UNA FONTE PER LA STORIA DELLA CULTURA MATERIALE NEL XV E XVI SECOLO: LE VISITE PASTORALI

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Title
UNA FONTE PER LA STORIA DELLA CULTURA MATERIALE NEL XV E XVI SECOLO: LE VISITE PASTORALI
Creator
Angelo Turchini
Date Issued
1976-01-01
Is Part Of
Quaderni Storici
volume
11
issue
31 (1)
page start
299
page end
309
Publisher
Società editrice Il Mulino S.p.A.
Language
ita
Format
pdf
Relation
Le parole e le cose: un'archeologia delle scienze umane, Italy, Rizzoli Ed., 1967
Rights
Quaderni storici © 1976 Società editrice Il Mulino S.p.A.
Source
https://web.archive.org/web/20230920150039/https://www.jstor.org/stable/43900442?searchText=Foucault&searchUri=%2Faction%2FdoBasicSearch%3FQuery%3DFoucault&efqs=eyJsYV9zdHIiOlsiYVhSaCJdfQ%3D%3D&sd=1975&ed=2000&pagemark=eyJwYWdlIjo5LCJzdGFydHMiOnsiSlNUT1JCYXNpYyI6MjAwfX0%3D&groupefq=WyJzZWFyY2hfY2hhcHRlciIsIm1wX3Jlc2VhcmNoX3JlcG9ydF9wYXJ0IiwiY29udHJpYnV0ZWRfdGV4dCIsInJldmlldyIsInNlYXJjaF9hcnRpY2xlIiwicmVzZWFyY2hfcmVwb3J0IiwiY29udHJpYnV0ZWRfYXVkaW8iXQ%3D%3D&ab_segments=0%2Fbasic_search_gsv2%2Fcontrol&refreqid=fastly-default%3A3a43a075ad8f9f2a9cbff42ff1912305
Subject
archeology
archive
structuralism
practices
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UNA FONTE PER LA STORIA
DELLA CULTURA MATERIALE NEL XV E XVI SECOLO : LE VISITE PASTORALI
La recente storiografia ha sottolineato come, partendo dalle visite pastorali, sia possibile scoprire una storia globale di chiese e di comunità locali, attraverso lo studio di tutte le componenti e di tutti i fattori che le hanno costituite e condizionate, guadagnando così alla storia la vita di ogni giorno, i comportamenti e gli atti comuni a tutti i cristiani \ E certamente gli atti di visita pastorale assumono agli occhi dello storico un notevole valore per le varie, preziose notizie che vengono fornite non solo per la storia ecclesiastica in genere, ma anche per la storia della religiosità, del costume, della società. Vi è stato chi ha osservato come le visite pastorali siano da ritenersi un «materiale che consente originali rilevamenti [...] che sono premessa indispensabile per una storia non [...] intellettualistica della chiesa e della società religiosa e civile in una determinata epoca»2. Mentre non si nega tutto questo, si vuole individuare la possibilità di un uso e di una lettura della fonte-visite anche per altri aspetti (o, meglio, per certi particolari aspetti) connessi alla storia della società, alla storia civile, alla storia economica, rilevando le connotazioni interessanti la storia della cultura materiale, desumibili da questo tipo di fonte.
Tuttavia, occorre essere coscienti di alcuni limiti della fonte stessa da porre come preliminari per una sua qualsiasi utilizzazione, ad evitare il rischio di attendersi più di quanto sia possibile richiedere. In generale:
a) non esiste omogeneità qualitativa delle notizie offerte;
b) si ha la possibilità di controllare solo in modo discontinuo le informazioni relative ad un medesimo luogo;
c) la prospettiva di chi compie la visita cambia da persona a persona;
d) gli elementi validi per una storia della cultura materiale si deducono solo indirettamente;
e) una conoscenza siffatta è inoltre ristretta ad alcuni aspet-



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ti, particolari ma non irrilevanti, come la casa o gli ospitali;
f) preferibilmente vanno tenute presenti le più antiche visite pastorali.
In particolare, non si ribadisce mai abbastanza che l’interesse e l’attenzione del visitatore non erano rivolti direttamente alle condizioni o agli oggetti della casa, ecc. quanto al complesso dei beni mobili ed immobili pertinenti alla chiesa o al rector ecclesiae. Si desiderava ottenerne un inventario analitico: la richiesta è presente tanto nei questionari di visita del ’400 che in quelli del ’5003. Ma la domanda non sempre otteneva risposta; non sempre veniva trascritta dal notaio di curia; talvolta non si poneva neppure. Oltre questi limiti può anche verificarsi che gli inventari si presentino separati dalle visite, come a Siena gli inventari del 1409-1474 4.
1. Se nelle visite pastorali si ritrovano notizie per quanto concerne l’alloggio o il vestiario o l’arredamento che rientrano nell’ambito di quei cinque settori abbastanza vicini (alimentazione, alloggio e vestiario, tecniche, dati biologici) che sono classificati da Braudel5 coll’etichetta di «vita materiale», non si dimentichi che si tratta sempre di alloggi, case d’abitazione, abiti, arredi ecc. del clero e cioè che le condizioni di abitazione, abbigliamento ecc. sono soggette alle differenze sociali e di status, alla distinzione del clero dalla generalità dei fedeli.
Il visitatore, compiendo la propria ispezione, spesso visita le case canoniche e, quando non esistono o sono inabitabili, ne ordina l’erezione o la riparazione, perché il rector ecclesiae possa stabilmente risiedervi. Fra le visite del ’400 e quelle del '500 non si riscontrano differenze sostanziali dal punto di vista prescrittivo — dal momento che la ripetizione della norma è costante — e neppure dal punto di vista descrittivo, in quanto la descrizione della domus parrocchiale dipende dalla cura del visitatore e dall’attenzione con cui si stendono gli atti di visita. Per il '400 sono esemplari le visite di Giovanni Tavelli da Tossi-gnano, vescovo di Ferrara dal 1432 al 1446 6. Difatti le notizie fornite dai suoi atti sono estremamente indicative: il più delle volte si trovano case muratae et cupatae (cioè con pareti murarie e tetto di coppi), ma in qualche caso anche de cannis, cioè di canna, malta e paglia7. Naturalmente le differenze più rimarchevoli si riscontrano nell’ambito rurale; nelle città italiane del '400 invece l’edilizia muraria sembra aver trionfato: se non ovunque e per tutti i ceti, certamente è la componente essenziale delle



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vecchie e delle nuove case parrocchiali. D’altra parte non è raro vedere talvolta annotate, fra gli inventari dei beni posseduti dalle chiese, altre indicazioni, riferite alle abitazioni dei rustici. Così compaiono, sempre nella zona ferrarese «una possessi© casa-mentativa duarum domorum de cannis», «unum curtile casamen-tativum de duobus domibus de canna», «unum casale casamen-tativum de una domo cuporum», «unum casale casamentativum de una domo de cannis», «una possessio casamentativa de tribus domibus de cannis»8, ecc.
Sia l’uno che l’altro tipo di casa fanno parte di una realtà paesistica in cui si riannodano ed esprimono materialmente — come ha scritto Gambi rifacendosi a Bloch ed a Febvre — la storia agronomica e del popolamento, la storia delle condizioni culturali, delle armature sociali, delle istituzioni giuridiche e delle tradizioni religiose9. La casa è il prodotto di una storia, anche se vanno tenuti distinti vari livelli: quello tecnologico — che interessa la storia della scienza, della tecnica, ecc. — da quello della applicazione pratica di certe tecniche che riguarda, appunto, la storia della cultura materiale10, mentre l’adozione di una tecnica (una casa murata e coperta cum cuppis) al posto di un’altra (una domus de cannis) dipende dalle possibilità economiche del costruttore o del committente e non tanto dalla risposta alle esigenze emergenti. Affrontare la vita economica, le istituzioni, la società, le credenze, le idee, la politica — ricorda Braudel — significa conquistare i piani in cui si accumulano i documenti, le consapevolezze, i ricordi e le prove, in cui, prima o poi, è possibile vedere, calcolare, misurare tutto11. In questa prospettiva non è sufficiente, evidentemente una concezione funzionalistica e riduttiva di cultura — come quella presentata da Malinowski o da Taylor — per cui questa è l’insieme dei manufatti, dei beni, dei processi tecnici, delle idee, delle consuetudini, dei valori propri di ciascuna società. Gli impulsi, gli stimoli, le inclinazioni che determinano l’azione dell’uomo sono sì dettati da fattori fisiologici riplasmati da un costume, da una consuetudine acquisiti, facendo tesoro dell’esperienza di generazioni e generazioni12, ma se l’esigenza di avere una casa murata, coperta, solida che adeguatamente provveda a difendere l’uomo dalle intemperie è parimenti intensa nel clericus come nel contadino, tuttavia la possibilità di realizzarla è per entrambi proporzionale alla disponibilità di danaro e, più in generale, alla condizione economica.
«Come incidevano le differenze sociali e di classe sulle condi-



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zioni di abitazione, di abbigliamento e d’alimentazione?» si domanda W. Kula13, individuando nella risposta a questo quesito alcuni elementi concernenti la storia della cultura materiale, mentre lascia alla storia dell’economia, della tecnica, ecc. la ricerca delle cause, interessato alle modalità, al come, sia pur collegato al perché. Il conseguimento di una pura conoscenza morfologica delle singole condizioni viene superato quando si stabilisce «una certa dipendenza della storia della cultura materiale dalla storia economica, nel senso che la prima, pur disponendo di un proprio materiale e usando metodi propri, non può chiarire completamente da sola i fondamentali problemi che pur le sono propri»14. Quindi una fondamentale conoscenza delle condizioni di vita materiale trova complemento necessario nella hìstoire globale (e delle strutture) e, più in particolare, nello studio del comportamento dell’uomo rispetto all’ambiente naturale ed agli oggetti stessi. Quest’ultimo rapporto è mediato socialmente — cioè dal grado a cui la coscienza sociale è già pervenuta — ed economicamente — cioè dal grado della conoscenza derivante dall’attività umana.
Non è tuttavia il caso di generalizzare una serie di puntuali precisazioni fornite da atti di visita; difatti queste variano da visita a visita e da visitatore a visitatore. Il più delle volte ci si deve accontentare di semplici indicazioni, perché l’interesse del visitatore solo secondariamente e quasi di sfuggita si incentra sulle condizioni materiali della «canonica». Antonino da Firenze prescriveva un accertamento indiretto: la domanda si facit debi-tam residentiam presuppone un luogo di residenza, una domus supposta come esistente o presente, al momento dell’esame dell’inventario: «videat etiam inventarium de rebus tam ecclesie quam suppellectilibus domus et si conservavit sibi consignata»15. Ma fra teoria e pratica pastorale esiste un notevole salto16. Indirettamente ne trattano anche — un secolo dopo — i cardinali Borromeo e Paleotti. Se nelle visite pastorali del Casentino (1424) si nota talvolta lo stato delle case parrocchiali (domus bene reparata et ampliata, oppure ruinosa, discoperta ecc.17), non sempre le notizie risultano così scarne. In qualche caso l'inventario è analitico a tal punto da andare ben oltre il semplice riferimento alla condizione materiale della domus.
Si elencano, di volta in volta, una «camera prima superius» (abbinata o meno ad un’altra «camera superius»), una camera «inferior» (ma se ne può trovare più d’una), talvolta una «lo-dia», immancabilmente un «penus» che fa le veci di una «cane-



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pa»18. Meno genericamente può apparire una «sala», «salla magna», «saleta», «buteria», «cusina»19, ecc. In ogni caso si è alla presenza di case di media condizione costituite da una coquina, da una sala da pranzo (con o senza camino), da una cantina e da una camera da letto, tanto più notevoli in ambienti rustici dominati da fabbricati molto modesti e soprattutto molto poveri sia dal punto di vista delle tecniche costruttive che dei materiali impiegati. La destinazione d’uso dei vari ambienti rende presenti le conseguenze di una «ideologia» della casa, rilevabile nel passaggio dal semplice al complesso, dal monolocale polifunzionale (godibile nei diversi momenti della vita quotidiana) alla divisione delle varie funzioni in ambienti diversi. Da un’unità di vita materiale vissuta in un unico ambiente (in cui ogni luogo assolve ad un compito) si trapassa a condizioni di vita diverse, magari nello stesso tempo e nello stesso ambito geografico. Il confronto con atti notarili — soprattutto vendite, acquisti o testamenti — permette importanti approfondimenti20. Non solo nelle visite del ’400, ma anche in quelle del ’500 è possibile individuare lo stato dell’alloggio, dell’abitazione del clero; a puro titolo esemplificativo va ricordata la situazione non tanto della diocesi bergamasca quanto della mantovana. Difatti l'inventario d'arredi sacri per Mantova e diocesi (1505-1593) presenta più di un elemento interessante21.
2. A questo punto non sembra inutile allargare il discorso al ruolo ricoperto dagli arredi sacri, proprio per colmare la scarsità dei dati generalmente pervenuti dalla fonte. La documentazione ferrarese, presa ad esempio, è eccezionale per ricchezza informativa. Ma spesso — come si è già ricordato — si ha a che fare con scarne note, a complemento delle quali può soccorrere la lettura degli inventari rerum mobilium delle chiese o delle sacrestie. In tal caso l’indicazione di oggetti lignei, di ottone, di rame o di argento, di capse lignee, di candelabri di ferro o di legno o altro materiale getta luce, sia pur ancora in maniera indiretta, non tanto sulle condizioni particolari di questa o quella domus quanto piuttosto sulla predominanza d’uso — legato alla disponibilità — di questo o quel materiale, sulla prevalenza d’uso del legno, ad esempio, rispetto al ferro22, ecc. Allora, il discorso si estende temporalmente e spazialmente per larga parte delle visite pastorali italiane del ’400 e del ’500 senza che si notino differenze sensibili da diocesi a diocesi, se non quelle determinate dal diverso sviluppo economico-sociale (in tempi diversi o anche nel medesimo tempo).



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E, volendo, si possono istituire confronti fra l’arredo delle singole domus a testimonianza della diversità delle condizioni di vita, aH’interno di uno stesso ceto. Qualche esempio:
a) «In domibus ecclesie, in camera prima superius: una letica de ascidibus cum una bancha cum duobus arlotis. Una capsa de picio optima bona. Una culcedra de tella antiqua vetustissima. Una culcedra de pignolato quasi nova et optima cum tribus capizalibus de tella et duobus linteaminibus et una cultra de tella zalla et viridi, facta ad undas, quae culcedra cum ceteris sequentibus sunt monasterii S. Antonini. In alia camera superius: Una culcedra de pignolato vergato cum duobus capizalibus de tella. Una letica de ascidibus cum una bancha ante ipsam. Unus dischettus de nogaria. Duae cathedrae paleatae, una magna et una parva. Duo cavedones prò igne. Una catena prò igne. Unum spetum prò carnibus. In camera inferiori: una letica de ascidibus. Unum banchum prò duobus coltis fractum ante. Una tabuleta cum duobus tripodibus. Unus lebes de cupro. Una paro-leta. In alia camera inferiori: Una letica de ascidibus. Unum banchum prò duobus coltis. Una capsetta prò salvanda pianeta. Una zapa. Unus zaponus et una zapetta. Unus furchonus. Una lucerna» “.
b) «In penu: Octo vasa prò vino. Unam pidriam a vino. Unum botosinellum prò aceto. Unum aremariolum. Unum ur-ceum prò aqua. Super granario: Unum starum prò mensurando. Unam sparturiam. Unam bancham cum duobus arlotis. Subtus dictum granarium: Unum tinatium de rupere tenutae septem castellatarum. Unam zapam furchonum»24.
Gli esempi potrebbero estendersi a quanto risulta presente in porticu o in buteria25, ecc. Preme sottolineare che la menzione di una serie di oggetti molto poveri, generalmente di legno: mobili, come panche, sedie, letti, cassepanche ecc. — o anche di ferro — come catene cui sospendere sopra il fuoco gli utensili domestici, spiedi ecc. — sta ad indicare tutto il valore e l’importanza da questi assunti per la vita quotidiana. Il singolo orcio per la farina ha una funzione ben precisa e così le scodelle, il tagliere (per quanto vetus: vecchio o di legno stagionato?); anche un vax sine fundo26 riveste un ruolo di qualche utilità, tanto da essere degno di ricordo. La condizione di estrema povertà è tale solo ai nostri occhi: in realtà chi possedeva quegli oggetti, probabilmente si riteneva agiato, in quanto poteva disporne per le proprie necessità quotidiane. L’elenco minuto dell’osservatore che tramanda alla memoria scritta oggetti senz’al-

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tro antiqui o veteres o addirittura «inutili» come un recipiente privo del fondo, non fa che tradire una realtà caratterizzata da condizioni di vita in cui gli oggetti assumono un valore diverso, come ha stabilito il Kula in un’opera ormai classica27. Non si scopre nulla di nuovo se si afferma che Fuso degli oggetti, degli strumenti, della casa è di mera sussistenza e non produttivo; naturalmente si tratta di un ennesimo limite connaturato alla fonte stessa che non permette di accertare che questo (e non sempre).
Un discorso analogo a quello compiuto a proposito della casa si può riproporre per gli ospitali che compaiono nelle visite pastorali. Con questo termine si fa riferimento a quegli «hospita-lia [...] ad certum peregrinorum aut infirmorum aut aliarum personarum genus suscipiendum [...] instituita» (Concilio di Trento, Sess. XXV, c. Vili). Questa istituzione non ha nulla a che vedere con i grandi ospedali o meglio con i grandi complessi ospedalieri di città, i quali hanno subito una ristrutturazione (ed ima concentrazione) nel corso del '400, una riforma in epoca postridentina28 e spesso hanno una organizzazione economica complessa, una struttura amministrativa. Gli ospitali sono tut-t’altra cosa: non hanno ricche dotazioni, ma semplicemente possiedono qualche pezzo di terra che fornisce rendite minime ed appena sufficienti al mantenimento delPhospitalarius — cioè di colui che risiede stabilmente nell’ospitale di cui ha cura — e di qualche altra persona di passaggio; non sono grandi, al contrario risultano di dimensioni minime collocati generalmente in un edificio ad un solo piano (ma talvolta anche a due), risultano spesso divisi in due zone, una per i pellegrini, gli infermi ecc. e l’altra per il «gestore» del servizio; assolvono ad una funzione di passaggio, ma talvolta anche di permanenza.
Interessa non tanto la caratteristica struttura di una organizzazione caritativo-assistenziale29 capillarmente diffusa in un territorio, fuori dell’ambito cittadino, quanto la condizione di vita materiale in cui si colloca una massa itinerante (o mendica o ammalata o peregrinante) che in realtà si determina, nei confronti degli altri ceti della società, in modo puramente negativo, come una categoria bisognosa di essere assistita30. A differenza che per la domus parrocchiale le visite pastorali forniscono notizie più diffuse circa gli ospitali, anche se permangono alcuni limiti di fondo. Generalmente, tuttavia, si ricavano elementi analoghi riguardo alla domus hospitalis e diversi circa il modus vivendi degli ospiti dell’ospitale: dai letti di paglia alle lenzuola,



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ai cuscini; dalla promiscuità sessuale alla coabitazione con Xho-spitalarius; dalla separazione dei luoghi (per pellegrini o per ammalati) alla concentrazione in un unico locale, contemporaneamente, di cucina e dormitorio ecc. si tratta di momenti di vita da recuperare alla storia della cultura materiale (e non), difficilmente accertabili per altra via. La verifica delle condizioni di vita in questi ospitali è tanto più importante quanto più ^i pensi alla loro destinazione ed al loro uso di massa, continuo e mobile nel tempo. La rilevanza si accrescerebbe se si potesse accertare qualche corrispondenza fra elementi di cultura materiale, ivi riscontrati, ed altri, analoghi, propri delle condizioni di vita della popolazione di un determinato luogo. Naturalmente occorre tenere sempre conto dei limiti intrinseci della fonte, i quali restano insuperabili nel senso che si è costretti a vedere le condizioni di vita del passato attraverso un filtro costituito dal tempo e dalla mediazione comunque effettuata dagli estensori della documentazione. Perciò non si può che ripetere quanto ha scritto Foucault: «osservare è contentarsi di vedere; di vedere sistematicamente poche cose»31. Tuttavia si può e si deve tentare di squarciare quel «velo di Maja» per cercare di conoscere più propriamente e da vicino le condizioni di vita materiale e quotidiana delle masse. Per recuperarne, in questo caso, la storia attraverso l’utilizzazione della fonte presa in esame, è necessario allora superare una prospettiva che ne valorizzi il solo aspetto «pastorale», per cogliere anche gli elementi concernenti, pur in maniera parziale, la storia della cultura materiale, sfruttando la fonte nel modo più completo possibile, correlandola anche ad altro materiale documentario. Si tratta di compiere un’azione di scomposizione, decodificazione e assemblaggio, in chiave diversa, di una serie di informazioni che, magari di passagggio o per inciso, vengono fornite dalle visite stesse e che in esse trovano conferma.
Angelo Turchini
NOTE AL TESTO
1 Cfr. G. Alberigo, Nuove frontiere della storia della chiesa?, in «Conci-lium», VI (1970), p. 1275.
2 G. De Rosa, Storia e visite pastorali nel Settecento italiano, in «Rivista di studi salernitani», I (1968), p. 267. Sulle visite pastorali v. i contributi del convegno di Paestum (1971): La società religiosa nelTetà moderna, Napoli



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1973 nonché G. Alberigo, Studi e problemi relativi all’applicazione del concilio di Trento in Italia, in «Rivista storica italiana», LXX (1958) e M. Rosa, Per la storia della vita religiosa e della chiesa in Italia tra il ’500 e il ’600, in «Quaderni storici», V (1970); sia lecito rinviare anche ad una mia rassegna (Per la storia religiosa del *400. Visite pastorali e questionari di visita nell’Italia centro-settentrionale), di prossima pubblicazione sulla «Rivista di storia e letteratura religiosa»,
3 Cfr. G. Alberigo, Studi e problemi, cit.
4 G. Catoni-S. Fineschi, L’archivio arcivescovile di Siena. Inventario, Roma 1970 (Pubblicazioni degli archivi di stato, 70), p. 14-15.
5 Problemi di metodo storico, a cura di F. Braudel, Bari 1973, p. 209, ove si riproduce l’articolo di F. Braudel-R. Philippe-J. J. Hémardinguer, già apparso su «Annales», XVI (1961).
« Cfr. G. Ferraresi, Il beato Giovanni Tavelli da Tossignano e la riforma di Ferrara nel Quattrocento, T-IV, Brescia 1969; cfr. la recensione del Marcocchi sulla «Rivista di storia della chiesa in Italia», XXVI (1972), p. 536-538.
7 G. Ferraresi, Il beato Giovanni Tavelli, cit., Ili, p. 60.
8 Ibid., p. 207, 245-246, 289, 316, 319, 359 ecc. Cfr. — sia pur per altro tipo di fonte — le importanti osservazioni di G. Cherubini, Una famiglia di piccoli proprietari contadini del territorio di Castrocaro (1383-1384), in Signori, contadini, borghesi. Ricerche sulla società italiana del basso medioevo, Firenze 1974 (dello stesso autore).
9 L. Gambi, Per una storia dell’abitazione rurale in Italia, in «Rivista storica italiana», LXXVI (1964); v., del medesimo autore, anche Critica ai concetti geografici di paesaggio umano, in Questioni di geografia, Napoli 1964. Sono sempre attuali le note metodologiche di L. Febvre, v. Studi su riforma e rinascimento e altri scritti su problemi di metodo e di geografia storica, Torino 1966, p. 479-500.
10 W. Kula, Problemi e metodi di storia economica, Milano 1972, p. 65.
11 Problemi di metodo storico, cit., p. 210.
12 Cfr. B. Malinowski, Una teoria scientifica della cultura e altri saggi, Milano 1962 e le puntuali osservazioni di T. Tentori, Antropologia culturale, Roma 1966 (Universale studium, 58), p. 29-32.
13 W. Kula, Problemi e metodi, cit., p. 64.
14 Ibid., p. 65. Come riferimenti generalissimi per il periodo che si è preso in esame v. R. Romano, La storia economica del secolo XIV, in Storia d’Italia, II/l, Torino 1974 e F. Mauro, Le XVIe siècle européen. Aspects économiques, Paris 1966.
15 Antonini Summa moralis, ni, Venetiis 1471, tit. XX, c. VI.
16 Cfr. Orlandi, Sant’Antonino, I, Firenze 1959, nonché le mie osservazioni in Per la storia religiosa del ’400.
17 V. il volume di F. Coradini, La visita pastorale del 1424 compiuta nel Casentino dal vescovo Francesco di Montepulciano (1414-1433), Anghiari 1941 (Fonti minori inedite per la storia della chiesa aretina, 1). A questo esempio se ne potrebbero aggiungere moltissimi, soprattutto per il *500: v. A. D’Addario, Aspetti della controriforma a Firenze, Roma 1972 (Pubblicazioni degli archivi di stato, 77), p. 523 e seguenti.

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18 G. Ferraresi, Il beato Giovanni Tavelli, cit., II, p. 358-359.
» Ibid., 473-475.
20 Cfr. E. Galli, La casa di abitazione a Pavia e nelle campagne nei secoli XIV e XV, s.l., s.a. nonché L. Staffetti, Due case di campagna nel secolo XIV, Modena 1900; inventari di beni v. in L. Frati, La vita privata di Bologna dal secolo XIII al XVII, con appendice di documenti inediti, Bologna 1900.
21 Cfr. R. Putelli, Inventario d'arredi sacri per Mantova e diocesi, Mantova 1935, p. 95, 119, 124, 128, 132, 135, 141, 146, 151 ecc.; potrebbe rivelarsi interessante anche lo spoglio dell'Inventario dei beni posseduti dalle parrocchie dell’archidiocesi fiorentina (1518) posseduto dall’Archivio arciv. fiorentino (sez. XIII). Da notare che, generalmente, la compilazione di simili inventari avveniva su sollecitazione o richiesta curiale, durante la visita pastorale.
22 Circa il materiale conservato ancora oggi, cfr. ad esempio le osservazioni fornite dalla Sovrintendenza alle gallerie di Bologna: Il patrimonio culturale della provincia di Bologna. Gli edifici di culto del territorio delle diocesi di Bologna e Imola, Bologna 1973; Il patrimonio culturale della provincia di Forlì. Gli edifici delle diocesi di Cesena e Sarsina, Bologna 1973. V. anche, sempre a titolo esemplificativo, E. Galli, La mobilia di un canonico del secolo XIV, in Nozze Locurcio-Castagnini, Pavia 1899. Sulla costante inadeguatezza del materiale destinato a servizio (o ad ornamento) dell'opws divinum e l’uso dell’oro o dell'argento, v. le riflessioni, per l’età medievale, del Duby, Le origini dell'economia europea, Bari 1975.
23 G. Ferraresi, Il beato Giovanni Tavelli, cit., Ili, p. 358-359.
24 Ibid., p. 474.
25 Ibid., p. 473: «unum strignum cum duobus coltis cum scutelis et incisoriis de Ugno; unam capsam veterem; unum aremarium vetus; unum banchum cum uno coltu; imam tabulam cum duobus tripodibus; unum tuliro-num a pane vetus; unum urceum prò farina; unum spetum prò carnibus; unam secam; unum vax sine fundo».
26 Ibid.; cfr. (in altro ambito) le precisazioni del Cherubini (Una famiglia di piccoli proprietari, cit., p. 486-490).
27 Teoria economica del sistema feudale. Proposta di un modello, Torino 1970.
28 Cfr. Cassiamo Carpaneto Da Langasco Ofm Cap., L'intervento papale nelle concentrazioni ospedaliere del rinascimento in Italia; H. Jhjin, Zwei Konzilsde-krete ùber die Hospitdler; J. Imbert, Les prescriptions hospitalières du concile de Trent et leur diffusion en France negli Atti del primo congresso italiano di storia ospitaliera (Reggio Emilia 14-17 giugno 1956), Reggio Emilia 1957. V. anche: I. Imberciadori, Spedale, scuola e chiesa in popolazioni rurali dei secoli XVI-XVII, «Economia e storia», VI (1959) e gli accenni contenuti nel Governo arciepiscopale di Bologna, per il quale v. P. Prodi, Lineamenti dell'organizzazione diocesana in Bologna durante l'episcopato del card. G. Paleotti (1566-1597), in Problemi di vita religiosa in Italia nel Cinquecento. Atti del convegno di storia della Chiesa in Italia (Bologna 2-6 settembre 1958), Padova 1960 (Italia sacra, 2), p. 374, 392.
29 II rinvio d’obbligo è agli studi del Rosa e particolarmente a Geografia e storia religiosa per l'Atlante storico italiano, in «Nuova rivista storica», LUI (1969); cfr. anche Problemi e ricerche per le carte ecclesiastiche dell'atlante



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storico italiano delVetà moderna. Atti del convegno di Bari, 3-4 novembre 1970, a c. di M. Rosa, Firenze 1972.
30 Cfr. J. Habermas, Storia e critica dell'opinione pubblica, Bari 1971, p. 144.
31 M. Foucault, Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane, con un saggio critico di G. Canguilhem, Milano 1967, p. 150; v. pure M. Bloch, Apologie pour l’histoire ou le métier d’historien, Paris 1949.
N. B. Questa bibliografia è limitata alle opere menzionate nel testo ed è tut-t’altro che esauriente rispetto ai lavori di nuova storia economica comparsi in America.