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Title
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"I sardi sono intelligenti?": Un dibattito del 1882 alla Société d'Anthropologie di Parigi
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Creator
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Antonello Mattone
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Date Issued
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1986-07-01
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Is Part Of
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Studi Storici
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volume
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Fondazione Istituto Gramsci
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issue
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27
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page start
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3
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page end
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701
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Publisher
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718
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Language
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ita
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Format
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pdf
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Relation
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L'archeologia del sapere, Italy, Rizzoli, 1980
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Rights
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Studi Storici © 1986 Fondazione Istituto Gramsci
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Source
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https://web.archive.org/web/20230920143339/https://www.jstor.org/stable/20565720?searchText=Foucault&searchUri=%2Faction%2FdoBasicSearch%3FQuery%3DFoucault&efqs=eyJsYV9zdHIiOlsiYVhSaCJdfQ%3D%3D&sd=1975&ed=2000&pagemark=eyJwYWdlIjo5LCJzdGFydHMiOnsiSlNUT1JCYXNpYyI6MjAwfX0%3D&groupefq=WyJzZWFyY2hfY2hhcHRlciIsIm1wX3Jlc2VhcmNoX3JlcG9ydF9wYXJ0IiwiY29udHJpYnV0ZWRfdGV4dCIsInJldmlldyIsInNlYXJjaF9hcnRpY2xlIiwicmVzZWFyY2hfcmVwb3J0IiwiY29udHJpYnV0ZWRfYXVkaW8iXQ%3D%3D&ab_segments=0%2Fbasic_search_gsv2%2Fcontrol&refreqid=fastly-default%3A3a43a075ad8f9f2a9cbff42ff1912305
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Subject
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archeology
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archive
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extracted text
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«I SARDI SONO INTELLIGENTI?»: UN DIBATTITO DEL 1882 ALLA SOCIÉTÉ D’ANTHROPOLOGIE DI PARIGI
Antonello Mattone
1 . Anthropologica. Parigi, rue de l’École de Médecine. Nella sede della prestigiosa Société d’Anthropologie, la sera del 20 aprile 1882, si svolge una seduta di studio sull’antropologia e sull’etnologia delle popolazioni sarde. Il pubblico dei soci è costituito da antropologi, zoologi, patologi, psichiatri, veterinari, criminologi. Seguire lo svolgimento del dibattito ci consente di capire non soltanto quale idea gli scienziati della Société potessero farsi di una realtà periferica come la Sardegna, ma anche di intraprendere un vero e proprio viaggio nell’«archeologia del sapere» per cogliere i fili sottili del meccanismo mentale «oggettivo» e «razionale» che ha costruito l’immagine stessa di questa realtà, rivelando, nel contempo, il freddo specchio di una cultura, di una scienza, di un metodo analitico.
Siamo, infatti, all’apice dell’influsso del positivismo sulla cultura francese. Fondata da Pierre Paul Broca nel 1859 — l’anno stesso della pubblicazione de L'origine della specie di Darwin — la Société aveva avuto ben presto un riconoscimento ufficiale per la sua intensa attività di ricerca: nel 1868, quando il ministero della Pubblica istruzione istituì l’École pratique, il laboratorio di antropologia, dotato di uno dei primi, organici musei d’Europa, venne compreso nelle nuove strutture scientifiche. Già dal 1832 era, però, in funzione al Mu-séum d’histoire naturelle la cattedra di storia naturale dell’uomo — apertamente ispirata anche nella denominazione alle teorie settecentesche di Buffon — che era stata ricoperta sin dall’inizio da Marie Jean-Pierre Flourens, professore di anatomia comparata, studioso di genetica e di fisiologia del cervello. A Flourens succede poi, nel 1839, Etienne Serres, anch’egli anatomista e fisiologo, primo assertore di quel principio — la legge biogenetica fondamentale — che tanta importanza doveva assumere nella biologia evoluzionistica: gli stadi di sviluppo in embrione di ogni specie, non escluso l’uomo, rappresentano successivamente — secondo Serres — tutti gradi inferiori della serie zoologica1.
Devo molti spunti per questo saggio al prof. Giovanni Berlinguer e alla dott. Patrizia Olivari, che mi hanno introdotto negli «arcani» della medicina.
1 Sullo sviluppo degli studi antropologici nella Francia ottocentesca e sulla nascita della Société, cfr. G. Hervé, Le premier programma de l’Anthropologie, in «Revue Scientifique», XLVII, 1909,
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Dopo la pubblicazione del celebre libro di Darwin, lo scopo della ricerca antropologica fu rivolto oltre che alla descrizione delle razze esistenti, al problema dell’origine dell’uomo: si riaccese allora la mai sopita disputa tra monogenisti e poligenisti. La teoria monogenetica — sostenuta da Jean Louis de Qua-trefages — affermava l’idea di un’unità biologica originaria del genere umano, nell’ipotesi che la razza umana avesse avuto un unico centro di diffusione. La teoria poligenetica di Desmoulins e di Broca sosteneva, invece, che la stirpe umana derivasse da piu ceppi distribuiti in luoghi diversi della terra. Broca, in particolare, chiude a proprio vantaggio la polemica — e la Société diviene in questo senso il principale centro di diffusione del poligenismo —, elaborando un metodo volto a dotare la giovane scienza antropologica di nuovi e piu validi strumenti. Secondo lo scienziato francese la morfologia umana, cioè la conoscenza piu minuta e pili esatta della conformazione fisica delle diverse razze, costituisce la base necessaria per ogni ulteriore ricerca fisiologica. Il suo metodo positivo, morfologico ed intensivo insieme, si fonda sull’antropometria, cioè su un complesso di indagini a base prevalentemente statistica che ha per oggetto lo studio dei caratteri quantitativi, «misurabili», del corpo umano come, ad esempio, la craniometria che studia il cranio e l’osteometria che analizza le ossa dello scheletro: la misura comporta, quindi, secondo Broca, obiettività, unità morfologica e, soprattutto, «certezza» dei risultati2.
Ci siamo attardati a descrivere gli orientamenti e i metodi analitici della scienza antropologica perché la Discussion sur Pile de Sardaigne deve essere letta in filigrana, tenendo conto degli schemi culturali, delle rarefatte astrazioni del positivismo evoluzionistico e della fiducia sulla «certezza» scientifica del tratto somatico. L’antropologia offriva, infatti, un alibi biologico ai pregiudizi razziali con cui gli interessi economici della nascente colonizzazione potevano facilmente accordarsi. Si comprende allora il perché la medicina si caratterizzasse apertamente come scienza dell’uomo in un itinerario logico che la collocava pili vicino all’ideologia che non alle scienze naturali. L’evoluzionismo appare dunque, come ha scritto Foucault, un tema «pili filosofico che scientifico, pili vicino alla cosmologia che alla biologia; un tema che ha pili diretto da lontano delle ricerche che dato un nome, una copertura e una spiegazione a dei risultati»3.
pp. 520-528; P. Topinard, Éléments d'Anthropologie Generale, Paris, 1885, pp. 28-61; A.C. Had-don, History of Anthropology, London, 1934, pp. 54 sgg.; tra i contributi piu recenti cfr. G.W. Stocking, French anthropology in 1800, in «Isis», LV, 1964, pp. 134-150; M. Harris, L'evoluzione del pensiero antropologico. Una storia della teoria della cultura, Bologna, 1971, pp. 193 sgg.
2 Cfr. P. Broca, Histoire des progrès des études anthropologiques depuis la fondation de la Société, in «Mémoires d’Anthropologie», II, 1869, pp. 107-108; E. Daily, Éloge de P. Broca, Paris, 1885. Il metodo di Broca continua comunque ad incantare: in un libro recente A. Leroi-Gourhan, Meccanica viva, Milano, 1986, ritorna all’antropologo francese ed alla craniologia. Viene, infatti, riletta l’evoluzione dei vertebrati in termini di mutamento dei reticoli di forze che racchiudono e premono sui crani, modellando la «sede» della mente.
3 M. Foucault, L'archeologia del sapere, Milano, 1971, p. 49.
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Il dottor Gillebert d’Hercourt, vicepresidente della Société de Médecine di Parigi, reduce da una missione «antropologica» nell’Africa francese, si era preparato con estrema cura per il viaggio «scientifico» in Sardegna, portandosi dietro per le misurazioni dei crani e delle ossa tutto il nuovo e preciso strumentario antropometrico (compasso di spessore, compasso scorrevole, goniometri mandibolari, topometro, stereografo, tavoletta osteometrica). Tuttavia, la sua relazione all’assemblea della Société non sfugge, nonostante i presupposti tipici dell’antropologia fisica tradizionale, ai clichés ed ai luoghi comuni di quella letteratura di viaggio che aveva avuto nel Voyage en Sardaigne de 1819à 1825 di Alberto Ferrerò de La Mar mora un modello difficile da superare.
L’antropologo francese passa in rassegna con attenzione e precisione tutti gli aspetti caratteristici della realtà geografica e umana della Sardegna: la natura del clima che condiziona negativamente la vita degli uomini («la nonchalance des Sardes est due certainement à la nature du climat sous le quel ils vivent»); un’agricoltura povera e arretrata, quasi cristallizzata nel tempo; la vita pastorale che offre «tout les charmes à ses esprits contemplatifs»; l’aspetto desertico e lo spopolamento del paesaggio isolano; l’attaccamento dei sardi ai loro antichi costumi e il forte senso di identità regionale («leur vanité nationale est grande»); le caratteristiche del brigantaggio; la mancanza di strade e di comunicazioni interne; lo sviluppo dell’industria mineraria. Ma la parte piu interessante del rapporto di d’Hercourt, che dovrebbe, appunto, révéler la Sardaigne ai membri della Société d’Anthropologie, è quella che descrive i risultati delle misurazioni craniometriche di 48 esemplari e delle misurazioni cefalometriche di 99 viventi. Secondo lo scienziato francese è possibile, in base alle indagini svolte, fissare il tipo fisionomico del sardo:
Tutti i sardi hanno la pelle bianca; i capelli diritti e neri [...] — afferma d’Hercourt —; i loro occhi sono grandi, aperti orizzontalmente e sormontati da sopracciglia ben disegnate e leggermente arcuate; la loro fronte è diritta e non manca di sviluppo; il loro viso è ovale; gli zigomi sono poco sporgenti; il loro naso è dritto, leptorrino, qualche volta all’insu, aquilino o schiacciato in egual numero di volte.
La relazione si conclude con un giudizio positivo sulla razza sarda, sulla sua intelligenza, sulla sua sostanziale bellezza: «Facendovi passare sotto gli occhi tante fotografie che raffigurano gli uomini e le donne della Sardegna, io credo — sostiene d’Hercourt — di avervi portato la prova che gli uni e le altre appartengono a un bel tipo»4.
4 G. d’Hercourt, Apergu topographique sur Pile de Sardaigne, in «Bulletins de la Société d’Anthropologie de Paris», V, 1882, pp. 311 sgg; nello stesso fascicolo è compreso anche il suo studio craniologico: Ethnologie de la Sardaigne. Resumé des mensurations craniométriques et céphalométriques. I due studi, parzialmente rivisti, saranno ripubblicati col titolo: Rapport sur l’Anthropologie et VEthnologie des populations sardes, Paris, 1885, extrait de «Archives des Missions scientifiques et lit-téraires». L’influsso degli studi dell’antropologo francese è nel contesto italiano abbastanza modesto e sarà ben presto superato dalle ricerche craniologiche degli anni Novanta. Un cenno alle sue
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A questo punto si apre il dibattito. Il primo intervento è del dottor Charles Le-tourneau, biologo ed etnologo, fondatore della cosiddetta sociologia sistematica dei primitivi. Nel 1886 la Société d’Anthropologie gli affiderà la cattedra di storia delle civiltà, creata apposta per le sue ricerche5.
Io voglio affrontare soltanto un aspetto dell’interessantissima comunicazione di Gille-bert d’Hercourt — esordisce Letourneau —. I sardi, ci ha detto, sono intelligenti. Io non credo che ciò sia esatto. Mi ricordo, in effetti, d’aver ascoltato qualche anno fa, alla Società antropologica di Firenze, una comunicazione del dott. Zannetti volta a stabilire tutto il contrario. Paragonando i crani sardi moderni a quelli dell’epoca romana, il dott. Zannetti constatava che la capacità dei crani sardi era diminuita dopo l’antichità. Aggiungo che la discussione che ne era seguita mise in luce questo fatto caratteristico: mai la Sardegna aveva prodotto non solo un uomo illustre, ma nemmeno un uomo eminente6.
Nel concludere il suo intervento Letourneau chiede al relatore se egli, nel corso delle sue ricerche, abbia potuto raccogliere dati ed elementi tali da poter contraddire queste affermazioni. Comprensibilmente imbarazzata la risposta di d’Hercourt:
I sardi — replica — hanno sempre vissuto isolati nella loro isola, estranei a tutto ciò che avveniva sul Continente; non c’è dunque da stupirsi se non abbiano fatto gran rumore nel mondo. Però, malgrado queste condizioni cosi sfavorevoli al loro sviluppo intellettuale, si può osservare ognuno bastare a se stesso per la conoscenza che da solo ha acquisito di tutti i mestieri, ciò che non avrebbe potuto sicuramente essere fatto da una razza
ricerche è in G. Sergi, La Sardegna. Note e commenti di un antropologo, Torino, 1907, pp. 21-22; E. Ardu Onnis, Contributo all'antropologia della Sardegna, in «Archivio per l’antropologia e l’etnologia», XXVI, 1896,1-2, pp. 5-6 dell’estratto. Cfr. inoltre I. Calia, Ifrancesi e la Sardegna. L'immagine della Sardegna nella cultura francese tra '800 e '900, in «Quaderni sardi di storia», 2, 19 81, p. 124. Quando questo saggio era in bozze è apparso l’acuto articolo di A. Ruzzu, La fine del viaggio, in «Prometeo», 1986,15, pp. 58-65, che analizza il Rapport di d’Hercourt (ma perché scrive Dher-court?) e ritiene che esso riveli il moderno metodo di analisi del «pluralismo di civiltà». La sua lettura è penetrante, anche se forse il Rapport è sopravvalutato.
5 Charles Letourneau (1831-1902) è stato uno scienziato di notevole peso nella vita scientifica francese della seconda metà dell’Ottocento. I suoi numerosi lavori, ispirati allo spencerismo ed al darwinismo sociale e condotti con unità metodologica, consideravano tutti i popoli della terra, ma erano guidati dal concetto di uno sviluppo graduale e parallelo di tutti i gruppi umani, metodo caratteristico della sociologia evoluzionistica che allora dominava in Francia. Tra i suoi studi più importanti: La sociologie d'après l'ethnographie, Paris, 1884 e La psycologie ethnique, Paris, 1901; L'évolution de la morale, Paris, 1887; L'évolutionpolitique dans les races humaines, Paris, 1890. Vennero tradotti in italiano: Medicina delle passioni, Milano, 1860, e Fisiologia delle passioni, Milano, 1869.
6 Si tratta di Arturo Zannetti (1840-1884), aiuto alla cattedra fiorentina di antropologia ricoperta dal Mantegazza. Sulla sua attività cfr. P. Mantegazza, Arturo Zannetti, in Annuario Biografico Universale, I, Torino, 1885, pp. 46-48. Le sue ricerche sui crani sardi furono pubblicate nell’«Ar-chivio per l’antropologia», 1875 e 1878. Cfr. anche G. Landucci, Darwinismo a Firenze, tra scienza e ideologia (1860-1900), Firenze, 1977, pp. 229-331.
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inferiore per intelligenza7.
Ma Letourneau non si mostra affatto convinto da questa spiegazione: anzi, rincara la dose, sostenendo che «le ragioni addotte dal nostro collega sono assai lontane da essere sufficienti per riabilitare i sardi, e mi sembra che le sue stesse argomentazioni contraddicono le tesi che difende. I sardi, in effetti, non sono, da questo punto di vista, né piu né meno avanzati delle altre società primitive». Per comprendere appieno le motivazioni di Letourneau non bisogna soltanto collocarle nel clima culturale del tempo, ma anche inquadrarle nel particolare contesto delle ipotesi teoriche che, proprio in quegli anni, lo scienziato francese stava elaborando nello sforzo di applicare i «principi» evoluzionistici dello spencerismo e del darwinismo alle formazioni storiche e sociali. La società non è altro per Letourneau che una serie di stratificazioni storiche che si sono sovrapposte: le inferiori rappresentano i tempi sociali preistorici o primitivi, le superiori, invece, i tempi dell’Europa civilisée. Ogni nazione ha compiuto, infatti, un ciclo che si è gradualmente sviluppato per fasi successive dall’orda anarchica e tribale sino alla civiltà industriale dell’Ottocento: qua e là, però, alcune realtà territoriali hanno conosciuto una sorta di blocco e restano «nel bel mezzo della completa evoluzione, a segnare un galleggiare di vecchie stratificazioni storiche». Cosi, dunque, si spiega il fenomeno della presenza di stati sociali inferiori accanto alle civiltà piu sviluppate. Nell’evoluzione sociale — che è un momento del piu ampio processo di evoluzione generale — si verificano, come nel mondo organico, arresti di sviluppo: la piccolezza dei crani sardi lo starebbe appunto a dimostrare8.
Letourneau espone le proprie tesi con grande convinzione e serietà. Le sue argomentazioni definiscono il senso di un ordine biologico, di un quadro d’insieme dotato di un numero definito di caselle, che costituiscono in un certo senso il programma di ogni possibile evoluzione della specie. Non si tratta, a questo punto, di fare archeologia della cultura scientifica, di decifrare la realtà intima di meccanismi di pensiero o di raccogliere gli sparsi frammenti di un’epistemologia sorpassata. Da un piccolo frammento di coccio — come appare la seduta scientifica del 20 aprile 1882 — non possiamo risalire alle immense rovine di una città sepolta. Tuttavia, dal dibattito emerge con chiarezza un’analisi biologica, storica, geografica delle diversità culturali e razziali (e, quindi, della loro classificazione gerarchica) che investe non soltanto i cosiddetti «popoli primitivi» ma anche le popolazioni di aree marginali ed economicamente meno sviluppate dell’Europa mediterranea. Poiché sono proprio i medici a condividere i tipici valori culturali della classe media europea, non è
7 II resoconto della discussione è in «Bulletins de la Société d’Anthropologie de Paris», V, 1882, pp. 328-333.
8 Sullo spencerismo cfr. M. Harris, L’evoluzione) cit., pp. 215-219; e sul darwinismo sociale G. Montalenti, L’evoluzione) Torino, 1975, pp. 78-98; G. Pancaldi, Darwinismo e darwinismo sociale, relazione presentata al convegno Immagini di Darwin (Roma, 7-9 ottobre 1982).
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affatto sorprendente che alcuni membri della Société, convinti di rappresentare l’ala piu «avanzata» della civiltà occidentale, giudichino gli altri popoli secondo il proprio metro e finiscano, quindi, per considerare i sardi «meno intelligenti» dei francesi. «L’antropologia — ha scritto Lévi-Strauss — offriva un alibi a ogni sorta di pregiudizi razziali con cui l’ordine morale e sociale, e gli interessi economici della nascente colonizzazione potevano facilmente accordarsi»9.
2 . Il rimpicciolimento della specie. La scienza antropologica come nuova disciplina accademica era nata dalla trasformazione di una cattedra di anatomia umana. Non a caso è stata proprio la Francia la nazione in cui hanno avuto piu largo sviluppo la craniologia e la frenologia10. Gli scienziati che aderivano alla Société pretendevano, infatti, di scoprire il fondamento anatomico e fisiologico delle diversificazioni del genere umano in particolari gruppi razziali, culturali e linguistici. Essi, inoltre, interpretavano le fasi del processo storico di alcune popolazioni in termini assai simili al decorso di una malattia con una grammatica precisa di sintomi, ora progressivi, ora regressivi. Nel determinismo sociale la bioevoluzione e l’evoluzione culturale erano strettamente intrecciate. La pregiudiziale etnica assumeva, quindi, le sembianze fatalistiche della inevitabilità di un decorso destinato a portare una lenta, ma ineluttabile degenerazione delle qualità originarie di una razza. Foucault ha mostrato che riunendo sotto una classificazione inusuale cose usuali, esse acquistano una dimensione del tutto nuova ed insospettata11. Ora, le classificazioni degli antro-pologi positivi, scegliendo alcuni segmenti ossei da misurare a differenza di altri, estendendo le misure al piu ampio numero di gruppi etnici, stabilivano una diretta correlazione tra queste medie a scapito di altre possibili correlazioni o varianti. I tratti somatici, in base alla classificazione positiva, sono presenti tutti insieme solo in una percentuale bassissima di individui appartenenti alla stessa razza. L’abuso del metodo metrico aveva, dunque, finito per privilegiare quasi esclusivamente le differenze fisiche tra le razze a scapito di ogni analisi naturalistica delle forme e di ogni comprensione reale dell’incidenza dei fattori ambientali, storici, geografici della piu generale legge evolutiva.
La «degenerazione fisica» della razza, cioè di quella parte fissa ed immutabile del plasma germinale trasmesso da una generazione all’altra, è stata a lungo considerata dagli antropologi e dai criminologi della scuola positiva come la causa principale della «vita primitiva» e dell’arretratezza sociale della Sardegna.
9 C. Lévi-Strauss, Antropologia, in Enciclopedia del Novecento, I, Roma, 1975, p. 204, e Razza e storia e altri studi di antropologia, a cura di P. Caruso, Torino, 1967, pp. 104-109. Sui rapporti tra etnocentrismo e imperialismo cfr. anche R. F. Betts, L’alba illusoria. L’imperalismo europeo nell’Ottocento, Bologna, 1986, pp. 196 sgg.
10 Cfr. G. Lanteri-Laura, Histoire de la phrénologie, Paris, 1970, e C. Fogliano, /l compasso della mente, Milano, 1983.
11 Cfr. M. Foucalt, L’archeologia del sapere, cit., pp. 200-201, e Le parole e le cose, Milano, 1967, p. 140.
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Oggi l’antropologia è giunta alla conclusione che tutti i popoli dell’Europa occidentale appartengono alla stessa razza, la razza bianca, e le differenze che si riscontrano in alcuni di essi siano soltanto piccole differenze locali, conseguenza o di una circoscritta endogamia o dell’incrocio con membri di un gruppo razziale diverso. Sostituendo il concetto di «tipo» con quello di «popolazione», il concetto di «razza» con quello di «stock genetico» e, soprattutto, riawicinan-do i fenomeni biologici a quelli culturali, i genetisti contemporanei hanno dato un colpo decisivo alle teorie del determinismo evoluzionistico e del razzismo12. La razza è, secondo Ashley Montagu, «un concetto che alla luce degli studi moderni e della genetica sperimentale si è dimostrato totalmente erroneo e privo di significato»13. Anche Lévi-Strauss ha affermato che «si comincia oggi a comprendere come le differenze fisiche attualmente osservabili tra gli uomini siano, in larga misura, una funzione tra le altre della cultura»14. Come si è venuto formando il mito dell’inferiorità della razza sarda? Gli schemi fondamentali di questa ipotesi scientifica sono abbastanza recenti. Vennero, infatti, costruiti nel Settecento in seguito allo sviluppo degli studi naturalistici ed alla scoperta illuministica della sauvagerie15. Agli antichi studiosi dei problemi naturali era ignoto il concetto biologico di razza. Nella trattatistica del XVI e XVII secolo non si trova alcuna affermazione su una presunta «diversità» fisica degli abitanti della Sardegna rispetto alle altre popolazioni del Mediterraneo16.
12 Cfr. il recente dibattito sul «polimorfismo genetico» e in particolare l’illuminante libro di J. Ruffié, Tratte du vivant, Paris, 1982 e il suo studio precedente De la biologie à la culture, Paris, 1977. Le sue teorie sono sintetizzate in J. Ruffié-J.C. Sournia, Le epidemie nella storia, Roma, 1985, pp. 35-60. Cfr. inoltre Ciò che vive, ciò che è superato nel darwinismo secondo Jacques Ruffié, in «La Repubblica», 15 maggio 1982.
13 M. F. A. Montagu, La razza. Analisi di un mito, Torino, 1966, p. 61.
14 C. Lévi-Strauss, Antropologia, cit., p. 205.
15 Cfr. fra la vasta letteratura i fondamentali studi di M. Duchet, Le origini delTantropologia, Bari, 1976-77 e di S. Moravia, La scienza delTuomo nel Settecento, Bari, 1970; e dello stesso, Il pensiero degli idéologues. Scienza e filosofia in Francia (1780-1815), Firenze, 1974, pp. 550 sgg.; Aa.Vv., Il buon selvaggio nella cultura francese ed europea del Settecento (in particolare L. Sozzi, Il buon selvaggio e le lettere italiane), in «Studi di letteratura francese», Firenze, 1981; S. Landucci, Ifilosofi e i selvaggi 1580-1780, Bari, 1972; G. Gliozzi, Adamo e il nuovo mondo. La nascita dell'antropologia come ideologia coloniale: dalle genealogie bibliche alle teorie razziali (1500-1700), Firenze, 1977, e dello stesso, La scoperta dei selvaggi. Antropologia e colonialismo da Colombo a Diderot, Milano, 1971. SullTllu-minismo italiano e i problemi dei selvaggi, cfr.'il vecchio saggio di E. Sestan, Il mito del buon selvaggio americano e Tltalia del Settecento, in Europa settecentesca e altri saggi, Milano - Napoli, 1951, pp. 135 sgg.; P. Del Negro, Il mito americano nella Venezia del settecento, in «Atti dell’Accademia nazionale dei Lincei», Vili, 1975; ed il recentissimo, acuto saggio di V. Ferrone, Il problema dei selvaggi nellTlluminismo italiano, in «Studi Storici», XXVII, 1986, 1, pp. 149-171. Cfr. a proposito della Sardegna anche F. Loddo Canepa, Giudizi di alcuni viceré sabaudi sulla Sardegna e sui suoi problemi attraverso i carteggi ufficiali, in «Annali della Facoltà di lettere dell’Università di Cagliari», XIX, 1952 e soprattutto I. Calia, La Sardaigne et la France au XVIIF siècle: image et réalité (thè-se pour le doctorat de 3ème cycle, École des Hautes Études en Sciences Sociales, 1985).
16 Cfr. in generale M. Hodgen, Early anthropology in thè sixteenth and seventeenth centuries, Phila-delphia, 1964, sull’orientamento dei primi studi del tempo; ed inoltre E. Garin, Alla scoperta del
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Il nucleo originario della teoria dell’inferiorità razziale può essere, tuttavia, individuato nelle tesi dell’«impicciolimento rovinoso» e di una «piccolezza e macilenza comune della specie» dei quadrupedi sardi che il naturalista Francesco Cetti estende, seppur con molta cautela, agli esseri umani17. Cetti, gesuita, professore di matematica e di filosofia morale all’Università di Sassari dal 1765 al 1778, nella sua Storia naturale di Sardegna ha modellato la tesi del «decrimento di mole» sulle teorie di Buffon, secondo cui tutti gli animali del Nuovo Mondo sono piu piccoli e piu deboli di quelli dell’antico. Anche gli animali importati sono diventati, secondo il naturalista francese, piu piccoli e meno appetitosi: dunque l’ambiente, la natura americana sono ostili allo sviluppo della fauna18. Nell’«indagare la vera cagione di si generale impicciolimento de’ quadrupedi in Sardegna», Cetti avanza due ipotesi: «l’una artifiziale, l’altra naturale».
L’artifiziale consiste — secondo lo scienziato lombardo — nella omissione di tutte quelle industrie umane, per le quali i quadrupedi sono maggiori altrove. Questa cagione non ha luogo se non sopra le spezie domestiche, ed in essa si trovò principalmente il mistero dello impicciolimento del bue.
La «naturale», che colpisce anche i «quadrupedi selvatici», è dovuta alla «secchezza» del clima:
la secchezza predomina in Sardegna — afferma Cetti — [...]. Cosi fatto predominio di necessità deve produrre rarità di erbe fresche, difficoltà di beveraggio, durezza nèlla terra, e asciuttezza nell’atmosfera. Questi quattro effetti diventano cagioni riguardo all’im-picciolimento; e poiché sono diverse tra loro, bene possono operare l’impicciolimento sopra nature di diverse esigenze.
Cosi come Buffon imputava all’umidità equatoriale, alla quantità di acqua, alla condizione del cielo, al grado di calore la «diversità» e la «decadenza» delle specie animali americane, anche Cetti ritiene che l’aria asciutta e l’aridità del suolo siano «elementi» che «disseccando i corpi» contribuiscono a «restringerli». Ma mentre Buffon estende al selvaggio americano il giudizio negativo espresso sui quadrupedi, Cetti si mostra piu cauto e prudente del suo illustre collega:
«diverso»: i selvaggi americani e i saggi cinesi, in Rinascite e rivoluzioni. Movimenti culturali dal XIV al XVIIsecolo, Bari, 1975, pp. 327-362; R. Romeo, Le scoperte americane nella coscienza italiana del Cinquecento, Milano-Napoli, 1954; F. Ambrosini, Paesi e mari ignoti. America e colonialismo europeo nella cultura veneziana, Venezia, 1982.
17 Cfr. U. Baldini, Francesco Cetti, in Dizionario biografico degli italiani, XXIV, Roma, 1980, pp. 305-307; P. Tola, Notizie storiche della Università degli studi di Sassari, Genova, 1866, pp. 70-71; G. Ricuperati, Il riformismo sabaudo settecentesco e la Sardegna. Appunti per una discussione, in «Studi Storici», XXVII, 1986, 1, p. 62.
18 Buffon, Oeuvres complètes, IX, Paris, 1834, pp. 332-333; cfr. anche A. Gerbi, La disputa del Nuovo Mondo. Storia di una polemica 1750-1900, Napoli - Milano, 1955, pp. 1-3 7; M. Duchet, Le origi-nifcit., DI, pp. 40-48; S. Moravia, La scienza, cit., pp. 23 sgg. e Filosofia e scienze umane nell età dei Lumi, Firenze, 1982, pp. 16-20.
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l’asciuttezza dell’atmosfera fa il suo effetto sopra tutte le spezie — sostiene — o carnivore o no; l’arida sua spugna abbraccia ogni corpo, lo asciuga, ne beve l’umore e di necessità il coarta. E da questa cagione assai verisimilmente si dedurrà ancora in Sardegna la mediocrità della statura nella spezie unita ad una ottima sanità e configurazione delle membra19.
La cultura europea scopri attraverso la Storia naturale di Cetti, tradotta in tedesco e conosciuta in Francia, non soltanto Vhabitat primordiale ed incontaminato dell’isola, ma anche la determinante influenza che i fattori climatici potevano esercitare nello sviluppo delle comunità umane della Sardegna20. Cetti, però, pur individuando un nesso assai stretto tra l’ambiente e le variazioni della specie, non ne trae alcuna conseguenza «evoluzionistica» di fondo; anzi, egli ritiene che il miglioramento della specie coincida con una modifica complessiva del sistema ambientale. Le sue teorie influenzeranno comunque la letteratura di viaggio dei primi decenni dell’Ottocento. Anche La Marmora scrive nel 1825 che «la specie umana non è sfuggita in Sardegna alla legge del rimpiccioli-mento che pesa, nell’isola, sulla maggior parte degli animali»21.
La questione del clima e della sua influenza sulla storia dei popoli erano temi cari alla cultura illuminista. Le tesi ambientaliste sul «rimpicciolimento» della razza sarda si innestano in quella vecchia dottrina della connessione tra clima e caratteri — rinvigorita dall’ansia razionale settecentesca tesa a scoprire nelle causalità geografiche e ambientali le «leggi» della diversità —, secondo la quale la formazione della razza era considerata come il risultato dell’esposizione materiale di un determinato contesto ecologico. La malaria, la cosiddetta «sarda intemperie» — già descritta dagli autori dell’antichità classica — avrebbe, dunque, prodotto effetti ereditari che alla lunga avrebbero debilitato ed infiacchito le popolazioni dell’isola.
L’aria «infetta, viziata, morbifera e pestilenziale» della Sardegna, prodotta dal «corrompimento» e dalla «putrescenza» delle acque, provoca non soltanto una generale inerzia, una stanchezza dei corpi, ma un vero e proprio arresto dello sviluppo fisico e morale22. «Cette atmosphère est pestilentielle — scrive nel 1812 Joseph de Maistre —: c’est une espèce ^intemperie morale qui attaque tous les tempéraments»23. Invano, gli scienziati e i medici sardi avevano tentato
19 F. Cetti, Storia naturale di Sardegna, I, I quadrupedi, Sassari, 1774, pp. 37-38.
20 Cfr. F. Cetti, Naturgeschichte von Sardinien, Leipzig, 1783-84; in Francia il lavoro del Cetti fu conosciuto grazie all’ampio «saccheggio» fattone da D.A. Azuni, Histoire géographique, politique et naturelle de la Sardaigne, II, Paris, 1802, pp. 3 sgg. Cfr. a questo proposito L. Berlinguer, Domenico Alberto Azuni giurista e politico (1749-1827), Milano, 1966, pp. 187-196.
21 A. Ferrerò de La Marmora, Voyage en Sardaigne de 1815 à 1825 ou description statistique, physi-que et politique de cette ile avec des recherches sur ses productions naturelles et ses antiquités, I, Paris, 1826, p. 152.
22 Cfr. A. Ignacchera, Trattato fisico-medico pratico dei due morbi febbre intemperie e pleuritide, che nella città di Cagliari spesseggiano, Napoli, 1740, p. 12 e 14.
23 F. Lemmi, Giuseppe de Maistre in Sardegna, in «Fert», III, 1931, p. 10.
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di confutare quegli «antichi pregiudizi» sui «vapori mortiferi» dell’«atmosfera» isolana, causa dell’endemicità delle febbri malariche24. La raffigurazione apocalittica di un’isola vittima di «febbri putride e maligne» che avrebbero impedito ogni forma di progresso civile ed economico ed ogni miglioramento della specie ci viene riproposta da Giuseppe Maria Galanti: «La contaminazione dell’aria vi è generale — scrive l’economista napoletano —. Se una volta la Sardegna è stata ricca di greggi, le bestie oggidì vi muoiono, dimagriscono e steriliscono; dove la spezie umana, comecché esente da malattie d’umori, ha la vita più breve che altrove»25. Anche Carlo Denina, in una delle sue opere dell’esilio parigino, afferma che in Sardegna «l’air malsain affectait les esprits comme les corps»26.
Il clima malsano, la pigrizia, l’indolenza, l’apatia sono aspetti comuni di una stessa realtà che ha fatalmente segnato l’animo di un popolo, il quale pur conoscendo la luce della civiltà ne è stato ai margini, vittima, appunto, di una sorta di «intemperie» morale27. Volney aveva parlato, a proposito della Corsica, dell’«état sauvage d’une civilisation commencée»28. Anche la razza sarda oscilla tra l’immaturità e la decadenza.
Le cause di questa moderna barbarie sono spietatamente analizzate da Joseph de Maistre, che dal 1800 al 1803 aveva vissuto a Cagliari («dannatus ad bestias») come magistrato della Reale Udienza:
Nessuna razza umana è più estranea a tutti i sentimenti, a tutti i gusti, a tutti i talenti che onorano l’umanità — scrive nel 1805 il conte savoiardo —. Essi sono vili senza obbedienza e ribelli senza coraggio. Hanno studi senza scienza, una giurisprudenza senza giu-
24 Cfr. P. A. Leo, Lezione fisico-medica di alcuni antichi pregiudizi sulla cosi detta sarda intemperie, Cagliari, 1801, pp. 2-3. La malaria venne analizzata, all’interno delle teorie miasmatiche allora imperanti, dal medico sassarese G. Farina, Medicinale patrocinium ad Tyrones Sardiniae medicos, in quo natura febris Sardiniae, caussae, signa, prognostica, et medendi methodus describitur, Venetiis, 1651. L’analisi si arricchisce nel Settecento: P. Mossa Aquenza, Tractatus de febre intemperie sive mutaciones vulgariter dieta Regni Sardiniae, Matriti, 1702, e col poemetto di F. Carboni, De Sar-doa intemperie libelli duo, Carali, 1772. Cfr. anche G.G. Moris, Depraecipuis Sardiniae morbis, Torino, 1823, e C. G. Sachero, Dell'intemperie di Sardegna, e delle febbri periodiche perniciose, Torino, 1833.
25 G. M. Galanti, Nuova descrizione storica, e geografica dell'Italia, III, Napoli, 1782, pp. 312-313.
26 Ch. Denina, Essai sur les traces anciennes du caractère des italiens modernes, des siciliens, des sardes et des corses, Paris, 1807, p. 134.
27 Già nel 1825 Jean-Frangois Mimaut, console francese a Cagliari dal 1814 al 1817, in una acuta diagnosi, aveva colto il meccanismo mentale che portava alla formazione di questi pregiudizi: «Avviene per i popoli — scrive Mimaut — come per gli individui, che, colpiti una prima volta dalla sorte contraria, cadono in un abisso di mali da cui essi non possono risollevarsi. Un’infelicità ne porta seco un’altra, che l’aggrava, e la demoralizzazione è l’effetto necessario, e l’opinione, che non giudica se non su ciò che essa veda, o una colpa o un delitto, li persegue irrevocabilmente del suo disprezzo e del suo oblio. Questa triste sorte, provata da tante oneste persone, fu pure quella di alcuni popoli. La Sardegna è un deplorevole esempio» Q.-F. Mimaut, Histoire de Sardaigne ou la Sardaigne ancienne et moderne, I, Paris, 1825, p. II). Su Mimaut cfr. Biographie universelle ancienne et moderne, XXVIII, Paris, 1857, pp. 330-331.
28 ’C. F. Volney, Précis de l'état de la Corse (1793), ora in Oeuvres complètes, VI, Paris, 1821, p. 68.
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stizia ed un culto senza religione [...]. Il Sardo è più selvaggio del selvaggio, perché il selvaggio non conosce la luce ed il sardo la odia. È sprovvisto del più bell’attributo dell’uomo, la perfettibilità29.
Tutta l’eredità settecentesca, tutti i pregiudizi sulla sauvagerie pesano sul duro giudizio di de Maistre. La tensione ideologica del secolo dei Lumi che aveva generato il mito del «buon selvaggio» è ormai tramontata. Anche il richiamo al concetto rousseauiano di «perfectibilité» — cioè la facoltà supplementare che rende possibili tutti i progressi ulteriori — avviene all’insegna del piu cupo pessimismo («votre peinture de la Sardaigne est du Rembrandt, noire et vraie» gli scrive il suo interlocutore, il cavalier de’ Rossi)30. Lo sviluppo della civiltà, il progresso della conoscenza scientifica non bastano a sottrarre il sardo dal suo stato di torbida inerzia. Egli non può, dunque, acquisire alcuna conoscenza; non può che restare sempre ed invariabilmente lo stesso31.
Soltanto con l’affermazione del positivismo evoluzionistico le teorie sull’inferiorità fisica dei sardi troveranno una sistematizzazione scientifica. Nella prima metà dell’Ottocento i giudizi sulle caratteristiche fisiche della razza sarda sono nel complesso positivi:
Il sardo è in generale di statura mediocre — scrive La Marmora —, ha corporatura molto fine, le gambe forti e ben diritte, il colorito alquanto abbronzato, i capelli neri, la fisionomia intelligente e molta vivacità e sveltezza di gesti [...]. È ben raro trovare in Sardegna persone contraffatte32.
Ma persino Paolo Mantegazza, brillante divulgatore del darwinismo, che ricopri nel 1870 a Firenze la prima cattedra italiana di antropologia, membro della commissione parlamentare d’inchiesta sulle condizioni della Sardegna presieduta da Agostino Depretis, afferma nel 1869 che i sardi sono «un popolo giovinetto e non decrepito», dotato di «un’ottima costituzione non domata neppu-
29 A. Blanc, Mémoires politiques et corréspondence diplomatique de J. de Maistre, Paris, 1858, p. 61.
30 Cfr. a questo proposito F. Rigotti, Nascita ed evoluzione di un'idea e di una parola. «Perfectibilité» nel Settecento francese, in «Trimestre», X, 1977, pp. 23 sgg.; cfr anche A.O. Lovejoy, Il supposto primitivismo del discorso sull'ineguaglianza di Rousseau, in L'albero della conoscenza, Bologna, 1982, pp. 43 sgg..
31 «Presso di lui — scrive de Maistre — ogni professione fa oggi quello che ha fatto ieri, come la rondine costruisce il suo nido ed il castoro la sua casa. Il sardo guarda stupidamente una pompa aspirante (io l’ho visto) e prosciuga una vasca a forza di braccia e di secchi col manico. Se gli si fa vedere l’agricoltura del Piemonte, della Savoia, della Svizzera, di Ginevra, egli torna nella sua isola senza saper innestare un albero. La falce, l’erpice, il rastrello gli sono sconosciuti come il telescopio di Herschell. Ignora il fieno (che dovrebbe però mangiare), come ignora le scoperte di Newton. Infine, dubito che se ne possa fare qualcosa; non li si può trattare che come facevano i Romani. Bisogna mandarvi un pretore e due legioni, costruire le strade, organizzare le comunicazioni e la posta, piantare molte forche, fare il bene senza essi e malgrado essi, e lasciarli parlare senza mai prestar loro ascolto, poiché si è sicuri di non sentire altro che una sciocchezza, una calunnia od una menzogna» (A. Blanc, Mémoires, cit., pp. 61-62).
32 A. Ferrerò de La Marmora, Voyace, cit., p. 186.
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re dalla malaria, e di un fondo di morale rimasto intatto anche con tanti secoli di impunità». Mantegazza è convinto che solo una politica di riforme economiche e sociali può favorire lo sviluppo umano e civile delle popolazioni dell’isola, strappandole all’apatia e all’inerzia:
Nelle vene dei sardi [...] serpeggia un veleno piu infetto della malaria alla salute di un popolo, ed è l’inerzia: malaria e inerzia le due grandi malattie della Sardegna. Deve guarirne però e ne guarirà — scrive Mantegazza —, perché non sono malattie mortali, né ancora hanno roso le viscere e la sorgente della vita circola celata ma vigorosa nelle profonde latebre di un corpo ancora vigoroso33.
Tuttavia, l’eclettico scienziato positivista avverte, rifacendosi alle ricerche di Paolo Marzolo, che «un filologo e un antropologo troverebbero nello studio comparato dei dialetti e dei crani sardi tali tesori da farne una scienza nuova e da ricostruirne con facile e feconda fatica la fisiologia delle più antiche stirpi italiane»34.1 goniometri mandibolari, i compassi di spessore, le tavolette osteo-metriche sono ormai dietro l’angolo.
Tra gli anni Sessanta e Settanta dell’Ottocento si sviluppano i primi tentativi di classificazione dei crani sardi, posti sovente in relazione con i crani fenici rinvenuti negli scavi archeologici35. Arturo Zannetti, in uno studio su 28 crani sardi — 22 maschili e 6 femminili —, ne deduce gli indici cefalici che risultano di estrema dolicocefalia36.
In questo filone di studi si inserisce l’opera di Cesare Lombroso. Lo scienziato positivista già nella prima edizione (1876) de L'uomo delinquente colloca la Sardegna tra le «provincie antropologicamente ultra-dolicocefaliche»37. La piccola capacità cranica corrisponde, dunque, ad un piccolo volume cerebrale. Lombroso, preoccupandosi di trovare l’anello di congiunzione tra l’uomo e l’an-tropopiteco, innesta sul tronco dell’elaborazione darwiniana il concetto di degenerazione e in base al parallelismo psico-fisico dei fisiologi ipotizza il rap-
33 P. Mantegazza, Profili e paesaggi della Sardegna, Milano, 1869, p. 16. Cfr. inoltre II darwinismo in Italia, a cura di G. Giacobini e G.L. Panattoni, Torino, 1983, pp. 28-31 e Le inchieste parlamentari sulla Sardegna dell’Ottocento, I, L’inchiesta Depretis, a cura di F. Manconi, Cagliari, 1984, pp. 445-458.
34 II riferimento è a P. Marzolo, Monumenti storici rivelati dall’analisi della parola, Pàdova, 1859, su cui cfr. R. Villa, Scienza medica e criminalità nell’Italia unita, in Storia d’Italia, Annali, VII, Malattia e medicina, a cura di F. Della Peruta, Torino, 1984, pp. 1152-1154.
35 Cfr. G. Nicolucci, Di un antico cranio fenicio rinvenuto nella necropoli di Tharros in Sardegna, Torino, 1863, e Sur les cranes phoeniciens conservés dans le musée des antiquités à Cagliari et dans le musée anatomique de Pavie, Torino, 1865; A. Gamba, Nota sopra alcuni crani sardi, in «Giornale della Regia Accademia di medicina di Torino», 1876; L. Calori, Sopra un antico cranio fenicio trovato in Sardegna, messo a riscontro con gli altri pochi conosciuti e coi cranj sardi e siculi moderni somiglianti, Bologna, 1879.
36 «Archivio per l’antropologia», 1875 e 1878.
37 C. Lombroso, L’uomo delinquente in rapporto all’antropologia, giurisprudenza e alle discipline carcerarie, Roma-Torino-Firenze, 18782, p. 41.
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porto tra atavismo morale ed atavismo somatico38. Sull’esame di soli quattro crani sardi, Lombroso parla di «caratteri di inferiorità» della razza isolana, cui nega l’attitudine a progredire e a migliorare, e si domanda: «chi può dire fino a qual punto abbia influito allo sviluppo della delinquenza la diminuita capacità cranica?»39.
Il seme dell’«atavismo» come fattore decisivo nella degenerazione della razza era ormai gettato.
3 . Una razza in via di regressione. Ma, dopo questa lunga digressione sugli «incunaboli» dell’idea di inferiorità della razza sarda, ritorniamo al nostro dibattito parigino. Come è facile prevedere, le radicali affermazioni di Letourneau suscitano perplessità in alcuni membri della Société. $Eugène Daily, dal 1881 professore alla scuola di antropologia, studioso di patologia e degli effetti dei matrimoni tra consanguinei, interviene in aperta polemica col suo collega:
Vi è tutta una teoria nelle brevi osservazioni di Letourneau — esordisce Daily —. I sardi, diceva poco fa, devono essere considerati come una razza in via di regressione, perché il loro cranio è piccolo. Ma, dunque, è cosi sicuramente dimostrato che la piccolezza del cranio sia un carattere regressivo? [...] Bisogna dunque accettare che una razza sia inferiore solo per il fatto che le sue dimensioni della testa siano minime?
38 Cfr. soprattutto la bella biografia di L. Bulferetti, Cesare Lombroso, Torino, 1975, pp. 179 sgg. ed anche R. Villa, Il deviarne e i suoi segni. Lombroso e la nascita dell'antropologia criminale, Milano, 1985, pp. 132 sgg.Un ancora utile profilo dello sviluppo dell’antropologia italiana è in U. Spirito, L. Cipriani, G. Sera, Antropologia, in Enciclopedia italiana, III, Roma, 1929, pp. 580-596. Cfr. anche R. Villa, Letture recenti di Lombroso, in «Studi Storici», XVIII, 1977, 2, pp. 243-252, e A. Mulas, Il regionalismo nell'opera di Cesare Lombroso e della sua scuola, in «Archivio storico sardo», XXXD, 1981, pp. 311-347.
39 C. Lombroso, L'uomo delinquente,cìt., p. 300. È interessante osservare che l’opera lombrosiana non trova alcuna eco nel dibattito della Société. Cfr. a questo proposito L. Mangoni, Una crisi di fine secolo. La cultura italiana e la Francia fra Otto e Novecento, Torino, 1985, pp. 124 sgg. Nella quinta edizione de L'uomo delinquente (Torino, 1896)Lombroso sostiene la «prova anatomica della stratificazione della delinquenza: vale a dire della tendenza dei rei ad ereditare le forme, non solo dell’uomo selvaggio, preistorico, ma dell’uomo antico, dello storico» (I, p. 186). Il cranio dei sardi conserva l’antico tipo del cranio fenicio (dolicocefalo), da cui si deduce che «nei reati contro la proprietà la Sardegna (per la prevalenza dal sangue semita) è molto superiore alla Sicilia» (DI, p. 33). In quegli anni Lombroso fa proprie tutte le teorie della degenerazione della razza tipiche della scuola positiva. Cfr. ad esempio C. Lombroso, E. Ferri, R. Garofalo, G. Fioretti, Polemica in difesa della scuola criminale positiva, Bologna, 1886. Nel 1892 il Museo di medicina legale di Torino si arricchisce di una collezione di crani sardi (cfr. Le Musée de psychiatrie ed d'anthropologie crimi-nelle dans l'Université de Turin, Torino, 1906, p. 21, e più in generale C. Lombroso, Il mio museo criminale in «L’Illustrazione italiana», 1906, pp. 302-306, e G. Colombo, La scienza infelice. Il Museo di antropologia criminale di Cesare Lombroso, Torino, 1975). Lombroso aveva incaricato della raccolta il dottor Efisio Ardu Onnis, Contributo, cit., p. 186. L’opinione pubblica sarda comunque attacca le tesi lombrosiane: cfr. Lombroso contro la razza sarda, in «La Nuova Sardegna», 4 novembre 1897; il giornale sassarese polemizza con lo scritto di Lombroso, L'antisemitismo e le sapienze moderne (1897), in cui il criminologo torinese sostiene l’inferiorità intellettuale dei sardi (p. 68) a proposito della dolicocefalia.
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Ricordando che i crani scoperti nella caverna de L’HommeMort, come in generale i crani del quaternario, sono assai voluminosi ma appartengono a razze le cui manifestazioni mentali erano infantili, Daily conclude:
Quanto al termine intelligenza, di cui ci si è serviti per affermare che i sardi non ne hanno affatto, non è che una questione di definizione. Essere intelligenti, che cos’è, insomma, se non arrivare ad adattare la propria esistenza alle condizioni ambientali, alle necessità sociali? I sardi l’hanno fatto: io sono dunque autorizzato a vedere in essi un popolo intelligente, cioè, lo ripeto, un popolo che si è adattato alle proprie condizioni di esistenza insulare, che ha regolato la propria organizzazione su questa funzione40.
Le argomentazioni di Daily incontrano la freddezza se non il dissenso degli altri colleghi della Société. Il dottor de Mortillet ricorda che il Piemonte sabaudo, pur chiamandosi Regno di Sardegna, non ha mai avuto alcun sardo tra i propri ufficiali superiori, i propri intellettuali ed i propri alti funzionari41. Il dottor Jean-Pierre Bonnafont aggiunge che nessun sardo, dall’antichità ad oggi, si è mai distinto nella carriera delle armi42. Letourneau ribadisce la «perfetta esattezza» della teoria, secondo cui la diminuzione della capacità del cranio dei sardi rivela la loro inferiorità intellettuale. Ancor piu categorico appare il dottor Abel-Alexandre Hovelaque, anch’egli un veterano della craniologia — aveva, infatti, misurato 36 crani nel Delfinato e 55 nei Vosgi —: «C’è un fatto — afferma —: il volume del cranio è progressivamente diminuito presso i sardi. Ora, non so cosa possa pensare Daily, ma certo tale diminuzione non può mai passare per segno di progressione»43.
Le affermazioni di Letourneau e di Hovelaque assumono quasi un valore profetico. Una quindicina di anni piu tardi la tesi che la razza sarda non si è pienamente sviluppata, è «rachitica» e, quindi, «inferiore» appare come una teoria largamente condivisa dagli antropologi italiani di fine secolo. Non a caso nel tracciare gli schemi della teoria della degenerazione della razza, si rifanno al darwinismo sociale, allo spencerismo, ai lavori dello stesso Letourneau. Anzi, si può dire che gli antropologi e i criminologi della scuola positiva portano alle estreme conseguenze le affermazioni dei membri della Société d’Anthropolo-gie‘ . . . .
Giuseppe Sergi, in base alle misure e alle forme dei crani e ad un nuovo metodo di classificazione tassonomica, individua nel 1892 varietà umane che costi-
40 Daily si è occupato anche di antropometria militare, di etiologia; è autore, tra l’altro, di un Programme d’un cours d’ethnologie, Versailles, 1881.
41 G. de Mortillet ha studiato a lungo la Savoia, cui ha dedicato numerosi saggi, tra i quali Anthro-pologie de la Haute-Savoie, Paris, 1893; fra gli altri lavori cfr. Les études préhistoriques devant l’ortho-doxie, Paris, 1875, e Fomiation de la nation fran^aise: textes, linguistique, paléonthologie, anthropolo-gie, Paris, 1897.
42 Bonnafont è autore di studi di anatomia patologica, di ricerche sul colera e sulla sordità.
43 Oltre gli studi craniologici si ricordano di Hovelacque, La classification des langues en anthropo-logie, Paris, s.d., e Les débuts de Phumanité, Paris, 1881.
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tuiscono tipi propri e speciali della Sardegna (parallelepipedoides variabili sardi-niensis)44. Grazie soprattutto agli studi antropometrici condotti dal capitano medico Ridolfo Livi sui dati forniti dalle visite di leva, emergono quelle differenze tra i tipi regionali destinate a fornire il materiale empirico su cui costruire la teoria della degenerazione antropologica45. Le statistiche delle stature e lo studio dei crani consentono a Sergi di scoprire varietà umane microcefaliche mediterranee: «Capacità piccola e statura bassa — afferma l’antropologo romano — sono quindi due fatti correlativi che dimostrano l’esistenza di pigmei in Italia e altrove, e la persistenza di tali tipi fino ai nostri giorni per eredità attraverso secoli che sfuggono al nostro calcolo». Sergi dimostra l’esistenza in Sardegna di una varietà microoligocefalica non patologica: i sardi sarebbero, pertanto, i «pigmei d’Europa»46.
Un allievo del Sergi, Alfredo Niceforo, nel 1895, in una comunicazione alla Società romana di antropologia espone i risultati dell’esame di 129 crani sardi e dei rilievi antropometrici eseguiti su 104 individui isolani47. Il lavoro dell’allievo conferma, ovviamente, le tesi del maestro: in Sardegna è diffusa una razza pigmea, microcefala ed elattocefala, che ha impresso il segno dell’inferiorità ri-
44 G. Sergi, Varietà, umane microcefaliche e pigmei d'Europa, in «Bollettino della Regia Accademia medica di Roma», XIX, 1893,2, p. 18, e Di alcune varietà umane della Sardegna, in «Bollettino della Regia Accademia medica di Roma», XVIII, 1892; l’analisi craniologica è stata sviluppata in Sur une nouvelle classification des crànes humains, in «Bulletin de la Société d’Anthropologie de Bruxelles», 1893, e Crani antichi della Sardegna, in «Atti della Società romana di antropologia», III, 1895, 1. Le sue tesi vengono risistemate in Origine e diffusione della stirpe mediterranea, Roma, 1895.
45 Cfr. R. Livi, Antropometria militare, II, Roma, 1896, p. 5 e pp. 14 sgg. con i dati sulle differenze di statura, di perimetro toracico, di peso tra i militari sardi e quelli del resto della penisola. Livi rileva che la Sardegna «per sovrabbondanza o per difetto sta in principio o in fine» ai dati antropometrici italiani; cfr. inoltre A. Dessi, La statura dei sardi, in «Avvenire di Sardegna», 22 aprile e 18 giugno 1891. Livi, Sull'indice cefalico degli italiani, in «Archivio italiano di antropologia», 1886, aveva già affrontato la questione della misurazione dei crani sardi. Sull’antropometria e la sua diffusione, cfr. A Quételel, Anthropométne, Bruxelles, 1871, e G. Viola, Antropometria, in Enciclopedia italiana, cit., Ili, pp. 597-601; G. L. Sera, Morfologia umana e antropologia, in «Natura», X, 1920. Fra gli studi piu recenti cfr. soprattutto quelli di B. Farolfi, L'antropologia negativa degli italiani: i riformati alla leva dal 1862 al 1886, in Salute e classi lavoratrici dall'Unità al fascismo, Milano, 1982, pp. 18 8 sgg. e Antropometria militare e antropologia della devianza (1876 -1908), in Malattie e medicina, cit., pp. 1181 sgg. I dati costituiscono ancora una fonte importante, come è dimostrato da J. P. Aron, P. Dumont, E. Le Roy Ladurie, Anthropologie du conscrit frangais, Paris-La Haye, 1972.
46 G. Sergi, La Sardegna. Note e commenti di un antropologo, Torino, 1907, pp. 66-67, in cui vengono integralmente riportate le teorie degli anni Novanta. Le sue tesi hanno comunque fatto discutere: cfr. E. Pugliesi, F. Tietze, Contributo all'antropologia fisica di Sardegna ed alla teoria dei pigmei d'Europa, in «Atti della Società veneto-trentina di scienze naturali», III, 1899; E. Ardu On-nis, Contributo, cit., pp. 180-186; L. Camboni, Delinquenza e degenerazione in Sardegna, Sassari, 1906, pp. 6-11. Cfr. inoltre il sarcastico giudizio di Gramsci: «Giuseppe Sergi in quindici giorni si sbafa una quantità di banchetti, misura una cinquantina di crani, e conclude per l’infermità psicofisica degli sciagurati sardi, e via di questo passo» (A. Gramsci, Gli scopritori, in «Avanti!», 24 maggio 1916, ora in Sotto la mole 1916-1920, Torino, 1972, p. 150, e in Antonio Gramsci e la questione sarda, a cura di G. Melis, Cagliari, 1975, p. 82).
47 Cfr. A. Niceforo, Le varietà pigmee e microcefaliche della Sardegna, in «Atti della Società romana di antropologia», III, 1895, pp. 201-222 (i riferimenti sono al IV cap. di Ch. Letourneau, L'évo-
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spetto alle forme «belle e elevate», «eleganti e simmetriche» della stirpe mediterranea. Nel 1897, Niceforo, nel celebre saggio La delinquenza in Sardegna, sviluppa proprio la tesi di Letourneau sul «temperamento etnico» e riafferma la «non adattabilità» della razza sarda, 1’«impossibilità di progredire, di evolversi»:
è una popolazione cristallizzata, immersa in un passato che non ha più ragione di esistere — sostiene Niceforo —, e che pur avendo coscienza del presente, non si mette a battere la strada nuova che le si apre dinanzi; è popolazione che non può o non vuole prendere parte alla grande e meravigliosa costruzione della società attuale48.
L’istinto della delinquenza è, da un lato, il prodotto di una fatale degenerazione, caratteristica di una razza non pienamente evoluta, dall’altro, la sopravvivenza atavica di costumi tribali altrove superati49. «Mettete in fila tutti i crani lution politique, cit.); una raccolta di 200 crani sardi era stata allestita anche presso la cattedra di anatomia dell’ateneo sassarese; cfr. M. Pitzorno, Il museo antatomico della Regia Università di Sassari, Sassari, 1898 e dello stesso Quattordici crani con ossa accessorie, in «Archivio per l’antropologia e l’etnologia», XXV, 1895.
48 A. Niceforo, La delinquenza in Sardegna. Note di sociologia criminale, prefazione di E. Ferri, Palermo, 1897, p. 58. Su Niceforo cfr. soprattutto gli ampi studi di M.G. Da Re, Gli orientamenti della scuola positiva di diritto penale nell'«Antropologia delle classi povere» di A. Niceforo, in «Annali della Facoltà di magistero dell’Università di Cagliari. Quaderni», 3, 1978, pp. 287-376; F. Tiragal-lo, Antropologia e ideologia in «La delinquenza in Sardegna» di Alfredo Niceforo, in «Annali dalla Facoltà di scienze politiche dell’Università di Cagliari», 1980, pp. 411-453; ed inoltre B. Farolfi, Antropometria, cit., pp. 1201-1210; R. Villa, «Antropologia della miseria e del lavoro»: aspetti dell'analisi medico-antropologica di fronte alle classi subalterne, in Salute e classi, cit., pp. 517-530; A. Ruzzu, Stato e questione sociale nel primo ventennio post-unitario: il caso della Sardegna attraverso la memorialistica, in «Studi di filosofia, politica e diritto», 3, 1980, pp. 202-213; A. Boscolo, M. Bri-gaglia, L. Del Piano, La Sardegna contemporanea, Cagliari, 1974, pp. 280-287; I. Pirastu, Il banditismo in Sardegna, Roma, 1973, pp. 113-122; G. Sorgia, Banditismo e criminalità in Sardegna nella seconda metà dell'Ottocento, Cagliari, 1973, pp. 241 sgg.; M. Brigaglia, Sardegna perché banditi, Milano, 1971, pp. 107 sgg.; L. Del Piano, La Sardegna nell'Ottocento, Sassari, 1984, pp. 341-344.
49 Sono tesi ampiamente condivise dalla criminologia di fine secolo. Enrico Ferri, ad esempio, sostiene a proposito della vendetta sarda che «lo spirito di vendetta ereditaria si può spiegare con ragioni storiche, rappresentando esso lo stato normale del Medioevo a cui si sarebbe arrestata la evoluzione morale di quella isola», (E. Ferri, L'omicidio nell'antropologia criminale, Torino, 1896, p. 28). Angelo Messedaglia, a questo proposito, afferma che «esistono due sorta di criminalità: la criminalità barbara, propria ai paesi primitivi, e la criminalità moderna, propria ai paesi civili» (A. Messedaglia, La statistica della criminalità, Roma, 1879, p. 33); S. Sigheìe, Un paese di delinquenti nati, in «Mondo criminale italiano», 1912. Sulle implicazioni giuridiche delle teorie di Ferri, Garofalo, Sighele cfr. soprattutto M. Sbriccoli, Il diritto penale sociale 1883-1912, in «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», IV, 1974-75,1, pp. 557 sgg.; U. Spirito, Storia del diritto penale italiano, Torino, 1932, pp. 119-165. Le teorie della scuola positiva non influenzarono affatto la magistratura isolana, cfr. ad esempio la relazione del procuratore del re D. Basso Pittalis, La giustizia nel Nuorese, Cagliari, 1897, e quella di E. Marcialis, Sull'amministrazione della giustizia nel nuorese, Sassari, 1901; ciò è anche confermato dalla tesi di laurea di A. Angius, Criminalità e magistratura in Sardegna 1914-1924. Caratteri della criminalità e atteggiamenti del potere giudiziario attraverso le relazioni dei Procuratori Generali presso la Corte d'Appello di Cagliari e le sentenze della Corte d'Assise di Sassari, Università degli studi di Sassari, Facolta di giurisprudenza, anno accademico 1974-75 (relatore prof. M. Ascheri). Purtroppo non esistono ricerche organiche sulla repressione della criminalità nella Sardegna di fine secolo. Sul periodo precedente cfr. il bel lavoro di M. Da Passano, Delitto e delinquenza nella Sardegna sabauda (1823-1844), Milano, 1984.
717 «I sardi sono intelligenti?»
della collezione e avrete un’intiera fila di crani degenerati», afferma Niceforo a proposito dei rilievi craniologici condotti su esemplari sardi, nei quali trova «il numero di degenerazioni che non si trovano in qualunque serie di crani di qualunque regione»50.
Le affermazioni di Niceforo sulle «stigmate degenerative» della «razza delinquente» e sul banditismo come «malattia razziale» suscitarono indignazione e clamorose reazioni51. Non era difficile scorgere nella sua opera, come aveva notato Napoleone Colajanni, i tipici stereotipi del pregiudizio antimeridionalistico52.
Pregiudizi popolareschi e pregiudizi scientifici si danno, in breve, la mano — scrive nel 1908 Francesco Coletti — per provocare la condanna dei Sardi come di gente colpita organicamente da degradazione fisica e morale. Ne derivano, inevitabili conseguenze, quel triste sentimento di commiserazione col quale non pochi considerano la Sardegna e, nel tempo stesso, quel certo scetticismo che accompagna ogni provvedimento che si voglia attuare in favore di essa53.
Il dibattito della Société si sposta ora sul terreno dell’economia e dei rapporti sociali. Infatti, il dottor Couderau, studioso di patologia chirurgica, tenta di confutare le argomentazioni a favore dei sardi, introducendo con disinvoltura un tema di natura squisitamente sociale54: i sardi non hanno mai prodotto una organizzazione produttiva moderna nessuno di essi ha mai potuto emergere o specializzarsi in un qualsiasi settore di attività umana.
Il fenomeno sociologico della divisione del lavoro ci autorizza a considerare la popola-
50 A. Niceforo, Italia barbara contemporanea, Milano-Palermo, 1898, p. 163. Teorie sostenute anche da P. Orano, Psicologia della Sardegna, Roma, 1896, pp. 9-15, il quale ritiene «che ci sia un liquido d’ambiente isolano» che rivela «la diversità enorme di funzionalità biologiche alte e basse in Sardegna da quelle d’ogni altro paese». «Il sardo — prosegue — ha pessime abitudini anche nelle funzioni di riproduzione; vi sono paesi sotto questo riguardo selvaggi ancora. E la razza degenera [...]. Il sardo non ha sentito ancora la civiltà».
51 Cfr. soprattutto N. Colajanni, Per la razza maledetta, Palermo-Roma, 1898, su cui cfr. M. L. Salvadori, Il mito del buongoverno. La questione meridionale da Cavour a Gramsci, Torino, 1963, pp. 233-236; R. Villari, Il Sud nella storia d'Italia, Bari, 19782 , pp. 432-444. Tra gli autori sardi cfr. L. Camboni, La delinquenza della Sardegna, prefazione di N. Colajanni, Sassari, 1907 (su cui anche la recensione di A. Solmi in «Archivio storico sardo»); R. Caddeo, L'isola dei Sardi, prefazione di N. Colajanni, Sassari, 1903; E. Ardu Onnis, Anomalie fisiche e degenerazioni nell'Italia «barbara» contemporanea, in «Archivio per l’antropologia e l’etnologia», XXXIII, 1903, 3, pp. 447-532 (su cui anche la recensione di A. Taramelli in «Bollettino bibliografico sardo», IV, 1904, pp. 8589); R. Garzia, Psicologia della Sardegna, in «Unione sarda», 22 febbraio 1902; E. Castiglia, Undici mesi nella zona delinquente, Sassari, 1899; un poemetto satirico antilombrosiano è A. Zucca. Il lamento del Genio, Sassari, 1898.
52 Cfr. G. Galasso, L'altra Europa. Per un'antropologia storica del Mezzogiorno d'Italia, Milano, 1982, pp. 143 sgg.
53 F. Coletti, Alcuni caratteri antropometrici dei Sardi e la questione della degenerazione della razza, in «Rivista italiana di sociologia», XII, 1908, 1, p. 3 dell’estratto.
54 C. A. Couderau è autore di un Essai de classification des bruits articulés, Paris, 1875, e di un trattato di Pathologie chirurgicale, Paris, 1875.
718 Antonello Mattone
zione di questo paese inferiore dal punto di vista dell’intelligenza — prosegue Coude-reau —. Chiusi nella loro isola, i sardi [...] non soltanto non sono riusciti a realizzare la divisione del lavoro, ma non sono stati nemmeno capaci di assimilare la civiltà dei popoli con cui sono stati in contatto. Questa è ancora un’altra prova manifesta di inferiorità.
Il dottor André Sanson, veterinario e zoologo, studioso di pecore e montoni, si inserisce subito nel dibattito, ricordando che «il sistema pastorale è caratteristico, nella scala delle civiltà, di uno stadio inferiore» e che le popolazioni che praticano la pastorizia sono «rimaste ugualmente inferiori dal punto di vista dello sviluppo intellettuale».
Le ultime battute sono tra Daily e Coudereau. A proposito della affermazione che la divisione del lavoro sia un fenomeno sociologico tipico delle «civiltà avanzate», Daily ritiene che «ci sia del vero e del falso in questa opinione; bisogna distinguere. Tutti gli economisti sono, in effetti, d’accordo nel considerare la divisione del lavoro come estremamente vantaggiosa per la collettività, ma dannosa rispetto allo sviluppo intellettuale dell’individuo». Couderau accusa Daily di fare una «spiacevole confusione» e di voler deliberatamente introdurre una questione tipica del «socialismo» in un dibattito «puramente antropologico» e riafferma con veemenza che i sardi non possiedono un’«intelligenza attiva»: mentre «l’operaio può fare e spesso compie un atto di intelligenza» in Sardegna «l’ostacolo è organico» ed è ciò che «constata l’antropologia».
Per finire, una breve replica di d’Hercourt che ribadisce la notevole intelligenza dei sardi, descrive l’estro dei poeti improvvisatori, lo spirito di autosufficienza dei pastori. Ma le sue parole si perdono nell’indifferenza generale. Il pubblico dei dotti è ormai distratto e si sta preparando alla successiva comunicazione scientifica: le differenze tra l’orango e lo scimpanzé.
635 Cronache di periferia dello Stato fiorentino
guino a quell’insieme di regole o ne divergano, e cioè quale sia il comportamento reale nel conformarsi come nel trasgredire. Né si può trascurare di prestare attenzione alla morale individuale, intesa soprattutto come coscienza vissuta dei bisogni e dei comportamenti, e quindi alla storia dei modi in cui ciascuno si pone come soggetto autonomo nei confronti di sé, dei rapporti con gli altri, dei modelli proposti, dei precetti religiosi, delle leggi. Obbedire o trasgredire comporta comunque valutazioni, riserve, motivazioni e modalità diverse di compiere una medesima azione. Ciò che la cronaca giudiziaria, il resoconto di vita vissuta, il fatto quotidiano ci riportano è essenzialmente questo: la storia del modo in cui gli individui stabiliscono la propria condotta morale e si riconoscono come soggetti.