicitamente disonorati e le loro guardie. All’interno di questo settore infame dell’economia penale, le autorità sfruttavano il disonore come strumento di controllo sociale al pieno delle sue potenzialità.

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4. Il potenziale coercitivo della contaminazione del disonore
Nelle punizioni che si voleva causassero un disonore permanente, le autorità attribuivano deliberatamente il ruolo principale al boia, il più disonorevole dei loro servi. Esse facevano ricorso al disonore con perversa creatività. Nella Ofen del XVI secolo, le donne che avevano commesso reati sessuali erano costrette a danzare in pubblico con il boia nella piazza della città; gli uomini dovevano invece danzare con prostitute”. Ma non era necessario introdurre tali grottesche finezze per disonorare il colpevole. La sua esposizione alla gogna era la punizione più comune per conferire infamia legale. Solitamente il boia scortava i delinquenti alla gogna, dove poi infliggeva loro le punizioni corporali del caso. Le punizioni d’onore che contemplavano la presenza del boia erano particolarmente efficaci. Nel 1582 alcuni lavoranti in stato di ubriachezza ingaggiarono una rissa con le guardie municipali di Monaco. Furono accompagnati dal boia ai confini della città e cacciati. Da una petizione al Sacro Romano Impero, in cui chiedevano la cancellazione dell’infamia di cui si erano macchiati, abbiamo un’idea di quello che accadeva a coloro che avevano subito una punizione d’onore. Essi erano «evitati da tutti» e non potevano più praticare il proprio mestiere38. Un altro lavorante raccontava di essere stato imprigionato a Francoforte, messo in catene di ferro (in molti casi il ferro, in quanto opposto agli strumenti di repressione in legno, sembra essere un significativo simbolo di infamia), e successivamente cacciato dalla città. In seguito a questa vicenda, egli viveva come un vagabondo «errando senza meta con grande sofferenza e vivendo la mia vita nella miseria»39.
L’estrema vulnerabilità dell’onore dei propri sudditi garantiva ai governi un formidabile strumento di coercizione. Le autorità sfruttavano le preoccupazioni dei cittadini di rimanere contaminati per assicurarsi la condiscendenza del criminale condannato al patibolo. Anche di fronte alla morte, il colpevole rimaneva assai sensibile al disonore. Per incoraggiare la cooperazione del criminale in quello che rimaneva sempre un rituale rischioso40, le autorità potevano attenuare l’infamia dell’esecuzione introducendo variazioni nella procedura. La più importante distinzione è quella che veniva fatta tra la disonorevole impiccagione e la meno disonorevole decapitazione. I crimini violenti commessi all’aperto, come l’omicidio colposo, erano generalmente puniti con la decapitazione «per grazia e con mano bagnata» (aus Gnade mit nasser Hand), mentre i crimini commessi di nascosto, quindi più ignominiosi, quali il furto o il tradimento, erano puniti con l’impiccagione, «con mano

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asciutta» (aus trockener Hand). Tuttavia i magistrati potevano prendere in considerazione l’ambiente e le intercessioni della famiglia a favore del condannato, o premiare una confessione volontaria o espressioni di pentimento, «concedendo» al delinquente, il cui reato meritava teoricamente la pena dell’impiccagione, di essere decapitato. D’altro canto, se il condannato non cooperava oppure aveva commesso un crimine particolarmente nefando, le autorità potevano accrescerne il disonore impiccandolo più in alto del solito oppure utilizzando una catena in luogo di una corda41, molto probabilmente per il fatto che una catena, ben più resistente di una corda, garantiva che il corpo rimanesse esposto più a lungo alla vista dei cittadini. Le autorità spartivano in maniera calcolata il disonore (e il dolore) in base al «capitale sociale» del criminale. H capitale sociale non equivale allo status sociale; un membro molto umile della comunità urbana poteva detenere un capitale sociale maggiore rispetto a quello di un ricco mercante straniero. H capitale sociale riguardava il livello di integrazione sociale dei delinquenti: avevano una famiglia in città? I suoi vicini erano disposti a intercedere in suo favore? Vi erano persone su cui la sua eventuale punizione eseguita nella piena severità della legge poteva avere ripercussioni?42. Alcuni esempi illustrano come le autorità tenessero conto di tali fattori nell’emissione di una sentenza. Nel 1559 Joachim Elsesser, membro di una rispettabile famiglia di mercanti, tentò di avvelenare sua moglie e si appropriò indebitamente di fondi pubblici. A proposito di questo crimine, un cronista osservò, «egÉ meritava di essere straziato a pezzi con tenaglie arroventate e di essere trascinato sul patibolo [...] di essere stritolato sulla ruota e, ancora vivo, di essere squartato». Ma Elsesser non subì tali punizioni: «Un onorato consiglio tenne conto delle numerose intercessioni in suo favore da parte di persone di alto e basso rango. Con misericordia, il consiglio lo condannò a essere condotto [...] sul patibolo e ad essere giustiziato dalla spada e dalla mano insanguinata»45. Nel 1567, le conoscenze patrizie di un funzionario cittadino condannato a morte per frode mitigarono l’infamia della sua esecuzione. Costui fu impiccato, com’era consuetudine in caso di furto, tuttavia «poiché sua moglie era di estrazione patrizia, non fu spogliato della tunica che indossava sul patibolo, diversamente dagli altri ladri. Il giorno dopo fu portato via dal patibolo e sepolto nel cimitero dai becchini»44. Considerato il ruolo del vestiario nell’identità sociale nella prima età moderna, questo fu un gesto significativo da parte delle autorità. I carnefici richiedevano i vestiti dei criminali giustiziati come parte del loro consueto compenso, cosicché i cadaveri erano in genere espo-

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sti più o meno svestiti45. La nudità aveva una parte nel processo di degradazione. I due casi precedenti sembrano essere chiari esempi di giustizia sociale. Entrambi i condannati erano membri dell’élite cittadina. Tuttavia i magistrati esercitavano simili forme di magnanimità anche per individui di origine più modesta. Nel 1684 il consiglio concesse la sua clemenza a un tessitore caduto in rovina e noto ladro. Invece di essere impiccato, egli fu decapitato. Un cronista commentava: «Egli avrebbe dovuto essere impiccato, ma poiché aveva molti figli per misericordia fu giustiziato con la spada» 46.
Quindi le autorità disponevano di un diversificato repertorio per orchestrare il rituale dell’esecuzione. L’impiccagione o la decapitazione, la corda o la catena, dettagli aggiuntivi (pinze arroventate, ecc.), la durata del tempo in cui il corpo del giustiziato rimaneva esposto e il metodo di sepoltura erano tutte variabili che le autorità potevano manipolare per comunicare diverse sfumature di disonore. Le reazioni dei criminali condannati dimostrano fino a che punto il governo poteva sfruttare il potenziale coercitivo di tale simbolismo. Agli inizi del XVII secolo, un ecclesiastico di Norimberga racconta di quando egli stesso, insieme con un altro sacerdote, fece visita a due ladri nella prigione per informarli che sarebbero stati decapitati invece che impiccati: «quando essi udirono la lieta notizia che avevano ricevuto una sentenza clemente, caddero entrambi in ginocchio e ringraziarono Iddio [...] Ringraziarono anche noi, baciandoci le mani [...] Fuori di sé dalla gioia [...] essi ringraziarono le autorità per il giudizio clemente»47. Uwe Danker interpreta queste scene emotive come espressione del controllo «totale» che lo stato moderno poteva esercitare su di un individuo in suo dominio. «Lo stato della prima età moderna non era totalitario, in quanto non poteva attuare la sua onnicomprensiva volontà di controllo [...], ma quando un prigioniero era completamente alla mercé di questa volontà di disciplinamento, lo stato poteva esercitare un dominio totale»48. U. Danker si riferisce al modo in cui le autorità si assicuravano l’obbedienza da parte dei criminali condannati facendo leva sulle loro paure religiose, tuttavia lo stesso può dirsi del modo in cui le autorità strumentalizzavano l’ideologia dell’onore.
Anche quando un individuo sospetto era sfuggito alla cattura fisica da parte delle autorità, queste facevano uso del simbolismo del disonore per diffamarlo a distanza. Per indurre i disertori a ritornare nell’esercito, le autorità ordivano un rituale pubblico di degradazione. Il nome del disertore veniva pronunciato tre volte al suono del tamburo. Al soldato era ordinato di ritornare al re-

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batto che aveva disertato, oppure il suo nome sarebbe stato pubblicamente affisso al patibolo. Se il disertore non ricompariva, il boia affiggeva un cartellone con il nome del disertore al patibolo nel corso di una cerimonia pubblica. H manifesto rimaneva attaccato alla forca fino a che il disertore non si fosse arreso o non fosse stato catturato. La cerimonia era efficace. I disertori tornavano di propria volontà e si sottomettevano a durissime punizioni corporali, purché i governanti fossero stati disposti a eliminare il loro nome dal patibolo e a ripristinare il loro onore4’. Nel 1731, i genitori del disertore Caspar Wùstle negoziarono questo scambio a favore del loro figlio. Quando il giovane si arrese alle autorità di Augusta, il governo della città ordinò che il boia togliesse il suo nome dalla forca. Wùstle sarebbe stato frustato per tre giorni di fila al suono del tamburo. Dopo di ciò avrebbe avuto un’assoluzione onorevole50.
5. Punizione e divisione del lavoro
Naturalmente il disonore poteva essere sfruttato come arma di potere nei confronti di persone che le autorità intendevano diffamare. Tuttavia la mira di quest’arma non era molto precisa, cosicché la contaminazione del disonore si diffondeva in maniera incontrollata. Si è già fatto cenno al tentativo del governo di controllare il disonore istituendo una divisione del lavoro nell’ambito delle punizioni criminali tra i dipendenti cui erano esplicitamente riservati compiti disonorevoli e quelli che teoricamente non venivano degradati dai propri doveri. Ma fino a che punto questa politica di arginamento era effettiva?
Nel 1713, Anthoni Hefelin, un balivo del piccolo ducato di Hohen Embs, presentò una supplica all’imperatore per essere purificato dall’infamia che aveva contratto toccando un «malfattore». Quando un depredatore di chiese fu arrestato e condannato a morte, Hefelin fu chiamato per «poggiare le [sue] mani su di lui e incatenarlo». L’atto di aver toccato e incatenato un criminale o «malfattore» disonorò l’uomo agli occhi degli artigiani locali. Da quel momento essi lo emarginarono e si rifiutarono di accettare che i suoi figli facessero apprendistato presso le loro corporazioni51. In questo caso, il disonore del balivo era indiscusso. Le autorità e gli artigiani concordavano sul fatto che il balivo che avesse toccato un «malfattore», ossia un criminale che aveva commesso un reato capitale, prendeva parte al processo dell’esecuzione, partecipando così del disonore del boia.

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Era necessaria una costante vigilanza per demarcare il confine simbolico tra funzionari infami e altri dipendenti pubblici. Quando, nel 1660, un balivo troppo zelante legò le mani di un malfattore che stava per venir condotto alla decapitazione, disonorandosi per via di quest’azione, fu immediatamente condannato al rogo52. Nel 1731, i balivi tentarono di salvarsi dal disonore chiedendo scusa per il fatto di dover accompagnare i prigionieri alla tortura. Torturare un individuo sospetto rientrava tra i doveri del boia ed era pertanto un compito evidentemente disonorante. Il governo decretò che essi avrebbero dovuto condurre il prigioniero nella camera dell’interrogatorio. Se il boia, che attendeva in un’altra stanza, fosse stato chiamato per mostrare al delinquente gli strumenti di tortura - questo atto di terrore psichico, costituiva di per sé il primo stadio della tortura” - allora i balivi erano liberi di andar via. Il prigioniero, così disonorato (malfizisch), veniva ricondotto nella cella dalle esplicitamente disonorate guardie carcerane .
La suddivisione delle mansioni associate con la punizione criminale trovava riflesso nella proliferazione di termini impiegati per designare diversi tipi di funzionari di polizia. Il carattere di queste designazioni andava dall’eufemistico, al neutrale all’apertamente diffamante. I funzionari di polizia potevano ricevere le denominazioni di «impiegato del consiglio (Ratsdiener)»”, «impiegato della corte» {Gerichtsdiener) ’6, entrambe relativamente onorifiche. Amst-mann, Amstneck”, Stadtneck™, oppure Stadtdiener, che tradurrei come «magistrato», avevano carattere più neutrale. I termini Al-mosenknecht (impiegato dell’assistenza) e Bettelknecht (sorvegliante dei mendicanti) designavano quei funzionari che scacciavano i mendicanti forestieri. Scberge (sergente), Blutscberge (sergente del sangue)59 e Malefiz-Scherge o Malefiz-knecht (sergenti o impiegati per i malfattori) erano dichiaratamente disonorevoli, e Diebs-faher (incaricato della cattura dei ladri) era intenzionalmente offensivo. I funzionari legali erano anche chiamati Bùttel, Fronbote60, Unter-vogt6', Stockmaister, Provofi62, weltlicher Richter6', GerichtsweibelM, Gewaltrichterdiener* o Oeschey*. Tali designazioni si sovrapponevano nel significato. Poiché i doveri di questi ufficiali erano diversi a seconda della città, anche i contemporanei non avevano un’idea chiara del significato preciso di questi termini. Le autorità locali si consultavano spesso su quali fossero esattamente le mansioni svolte da un magistrato o da un agente di polizia in una particolare località. Nonostante gli scrupoli riposti nel denominare i funzionari della legge e nel determinare le loro mansioni, in ultima analisi il disonore non si riusciva ad arginare. Secondo un funzio-

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nano che si qualificava come «balivo in civilibus» (Amtmann in civilibus), «[...] la gente comune [...] non faceva alcuna distinzione, ma genericamente intendeva il termine “balivo” nell’accezione di “magistrato criminale”» ".
Nei conflitti concernenti disonore, offese e risse di strada, gli artigiani tenevano conto di una serie di elementi per identificare i candidati a portatori di disonore. Quando il tessitore di Augusta Valentin Vogel sposò la figlia di un magistrato della vicina Land-sberg nel 1666, i suoi compagni della corporazione, com’era prevedibile, lo dichiararono portatore di disonore. Sebbene Land-sberg attestasse che i suoi magistrati erano onorati («non hanno mai poggiato le mani su un malfattore»), i tessitori di Augusta si diedero da fare per dimostrare il contrario. Essi mandarono una delegazione di capimastri a Landsberg con un questionario da proporre ai normali cittadini (e non a un portavoce ufficiale governativo) sullo status dei balivi nella loro città. H questionario ottenne i risultati desiderati: i magistrati di Landsberg erano portatori di disonore, in quanto vivevano in un appartamento di proprietà del comune contenente la gogna e le catene. Vogel obiettò che i balivi onorati e i sergenti disonorati vivevano in quartieri separati. I balivi custodivano nelle loro abitazioni le manette, ma queste erano fatte di legno, non di ferro, a sottolineare che il legno era impiegato nel caso di colpevoli di reati civili, il ferro per i malfattori. Non convinti, i tessitori boicottarono la bottega di Vogel fino al 1669, quando il caso scomparve dagli archivi68.
Nel 1761 i rilegatori si basarono sullo stesso tipo di prova materiale per dimostrare le disonorate origini di uno dei loro apprendisti. Un gruppo di rilegatori si recò ad Andechs, la città natale della persona sospetta, per indagare sul suo ambiente. Spiando nella casa di suo padre, essi vi trovarono — così sostenevano -una vera camera degli orrori, piena «di ogni sorta di strumenti, quali si potrebbero vedere nelle mani di uno scaccino, cioè catene, manette e [...] una frusta di coda di bue». Il fatto che il balivo maneggiasse tali arnesi costituiva una prova sufficiente del suo disonore69.
Gli artigiani identificavano nelle uniformi dei balivi i segni visibili del loro disonore. I magistrati tedeschi indossavano livree multicolori, solitamente dei colori ufficiali della loro città o territorio 70. Ad Augusta tali livree erano a strisce bianche, rosse e verdi, nei colori, cioè, dello stemma cittadino71. Insegne e stendardi bianco, rosso e verde erano un simbolo di identità politica e di orgoglio civile. Le uniformi dei balivi miravano a simboleggiare l’autorità sovrana del magistrato che essi servivano, tuttavia gli ar-

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tigiani attribuivano un diverso significato ai colori araldici dei bali-vi. Questi, essi affermavano, «sono dovunque tenuti distinti dall’altra gente onorata. Per essere immediatamente riconoscibili, soprattutto agli stranieri, tali scaccini e balivi devono sempre indossare speciali livree. Ciò dimostra che essi non sono uguali alle altre persone onorate, e non partecipano degli affari civili»72. Questa interpretazione dell’uniforme aveva un impatto diretto nei contatti ravvicinati di strada. Nel 1636, mentre un balivo di Augusta ritornava a casa dopo una serata trascorsa alla taverna, un soldato lo schernì: «Dove vai, vestito a strisce?». Ne seguì una lotta al coltello75. Un aspetto curioso di questo episodio è che il balivo fu messo in ridicolo da un soldato, che indossava egli stesso un’uniforme (sebbene non a strisce). Ovviamente non era un’uniforme qualsiasi, ma l’uniforme a strisce colorate dei funzionari della legge che simboleggiava il disonore. L’associazione tra uniformi a strisce e status degradato divenne molto corrente. Ruth Melinkoff ha documentato come i pittori tardo-medievali e della prima età moderna impiegavano il vestiario multicolore e a strisce come simbolo di infamia. Infedeli, menestrelli, buffoni di corte e, soprattutto, i torturatori e i carnefici di Cristo erano rappresentati con un simile abbigliamento74.
In contrasto con la legislazione suntuaria che imponeva speciali costumi atti a identificare le prostitute, gli ebrei e i carnefici, e che simboleggiassero il loro status disonorevole, le autorità di certo non intendevano diffamare i funzionari che indossavano i colori simbolo della città. Al contrario, l’uniforme mirava a esprimere l’autorità e lo status. Tuttavia il significato di tali segni non era fisso e non poteva essere semplicemente imposto dall’alto. Esso rimaneva fluido ed emergeva nei rapporti quotidiani. Quello che per le autorità era un simbolo di prestigio nella pratica sociale era trasformato in un simbolo d’infamia75.
6. Disubbidienza e ostruzionismo della giustizia
Secondo il modello di disciplinamento sociale di Oestreich, i governanti territoriali riuscirono a «disciplinare» i loro corpi di funzionari e l’amministrazione civile nel corso del XVII secolo. Questo «disciplinamento dell’organico» era una precondizione per l’assai più lungimirante «disciplinamento fondamentale» della società nel XVIII secolo76. Oestreich si riferiva a ufficiali dell’esercito e a funzionari civili di alto livello, non a poliziotti di basso rango, dai quali dipendeva l’effettiva attuazione dell’offensiva mo-

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rale dello stato. Fino a che punto la disciplina fu imposta agli scaglioni superiori dei nuovi eserciti e burocrazie, e da questi assimilata, è una questione che non può essere affrontata in questa sede. Al livello più basso della scala sociale, tuttavia, la contaminazione del disonore rappresentava un importante ostacolo al «disci-plinamento dell’organico». Come si è visto, gli artigiani erano esperti casisti quando si trattava di spiegare perché un ufficiale di polizia dovesse essere considerato portatore di disonore. Man mano che gli artigiani identificavano nuovi criteri di infamia, il disonore si diffondeva al di là del settore esplicitamente infamante dell’economia penale, per interessare tutti i dipendenti pubblici che avevano a che fare con la giustizia criminale. Nel tentativo di proteggere se stessi dal disonore, gli ufficiali della legge spesso si rifiutavano di eseguire i comandi delle autorità statali.
Un imbarazzante caso di questo genere si verificò quando il soldato Wùstle, lo sfortunato disertore, si arrese alle autorità di Augusta affinché il proprio nome fosse rimosso dal patibolo. Il palco per la sua flagellazione era stato allestito, i tamburi erano stati collocati dinanzi al municipio, tuttavia la punizione non poteva aver luogo, perché i due caporali cui era stato ordinato di frustare il condannato si rifiutavano di farlo. Costoro si giustificavano dicendo che il nome di Wùstle era stato affisso al patibolo e, anche se ora era stato rimosso, Wùstle non poteva considerarsi onorato finché le bandiere non si fossero sventolate su di lui in un rituale militare che avrebbe formalmente cancellato l’infamia da lui contratta. Frustare Wùstle nel suo stato presente avrebbe causato loro disonore e l’espulsione dal loro onorevole reggimento. Esasperate, le autorità di Augusta rimandarono la flagellazione del soldato Wùstle. Il consiglio ordinò che su di lui fossero fatte sventolare le bandiere, e così la punizione potè aver luogo e Wùstle fu rilasciato. Nel frattempo, i due caporali recalcitranti furono puniti per il loro atto di disubbidienza77.
Tali episodi di insubordinazione si verificavano non solo tra il personale militare, ma anche tra i balivi di Augusta che cercavano di eludere le punizioni di cui temevano l’effetto infamante. Nel 1688 il governo cittadino dovette ricorrere alla minaccia del rogo per costringere i suoi balivi ad amministrare, all’interno dei confini della prigione, la punizione corporale privata di un delinquente che le autorità avevano classificato come criminale «civile», dunque non come disonorante «malfattore» ”. La paura di essere contagiati dal disonore rendeva i balivi strumenti tutt’altro che compiacenti delle autorità governative, cosicché il programma di disci-plinamento sociale dei dipendenti pubblici era talvolta ostacolato

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da atti di disubbidienza del personale stesso. Resoconti come questo gettano nuova luce sull’immagine dello «stato di polizia ben organizzato» ” quale emerge dagli editti e dai mandati dell’epoca.
7. La tortura e il contatto del boia
Oltre alla potenziale disubbidienza del personale, le autorità dovevano affrontare il fatto che il contatto con il sistema della giustizia criminale diffamava i prigionieri, al di là delle intenzioni delle autorità. A questo riguardo, la tortura giudiziaria rappresenta un caso particolare80. A partire dal XVII secolo, gli artigiani cominciarono a espellere membri della loro corporazione che avevano subito torture nel corso di un’indagine criminale, anche se questi erano stati dichiarati innocenti dalle autorità. Secondo gli artigiani, la tortura ad opera di un boia lasciava sulla vittima un indelebile marchio di infamia. Questa non derivava da un atto criminale o dalla conseguente punizione. Era la tortura in sé a infamare, al di là della colpevolezza o dell’innocenza del prigioniero. Gli artigiani onorati insistevano a favore dell’espulsione permanente delle vittime della tortura dalla loro corporazione. Un caso particolarmente tragico di contaminazione del disonore fu quello che ebbe come protagonista un giovane ricamatore a giornata, Augu-stin Gerstecker, arrestato perché sospettato di stregoneria nel 1665. L’artigiano ventunenne fu imprigionato e torturato per sette settimane. Tuttavia, la sua tenace negazione della colpa e una peculiarità fisica lo salvarono dal verdetto di colpevolezza. Mentre rasava il corpo di Augustin alla ricerca del marchio diabolico, il boia scoprì una caratteristica anatomica che provò l’innocenza del giovane: «il suo membro virile è in condizioni tali che il giovane deve essere considerato ancora vergine, perché il prepuzio non può essere tirato indietro». In altre parole, il giovane non avrebbe potuto avere il rapporto sessuale con Satana, che rappresentava il necessario suggello del patto con il diavolo”. Le autorità lo dichiararono innocente, ma sette settimane di torture avevano fatto di Augustin uno storpio. Le cronache non specificano quali offese permanenti egli avesse subito; tra le altre cose, le sue mani erano state danneggiate. Non poteva più essere all’altezza dei suoi compagni artigiani, cosicché nessun capomastro volle più ingaggiarlo. La cosa, del resto, non fu mai in discussione. Benché innocente agli occhi dei magistrati, egli era infame agli occhi dei suoi colleghi che lo espulsero dalla corporazione. Incalzati a spiegare il motivo per cui la tortura avrebbe lasciato una macchia permanente

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sull’onore di Augustin, malgrado la sua innocenza, essi risposero che «Se hai una macchia sul vestito, puoi pulirla. Non potrai però sostenere che non ci sia mai stata».
8. L’impatto delle punizioni non capitali
Anche nei casi concernenti reati minori, che non richiedevano l’applicazione della tortura, le autorità spesso si rendevano conto che l’impatto delle loro punizioni era più duro di quanto esse stesse desiderassero. La punizione dei «mendicanti forti», dei poveri immeritevoli, era una delle arene principali del progetto di disciplinamento sociale dello stato. Agli occhi delle autorità, la mendicità dei poveri fisicamente abili era conseguenza di uno stile di vita dissoluto, di ostinata e peccaminosa pigrizia. I governi ricorrevano ai lavori forzati, alla prigionia e alle punizioni corporali per istillare abitudini morali e imporre la disciplina del lavoro ai poveri immeritevoli82. Ma la contaminazione del disonore ostacolava il programma di disciplinamento. Ad Augusta, il governo impiegava squadre di mendicanti incatenate per ripulire latrine o per lavori di costruzione nella cinta muraria. Quando gli amministratori del benessere suggerirono di sottoporli a flagellazioni disciplinari, il consiglio municipale si rivolse alla libera città imperiale di Norimberga per sapere quale trattamento riservasse a tali vagabondi. Norimberga li mise in guardia dal ricorso alle frustate: «se queste persone fossero frustate, con ogni probabilità diventerebbero ladri o briganti, poiché perderebbero l’onore e non sarebbero più tollerati dagli artigiani locali»8’. Le autorità cercarono di punire gli autori di reati minori con discrezione, in modo da non diffamarli in modo permanente. Ciò è illustrato dalla punizione prevista per i reati sessuali. Nel 1627 il consiglio di Augusta emise un decreto segreto nel quale si ordinava che gli adulteri fossero perseguiti e puniti con la «dovuta cautela» (mit beh'óriger Bebut-samkeit) M. Questa direttiva interna contrastava con il linguaggio pubblico draconiano delle ordinanze di polizia che minacciava di punizioni corporali o anche di morte fornicatori e adulteri, affinché «la collera divina [...] non inghiotta l’intera città»”. Nel 1661, le autorità bavaresi vennero alle prese con la contaminazione del disonore, quando si resero conto che punire fornicatori e adulteri «pubblicamente o in altri modi in base ai nostri editti» aveva come conseguenza la loro espulsione dalla propria corporazione86. I membri delle corporazioni avevano interiorizzato costumi sessuali assai rigorosi87. La loro riluttanza a perdonare tali tras-

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gressioni ostacolava i tentativi delle autorità di imporre una più rigida morale sessuale sulle masse.
Anche le case di correzione, istituzione penale paradigmatica dei secoli XVII e XVIII, erano infestate dal disonore. All’interno delle mura del Zuchthaus, letteralmente «casa della disciplina», le autorità esercitavano un controllo quasi totale sugli ospiti, imponendo ai prigionieri regimi dettagliati atti ad inculcare abitudini virtuose e la disciplina del lavoro. Le case per condannati costituivano un’alternativa alle cruente punizioni corporali ed esemplificavano l’intento pedagogico del disciplinamento sociale. L’obiettivo dichiarato della punizione era la risocializzazione piuttosto che il castigo88. Ma la contaminazione del disonore minacciava di depistare gli sforzi di riabilitare i criminali. Nel 1715 Augusta fondò due case di lavoro per condannati. Queste istituzioni avrebbero dovuto disciplinare un’assortita congerie di furfanti: «[...] impertinenti e incorreggibili mendicanti locali o forestieri, [...] lavoranti insolenti e turbolenti, apprendisti pigri e scolari ineducati, [...] bambini disobbedienti, ragazze impudenti e frivole desiderose di una vita lussuosa, [...] insomma chiunque si comporti in maniera scorretta e conduca un vita peccaminosa e indolente [...]». Naturalmente queste case non erano destinate a punire i condannati di crimini gravi. Solo gli autori di reati minori, che necessitavano di una «correzione civile», vi erano ammessi. Ne erano esclusi i criminali che erano stati «sotto le mani del boia o del sergente del sangue» ”. Questi erano mandati alla casa per condannati del Circolo Svevo di Buchloe, che era provvista di un’ala separata per ospiti infami. Tuttavia, nonostante gli sforzi tesi a separare ed escludere questi ultimi, la politica di arginamento del disonore perseguita dalle autorità fallì ancora una volta.
Nel 1721, alcuni ragazzi che erano stati imprigionati nella casa per condannati per furti minori dovettero essere rilasciati. I giovani erano stati mandati nella casa di prigionia in un primo tempo perché le autorità credevano che una tempestiva disciplina avrebbe portato al loro «miglioramento», salvandoli da una vita criminosa. Ma quando furono scaduti i termini della loro prigionia, le autorità non sapevano dove collocarli. Era chiaro, secondo i magistrati, che i ragazzi non erano disonorati, non essendo stati vittime di punizioni infamanti; tuttavia essi non potevano essere affidati a una corporazione di artigiani, perché ciò avrebbe fomentato malcontento e conflitti. Gli amministratori patrizi raccomandarono, infine, che i giovani fossero rimessi ai reclutatori militari oppure impiegati nei lavori di costruzione delle fortificazioni detta città90. La casa per condannati, istituzione specificamente finaliz-

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zata alla riabilitazione dei suoi ospiti, falliva nei suoi scopi, poiché la contaminazione del disonore impediva a coloro i quali vi avevano soggiornato di essere reintegrati nella società onorata.
Il disonore colpiva non soltanto la persona che subiva una punizione, ma anche i membri della sua famiglia. Un caso del 1653 offre una vivida illustrazione di questo effetto. Quattro artigiani di NeuB, in Slesia, presentarono una supplica all’imperatore per la propria legittimazione e per la restituzione dell’onore. Le mogli di questi artigiani erano state arrestate durante una caccia alle streghe nell’anno precedente. «Esse vennero torturate ed esaminate, ma dopo innumerevoli tormenti furono giudicate innocenti». Nonostante la provata innocenza, il marchio loro impresso dalla tortura guadagnò «agli uomini e alle loro suddette mogli il disprezzo da parte dei concittadini, in particolare dei compagni della corporazione. Essi erano considerati disonorati»91. Il disonore era passato dalle donne ai loro coniugi. Petizioni di membri delle famiglie di criminali danno un’idea dell’impatto che le punizioni dell’onore avevano sui congiunti del delinquente. Nel 1620 i parenti di una donna condannata alla pubblica flagellazione e alla gogna per aver fornicato con un ebreo supplicarono le autorità di tener conto della sorte dei «suoi poveri orfani senza padre» e «di risparmiare a noi, parenti onorati, questa pubblica flagellazione»92. Nel 1734 i parenti di un disertore pregarono le autorità di non affiggere al patibolo il suo nome, perché «la vergogna e la sciagura ricadranno sicuramente su di noi fratelli, e questo ci verrà ricordato in ogni occasione» ”.
Si potrebbe obiettare che in questi casi la forza dell’infamia derivasse non tanto dal processo giudiziario quanto dalla natura del crimine. Ciò sembra particolarmente verosimile nei casi di stregoneria, in cui il sospetto e la paura potevano far sì che il disonore dell’accusato o dell’accusata perdurasse anche dopo il suo rilascio. La credenza secondo cui la stregoneria si diffondeva nelle famiglie esponeva al disonore i parenti dei sospettati di questo crimine94. Gli storici hanno ipotizzato che l’efficacia con cui le punizioni dell’onore diffamavano un delinquente dipendesse dal consenso tra le autorità e la gente comune, che costituiva il pubblico di questi rituali di vergogna. Se il pubblico popolare non condivideva l’idea che la condotta dell’accusato meritasse una condanna, la punizione era priva di effetto95.
Tuttavia tali argomenti sono in genere basati su studi relativi alla società rurale. L’analisi dei conflitti di onore ad Augusta e in altre società urbane porta a conclusioni differenti. Nelle città l’impatto della contaminazione del disonore era devastante e perma-

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nente, anche quando la cultura popolare non attribuiva alcun marchio di infamia ad un particolare crimine. Nel 1582, quando alcuni lavoranti furono condotti fuori dalla città dal boia, colpevoli d’aver ingaggiato, ubriachi, una rissa con le guardie municipali, è assai improbabile che i loro compagni trovassero la loro azione riprovevole, in quanto l’ubriachezza e la rissosità erano componenti della socievolezza maschile. Le competizioni potorie ritualizzate, con la violenza che ne risultava, costituivano, secondo Lyn-dal Roper, «un mezzo per accrescere l’onore della corporazione o del gruppo di lavoranti» ”.
Questi giovani sregolati intendevano conformarsi alle esigenze del codice d’onore maschile e alle norme di gruppo delle loro organizzazioni di lavoranti”, pur tuttavia persero l’onore. Fu la punizione a conferire loro l’infamia, non la natura del reato. L’effetto diffamante della punizione aveva luogo ex opere operato, e non teneva conto della condizione morale o delle intenzioni.
9. Conclusioni
Il disonore non può essere semplicisticamente interpretato come ima forma di contaminazione della morte, in quanto esso si genera non soltanto nel contesto delle punizioni capitali, ma in quasi ogni procedimento punitivo immaginabile. Un’interpretazione del disonore tedesco come «tabù di sangue» ne oscura la specificità storica. I macellai, per esempio, che Le Goff annovera tra i mestieri illeciti del Medioevo ”, erano artigiani onorati e rispettati nella Germania della prima età moderna ”. H disonore non derivava soltanto dal boia, sebbene esso fosse in gran parte concentrato nella sua persona. A partire dal XVIII secolo le applicazioni più correnti della giustizia criminale disonoravano il funzionario che le espletava. Il disonore non fluiva in una direzione particolare, al contrario sembra si espandesse in tutte le direzioni simultaneamente. Il contatto fisico del boia o una particolare punizione disonoravano il criminale e, di conseguenza, il contatto con il criminale disonorava il balivo che poggiava le mani su di lui. Azioni particolari, come il porre le catene di ferro, disonoravano contemporaneamente il balivo e il prigioniero. La stessa catena, o altre strumenti di punizione, erano impregnati di disonore, cosicché il contatto fisico con uno di questi oggetti poteva disonorare persone del tutto estranee al processo punitivo.
Nonostante le sue potenzialità quale strumento di controllo sociale, il disonore causava alle autorità non meno problemi di

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quanti ne risolvesse. Innanzitutto, il governo non poteva monopolizzare l’uso del disonore come mezzo di coercizione. Le «pasquinate dei patiboli» mostrano che anche i comuni cittadini potevano sfruttare il disonore come arma nei conflitti che li opponevano ai loro simili o ai superiori. In secondo luogo, sebbene l’ideologia del disonore servisse a sostenere il governo sul piano simbolico — come risulta evidente dai rituali per la costruzione dei patiboli che affermavano l’alto onore delle autorità -, sul piano pratico, la contaminazione del disonore ostacolava seriamente l’amministrazione quotidiana della giustizia criminale e tendeva di fatto a minare l’autorità governativa.
La sovranità e il dominio (Hemchafi) sembra siano stati un fattore chiave nella produzione del disonore. Nel 1738, i capi dell’associazione dei calzolari a giornata furono arrestati per aver punito alcuni loro membri frustandoli con una cinghia. Le autorità si opponevano a queste forme di disciplina interne alle corporazioni; amministrare le flagellazioni rientrava tra le prerogative del governo. Infliggendo una simile punizione, l’associazione artigiana usurpava la sovranità dei magistrati '“. L’aspetto che per noi riveste maggiore interesse in questo caso è che le frustate non causavano disonore. Non ne furono toccati né gli artigiani che avevano eseguito la punizione, né quelli che l’avevano subita. La punizione o la violenza non erano fonte di disonore in quanto tali, ma solo se inflitte nel nome delle autorità sovrane.
Che cosa ci rivela l’espansione esponenziale del disonore sugli atteggiamenti popolari nei confronti dell’autorità governativa e della giustizia criminale? Non si deve desumerne che gli artigiani rifiutassero il programma di disciplinamento delle autorità. Al contrario, essi furono tra i primi campioni della disciplina sociale. Augusta era governata da un regime di corporazioni quando, nel 1537, fu pubblicata una nuova ed esauriente «ordinanza di disciplina», il primo importante atto di legislazione civile dopo l’introduzione della riforma protestante 101. Nel suo obiettivo di imporre una riforma morale, l’ordinanza era di amplissima portata. Essa cercava di far rispettare la frequentazione della chiesa; proibiva la blasfemia, lo spergiuro, la calunnia e l’ingiuria, l’ubriachezza, il gioco d’azzardo, come pure l’adulterio, lo stupro, la seduzione, il concubinato, la fornicazione, l’adescamento, la violenza e le risse. Essa sanciva l’autorità del marito sulla moglie, dei genitori sui figli, dei proprietari sui domestici, e del consiglio municipale sugli abitanti della città, che erano in quest’epoca considerati sudditi, piuttosto che cittadini102. Quest’ordinanza è una manifestazione tipica di quella che Hsia ha definito «l’intersezione tra la storia del

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peccato e la storia della criminalizzazione» 103, che caratterizza la politica pubblica dei governi impegnati nel disciplinamento sociale. Il regime evangelico di Augusta accrebbe il potere del consiglio municipale a svantaggio delle corporazioni, processo in cui gli artigiani erano complici perché pesantemente coinvolti nell’istituzionalizzazione della disciplina. Nuove rappresentanze disciplinari, come i «Signori della disciplina», destinate a rendere effettive le campagne moralizzanti erano costituite per lo più da artigiani104. L’accorata adesione alla disciplina da parte degli artigiani induce a dubitare del tipico paradigma del disciplinamento sociale secondo cui la disciplina è un processo dall’alto verso il basso 105.
Naturalmente l’entusiasmo degli artigiani nei confronti della disciplina potrebbe essere sfumato in seguito all’abolizione del regime delle corporazioni e all’imposizione di un governo patrizio autoritario da parte dell’imperatore Carlo V nel 1548 106. Ponendo se stessi come patriarchi, piuttosto che come fratelli, i nuovi governanti patrizi abbandonarono il regime comunitario, e imitarono lo stile di governo dei sovrani dei limitrofi stati assoluti107. Le nuove rappresentanze di governo, quali i «Signori della disciplina», sopravvissero al cambiamento di regime e continuarono a infliggere punizioni anche dopo la scomparsa del fervore evangelico della riforma. Si deve forse pensare che la contaminazione del disonore si diffuse perché gli artigiani avevano rifiutato la disciplina nel momento in cui non avevano più il controllo sulla sua amministrazione? Ad ogni modo, man mano che il governo reclamava l’autorità assoluta e che il suo programma di disciplinamento sociale diventava più invadente, la contaminazione del disonore si espandeva.
Sarebbe erroneo interpretare le preoccupazioni degli artigiani nei confronti della contaminazione come un netto rifiuto della giustizia criminale. Recenti studi sulla storia del crimine suggeriscono che la giustizia criminale non va intesa come unilaterale imposizione dall’alto di disciplina sociale. Nonostante la retorica autoritaria, la reale pratica della giustizia criminale era caratterizzata da un elevato livello di consenso tra il governo della città e i suoi sudditi. I giudici davano molto peso alle intercessioni da parte di sudditi in favore degli accusati, cosicché le sentenze finali erano sostanzialmente accordi negoziati tra governanti e sudditi. Le autorità punivano con moderazione, in base al principio della «clemenza prima della giustizia» (Gnade vor Rechi). La gente comune che assisteva alle esecuzioni capitali non percepiva tali punizioni come tiranniche o ingiuste108.
Il consenso tra governanti e sudditi si riflette anche nel fatto

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che ci è documentato un numero molto esiguo di tentativi di salvare il condannato al patibolo. Se avevano luogo sollevazioni in occasione di esecuzioni, ciò accadeva quando il condannato era già morto. Se il boia aveva eseguito una decapitazione in maniera imperfetta, la folla attendeva che la sfortunata vittima fosse finalmente spirata e poi colpiva il boia a sassate. Non si contestava, dunque, la condanna a morte, ma piuttosto la maldestra esecuzione del rituale di decapitazione "”. Lo status disonorante del boia e di altri ufficiali di polizia non dovrebbe essere interpretato alla luce dell’ostilità popolare nei confronti della pena capitale. Il timore degli artigiani nei riguardi della contaminazione rivela un atteggiamento profondamente ambiguo verso la giustizia criminale. I tedeschi della prima età moderna sembra attribuissero una sorta di colpa personale ai funzionari coinvolti nell’applicazione della legge, come se la responsabilità delle sofferenze del criminale punito ricadesse su di loro. Nel 1596, la moglie di un locandiere offese un balivo, dicendo che se il delinquente che aveva appena arrestato fosse finito sul patibolo, egli sarebbe stato colpevole della sua morte "°. Nel 1680 due trasgressori che erano stati esposti alla gogna andarono in giro per la città accusando del loro disonore il balivo che li aveva accompagnati in quel luogo 111. Malgrado tali sentimenti, la gente comune appoggiava la giustizia criminale applicata dalle autorità, tuttavia si rifiutava di avere a che fare con cittadini che erano stati personalmente coinvolti, anche se solo in maniera marginale, nell’esecuzione di punizioni criminali.
Kathy Stuart
Department of History, University of California
Note al testo
1 B. Roeck, Eine Stadt in Krieg und Frieden. Studien zur Geschichte der Reichsstadt Aug-sburg zwischen Kalenderstreit und Paritàt, v. 1, Gòttingen 1989, p. 669.
2 StadtAA, Censuramt, 22 febb.-3 marzo 1703.
3 StadtAA, Censuramt, 17 maggio 1762.
4 StstBA, 2 cod. Aug 12 7, £o. 175, per il 22 aprile 1645. Anche i nobili e il governo cittadino sfruttarono questa iconografia da patibolo in occasione di faide e dispute legali: si veda O. Hupp, Scheltbriefe und Schandbilder. Ein Rechtbehelf aus dem 15. und 16. Jahrhundert, Munich 1930. Questo genere non va confuso con le pitture infamanti italiane, che erano commissionate dallo Stato per diffamare un cittadino; si veda S. Y. Edgerton, Pictures and Punishment. Art and Criminal Prosecution during thè Fiorentine Renaissance, Ithaca 1985, pp. 59-76; G. Ortalli, La pittura infamante nei secoli XIII-XVI, Roma 1979. Le pasquinate da patibolo tedesche, al contrario, erano un mezzo di comunicazione non ufficiale. Esse erano un’arma utilizzata nei conflitti tra appartenenti di una medesima classe sociale, o brandita in anonimato da un partito più debole per diffamare un oppositore più potente.
5 StadtAA, RP 100, 17 settembre 1735, fo. 756.
6 StadtAA, Censuramt, Senats Decret, 29 maggio 1762. Per ulteriori esempi, cfr. StadtAA, RP 100 1735, 17 settembre 1735, p.756; Censuramt, Senats Decret, 6 agosto 1757.



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7 StadtAA, RP 90 1711-1713, 20 ottobre 1712, p. 871. Per ulteriori esempi, cfr. StadtAA, Censuramt, Senats Decret, 6 agosto 1757.
8 Sulla Unehrlichkeit, cfr. K. Stuart, Defiled Trades and Social Outcasts: Dishonor and Ritual Pollution in Early Modem Germany (di prossima pubblicazione, Cambridge University Press); Ead., Unehrlichkeitskonflikte in Augsburg in der fruhen Neuzeit, in «Zeitschrift des Historischen Vereins fìir Schwaben», 83 (1990), pp. 113-129; O. Beneke, Von unehrlichen Leuten. Cultur-Historische Studien und Geschichte, Hamburg 1863; G. Wibertz, Scharfrichter und Ahdecker im Hochstift Osnabrùck. Untersuchungen zur Sozialgescbichte zweier ‘unehrlicher’ Berufe im nordwestdeutschen Raum vom 16. bis zum 19. Jahrhundert, Osnabriick 1979; J. Nowosadtko, Scharfrichter und Ahdecker. Der Alltag zweier ‘unehrlicher Berufe' in der fruhen Neuzeit, Paderborn 1994.
9 J. Le Goff, Licit and iUicit trades in thè Medieval West, in Id., Time, Work, and Culture in thè Middle Ages, pp. 58-70, p. 59. Sugli studiosi tedeschi che interpretano la Unehrlichkeit come un tabù, si veda W. Danckert, Unehrliche Leute. Die verfemten Berufe, Bern/Munich 1963; F. Irsigler e A. Lasotta, Bettler und Gauner, Dirnen und Henker. Aufenseiter in einer mittelalterlichen Stadt. Kòln, 1300-1600, Munich 1989, p. 228; G. VoB, Henker. Taboogestalt und Sùndenbock, in B.-U. Hergemòller, Randgruppen in der spàtmitte-lalterlichen Gesellschaft, Warendorf 1990, p. 107.
10 Le Goff, Licit and illicit trades cit., p. 59.
11 H. Aigner, Zur gesellschaftlichen Stellung von Henkem, Gladiatoren und Berufsathle-ten, in I. Weiler (a cura di), Soziale Randgruppen und Aufenseiter im Altertum, Graz 1988, pp. 210-220.
12 M. Foucault, Disciplin and Punish. The Birth of thè Prison, New York 1979, p. 34. R. J. Evans, Rituals of retribution. Capital Punishment in Germany, 1600-1987, Oxford 1996, pp. 86-87. M. Bée, Le Spectacle de Texécution dans la France de Tancien regime, in «Annales ESC», 4 (1983), pp. 843-863.
13 P. Spierenburg, The Spectacle of Suffering. Executions and thè Evolution of Repres-sion: From a Preindustriai Metropolis to a European Experience, Cambridge 1984, pp. 17-19, 87.
14 Ivi, p. 17.
15 Questo saggio è basato su fonti archivistiche della libera città imperiale di Augusta. Esse includono verbali di interrogatori, protocolli del consiglio comunale, documenti delle corporazioni e corrispondenza interna tra le varie agenzie comunali che amministravano la giustizia criminale. StadtAA, Strafamt, Urgichten e Strafbùcher des Rats; Ratsprotokolle (RP); Handwerkerakten (HWA). ,
16 La raccolta di «legittimazioni» imperiali conservate nell’archivio imperiale di Vienna aiuta a collocare il dettagliato quadro della pratica penale ad Augusta in un contesto imperiale. Haus-, Hof- e Staatsarchiv (HHStA), Vienna, Restitutiones natalium ac legitimationes (Restitutiones). Questa raccolta contiene petizioni di gente disonorata, sia ufficiali di polizia sia persone che avevano subito una punizione criminale, che chiedeva all’imperatore la cancellazione della loro infamia. Tali petizioni provengono da tutte le parti dell’impero: Basilea, Colonia, Danzica, Norimberga, Slesia e Assia e altre località.
17 G. Oestreich, Strukturprobleme des europàischen Absolutismus, in Id., Geist und Ge-stalt des frumodernen Staates, Berlin 1969. Sul concetto di disciplina sociale, si veda anche R.P. Chia Hsia, Social Discipline in thè Reformation. Central Europe 1330-1730, London-/New York 1989, in particolare pp. 141-173; S. Breuer, Sozialdisziplinierung. Probleme und Problemverlagungen bei Max Weber, Gerhard Oestreich und Michel Foucault, in Ch. SachBe e F. Tennstedt (a cura di), Soziale Sicherbeit und Soziale Disziplinierung. Beitràge zu einer historischen Theorie der Sozialpolitik, Frankfurt a.M. 1986, pp. 45-69; W. Schulze, Gerhard Oestreichs Begriff 'Sozialdisziplinierung in der fruhen Neuzeit', in «Zeitschrift fiir historische Forschung», 14 (1987), pp. 265-302.
18 Gerhard Oestreich, citato in L. Roper, Oedipus and thè Devii. Witchcraft, Sexuality and Religion in Early Modem Europe, New York 1994, p. 151. L. Roper offie una breve sintesi sull’approccio del disciplinamento sociale, pp. 145-167.
19 Breuer, Sozialdisziplinierung cit., p. 54.
20 Per una simile tesi, si veda P. Schuster, Ehre und Recht. Oberlegungen zu einer Begriffs- und Sozialgescbichte zweier Grundbegriffender mittelalterlichen Gesellschaft, in S. Back-mann et al., Ebrkonzepte in der fruhen Neuzeit. Identitaten und Abgrenzungen, Berlin 1998, pp. 27-39, 62-63.

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21 Gli artigiani in questione erano tessitori, fornai e sarti. StadtAA, Strafbuch 15881596, luglio-21 luglio 1588, f. 16v-17v. Urgicht Hans Dòlderle et al. 5 luglio 1588; Urgicht Georg Erhard et al., 19 luglio 1588. Per un caso simile, si veda StadtAA, HWA, Buchbin-der 3 1721-1778, marzo-aprile 1757. Questi casi illustrano come il costume inglese in base al quale amici e parenti dei criminali condannati prendevano parte all’esecuzione, come atto di amicizia, tirando le gambe dell’impiccato per causargli una morte più rapida e meno dolorosa fosse inconcepibile nel contesto tedesco. Per questa usanza inglese, cfr. T.W. Laqueur, Crowds, Cameval and thè State in English Executions 1604-1868, in A.L. Beier et al., The First Modem Society, Cambridge 1989, pp. 305-355, p. 352.
22 Mary Douglas usa questo termine per designare gli oggetti che trasmettono impurità rituale nel sistema castale indiano: si veda il suo Purity and Danger. An Analysis of thè Concepts of Pollution and Tahoo, London 1991, p. 34.
23 A. Erler, Galgen, in A. Erler e E. Kaufmann (a cura di), Handworterbuch fùr Rechtsgeschichte, v. 1, Berlin 1971, pp. 1375-1377; D. Marschakk, Hangen, ivi, pp. 19881990.
24 M. Welser e A.P. Gasser, Chronica der weitberuempten Keyserliche Freyen und des Heiligen Reichs Statt Augsburg in Schwaben, Frankfurt 1595, v. 3, p. 22, per maggio 1531. Si veda anche StadtAA, Ratsbuch 16 1529-1542, f. 46, maggio 1531; Schàtze 63, Hans Mair Memorialbuch, f. 3v; P. von Stetten, Geschichte der Heiligen Ròmischen Reichs Freyen Stadi Augsburg. Aus bewàhrten Jahrbuchem und tùchtigen Urkunden gezogen, Augsburg 1743, v. 1, P-
Per alcuni esempi, cfr. W. Oppelt, Die Verlegung des Ansbacher Galgens 1618, in «Ansbach, Gestern und Heute», 2 (1974), pp. 30-35, e 3 (1975), pp. 77-80; H. Schuh-mann, Der Scharfrichter. Seine Gestalt - Seine Funktion, Kempten 1964; R. Wissell, Des Alien Handwerks Rechi und Gewohnheit, Berlin 1971, v. 1, pp. 193-198.
26 A. Keller, Der Schraftrichter in der deutschen Kulturgeschichte, Bonn/Leipzig 1921, p. 209.
Stadtbibliothek Nuremberg, Handschriftenabteilun, Nor. H. 212 (1): «1670 Rela-tio des Auf- und Auszuchs auch der Uncosten, so bei der wider erbauung des Hochge-richts uffangen».
28 A.A. Lersner, Der weii-berùhmten Freyen Reichs- Wahl- und Handels-Stadt Frankfurt am Mayn Chronica, oder ordentliche Beschreibung der Stadi Frankfurt, Frankfurt 1734, v. 1, pp. 523-524.
O. Beneke, Von unehrlichen Leuten. Cultur-historische Studien und Geschichten, Hamburg 1863, pp. 227-229.
30 Un Ohm è una misura arcaica di liquidi. Un Ohm è pari a circa 35 galloni. Tratta-telli contemporanei commemorano questo avvenimento spettacolare. Si veda, per esempio, Vollkommener ... Bericht ... und Beschreibung des der ... heiligen Ròm. Reichs Kays. freyen ... Handel-Stadt Frankfurt am Mayn vor der Sanci-Gallen-Pforten ... aufgebauten Hochgerichts ... , Frankfurt 1720. È registrato anche in Lersner, cit., v. 2, pp. 715-718. Per la letteratura secondaria, cfr. Keller, Scharfrichter cit., pp. 211-213; H. Lenhardt, Feste und Feiem des Frankfurter Handwerks, in «Archiv fiir Frankfurts Geschichte und Kunst», fiinfte Folge, v. 1 (1951), pp. 33-35.
31 Sulla gogna, si vedano gli articoli «Ehrenstrafen» e «Franger» nel Handworterbuch zur deutschen Rechtsgeschichte, a cura di Adalbert Erler e Ekkehardt Kaufmann, 4 voli., Berlin 1971-1990, v. 1, pp. 851-853, v. 3, pp. 1877-1884; G. Schwerhoff, Verord-nete Schande? Spatmittelalterliche und fruhneuzeitliche Ehrenstrafenzwischen Rechtsakt und sozia-ler Sanktion, in A. Blauert e G. Schwerhoff (a cura di), Mit den Wajfen der Justiz. Zur Kriminalitatsgeschichte des sp'àten Mittelaters und der fruhen Neuzeit, Frankfurt a. M. 1993, pp. 158-188, p. 158; R. van Dolmen, Theatre of Horror. Crime and Punishmnent in Early Modem Germany, Cambridge 1990, pp. 43-55.
32 H. Schuhmann, Der Scharfrichter. Seine Gestalt - Seine Funktion, Kempten 1964, p. 101.
33 StadtAA, HWA, Schlosser 4 1695-1739, agosto 1727-febbraio 1728.
34 Ibid.
35 Ibid.
36 StadtAA, Stadtbed 47 10 giugno e 23 giugno 1660.
37 W. Schild, Alte Gerichtsbarkeit. Vom Goitesurteil bis zum Beginn der modemen Rechtsprechung, Munich 1980, pp. 50, 214. Intenzionalmente non ricorro al termine «carne-

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valesco». Secondo Mikhail Bakhtin, «la “risata carnevalesca”» è ambivalente, la distruzione è controbilanciata dalla rigenerazione. Cfr. M. Bakhtin, Rabelais and bis World, Blooming-ton 1984, pp. 59-144. Ma in questo tipo di punizioni non v’era alcuna allusione alla rigenerazione. L’umorismo perverso delle punizioni di onore era meramente distruttivo. Per ulteriori esempi dell’uso dell’umorismo e del grottesco nelle punizioni di onore, si veda Ch. Hinkeldey, Justiz in Alter Zeit, Rothenburg o. d. T. 1989, pp. 339-348.
38 HHStA Vienna, Restitutiones, 2, 3/G,H, Hans Gremì 1582.
39 HHStA Vienna, Restitutiones, 2, 3/G,H, Stefan Hoffman 1617.
40 Sui disordini popolari in occasione di esecuzioni mal espletate, cfr. Schwerhoff, Kòln im Kreuzverhor cit., p. 164.
41 R. His, Das Strafrecht des deutschen Mittelalters, v. 1, Aalen 1964, pp. 491-494.
42 Ampliando la definizione di Pierre Bourdieu dell’onore come «capitale simbolico», Gerd Schwerhoff ha coniato l’espressione «capitale sociale» per descrivere il radicamento di un individuo nella comunità. Schwerhoff, Kòln im Kreuzverhor cit., pp. 166-173.
43 Die Chroniken der Schwàbischen Stadte. Augsburg, v. 7, Gòttingen 1966, pp. 347-8.
44 StadtAA, AHV, Malefikantenliste 19 aprile 1567.
45 StadtAA, Stadtbed. 1081/46. Sulla richiesta di ottenere i vestiti dei giustiziati da parte del boia e sulla nudità dei giustiziati, cfr., per esempio, le petizioni del boia Johann Georg Trenkler, giugno 1747 - gennaio 1748.
6 Ivi, per il 29 gennaio 1684.
47 T. Hampe, Die Nùmberger Malefizbùcher als Quellen der reicbstàdtischen Sittengeschich-te vom 14. bis zum 18. Jabrbundert, Bamberg 1927, pp. 15-16.
48 U. Danker, Rauberbanden im Alten Reich um 1700. Ein Beitrag zur Geschichte von Herrscbafi und Kriminalitat in der frùhen Neuzeit, Frankfurt a.M. 1988, pp. 172-173.
49 StadtAA, Bestand Militarla, Fase. 7,1; Deserteure 1693-1803.
50 Ibid., per il 4 settembre - 27 ottobre 1731.
51 HHStA Vienna, Restitutiones, 2, 3/G, H, Hefelin 1713.
52 StadtAA, Chroniken 27, 21 febbraio 1660.
53 Danker, Rauberbanden, cit., p. 140.
54 StadtAA, RP 105, 15 febbraio 1731, fo. 124.
55 StadtAA, HWA, Lodweber 157a, per il 5 aprile 1584.
56 StadtAA, HWA, Sailer 2, per il 21 maggio 1699.
57 StadtAA, Kunst-, Gewerbs-, und Handwerksgericht, Provokationsklage 1723/1724, Box 1.
58 Stadtneck è il termine più di frequente utilizzato nelle fonti di Augusta. Cfr., per esempio, StadtAA, HWA, Lodweber 160, 19 ottobre 1669.
9 StadtAA, Markgrafschaft Burgau, Akten Nr. 37 1728-1729, Blutschergenenkel Fran Antoni Geifiler.
60 StadtAA, HWA, Weber 164, 21 maggio 1667.
61 StadtAA, HWA, Weber 164, 9 marzo 1702.
62 HHuStA Vienna, Restitutiones, 2/E, Zacharias Egger 1643.
63 StadtAA, HWA, Schuhmacher 8, 25 gennaio 1682.
64 HHuStA Vienna, Restitutiones, 2,3/G,H, Anthoni Hefelin 1713.
65 Con questo termine era comunemente designato il balivo di Colonia. Cfr. Schwerhoff, Kòln im Kreuzverhor cit., p. 56.
StadtAA, Handwerksgerichtsprozefiakten, 31 settembre 1801. Il Deutsches Wòrter-buch, edito da Jacob a Wilhelm Grimm, dà una definizione per molti di questi termini. Vedi, per esempio, le voci Bùttel (v. 2, p. 581), Stadtknecht (v. 10, p. 474f), o Scherge (v. 8, pp. 2584 ss.).
67 HHuStA Vienna, Restitutiones 1, V, Georg Urmann 1715.
68 StadtAA, HWA, Weber 164 165 169, 23 settembre 1666 e 21 maggio 1667.
69 StadtAA, HWA, Buchbinder 1722-1778, per il 18 maggio 1761.
70 StadtAA, HWA, Weber 164 165 169, 23 settembre 1666 e 21 maggio 1667.
71 Si veda il libro dei giuramenti civili, StadtAA, Schàtze, Eidbuch, p. 27, per una riproduzione a colori dei balivi di Augusta con le loro uniformi a strisce neU’atto di mettere un delinquente alla gogna. L’illustrazione accompagna il giuramento del balivo.
72 StadtAA, HWA, Weber 164, 23 settembre 1666.
73 StadtAA, Strafamt, Urgicht Hans Baur 1636, IV 19.

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14 R. Melinkoff, Outcasts: Signs of Otberness in Northern European Art of thè Late Middle Ages, v. 1, Berkeley 1993, p. 20.
75 Sulla trasvalutazione dei simboli di prestigio in simboli d’infamia e viceversa, si veda D. Owen Hughes, Distinguishing Signs: Ear-Rings, ]ews, and Franciscan Rhetoric in thè Italian Renaissance City, in «Past & Present», 112 (1986), pp. 3-59, e R. Jùtte, Stigma-Symbole. Kleidung als identit'àtsstiftendes Merkmal bei spàtmittelalterlichen und fruhneuzeitlichen Randgruppen (Juden, Dimen, Aussàtzige, Bettler), in «Saeculum», 44 (1993), pp. 65-89; U. Robert, Les signes d’infamie au moyen age: Juifs, Sarrasins, heretiques, lepreux, Cagots et filles publiques, Paris 1891.
76 Breuer, Sozialdisziplinierung cit., p. 54.
77 StadtAA, Bestand Militaria, Fase. 7, I: Deserteure 1693-1803, 4 settembre-2 7 ottobre 1731.
78 StadtAA, GRP 21 1687-1689, 27 gennaio 1688, pp. 179-80.
79 Su questa immagine, si veda M. Raeff, The Well-Ordered Police State. Social and Institutional Change through Law in thè Germanies and Russia, 1600-1800, New Haven 1983.
80 J.H. Langbein, Torture and thè Law of Proof Europe and England in thè Ancien Regime, Chicago 1976; E. Peters, Torture, New York 1985.
81 StadtAA, Strafamt, Urgicht Augustin Gerstecker 1665, III, 20, V, 5, testimonianza di Meister Marx 16 aprile 1665.
82 R. Jùtte, Poverty and Deviarne in Early Modem Europe, Cambridge 1994, pp. 143177.
83 M. Bisle, Die òffentliche Armenpflege der Reichsstadt Augsburg mit Berucksichtigung der einschlagigen Verhàltnisse in andere Reichsstadten Sùddeutschlands, Paderborn 1904, p. 68.
84 Stetten, Augspurg, v. 1, p. 865 , 7 settembre 1627.
85 SStBA, 2° cod Aug 324-4, Ratsdecreta, Nr. 57 13 aprile 1669, Bestrafung der Un-zucht.
86 StadtA Munich, Bùrgermeister und Rat, Mandate 60 B 2, p. 739, 29 ottobre 1661, e G.K. Mayr, Sammlung der Kurpfalz-Baierischen allgemeinen und besonderen Landesverord-nungen, v. 3, Munich 1788, p. 121.
87 I. Hull, Sexuality, State, and Civil Society in Germany, 1700-1815, Cornell 1996, p. 43.
88 La descrizione classica delle pratiche di disciplinamento delle case di lavoro per condannati si trova in Foucault, Discipline and Punish cit. La cronologia di Foucault è stata messa in discussione da storici sociali. Si veda anche P. Spierenburg, The Prison Experience. Disciplinary Institutions and their Inmates in Early Modem Europe, New Brunswick 1991 . . ..
89 StadtAA, Akten das evangelische Zuchht und Arbeitshaus, ferners das heilige Al-mosenamt betref.
90 StadtAA, Handwerksgerichtsakten 14 giugno 1721, e 5 marzo 1724. Per un caso analogo, cfr. StadtAA, Schneider 14, corrispondenza su Joseph Ettinger, marzo-giugno 1756.
91 HHuStA Vienna, Restitutiones 1/A, Aust et al., 1653.
92 StadtAA, Strafamt, Urgicht Barbara Frankin 1620, d 10 13 16.
93 StadtAA, Militaria, Fase. 7, I: Deserteure 1693-1803, corrispondenza su Abraham Braun, novembre 1734. Per un caso simile, cfr. la corrispondenza su Maria Seyffid 15 luglio 1720.
94 M. Wiesner, Women and Gender in Early Modem Europe, Cambridge 1993, p. 229.
95 Schwerhoff, Verordnete Schande cit., p. 177. Hull, Sexuality cit., pp. 79-80.
96 Sul potenziale dirompente dell’onore maschile e della mascolinità, cfr. Roper, Oedi-pus cit., pp. 113-115. Cfr. HHuStA Vienna, Restitutiones ... 2/3/H H, Gremì et al 1582.
97 B.A. Tlusty, The Devil’s Aitar. The Tavem and Society in Early Modem Augsburg (Ph. D. dissertation, University of Maryland 1994), pp. 361-389.
98 Le Goff, Licit and illicit trades cit., p. 59.
99 C. Maehnert, Metzger, in R. Reith (a cura di), Lexikon des alten Handwerks. Vom Spàtmittelalter bis ins 20. Jahrhundert, Munich 1990, pp. 158-163.
100 StadtAA, HWA, Schuhmacher 13 14 giugno 1738.
101 L. Roper, The Holy Household. Women and Morals in Reformation Augsburg, Oxford 1989, p. 27.

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102 StadtAA, Ains Erbem Rats der Stat Augsburg Zucht und Pollicey Ordnung, Augsburg 1738.
103 Hsia, Social Discipline cit., p. 123.
104 Roper, Holy Household cit., pp. 69-82.
105 Si veda la penetrante critica di Lyndal Roper al paradigma del disciplinamento sociale in Oedipus cit., pp. 145-167.
106 W. Zom, Augsburg. Geschichte einer deutschen Stadt, Augsburg 1972, pp. 189-194.
107 Ivi, p. 39.
108 Scherhoff, Kòln im cit., pp. 37-41. Per una simile impostazione cfr. Evans, Ri-tuals of RetributionKreuzverhòr cit., pp. 166-173.
1 Van Dulmen, Theatre of Horror cit., pp. 113-118.
110 StadtAA, Strafamt, Urgicht Michel Degert 18 dicembre 1596.
111 StadtAA, HWA, Schneider 7-14 dicembre 1680.