DALL'ANTROPOMETRIA MILITARE ALLA STORIA DEL CORPO

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Title
DALL'ANTROPOMETRIA MILITARE ALLA STORIA DEL CORPO
Creator
Bernardino Farolfi
Date Issued
1979-09-01
Is Part Of
Quaderni Storici
volume
14
issue
42 (3)
page start
1056
page end
1091
Publisher
Società editrice Il Mulino S.p.A.
Language
ita
Format
pdf
Relation
Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Italy, Einaudi, 1976
Nascita della clinica, Italy, Einaudi, 1969
Microfisica del potere: interventi politici, Italy, Einaudi, 1982
La volontà di sapere, Italy, Feltrinelli, 1968
Subject
biopower
body
discipline
practices
extracted text
DALL'ANTROPOMETRIA MILITARE
ALLA STORIA DEL CORPO *
Non esiste una storia del corpo, realtà sempre rimossa e sublimata, ieri dalla storiografia dell'autocoscienza individuale, oggi da quella della produzione massificata. Le intuizioni di alcuni grandi storici sensitivi — la dialettica del sangue e degli umori in Michelet, i temi erotici e macabri in Huizinga — sono rimaste lungamente ai margini delle linee di ricerca prevalenti1. Il progetto di una storia dei comportamenti biologici del popolo parigino, formulato da Georges Lefebvre, non ha avuto seguito2. I rapporti tra il «biologico» e il «sociale» sono stati affrontati dagli studiosi delle «Annales» in chiave di demografia storica, di storia dell'alimentazione, di storia delle malattie: nella storia della cultura materiale delineata da Fernand Braudel, il corpo come oggetto specifico d'indagine è assente3. D'altra parte la storiografia marxista ha sempre trascurato quella «corporeità» in cui propriamente consiste, secondo Marx, la «forza-lavoro o capacità di lavoro»4. Neppure la diffusione del pensiero di Freud e di Nietzsche ha suscitato un interesse storiografico per la dimensione corporea. La ricerca di Norman O. Brown, mossa dalla nozione nietzschiana e freudiana dell'uomo come «animale malato», è approdata al misticismo5. L'archeologia di Michel Foucault, per quanto dotata di forte spessore storico, ha portato alla luce il «sapere» del corpo, più che la storia dei corpi6.
Se non esiste, dunque, una storiografia del corpo, esiste, da almeno un secolo, una scienza del corpo: l'antropometria, che si propone di misurare, classificare, distribuire secondo la loro frequenza i caratteri somatici7. L'antropometria scientifica si affermò, nel corso dell'800, come una delle espressioni più signifi-
* È la prima parte di una ricerca in corso sui riformati nelle leve dell’esercito italiano tra il 1860 e il 1886.



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cative del tentativo positivista di costruire un'antropologia secondo criteri affini a quelli delle scienze fisico-matematiche8. Il termine che designa questa scienza esatta del corpo deriva dall'opera Anthropométrie ou mesure des différentes facultés de Vhom-me, pubblicata nel 1871 da un astronomo, meteorologo e statistico belga, Adolphe Jacques Lambert Quetelet, il quale, nel corso di una lunga elaborazione, dal saggio Sur Phomme et déve-loppement de ses facultés del 1835 alla Physique sociale, ou essai sur le développement des facultés de l’homme, del 1869, sostenne la necessità di applicare il calcolo matematico allo studio sistematico dei corpi9. Come nelle scienze fisiche il ricorso al calcolo aveva rivelato le leggi che regolano il movimento dei corpi inanimati, così esso poteva individuare, secondo Quetelet, le leggi che regolano l'estrema variabilità morfologica dei corpi viventi. Ma se, per determinare una legge fisica, occorreva astrarre dall'interferire accidentale di forze perturbatrici, così, per calcolare le leggi antropometriche, era necessario prescindere dai caratteri peculiari dei singoli corpi: «Noi dobbiamo prima di tutto perdere di vista l'uomo preso isolatamente — scriveva Quetelet — e considerarlo soltanto come ima funzione della specie. Spogliandolo della sua individualità, noi elimineremo tutto ciò che è accidentale; e le particolarità individuali che hanno poca o nessuna azione sulla massa si cancelleranno da sé stesse, e permetteranno di afferrare i generali risultati»10. Diveniva così possibile raggruppare le misure dei principali caratteri somatici, come l'altezza, il perimetro toracico, il peso, calcolarne la media aritmetica e, procedendo ancora per astrazione, costruire con l'insieme delle medie un modello biotipico, rappresentativo di un intero gruppo umano: «Considerato astrattamente, come il rappresentante della nostra specie, e come portante in sé la media di tutte le qualità che trovansi presso gli altri, l'uomo assumerà per noi il nome di uomo medio11». In questa prospettiva di matematizzazione integrale dell'umano non solo i caratteri fisici, ma anche quelli intellettuali e morali — l'intelligenza, il coraggio, la bellezza — potevano essere misurati, espressi in medie aritmetiche, confluire nel modello dell'uomo medio. Sintesi dei valori medii di un gruppo umano, l'uomo medio rappresentava il «baricentro» ideale della società: «L’uomo che io considero qui è nella società l'analogo dei centri di gravità nei corpi; esso è la media intorno a cui oscillano gli elementi sociali; sarà, se vuoisi, un essere fittizio, pel quale le cose tutte accadranno in conformità dei risultati medii ottenuti



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per la società. Se si cerca di stabilire, in qualche modo, le basi di ima fisica sociale, esso è ciò che devesi considerare, senza arrestarsi ai casi particolari né alle anomalie»12. Attraverso l'adozione del parametro deiruomo medio l'antropometria, scienza dei corpi, si dilatava a scienza del corpo sociale, «fisica sociale».
Ma proprio quei «casi particolari», quelle «anomalie», già eliminate dall'astrazione scientifica, costituivano, ripresentandosi come scarti dal modello ideale, il problema centrale della ricerca antropometrica e della «fisica sociale». Se l'uomo medio rappresentava il parametro della normalità somatica e addirittura sociale, come si sarebbero collocati rispetto ad esso gli accidenti, gli scarti, le deviazioni, che erano poi i caratteri specifici dei corpi e degli individui reali? Quetelet espose la sua ipotesi con una metafora. La natura, secondo le sue convinzioni religiose, mirava a riprodurre sempre il tipo normale dell'uomo medio e si comportava come un tiratore al bersaglio: mirava al centro, la normalità, la media, ma poteva mancarlo per l'interferire di cause accidentali, allontanandosene più o meno ampiamente. I «colpi mancati» dalla natura nel corso del suo processo creativo erano appunto le deviazioni accidentali, le anomalie, gli scarti dal canone dell'uomo medio. Considerando i corpi reali come «errori» della natura, Quetelet poteva applicare allo studio della distribuzione dei caratteri somatici la «legge degli errori accidentali» elaborata dalla matematica contemporanea: gli errori nei quali può accidentalmente incorrere chi misura una determinata grandezza fisica si distribuiscono con una frequenza, prevedibile dal calcolo delle probabilità, nella quale gli errori per eccesso sono tanto numerosi quanto gli errori per difetto ed entrambi si diradano con la stessa frequenza via via che si allontanano dalla misura esatta. La distribuzione degli errori assume l'andamento simmetricamente decrescente di una curva «gaussiana». L'intuizione scientifica centrale di Quetelet fu la considerazione degli scarti antropometrici alla stregua di «errori accidentali» di misura. Le misure dei singoli corpi, dell'altezza, del cranio, degli arti, e anche delle attitudini intellettuali e morali si disponevano con matematica regolarità, secondo la legge degli errori accidentali, e potevano essere valutate come errori di approssimazione, compiuti misurando più volte un ipotetico «uomo medio»: «Questo grande principio che regola l'umana specie e che mentre diversifica gli effetti delle sue qualità, lascia loro però sufficiente movimento per dimostrare essere il tutto regolato senza l'intervenzione del volere umano, sembra a



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noi una delle leggi più ammirabili della creazione» 13. In questa visione l'estrema varietà morfologica dei singoli corpi veniva ricondotta alla regolarità di una legge unificatrice, il disordine diveniva l’epifenomeno di un ordine superiore, il caso rientrava nella necessità. Anche gli «errori» apparentemente più casuali della natura, casi previsti dalla legge generale che regolava la distribuzione dei caratteri somatici. Questa legge — scriveva Quetelet si rivelavano come «è, salvo errore, una delle più curiose leggi della natura fissate alla nostra specie. Tentai di porla in evidenza e di mostrare che non solo resistenza dei giganti e dei nani è una conseguenza di questa legge medesima, ma che il numero dei medesimi è calcolabile a priori per una data popolazione; nel legame collegante l'uno all'altro tutti gli uomini, sonvi certe maglie necessarie, quantunque siano precisamente le estreme»14.
Sul piano scientifico, l'antropometria di Quetelet approdava ad un determinismo probabilistico, che riconduceva ogni variante somatica, sia pure attraverso un ventaglio di probabilità, ad uno schema precostituito, a un disegno generale della creazione. Il nucleo scientifico di questa visione deista e positivista insieme verrà poi sviluppato dalla «biometrika» di Galton e Pearson, volta ad applicare la metodologia statistica alla ricerca biologica, ma la scienza del vivente, da Darwin a Mendel, si volgerà, con crescente consapevolezza, a un paradigma indeterministico: e allora «sarà un vedere nelle popolazioni il portato storico di fenomeni ai quali concorrono innumerevoli microprocessi ribelli a ogni determinismo; sarà l’ammettere una cieca probabilità indeterministica all'origine delle specie e della loro evoluzione»15. Sul piano sociale, proprio per la sua ispirazione determinista, per la sua disposizione a ricondurre l'accidentale e l'anomalo entro un ordine generale, l'antropometria costituì nell'800 un formidabile strumento non solo di conoscenza, ma di controllo sui corpi. Tra i pre-requisiti del moderno capitalismo industriale deve essere annoverata, come ha suggerito Michel Foucault, una serie di tecniche di addestramento e controllo dei corpi, un «bio-potere» che avrebbe assicurato l'inserimento dei corpi negli apparati produttivi e l'adattamento delle popolazioni alle necessità dello sviluppo economico:
«Se lo sviluppo dei grandi apparati di stato, come istituzioni di potere, ha assicurato il mantenimento dei rapporti di produzione, i rudimenti di anatomo-e di bio-politica, inventati nel XVIII secolo come tecniche di potere presenti a tutti i livelli del corpo sociale ed usati da istituzioni molto diverse (la famiglia come l'esercito, la scuola o la polizia, la medicina individuale o l’amministrazio-



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ne della collettività), hanno agito a livello dei processi economici, del loro sviluppo, delle forze che vi sono all’opera e li sostengono; hanno operato anche come fattori di segregazione e di gerarchizzazione sociale, agendo sulle forze rispettive degli uni e degli altri, garantendo rapporti di dominazione ed effetti di egemonia; l'adeguarsi dell'accumulazione degli uomini a quella del capitale, l’articolazione della crescita dei gruppi umani con l’espansione delle forze produttive e la ripartizione differenziale del profitto, sono stati resi possibili in parte dall’esercizio del bio-potere, nelle sue forme e con i suoi procedimenti svariati» 16.
Ma tra le tecniche e le scienze del bio-potere portate in luce da Foucault, l'antropometria è assente. Eppure, a partire dai primi decenni dell'800, essa fornì il più diretto strumento di conoscenza dei corpi sottoposti ai processi della prima industrializzazione e della socializzazione borghese. Il campo dell'osservazione antropometrica furono le istituzioni chiuse o segreganti, gli «inferni» entro i quali la società della rivoluzione industriale e del Codice civile rinchiudeva sia i corpi abili al lavoro dei fanciulli, delle donne, degli operai, sia i corpi «improduttivi» dei vecchi, dei malati, dei folli, sia i corpi socialmente pericolosi delle prostitute e dei criminali. I dati empirici sui quali Quetelet costruì la sua antropometria erano le misure dell'altezza dei fanciulli impiegati nelle fabbriche di Manchester e di Stockfort; la «speranza di vita» dei bambini abbandonati nell'orfanotrofio di Edimburgo, dei poveri e dei malati internati nei ricoveri di Parigi, Berlino, Vienna, Pietroburgo; l'età media degli alienati rinchiusi a Bicètre, alla Salpetrière, a Charenton o nei manicomi del Belgio e della Norvegia; la mortalità dei detenuti nelle «case di forza» di Parigi, negli ergastoli di Brest e di Tolone, nei penitenziari di Auburn e Filadelfia17. Su questi corpi sfruttati e segregati si posò nei primi decenni del secolo lo sguardo dei funzionari, dei medici, dei filantropi: Cowell in Inghilterra, Vili-erme in Francia, Ducpetieux in Belgio misurarono i rapporti tra corpo e lavoro, tra corpo e istituzione segregante, tra corpo e ambiente, e ne trassero il suggerimento di riforme delle condizioni di vita e di lavoro volte ad arginare i devastanti effetti somatici dell'industrializzazione e dell’espansione della società borghese18. Intorno alla metà del secolo B. A. Morel illustrò il rapporto tra degradazione fisica e urbanesimo studiando le condizioni dei lavoratori agricoli immigrati a Parigi e nei grandi centri urbani19. Dopo la Comune l'ispirazione filantropica e riformatrice si fuse sempre più esplicitamente con quella repressiva. Negli ultimi decenni del secolo Lombroso, confrontando



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le misure dei crani dei criminali e delle scimmie, affermò la connessione tra delinquenza e atavismo20. Nello stesso periodo il capo del servizio d'identificazione della polizia parigina, Al-phonse Bertillon, elaborò un sistema di identificazione dei criminali mediante le misure di caratteri antropometrici non modificabili come le impronte digitali21. L'antropometria divenne una tecnica di controllo della devianza.
Ma l'ambito privilegiato della ricerca antropometrica fu costituito, nel corso dell'800, dagli eserciti. A partire dagli anni della Restaurazione, essi non furono più tanto numerosi come gli eserciti di massa impiegati nelle guerre del periodo rivoluzionario e napoleonico, ma rimasero sempre le istituzioni che riunivano, selezionavano e addestravano il maggior numero di corpi, quelli dei giovani di sesso maschile giunti all’età militare. Il meccanismo che selezionava i corpi secondo le esigenze della macchina militare era costituito dalle visite di leva, condotte con criteri sempre più rigorosi a partire dal periodo napoleonico. I risultati delle visite di leva permettevano di cogliere su una base documentaria assai ampia i rapporti tra lo sviluppo fisico della popolazione e le condizioni di lavoro e di vita in un'età di intense tras formazioni economiche. Intorno alla metà dell'800 le autorità militari britanniche e prussiane constatarono con preoccupazione che i corpi dei coscritti provenienti dalle zone urbane risultavano alle visite militari meno idonei al servizio di quelli dei coscritti provenienti dalle zone rurali22. Negli stessi anni, nella sua indagine sulle condizioni del proletariato inglese, Friedrich Engels osservò, sulla base dei rapporti parlamentari, che «gli operai delle fabbriche erano poco adatti al servizio militare, che apparivano troppo esili e deboli e spesso venivano dichiarati inabili dai medici». Infatti i loro corpi risultavano alle visite militari più bassi di quelli dei lavoratori agricoli: a Manchester difficilmente si trovavano «uomini alti 5 piedi e 8 pollici, la maggior parte arrivava appena a 5 piedi e 6-7 pollici, mentre nei distretti rurali la maggior parte delle reclute raggiungevano i 5 piedi e 8 pollici»23.
Le misure antropometriche fornite dalle istituzioni militari suscitarono l'attenzione degli studiosi del corpo. Verso la fine delle guerre napoleoniche, in Inghilterra Gordon studiò le misure del cranio prese nei magazzini militari di Londra e di Edimburgo; in Francia, durante la monarchia di luglio, Villermé, Broca, Boudin stabilirono, attraverso le misure dell'altezza dei coscritti, la distribuzione geografica delle stature; durante la guerra



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di secessione americana J. H. Baxter raccolse su incarico del governo dell’Unione le misure dei coscritti e dei volontari dell’esercito, mentre l’astronomo e matematico B. A. Gould le rielaborò in ima più vasta inchiesta per conto di una società privata di studiosi e filantropi; negli ultimi decenni del secolo seguirono gli studi di antropometria militare condotti da Ranke in Baviera, da Ecker e Ammon nel Baden, da Myrdacz e da Schei-ber nell’impero austro-ungarico24. Per la quantità dei dati resi disponibili dalle visite di leva rantropometria militare divenne una branca fondamentale della scienza del corpo.
Dai risultati deH’antropometria militare è stato possibile trarre gli elementi per una storia del corpo, almeno dei corpi di una parte rilevante delle popolazioni, i giovani di sesso maschile in età militare. In una serie di ricerche condotte sui registri di reclutamento dell’esercito francese compilati tra la Restaurazione e il secondo Impero, Emmanuel Le Roy Ladurie ha delineato una «antropologia del coscritto francese» fondata su un ampio ventaglio di dati: luogo di nascita, domicilio, statura, colore degli occhi e dei capelli, grado d’istruzione, attività, riforme dal servizio, sostituzioni di persona, casi di indisciplina e di diserzione25. Nella scelta di una impostazione «per totalità» l’antropologia storica di Le Roy Ladurie si ricollega direttamente all’antropometria ottocentesca, diviene essa stessa una antropometria retrospettiva: «l’archive du recrutement renvoie ipso facto à une anthropologie. Précurseurs, les sociologues des années 1830, comme d’Angeville, Dupin et Guerry, avaient égale-ment Tessenti cette exigence: ils construisaient en effet des modèles qui mettaient en rapport le degré de civilisation, at-teint dans une zone donnée, avec toutes sortes de facteurs, détectés par les statistiques de l’époque, qu’ils avaient découver-tes et déchiffrées, pris par une ardeur de néophytes. Partisans d’une approche globale et systématique, Dupin, D’Angeville et Guerry s’efforgaient de décrire les masses populaires et juvéni-les (respectivement connues par la “Statistique générale” et par les archives militaires) »26.
Il risultato complessivo di questa antropologia del coscritto è la percezione di una forte continuità del tessuto biologico e sociale: «[...] l’image ou la sèrie d’images qui vient d’ètre pro-posée, relative aux quelques dizaines de variables dont sont por-teurs les conscrits des classes 1819-1826, est pertinente bien au-de-là d’elle-méme. Elle est la représentation, sur le terrain d’une nation traditionnelle encore, avec ses foules rustiques et artisa-



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nales, ses problèmes de sante, de développement inégal des ré-gions, et d'ignorance crasse. En dépit des changements immen-ses, d'ordre politique et social, qui sont intervenus trente ans plus tòt, le peuple de jeunes hommes sous Louis XVIII émerge encore à peine de cet ancien regime que pourtant il n'a pas connu»27. L'antropometria retrospettiva rivela così una «storia immobile», relativamente impermeabile alle grandi trasformazioni rivoluzionarie. Secondo la riflessione metodologica di Michel de Certeau, il significato di queste ricerche non si esaurisce in questo risultato: l'elaborazione dei dati forniti dai registri di leva «non ha come risultato essenziale una relazione quantitativa della statura e dell'alfabetismo dei coscritti dal 1819 al 1826, e neanche la dimostrazione della sopravvivenza delVancien règi-me nella Francia post-rivoluzionaria, bensì le coincidenze impreviste, le incoerenze e le lacune che tale inchiesta mette in risalto»28. La storiografia quantitativa, secondo de Certeau, non dovrebbe produrre il senso, positivo, di una continuità, ma piuttosto enucleare lo scarto, il negativo: «La conoscenza storica mette dunque in luce non un senso, ma le eccezioni fatte apparire dall'applicazione di modelli economici, demografici e sociologici a diverse regioni della documentazione. Il lavoro consiste nel produrre del negativo, che sia però significativo»29. Questa impostazione suggerisce la possibilità di una dislocazione prospettica della storia del corpo basata sui risultati dell'antropometria militare. Dalla totalità dei dati antropometrici l'attenzione si può spostare sugli scarti, sulle anomalie, sul «negativo». La vicenda dei corpi, le relazioni tra il «biologico» e il «sociale», possono essere illuminate più che da una ricostruzione globale, da una ricerca su quei corpi che più si allontanarono dai paradigmi di normalità prescritti dalla scienza e dalle istituzioni. In antropometria militare, queste eccezioni, queste anomalie, questi elementi «negativi» sono i corpi «scartati» dei riformati alla leva. Nell'ambito delle ricerche guidate da Le Roy Ladurie, Jean-Paul Aron, in un saggio su Taille, maladie et société, ha analizzato la distribuzione dei difetti fisici e delle malattie che costituirono le principali cause di riforma nell'esercito francese negli anni 1819-182630. Da questo «essai d'histoire anthropologique» scaturisce un vasto quadro analitico della degradazione fisica della popolazione francese nell'età della Restaurazione, ma all'indagine quantitativa non corrisponde una attenzione altrettanto ampia per il significato che questo elevato scarto dalla norma antropometrica ebbe per i contemporanei, anche se Aron vi

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accenna, ad esempio a proposito delle discussioni sull’influenza rispettiva dei fattori etnici e ambientali sull’altezza dei corpi. Ma in generale, in queste ricerche degli storici francesi, il passaggio dall’antropologia fisica all’antropologia culturale, dalla antropometria retrospettiva alla storia del corpo, rimane irrisolto.
È possibile attingere alcune dimensioni di una storia del corpo attraverso una ricerca sui riformati nelle leve dell’esercito italiano?
Nella sua continua accumulazione di dati empirici capaci di suffragare la legge di distribuzione dei caratteri somatici, Quete-let si servì ampiamente dei risultati dell’antropometria militare: tabelle e grafici sulla statura dei soldati belgi e francesi, o sul perimetro toracico dei soldati scozzesi e nord-americani illustravano, nelle edizioni della Fisica sociale, la legge di distribuzione dei caratteri antropometrici. Nell’ultima edizione vennero utilizzate anche le misure della statura dei coscritti delle prime leve dell’esercito italiano: Quetelet le aveva avute da Luigi Bo-dio, allora giovane professore della Scuola superiore di commercio di Venezia31. L’incontro tra i due avvenne nel 1867 al Congresso internazionale di statistica di Firenze, di cui Bodio era segretario: ne nacque una intensa corrispondenza scientifica sul metodo dell’antropometria e sulle sue implicazioni generali32. Nel 1868 Bodio inviò a Quetelet i risultati di una ricerca sulla distribuzione della statura dei primi coscritti dell’esercito italiano: «J’ai tàché de oonstruire — scriveva Bodio — une courbe marquant la taille de nos jeunes conscrits; j’ai adopté la métho-de que vous avez indiquée dans votre mémoire Sur l’appréciation de documents statistiques et en particulier sur l’appréciation des moyennes, et j’ai suivi mème intégralement votre table de possibili té. Voici les données élémentaires: je les ai extraites des publications officielles du ministère de la guerre. Les moyennes résultantes des opérations de recrutement des années 1863, 1864, 1865 sont faites sur les jeunes gens nés en 1843, 1844, 1845...»33. La curva elaborata da Bodio sulla base delle misure delle stature di 100.000 coscritti mostrava che rispetto all’altezza media di m. 1,62 gli scarti si distribuivano con frequenza simmetricamente decrescente fino a un minimo di m. 1,32 e a un massimo di m. 1,90 e oltre34. Nella sua risposta a Bodio Quetelet sottolineò che anche questo risultato dell’antropometria militare, come quelli già utilizzati in precedenza, confermava la sua ipotesi scientifica: «J’attache plus de prix que vous



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ne pouvez penser, aux recherches que vous m'avez envoyées sur la loi régulière des nombres dans le classement des hommes d'un mème àge. Cette identité des résultats avec ceux que me donnaient l'Amérique du Nord, l'Angleterre, l'Ecosse, la Belgi-que et la France, prouve, il me semble, sans réplique, qu'il existe une loi pour les tailles, loi qu'on ne voulait pas croire, car on me traitait un peu comme un visionnaire. Cette identité pour les tailles fera qu’on y regardera de plus près pour les poids, pour les forces et pour les qualités physiques comme pour les qualités morales: c'est là, je crois, un point capitai, l’espèce a ses lois bien établies; ce n'est pas comme pour l'individu. J'aurai gagné énormément si je puis tourner l'atten-tion vers Fobservation des espèces; nous sommes sur un ter-rain magnifique, mais il faut l’aborder avec précaution. Vous ne sauriez croire combien j'ai déjà d'opposition sur les tailles et combien de gens, mème connus et très renommés me taxent d'étre sans principes supérieurs, sans respect pour la divini-té...»35.
Dalla ricerca sulla distribuzione dei caratteri antropometrici il discorso tra i due scienziati si elevava al grande problema dell'epoca, il rapporto tra scienza e fede, e agli altri temi suscitati dalla cultura positivista, di cui Bodio riferiva le prime manifestazioni italiane: i tentativi di Paolo Mantegazza di misurare l'azione dei sensi, le indagini di Alessandro Herzen il giovane sul rapporto tra determinismo fisiologico e volontà, le riflessioni di Fedele Lampertico sul nesso tra leggi statistiche e libero arbitrio36. Ma le pezze d'appoggio di queste discussioni generali rimanevano sempre le misure dei corpi, gli umili materiali di base della scienza antropometrica. E questi dati erano il prodotto di pratiche di selezione, di controllo, di disciplina: in primo luogo, anche nel nuovo Regno d'Italia, la pratica dell'istituzione militare. Le pubblicazioni ufficiali da cui Bodio aveva tratto le misure della statura dei coscritti italiani erano le relazioni sui risultati delle operazioni di leva che ogni anno un maggiore generale dell'esercito del regno, Federico Torre, redigeva per il ministro della guerra.
Federico Torre era un tipico esponente del personale politico e militare della Destra. Nato da una famiglia patrizia di Benevento, aveva studiato ingegneria a Roma, dove aveva collaborato al giornale liberale moderato «Il Contemporaneo». I rivolgimenti del 1848-49 lo videro tra i protagonisti: nel 1847 partecipò al movimento costituzionale a Napoli, nel 1848 combattè nel



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Veneto come ufficiale di artiglieria nella Legione romana di Giacomo Durando, nel 1849 fu segretario del Ministero delle armi della Repubblica romana. Dopo la sconfitta dell’esperienza rivoluzionaria, l’esilio prima a Malta e in Grecia, poi a Torino, dove Torre come tanti esuli trascorse il «decennio di preparazione» prendendo contatto con l’ambiente dei moderati e dei militari subalpini. Nella guerra del ’59 operò in Toscana e in Emilia come maggiore dell’esercito piemontese. Dopo l’unificazione, nominato «direttore della leva, bassa forza e materiale», ebbe l’incarico di dirigere le operazioni di leva, che mantenne per circa trent’anni, fino al 1891. Per tutto questo periodo Torre unì l’attività di comando presso il ministero della guerra a quella parlamentare, come .deputato e poi come senatore sui banchi della Destra37. Ma Torre non fu soltanto l’inflessibile organizzatore della leva militare: come tanti uomini della Destra era un intellettuale di formazione insieme scientifica e umanistica, autore di una storia della Repubblica romana e di altri lavori letterari e di erudizione38. Sotto la sua guida l’organizzazione della coscrizione militare divenne un efficiente strumento conoscitivo: egli elaborava le migliaia di dati che ogni anno affluivano al suo ufficio al ministero della guerra e li presentava in una serie di ampie relazioni sulla situazione dell’esercito. In queste relazioni Della leva Torre non si limitò ad illustrare gli aspetti strettamente organizzativi, come la formazione dei contingenti e la loro ripartizione tra i vari corpi dell’esercito, ma presentò anche una serie di dati di interesse antropometrico, medico, sociale: le misure della statura, il grado d’istruzione, l’attività dei coscritti, il numero dei riformati, le zone con percentuali più alte di riforma, le principali cause di riforma, le malattie più diffuse tra gli arruolati, i casi di renitenza e di diserzione. Per l’ampiezza dei temi e la quantità dei dati le relazioni del «generale delle statistiche», come lo chiamò Edmondo De Amicis, costituirono nei decenni seguiti all’unificazione nazionale il principale strumento per la conoscenza dei corpi dei sudditi del nuovo Regno. L’antropometria militare fornì la base documentaria a una antropologia fisica degli italiani.
Una ricerca sui corpi dei riformati nelle prime leve dell’esercito italiano deve prendere avvio dai dati offerti da questa fonte, in cui potere istituzionale e conoscenza scientifica si fondono in modo così evidente. I dati sui corpi dei riformati elaborati nelle relazioni ministeriali erano i risultati di un meccanismo istituzionale: i prodotti di una pratica di selezione che si



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proponeva, come obiettivo principale, di fornire i corpi idonei al funzionamento di una determinata macchina militare. La griglia che selezionava i corpi per l’esercito del regno d’Italia rispondeva alle esigenze generali di un modello militare che viene imposto, nel volgere di pochi anni, da una serie di scelte rapide e coerenti. La prima di queste scelte fu compiuta con la riorganizzazione, durante il «decennio di preparazione», dell’esercito del regno di Sardegna, che doveva costituire l’embrione del futuro esercito italiano. Gli alti ufficiali subalpini, Alfonso La-marmora, Ilarione Petitti di Roreto, Giuseppe Govone Genova, Thaon di Revel, che sarebbero poi divenuti ministri della guerra dopo l’unità, erano convinti fautori della necessità di riorganizzare l’esercito sardo secondo il «modello francese»: un esercito «di qualità» e «di caserma», formato da un contingente limitato di uomini sottoposti ad un lungo periodo di ferma, da cinque a otto anni, e di conseguenza ben addestrati, disciplinati, rigidamente separati dalla popolazione civile39. Il modello di esercito francese era adottato da tutti gli stati dell’Europa continentale, fuorché dal regno di Prussia, che dal periodo delle guerre antinapoleoniche manteneva un esercito «di quantità» o «di numero», formato da un contingente numeroso di uomini sottoposti ad una ferma allora considerata breve, da due a tre anni, e affiancati dai riservisti della Landwehr, la milizia territoriale che, pur sotto il controllo degli ufficiali prussiani, costituiva un legame tra esercito e popolazione. Nel movimento per l’unificazione italiana, i moderati si richiamarono al modello francese, mentre i democratici si riferirono al modello prussiano, che appariva più legato alla tradizione giacobina del «cittadino soldato» e della «nazione in armi»40. La scelta dell’esercito di qualità era dettata da prospettive d’ordine militare, finanziario, sociale: sul piano militare la convinzione che una nuova guerra all’impero asburgico non potesse essere combattuta che con l’appoggio di un esercito più potente, quello francese; sul piano finanziario, la necessità di non assegnare alle spese militari una quota superiore al 28% della spesa dello stato; sul piano sociale la preoccupazione di non diffondere la pratica delle armi tra una popolazione rurale scontenta e oscillante tra reazione e rivolta41.
Ma la scelta di un esercito di qualità comportava una forte riduzione del potenziale offerto dalle leve. Nell’esercito sardo soltanto il 25% circa dei richiamati veniva destinato al servizio, nella prima categoria con ferma di quattro o cinque anni, o



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nella seconda con un addestramento di quaranta giorni e con cinque anni nella riserva, ma la maggior parte, il 75% circa, veniva sciolto da ogni obbligo militare da un’ampia casistica di esenzioni, dispense e riforme42. Le esenzioni erano accordate per motivi familiari: in particolare ai figli maschi unici, ai primogeniti di madre vedova, ai primogeniti orfani di padre e di madre, ai giovani con un fratello già sotto le armi o morto in servizio. Le dispense erano concesse ai giovani avviati alla carriera ecclesiastica. Un dispositivo vasto e complesso regolava le riforme secondo la legge del 20 marzo 1854 e il regolamento annesso. L’articolo 78 della legge prescriveva: «Sono riformati gl’iscritti che per infermità, o per fisici ed intellettuali difetti risultino inabili al servizio militare, oppure siano di statura minore di un metro e cinquantaquattro centimetri» (p. 12), mentre il Regolamento sul reclutamento dell’esercito allegato alla legge del 1854 attribuiva il compito di «riformare ogni iscritto che non sia evidentemente in condizione di prestare un buon servizio» (p. 101) ai consigli di leva, i quali erano presieduti da un intendente (il prefetto o il viceprefetto), ed erano formati da due membri del consiglio provinciale, da due ufficiali dell’esercito, da un ufficiale dei carabinieri, dal commissario di leva, nominato dal ministero dell’interno tra i funzionari della prefettura o della sotto-prefettura, da un chirurgo o da un medico.
La selezione avveniva in due tempi. Nel corso di una prima convocazione i coscritti estraevano il numero che li collocava nelle liste di leva e li destinava alla prima o alla seconda categoria e dichiaravano gli eventuali motivi per cui aspiravano all’esenzione, alla dispensa o alla riforma. Successivamente, il commissario di leva procedeva a un primo esame e scartava immediatamente gli iscritti che non raggiungevano l’altezza di m. 1,54 o risultavano affetti da infermità o imperfezioni fisiche «le quali si possono giudicare insanabili colla sola ispezione oculare senza che occorra il giudizio di persone dell’arte» (p. 63). La misura dell’altezza doveva essere eseguita con la massima precisione: «La misura si eseguirà partendo dalla parte inferiore dei piedi e giungendo fino al punto verticale del capo. Nei casi dubbi, e ad evitare gli effetti della soperchieria, possono gl’inscritti essere distesi a terra e misurati supini» (p. 64). Le infermità e imperfezioni evidenti, considerate tali da determinare la riforma immediata, erano indicate in un elenco A del regolamento sul reclutamento: la mancanza di uno o di entrambi gli occhi; la mancanza di una o di entrambe le orecchie; la



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mancanza totale del naso; il gozzo; la gobba; la mancanza di una mano o di un piede; la mancanza del pollice di una mano o dell'indice della mano destra, o di due dita nelle due mani; la mancanza dell'alluce di un piede, o di due dita di un piede, o di un dito per piede.
Gli iscritti che chiedevano la riforma per motivi meno evidenti erano rinviati ad un secondo e definitivo esame, la vera e propria visita di leva, che si svolgeva di fronte al consiglio di leva e alla presenza dei sindaci dei comuni e dei padri o dei tutori dei visitati. La visita consisteva in un esame minuzioso del corpo del coscritto condotto dal medico procedendo dal capo fino ai piedi:
«L’uomo ritto e intieramente nudo, con i piedi ravvicinati e le braccia distese lungo il tronco e colle palme delle mani rivolte in avanti, si esamini dapprima la superficie del cranio percorrendola con le dita; si passi quindi agli occhi, alle orecchie, al naso, alla bocca, al collo, al petto, alle regioni inguinali e crurali, agli organi genitali, alle estremità inferiori dell’anca fino alle estremità dei piedi, ed infine alle estremità superiori palpandole e facendole muovere nelle varie direzioni. Facendo quindi rivolgere il dorso si esaminino le spalle, la colonna vertebrale, la pelvi, l’orifizio dell’ano, le regioni posteriori delle coscie e delle gambe procedendo dall’alto al basso. Si farà quindi passeggiare l’individuo al fine di riconoscere il modo di progressione, non dimenticando di far alternativamente sollevare le piante dei piedi con lo scopo d’assicurarsi della loro buona conformazione» (p. 245).
Esaminando il corpo dei coscritti il medico doveva tener presente un corpo ideale, che il Regolamento descriveva con tutti gli attributi della salute e della virilità: «Ritengonsi siccome indizii generali d'una buona costituzione gli occhi vividi, il collo eretto, il petto largo, peloso ed ispido, le braccia muscolose, il ventre gracile, le gambe ed i piedi asciutti, carnosi e ricoperti di peli, ed una giusta armonia nella proporzione e forma dei membri» (p. 245). I corpi dei coscritti potevano scostarsi da questo tipo ideale per la presenza di una o più «delle imperfezioni fisiche e delle infermità che danno luogo a riforma avanti i consigli di leva». Il Regolamento le descriveva in un lungo elenco B, che era suddiviso in due classi: la prima classe comprendeva i «vizi di conformazione e le affezioni morbose considerate per regioni», ed era divisa in malattie del capo, del tronco e delle estremità, che erano a loro volta suddivise in classificazioni più particolari; la seconda classe riguardava lo «stato della costituzione e malattie costituzionali» (pp. 248 e 315)43. Effettuata



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la visita il medico esprimeva il suo parere, che aveva carattere consultivo, al consiglio di leva, cui spettava la decisione definitiva.
Come risulta dal testo del Regolamento, i chirurghi e i medici nel corso della visita di leva non dovevano soltanto accertare le imperfezioni e le malattie reali: «... lo studio speciale di quelle simulate o dissimulate, la circospezione e la scaltrezza potranno guarentire dalle cavillazioni e sventare i colpevoli raggiri co' quali cercano taluni d'emanciparsi da un giusto tributo verso la patria» (p. 241).
La simulazione era una vera e propria tecnica del corpo, espressione di un sapere popolare, alimentato dalle «malizie» delle classi subalterne, come gli artifici usati dai mendicanti per fingere piaghe e mutilazioni e carpire così pietà e elemosine. Questo sapere e questa tecnica del corpo entravano in conflitto col sapere e colle pratiche di controllo della medicina del tempo: il Regolamento descriveva minutamente, accanto alle imperfezioni fisiche e alle malattie che potevano determinare la riforma, anche le tecniche della simulazione e le controtecniche per scoprirla. Si succedono così in queste pagine tutte le possibili manifestazioni di quella che è stata giudicata «forse la più singolare delle forme del duello tra Stato e cittadino, eterno duello là dove essi sono concepiti come esseri a sé stanti e nemici, il primo prepotente nel chiedere e imporre, il secondo, diffidente e guardingo, disposto a dare il meno possibile: da un lato lo Stato, impersonato dai suoi rappresentanti ufficiali, muniti delle cognizioni dell'arte medica, dall'altro l’individuo soggetto a tributo che mette a profitto al fine opposto le medesime cognizioni, cui aggiunge suggerimenti della scienza empirica popolare e un particolare addestramento alla simulazione specifica»44. Quasi tutte le cause di riforma potevano essere simulate. Il conflitto tra le autorità mediche e militari e i simulatori iniziava fin dalla misura dell’altezza: «La soverchia astinenza dal cibo, la privazione del sonno, l’uso delle cinghie (bretelles) che comprimono le spalle, sono gli espedienti cui prima dell’esame ricorrono talvolta gli inscritti, quando appena arrivano o soltanto superano di alcuni millimetri il minimum della statura stabilita pel servizio militare» (p. 103).
Una serie di imperfezioni e malattie veniva simulata mediante un addestramento del corpo a riprodurne i sintomi più vistosi. Fra di esse quella simulata più frequentemente era l'epilessia, ma come suggeriva il Regolamento «la schiuma della bocca, che nel simulatore potrebbe derivare da un pezzo di sapone



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nascosto sotto la lingua, si scioglierà facilmente nell'acqua lasciandovi un colore di perla, cosa che non avviene di quella del vero epilettico, la quale d'ordinario galleggia. Il simulatore contrariamente a quanto succede nel vero epilettico si scuoterà al vellicamento del naso con una festuca, all'azione dell'ammoniaca liquida o d'altra sostanza irritante le narici, al solletico della pianta dei piedi, ad un'immediata aspersione di acqua fredda, e si spaventerà all'improvviso ed intenso fragore di un'arma da fuoco sparatagli d'innanzi» (pp. 252-3). Anche la simulazione della balbuzie era molto diffusa, per la sua relativa facilità: il Regolamento suggeriva che «sarà perciò in tali casi necessario di far pronunziare dal sospetto simulatore le lettere R e Z o quelle altre parole di difficile articolazione, la pronunzia delle quali riesce quasi impossibile a tutti i veri balbuzienti. Potrebbe accadere che il simulatore non abbastanza avveduto pronunziasse con facilità siffatte parole od affettasse difficoltà a pronunziarne altre che fossero per contro di più agevole pronuncia pei veri balbuzienti» (p. 281). La sordità era simulata con abilità e tenacia tali da confondere il medico e da consigliare l'invio del sospetto simulatore in un ospedale militare: «l'ufficiale di sanità debbe francamente dichiarare avanti al consiglio di revisione che l'arte sua non somministra sufficienti mezzi per chiarire la verità, e ch'è perciò necessario sottoporre la persona ad una protratta osservazione in un ospedale militare. In tale caso seguendola destramente nelle relazioni co’ suoi compagni, lasciando inaspettatamente cadere qualche moneta in sua vicinanza, chiamandola per nome improvvisamente a sommessa voce o svegliandola repentinamente di notte coll'appuntarle qualche grave delitto, raro sarà che non si pervenga in breve tempo a scoprire la frode» (p. 259). L'invio in ospedale militare era prescritto anche per scoprire la simulazione, facile e perciò assai frequente, dell'enuresi notturna: in questo caso «per escludere il sospetto d'influenza volontaria gioverà, dopo aver esplorato convenientemente la vescica con un catetere, amministrare al malato una moderata dose d'oppio e, poiché questi si trova immerso nel sonno, avvolgere dolcemente il pene con una compressa e fare che un assistente vada spesse volte visitandolo di notte tempo; se per quattro o sei ore il pannolino rimane sdutto e soltanto allora si fa umido quando l'uomo è svegliato, si potrà con tutta sicurezza pronunziare l'inganno» (p. 302). Anchilosi, contrazioni muscolari, paralisi degli arti, claudicazioni erano simulabili con un minimo di addestramento, ma poteva-



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no venire accertate altrettanto facilmente: nel caso della paralisi simulata di un braccio «si giunge a scoprire lo inganno vellicando al sospetto di simulazione, mentre è immerso nel sonno, con una piuma le narici e l'orecchia corrispondente al braccio presunto paralitico, il quale a cotal gioco non sarà tardo a portare la mano sulla parte solleticata» (p. 256). Con un lungo esercizio si giungeva a inarcare la colonna vertebrale e a simulare la gobba: in questo caso il Regolamento prescriveva di «raddrizzare la colonna vertebrale facendo collocare il sumulatore prono sopra un lungo piano stringendogli fortemente i lombi con una correggia, estendendogli le braccia al disopra della testa e togliendoli in questo modo ogni volontario influsso sui muscoli» (p. 289).
I sintomi di molte altre imperfezioni e malattie venivano, più che simulati, provocati artificialmente. Si simulavano le malattie della pelle, come la tigna, gli eczemi, le ulcere, cospargendo la superficie del capo e di altre parti del corpo con sostanze irritanti: «Il cercare d'esimersi dal servizio militare col procurarsi ulcere artificiali, segnatamente alle gambe, o col mantenere aperte le vere con applicazioni di sostanze dotate di causticità, o con mezzi meccanici, è pratica antichissima; nel quale caso vi è provocazione anziché simulazione di malattia. S’ebbe ricorso al sugo degli euforbiacei, alla timelea, al rhus toxicodendron, all’ammoniaca liquida, agli acidi minerali, ai vescicatorii d’ogni specie ed ai caustici potenziali per aprire un’ulcera, e si procurò di mantenerla aperta con polvere o cenere di tabacco, con tabacco masticato, con polveri irritanti od anche con mezzi meccanici». Queste infermità procurate ad arte dovevano essere curate con particolari avvertenze negli ospedali militari: «in tale caso sarà l’individuo sospetto assoggettato ad una rigorosa osservazione e si tracceranno con inchiostro alcune linee o segni particolari sopra le bende dell’apparecchio di medicazione, accioché non possano essere tolte senza che il curante di ciò s’avveda, e, se questo non basta, gioverà rinchiudere dopo la medicazione il membro entro una cassetta a lucchetto a fine di sottrarlo ad ogni meccanica offesa» (pp. 312-3). Con l’introduzione negli occhi di sostanze irritanti o dilatanti si riproducevano i sintomi di disturbi o malattie oculari come la lacrimazione, le lesioni della cornea, l’amaurosi «impossibile a simularsi per effetto della volontà, quando non si ricorra maliziosamente all’applicazione sull’occhio d’una di quelle sostanze che hanno la facoltà di produrre una temporanea dilatazione della pupilla, quali



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sono gli estratti d'atropa belladonna, quello di giusquiamo, l'acqua distillata di laureola e la soluzione di atropina» (p. 272). Con l'introduzione nelle orecchie di miele, di succhi d'erbe, di formaggio o di pezzi di spugna imbevuti di sostanze irritanti si simulavano i sintomi deH'otorrea o «scolo fetido» (p. 257). Con analoghi espedienti si simulavano le otturazioni nasali: «si simulano talora i polipi coll'introdurre nelle fosse nasali testicoli di pollo o di coniglio. Ma sarà facile lo scoprire la frode con un'attenta ispezione della parte o colla provocazione dello sternuto mediante il tabacco, l'euforbio ed al bisogno anche colla titillazione meccanica della mucosa, essendo in tale caso lo sternuto per lo più sufficiente per espellere il corpo straniero» (p. 275). Con sostanze corrosive, sangue d'animali o erbe medicinali introdotte in bocca si simulavano l'irritazione delle gengive propria dello scorbuto, le emottisi e perfino il mutismo: ma il Regolamento ricordava che «nella mutolezza simulata o prodotta momentaneamente da sostanze velenose, come dallo stramonio, qualche prova dolorosa, la privazione degli alimenti, il rin-chiudimento, non tarderanno qualche volta a rendere la parola ai simulatori. Il finto muto dimentica facilmente la sua parte, allorché, sorpreso di notte tempo, crede per es. d'essere assassinato ed è costretto ad azzuffarsi per propria difesa. Allora getta egli un grido ben pronunciato laddove non si dovrebbe udire che uno strido» (pp. 279-80). Le emorroidi venivano ingegnosamente riprodotte e introdotte nell'orifizio anale: «i simulatori sogliono servirsi d'alcune vescichette di pesce o di topo, ripiene d'aria e tinte di sangue, le quali introducono e ritengono con particolare artificio nell'ano. Una leggera puntura a siffatti tumori (la quale puntura in ogni caso non potrà mai nuocere nelle vere emorroidi) facendoli istantaneamente appassire ne metterà in chiaro la frode» (p. 296). Con l'introduzione di droghe nel retto si ottenevano pallori, o arrossamenti, malessere, palpitazioni, che potevano apparire come sintomi di disturbi cardiaci: «l'aglio, il pepe, il tabacco ed altre sostanze aromatiche, introdotte e mantenute nell'intestino retto, furono viste non di rado cagionare un'agitazione generale con esagerati movimenti cardiaci, dispnea, palpitazione, rossezza o pallidezza alla faccia da potere ad un meno avveduto imporre per un'ipertrofia o per una dilatazione delle cavità del cuore» (p. 292). Molti di questi espedienti finivano per provocare disturbi altrettanto gravi di quelli che si volevano simulare: nella simulazione della gracilità «non è a tacersi che taluni, a fine di simulare siffatta



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debolezza costituzionale, riescono, mediante un lungo digiuno, colla veglia protratta e coll'uso reiterato degli emetici e dei purganti, a comunicare un pallore pressoché cadaverico al loro sembiante. Vuoisi che l'aglio introdotto nell’intestino retto dia luogo ad un malessere generale accompagnato da una straordinaria e rimarchevole pallidezza del volto. Ma egli è a notare che tali colpevoli stratagemmi non sono sempre innocui e che non di rado danno luogo a reali ed anche gravi malattie» (p. 316).
Ancora più dolorosi e pericolosi erano altri procedimenti, come l'estirpazione delle ciglia per produrre la lacrimazione, l’insufflazione d’aria nella tiroide per simulare il gozzo, nell’inguine per simulare l'ernia, nello scroto per simulare l’idrocele: «Si ricorre talora all’insufflazione d’aria nel tessuto cellulare dello scroto ed anche alla iniezione d’acqua mediante una piccola puntura nella parte posteriore e più nascosta del medesimo, a fine di simulare l’idrocele; ma la mancanza dei segni propri di questa, aggiunta alla leggerezza e crepitazione del tumore nel primo caso ed in ambi i casi le tracce della puntura che possono riscontrarsi, serviranno a svelare la frode» (p. 300). Attraverso queste pratiche la simulazione si spingeva fino all’autolesionismo, che raggiungeva le espressioni più drammatiche con le mutilazioni volontarie: in questi casi ai medici e ai consigli di leva non restava che inviare i responsabili di fronte ai tribunali civili. La legge militare imponeva la condanna non solo dei simulatori ma anche degli «esperti» che li avessero consigliati e aiutati nelle loro pratiche: «Gl’inscritti colpevoli d’essersi procacciati infermità temporarie o permanenti al fine d’esimersi dal servizio militare, sono puniti col carcere estensibile ad un anno. Qualora risultino abili ad un servizio qualunque militare, dopo che abbiano scontata la pena, sono assentati. I medici, chirurghi, flebotomi e speziali che siansi resi complici di questo reato sono puniti colla pena del carcere da due mesi a due anni, oltre che ad una multa estensibile a lire duemila» (p. 27).
Questo complesso di disposizioni, che regolava la selezione di alcune decine di migliaia di corpi di coscritti nel regno di Sardegna, venne impiegato per la selezione di centinaia di migliaia di corpi su quasi tutto il territorio della penisola quando, nelle fasi conclusive dell’unificazione nazionale, l’«armata sarda» venne trasformata in «esercito italiano» attraverso la «fusione» nelle strutture dell'esercito piemontese dei contingenti lombardi, toscani, emiliani, e la liquidazione dell'esercito garibaldi-



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no45. Mentre venivano compiute queste scelte generali, la legislazione piemontese sul reclutamento dell'esercito veniva estesa ai territori via via annessi al regno di Sardegna. Tra il 1859 e il 1861 vennero indette 8 leve parziali: la prima fu indetta nel 1859 in Lombardia sui giovani nati nel 1839; la seconda fu indetta nel 1860 nelle antiche province del regno di Sardegna (Piemonte, Liguria, Sardegna) e nelle Romagne sui giovani nati nel 1839; la terza venne indetta nel 1860 nelle antiche province del regno di Sardegna, in Lombardia e in Emilia sui giovani nati nel 1840; la quarta fu indetta nel 1860 in Toscana sui giovani nati nel 1841; la quinta fu indetta nel 1861 nelle Marche e in Umbria sui giovani nati nel 1839 e nel 1840; la sesta fu indetta nel 1860 in Sicilia sui giovani nati nel 1840; la settima fu indetta nel 1861 nelle antiche province del regno di Napoli sui giovani nati nel 1836, 1837, 1838, 1839, 1840, 1841; l'ottava venne indetta nel 1861 nelle antiche province del regno di Sardegna, in Lombardia, in Emilia, nelle Marche, in Umbria e in Sicilia sui giovani nati nel 1842. Di queste otto leve parziali tre, quelle indette in Lombardia, in Toscana e nelle antiche province del regno di Napoli, vennero effettuate sulla base delle preesistenti legislazioni locali (rispettivamente la Patente sovrana austriaca del 1820, la legge toscana del 1860 e quella napoletana del 1834), mentre le altre cinque vennero effettuate sulla base della legge piemontese del 1854, che tra il 1860 e il 1862 fu poi estesa anche alla Lombardia, alla Toscana e all'Italia meridionale.
Nella sua Relazione al Sig. Ministro della guerra sulle leve eseguite in Italia dalle annessioni delle varie provincie al 30 settembre 1863 (Torino 1864), Federico Torre delineò le tappe di questa progressiva estensione della legislazione militare piemontese, riferendo anche dell'ostilità suscitata dalla applicazione della legge sarda e dei gravi fenomeni di renitenza nelle Marche e in Umbria:
«gli inscritti i quali non si presentarono punto ai consigli di leva, né in modo alcuno vi si fecero rappresentare e vennero di conseguenza dichiarati renitenti furono 6.681, che sopra 22.889 inscritti sulle liste d’estrazione danno la proporzione del 29,18 per cento. Nella leva sui nati nel 1839 nelle Romagne pur nuove alla coscrizione, e nelle antiche provincie, la proporzione tra i renitenti e gli inscritti fu del 6,57 per cento; e nella leva sui nati nel 1840 nelle Romagne, nella Lombardia, nel Modenese e Parmense, e nelle antiche provincie fu del 5,05 per cento. Questa differenza cotanto rimarchevole mostra evidentemente quanta fosse l'avversione al militare servizio nelle provincie delle Marche e dell’Umbria».



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Anche nell’Italia meridionale le percentuali dei renitenti furono molto alte: nella leva indetta in Sicilia nel 1860, su 24.825 iscritti alle liste 4.987, il 20,08%, non si presentarono ai consigli di leva (pp. 192-3). Nella leva indetta nel 1861 nelle antiche province del regno di Sardegna, nella Lombardia, in Emilia, nelle Marche, in Umbria e in Sicilia la renitenza toccò la maggiore intensità in circondari situati quasi interamente nell’Italia centrale e meridionale, con percentuali del 42,48% a Palermo, del 35,36% a Macerata, del 32,27% a Urbino, del 31,91% a Chiavari, del 30,65% a Orvieto, del 29,94% a Catania, del 28,27% a Spoleto (pp. 2704).
Se le autorità locali giunsero in qualche momento a scorgere nelle reazioni all’introduzione immediata della coscrizione un rischio per il compimento del programma di unificazione, al potere centrale l’unificazione militare apparve come il presupposto dell’unità nazionale. Scriveva Torre nella sua Relazione:
«Sembrava a molti cittadini dabbene ed autorevoli, ma timidi, e ne scrivevano di continuo al governo, che fosse rischiosa impresa codesta, il volere d’un tratto assoggettare all'imposta, che chiamavano di sangue, tanta parte del Regno, e far pericolare così le sorti della patria colla sollevazione di quelle provincie. Il Ministero della guerra non curò i paurosi rapporti, ebbe in miglior conto l’amor patrio di quelle provincie, né stimò colla condiscendenza o colla pazienza, come i più consigliavano, estinguere i mali umori e consumare la ritrosia delle popolazioni, ma volle gagliardamente urtare le opposizioni, e per provvedere aH’armamento della Nazione e per non rompere colle concessioni la civile egualità» (p. 49).
La renitenza venne combattuta con provvedimenti eccezionali, che andavano dalle perlustrazioni operate da reparti dei carabinieri e dell’esercito fino an’imposizione di picchetti militari nelle case dei renitenti, come avvenne nelle Marche e in Umbria:
«Questa misura certamente grave fu temperata da ordini severissimi ai soldati destinati per le case perché usassero modo e contegno di buoni cittadini, e il soldato rispose mirabilmente al pensiero del governo, ed in qualche povero casolare, anziché aggravio, recò conforto ed aiuto. Dopo pochi giorni di esperimento il risultato essendo buono se ne sparse anche nelle altre regioni la voce, e le giunte stesse municipali in molti luoghi delle Romagne, del Modenese e del Parmense, sia direttamente, sia per mezzo delle autorità militari e civili delle provincie richiesero la stessa rigorosa misura per purgare le loro terre dai non pochi refrattari alla legge, assicurando che qualora fosse messa in esecuzione, essa eserciterebbe una influenza efficacissima per le



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venture leve, poiché dando al governo nome di governo forte, toglierebbero a molti giovani la voglia di sottrarsi ai proprii doveri verso la patria» (p. 166).
Ma il ricorso alle misure eccezionali non impedì ai funzionari preposti alle operazioni di leva di individuare le dimensioni psicologiche e sociali della renitenza. Nella sua relazione Torre espose il contenuto di un rapporto dell'intendente di Ancona, che tentava di analizzare il comportamento dei renitenti:
«A mantenerli lontani, continuava quell’intendente, contribuiscono la novità della misura, di cui continua l'aborrimento dei tempi napoleonici, un soverchio attaccamento ai focolari, ed alle abitudini domestiche, ed una indifferenza nudrita dalla speranza che troppi essendo i renitenti, diventerà impossibile ad eseguire la legge, e seguirà di essa come delle leggi pontificie che si proclamavano, ma non si mandavano ad effetto. Ma soprattutto, soggiungeva, valgono a trattenere la gioventù i maneggi del clero e dei loro aderenti; essi spaventano le famiglie sotto i rapporti di coscienza, spargono voci del prossimo ristabilimento del governo del papa, parlano di controrivoluzione, e di una nuova guerra degli austriaci come di cose imminenti e sicure. Queste fole, per quanto siano ridicole, pure non mancano di essere credute particolarmente dai villici disseminati nella campagna e che lontani da ogni consorzio sono soggetti alla influenza dei preti» (p. 165).
Secondo un atteggiamento comune al ceto dirigente che realizzò l'unificazione. Fintendente di Ancona tendeva a scorgere la causa principale della renitenza nella propaganda del clero, ispirata da un disegno di restaurazione antiunitaria.
Ma i motivi di questa agitazione potevano aver presa sui contadini perché rispondevano in qualche modo ai loro sentimenti e ai loro calcoli. Nel rapporto citato da Torre l'intendente del circondario di Ancona ricordava l’attaccamento dei renitenti alle famiglie, la loro convinzione di far fallire, con la renitenza, l’organizzazione della leva, e anche la loro avversione a sottoporre alla misura i propri corpi. Era un’avversione che risaliva all’introduzione della coscrizione durante l’occupazione napoleonica: allora la misura del corpo aveva significato obbligo militare; ora, a distanza di circa mezzo secolo, il nuovo regno d’Italia sembrava riprendere quella tradizione di una pressione sui sudditi capillare al punto di passare anche per il controllo dei corpi. Ma questa pratica suscitava un’ostilità di cui non è facile intuire tutte le implicazioni. Nelle sue riflessioni sulla metrologia storica Witold Kula ha sottolineato come i problemi della misurazione implicano sempre rapporti di potere e conflitti so-



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ciali: fra le misure studiate da Kula non vi sono quelle dell’antropometria militare, ma si può immaginare quale avversione potessero provare i contadini, spesso diffidenti verso i tentativi di misurare esattamente i terreni che lavoravano, verso l’obbligo di sottoporre a misura anche i loro corpi46. Ma ai funzionari preposti alla leva sfuggiva forse l’impulso più forte alla renitenza: la consapevolezza che i corpi dei coscritti non erano uguali di fronte a quella che le autorità chiamavano «l’imposta di sangue». La legislazione militare piemontese ammetteva la surrogazione, ossia la possibilità, per un coscritto giudicato idoneo al servizio, di farsi sostituire mediante il pagamento di una somma di denaro a un privato o direttamente all’esercito. Il prezzo della surrogazione era talmente elevato da poter essere affrontato solo da giovani provenienti dall’aristocrazia o dall’alta borghesia. Perciò la surrogazione influiva largamente sulla composizione sociale dell’esercito: la truppa veniva formata quasi esclusivamente da giovani provenienti da famiglie di piccoli proprietari, di commercianti, di impiegati, di artigiani, di operai, di contadini, di braccianti47. I corpi dei poveri sostituivano quelli dei ricchi nei lunghi anni di ferma e nei pericoli della guerra. La disciplina e la professionalità dell’esercito di qualità, esaltate da La Marmora e dagli alti ufficiali del nuovo esercito italiano, erano largamente riservate ai ceti più umili.
La relazione di Federico Torre riferiva delle difficoltà e delle controversie suscitate nelle prime leve dell’esercito italiano dall’introduzione della misura del corpo dei coscritti. Nel regno di Sardegna l’altezza veniva misurata secondo il sistema metrico decimale, ma esso non era stato adottato dagli altri Stati italiani: per l’esecuzione della leva indetta nel 1860 in Toscana la Direzione provvisoria della guerra insediata a Firenze emanò ima serie di istruzioni sul «modo di determinare la statura de' coscritti conguagliando la misura metrica con l’antica misura toscana in braccia e relative frazioni» (pp. 232-3). Per l’esecuzione della leva indetta nel 1861 nelle antiche province del regno di Napoli «fu vivamente raccomandato che la misura degli inscritti seguisse colla maggiore pubblicità presso i consigli comunali perché gli interessati potessero assistervi, e valersi ove lo credessero del diritto che loro accordava la legge di reclamare perché alcuno creduto indebitamente escluso per difetto di statura potesse essere rimisurato. Fu altresì inculcato di servirsi dell’opera di professori sanitarii più meritevoli e noti per probità e per sapere nella visita dei requisiti, avvertendo



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come fosse opportuno che l’uno dei due fosse civile, militare l’altro, nel duplice scopo di conseguire un vicendevole sindacato, e di veder conciliati con esso e nel loro accordo gli interessi amministrativi e militari» (pp. 213-4).
Ma questi tentativi di rassicurare i coscritti e i loro famiglia-ri sull’equità dei criteri adottati nella misurazione e nella visita medica non impedirono il ricorso alla simulazione. Nella leva indetta nel 1861 nelle antiche province del regno di Napoli «non mancarono ancora le malattie simulate per carpire la riforma mercé la applicazione de’ caustici ed altri simili mezzi» (p. 215). Altri casi di simulazione si verificarono nella leva indetta nel 1861 nelle antiche province del Regno di Sardegna, in Lombardia, in Emilia, nelle Marche, in Umbria e in Sicilia. I casi di favoreggiamento furono perseguiti severamente: nella stessa leva del 1861 «il consiglio di leva di Mondo vi, per constatare il difetto organico al cuore addotto per ottenere la riforma dell’inscritto S., deliberava fosse mandato in osservazione all’Ospedale militare di Cuneo. Prima di partire alla volta di quella città recavasi, dietro suggerimento altrui, in casa del medico G. il quale visitato l’infermo dichiarossi pronto di recarsi a Cuneo per propugnarne gli interessi e per meglio far conoscere ai medici di quello ospedale il difetto organico di lui, aggiunse avere amicizia con quei professori e sperare di ottenere la desiderata riforma. Fu pattuita la somma di lire 600 ove il dottor G. riuscisse nello intento, e di quella somma furono tosto pagate lire 504, con obbligo di soddisfare il resto fra breve. Scoperta la frode il Ministero della guerra raccolse i documenti, fra i quali una lettera originale del medico G. all’iscritto S. in cui gli significava occorrere altre lire 300 per lo scopo desiderato, e li trasmise al procuratore generale del Re per l’opportuno procedimento. Il tribunale di Mondovì con sentenza del 24 luglio 1862 condannò il medico G. a tre anni di carcere ed alla multa di L. 300, ammessa l’indennità, giacché egli appena seppe scoperta la sua frode erasi affrettato a restituire la somma carpita all’inscritto il quale trovato sano e robusto fu arruolato» (pp. 257-8).
La tendenza a indulgere nella concessione della riforma, che si manifestò a volte nei consigli di leva, venne fermamente contrastata: «un consigliere provinciale a Pavullo dopo tre sedute abbandonò il consiglio perché le altre autorità non vollero secondarlo nella facoltà grande che egli aveva di proporre le riforme degli inscritti non ostante l’avviso contrario del medico



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e degli altri consiglieri» (p. 290). Ma in genere i consigli di leva selezionarono i corpi dei coscritti applicando rigorosamente le disposizioni della legislazione piemontese, come lascia intuire lo scarso numero dei riformati «in rassegna speciale», ossia di quei coscritti che, considerati idonei dai consigli di leva, venivano invece scartati attraverso un ulteriore esame, la «rassegna speciale», quando avevano già raggiunto i rispettivi contingenti: infatti non raggiunsero mai 1'1% e il loro scarso numero appare come un indice di scrupolosa applicazione del regolamento piemontese da parte dei consigli di leva.
Malgrado le difficoltà create dalla renitenza per il completamento dei contingenti previsti, la selezione dei corpi fu rigorosa: dei 736.166 iscritti nelle liste delle 8 leve indette tra il 1859 e il 1861, 152.233, il 20,68%, vennero riformati. Ma questo dato risulta da normative non omogenee, perché accomuna le riforme attuate secondo le precedenti legislazioni locali nelle leve indette in Lombardia, in Toscana e nelle antiche province del regno di Napoli a quelle attuate secondo la legislazione piemontese nelle leve indette successivamente. Solo le riforme decise nelle ultime 5 leve possono essere oggetto di una valutazione comune, che mostra un aumento della percentuale dei riformati: su 562.018 coscritti 131.616, il 23,4%, vennero scartati. Ma anche questa percentuale deve essere considerata approssimata per difetto. Nelle relazioni ministeriali la percentuale dei riformati veniva calcolata sul totale degli iscritti nelle liste di leva, non sul numero degli iscritti effettivamente valutati dai consigli di leva. Non tutti gli iscritti venivano misurati e visitati: in parte essi venivano cancellati perché risultavano già morti, o iscritti per errore, o iscritti due volte; in parte venivano esentati per motivi familiari (unici figli maschi, primogeniti orfani di padre e di madre, figli unici o primogeniti di madri vedove, iscritti con un fratello già in servizio o morto in servizio); in parte venivano dispensati perché avviati alla carriera ecclesiastica; in parte venivano rinviati alla leva e alla visita successiva perché risultavano più alti di m. 1,54 ma non raggiungevano ancora la misura prescritta di m. 1,56, oppure venivano giudicati affetti da malattie guaribili entro un anno; infine i renitenti non si presentavano alla convocazione.
Per conoscere il numero dei coscritti effettivamente misurati, visitati e valutati dai consigli di leva occorre detrarre dal numero complessivo degli iscritti nelle liste il numero dei cancellati, degli esentati, dei dispensati, dei rivedibili e dei renitenti.



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Sul dato così ottenuto è possibile calcolare con maggiore esattezza l'incidenza effettiva dei riformati48. Seguendo questo procedimento la percentuale dei riformati risulta assai più alta di quella indicata nelle relazioni ministeriali: si veda la tabella 1 alla pagina seguente.
Oltre un terzo dei coscritti venne dunque scartato, ma all'interno di questa quota così alta occorre distinguere i riformati per difetto di statura dai riformati per vere e proprie infermità: tabella 2.
Le percentuali dei riformati per difetto di statura erano più basse nell'Italia settentrionale e più alte nell’Italia meridionale, mentre per i riformati per deformità e malattie avveniva il contrario. La percentuale complessiva dei riformati per malattie e imperfezioni era comunque assai elevata. Le infermità più diffuse erano il gozzo, i tumori ghiandolari, l’ipertrofia del collo o «gola grossa», le ernie, gli sventramenti, il cirsocele, il varicocele, la claudicazione e altre infermità degli arti, le varici, la gracilità: tabella 3.
Queste malattie e «imperfezioni» rivelano un vissuto corporeo avvilito dal lavoro e dalla povertà: la bassa statura dipendeva da fattori etnici ma anche ambientali; il gozzo era legato alle situazioni topografiche, ma anche sociali delle valli alpine; il varicocele, il cirsocele, le ernie erano provocate da lavori faticosi, compiuti in piedi, nelle campagne o nelle manifatture cittadine; la gracilità era il prodotto della carenza d’alimentazione.
Fin dalla sua prima relazione Torre si preoccupò di individuare i circondari nei quali si addensava il maggior numero di riformati. Nelle prime leve parziali le percentuali più alte di riformati si concentrarono in circondari dell’Italia settentrionale e della Sardegna: Aosta, Iglesias, Susa, Pallanza, Lanusei, Pinerolo, Cagliari, Cuneo. I circondari delle Marche, dell'Umbria e della Sicilia che ebbero il maggior numero di riformati, ebbero tuttavia percentuali assai più basse di quelle dei circondari settentrionali. Nella leva eseguita sulla porzione più ampia del territorio della penisola, quella indetta nel 1861 nelle antiche province del regno di Sardegna, in Lombardia, in Emilia, nelle Marche, in Umbria e in Sicilia i circondari con percentuali più alte di riformati furono: tabella 4.



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Nei circondari sardi di Lanusei, di Nuoro e di Iglesias il maggior numero di riformati veniva scartato per difetto di statura; negli altri circondari il maggior numero di riformati venne invece scartato per deformità o malattie: nel circondario di Aosta 186 su 538 riformati, il 34,57%, risultarono affetti dal gozzo; nel circondario di Val di Taro 19 riformati su 149, il 12,75% erano affetti da insufficienza del perimetro toracico e 13, 1’8,72%, dal gozzo; nel circondario di Oristano 66 riformati su 588, 1'11^2% erano affetti da cirsocele e varicocele, e altri 52, 1'8,85%, da gracilità; nel circondario di Treviglio 88 riformati su 406, il 21,67%, era affetto da gozzo; nel circondario di Breno 71 riformati su 235, il 30,21%, erano affetti da gozzo49.
Attraverso questi dati si potevano scorgere le prime linee di una «geografia patologica» della penisola, con le sue zone oscure, fitte di corpi malformati e infermi: «Dal quadro delle imperfezioni e malattie che determinarono la riforma degl'inscritti e che riportiamo infine — scriveva Torre nella sua Relazione — si avranno i più minuti particolari intorno a questo argomento; e si potrà eziandio osservare quali sieno le malattie dominanti in alcune regioni, e quali in altre, e questa statistica delle infermità potrà porgere argomento di studii e di meditazioni ai cultori dell'arte salutare» (p. 72).
Tuttavia la statistica dei riformati non rivelava una realtà del tutto ignota. L'analisi della degradazione dei corpi e dei suoi nessi con le particolari condizioni di vita e di lavoro aveva largamente percorso le ricerche e le riflessioni di «economia civile» negli stati pre-unitari. Nel regno di Sardegna Carlo Ilario-ne Petitti di Roreto aveva studiato la diffusione della tisi, della scrofola e del rachitismo tra i fanciulli e le donne impiegati nelle manifatture seriche e cotoniere del Piemonte, della Savoia, della Liguria, della Lomellina50. In Lombardia Stefano Jaci-ni aveva analizzato le malattie che affliggevano i contadini e Giuseppe Sacchi aveva denunciato la riduzione «a larve d’uomini» dei fanciulli impiegati nei filatoi di seta e di cotone di Milano, di Como, di Lecco, di Bergamo, di Sondrio51. Nelle legazioni pontificie Luigi Carlo Farini aveva discusso gli effetti del lavoro delle risaie sul corpo dei braccianti, e nel Granducato di Toscana Francesco Puccinotti aveva paragonato le conseguenze nocive della risicultura a quelle del lavoro di fabbrica52. Nei Congressi degli scienziati l’analisi e la denuncia della degradazione dei corpi erano state inserite in una prospettiva politica. I medici provenienti dai diversi stati avevano affermato la necessi-



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tà di un'azione comune contro la tisi, la malaria, la sifilide, il colera, le «malattie popolari» che investivano il popolo italiano al di là dei confini dei singoli stati. La ricognizione statistica dei corpi dei malati e dei vecchi negli ospedali, nei lazzaretti, nei gerontocomi avrebbe dovuto costituire la base documentaria di una «medicina positiva», capace di dispiegare la sua efficacia contro le astrazioni accademiche e le superstizioni della medicina popolare53. Attraverso queste proposte la conquista della «salute pubblica» era divenuta un obiettivo politico: la redenzione dei corpi degradati dalla miseria e dalla fatica avrebbe dovuto essere un aspetto dell'emancipazione nazionale. I dati sui riformati pubblicati nelle relazioni sulle prime leve del nuovo regno mostrarono che le aspirazioni e i progetti dei medici, dei filantropi, dei politici erano ancora inattuati. L'unificazione politicomilitare non aveva risolto alcuna delle situazioni particolari che essi avevano denunciato, ma le aveva solo collegate in ima dimensione nazionale. Il problema del corpo degli italiani si sarebbe perciò ripresentato, con accentuata drammaticità, negli anni post-unitari.
Bernardino Farolfi
Università di Bologna
NOTE AL TESTO
1 Su Michelet storico del corpo, R. Barthes, Michelet, Guida, 1978, pp. 78-116. Su Huizinga, P. Ariès, Huizinga e i temi macabri, in Storia della morte in Occidente, Rizzoli, 1978, pp. 110-128. Sul corpo «absent aussi de l’histoire, et pourtant l'un de ses lieux», J. Revel e Jean-Pierre Peter, Le corps. L’homme malade et son histoire, in Faire de l’histoire, Gallimard, 1974, voi. Ili, pp. 167-191.
2 A. Soboul, Georges Lefebvre storico della rivoluzione francese (1874-1959), in G. Lefebvre, Riflessioni sulla storia, Editori Riuniti, 1974, pag. 26. Lefebvre faceva riferimento alla storiografia sociale su basi demografiche di L. Cheva-lier, Classi lavoratrici e classi pericolose. Parigi nella rivoluzione industriale, Laterza, 1976.
3 F. Braudel - R. Philippe - J-J Hermardinquer, Inchiesta Vita materiale e comportamenti biologici, «Annales E.S.C.», 1961, n. 3, tradotto in Problemi di metodo storico, a cura di F. Braudel, Laterza, 1973, voi. I, pp. 206-237; Histoire biologique et société, «Annales E.S.C.», 1969, n. 6; F. Braudel, Capitalismo e civiltà materiale (secoli XV-XVIII), Einaudi, 1977.
4 K. Marx, Il Capitale, Editori Riuniti, 1967, 1. I, pag. 200. Fanno eccezione



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gli storici marxisti che hanno dibattuto sul livello di vita del proletariato inglese nella rivoluzione industriale, da E. W. Thompson a E J. Hobsbawn, e, in Italia, S. Merli, che in Proletariato di fabbrica e capitalismo industriale. Il caso italiano: 1880-1900, La Nuova Italia, 1972, voi. I, pp. 277-333, ha ripreso il tema marxiano del «genocidio pacifico» della forza-lavoro operato dalla prima industrializzazione.
5 Norman O. Brown, La vita contro la morte, Adelphi, 1964; Corpo d'amore, Il Saggiatore, 1969.
6 M. Foucault, Nascita della clinica, Einaudi, 1969; Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Einaudi, 1976; Potere-corpo, in Microfisica del potere, Einaudi, 1977, pp. 137-145; La volontà di sapere, Feltrinelli, 1978.
7 A. Boldrini, Antropometria, in Trattato italiano di igiene, Torino, 1930, pp. 283-285.
8 F. Jonas, Storia della sociologia, Laterza, 1970, pp. 284-305.
9 I. Scardovi, Adolphe Quetelet tra determinismo e accidentalismo, in «Atti della Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna», Rendiconti, voi. LXLI, 1977-1978.
10 A. Quetelet, Fisica sociale ossia saggio intorno all'uomo ed allo svolgimento delle sue facoltà, in Biblioteca dell'economista, s. Ili, voi. II, Torino, 1878, pag. 373.
11 Ibidem, p. 406.
12 Ibidem, pag. 407.
13 A. Quetelet, Fisica sociale, cit., pag. 395.
14 Idem, pag. 1160.
15 I. Scardovi, Adolphe Quetelet tra determinismo e accidentalismo, cit., pag. 41; Rileggendo Darwin. Appunti per una storia critica dell'indeterminismo, in Studi in memoria di Ettore Pezzoli, «Statistica», n. 4, 1974, pp. 609-621; Pagine dimenticate di storia della scienza: la disputa tra «mendelisti» e «galtonisti» alle origini della biometria, in «Genus», voi. XXXII, 1976, N. 1-2, pp. 1-44; Statistica come metodologia delle scienze naturali, in «Accademia nazionale dei Lincei, Contributi del centro linceo interdisciplinare di scienze matematiche e loro applicazioni», n. 37, Roma, 1977, pp. 181-210.
16 M. Foucault, La volontà di sapere, cit., pp. 124-125.
17 A. Quetelet, Fisica sociale, cit., pp. 571-580; 624-664; 713-743; 1149-1159.
18 A. Cherubini, Dottrine e metodi assistenziali dal 1789 al 1848. I talia-Francia-Inghilterra, A. Giuffré, 1958; G. Rusche-O. Kirckheimer, Pena e struttura sociale, Il Mulino, 1978; D. Melossi - M. Pavarini, Carcere e fabbrica. Alle origini del sistema penitenziario, Il Mulino, 1977; M. Ristich de groote, La follia attraverso i secoli, Tattilo, 1973.
19 B. A. Morel, Des dégénérescences physiques, intellectuelles et morales de l'espèce humaine, Paris, 1860.
20 L. Bulferetti, Cesare Lombroso, U.T.E.T., 1975, pp. 235-243; G. Colombo, La scienza infelice. Il museo di antropologia criminale di Cesare Lombroso, Boringhieri, 1975, pp. 83-104.
21 A. Gilardi, Wanted! Storia, tecnica ed estetica della fotografia criminale, segnaletica e giudiziaria, Mazzotta, 1978, pp. 53-71.
22 R. H. Shryock, Storia della medicina nella società moderna, ISEDI, 1977,



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pp. 142-143; M. Howard, La guerra e le armi nella storia d’Europa, Laterza, 1978, pag. 209.
23 F. Engels, La situazione della classe operaia in Inghilterra, Editori Riuniti, 1972, pag. 193.
24 R. Livi, Antropometria militare, Roma, 1896, voi. I, pp. 4-10.
25 E. Le Roy Ladurie, N. Bernageau, Y. Pasquet, Le conscrit et Vordinateur. Perspectives de recherche sur les archives militaires du XIXe siede fran^ais, in «Studi storici» a. X (1969), n. 2, pp. 260-308; J. P. Aron, P. Dumont, E. Le Roy Ladurie, Anthropologie du conscrit frangais, Mouton-Paris-La Haye, 1972; E. Le Roy Ladurie-N. Bernageau, Etude sur un contingent militaire (1868): mobilité géographique, délinquence et stature, mises en rapport avec d’autres aspects de la situation des conscrits, in E. Le Roy Ladurie, Le territoire de l’historien, Gallimard, 1973, pp. 38-115.
26 E. Le Roy Ladurie, P. Dumont, Exploitation quantitative et cartographique des comptes numeriques et sommaires (1819-1826), in Anthropologie du conscrit fran^ais, cit., pp. 9-10.
27 Ibidem, pag. 35.
28 M. de Certeau, Fare della storia, in La scrittura della storia, «Il pensiero scientifico», 1977, pp. 88-89.
29 Ibidem, pag. 98.
30 Jean-Paul Aron, Taille, maladie et société: essai d’histoire anthropologique, in Anthropologie du conscrit frangais, cit., pp. 191-262.
31 Sul futuro direttore della Statistica generale del regno, cfr. F. Bonelli, Luigi Bodio, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia italiana, voi. 11, pp. 103-106.
32 A. Julin, Luigi Bodio et Adolphe Quetelet, Extraits de leur correspondan-ce (1868-1874), in «Revue de l'Institut international de statistique», 6e année (1938), livraison 1, pp. 1-24; livraison 2, pp. 195-218.
33 A. Julin, in Luigi Bodio et Adolphe Quetelet, cit., non pubblica questa lettera di Bodio, che dà per conosciuta. Essa venne infatti riprodotta da Quetelet nella memoria Taille de l’homme à Venise pour l’àge de vingt ans, «Bulletins de l’Académie royale de Belgique», s. II, t. XXVII, n. 3, Bruxelles, 1869, pp. 5-6. Il titolo era inesatto perché le misure riguardavano i coscritti di tutto il regno d'Italia, e non di Venezia, allora esclusa dal suo territorio.
34 A. Quetelet, Fisica sociale ossia saggio intorno all’uomo ed allo svolgimento delle sue facoltà, cit., pp. 648-650.
35 A. Julin, Luigi Bodio et Adolphe Quetelet. Extraits de leur correspondan-ce (1868-1874), cit., pag. 11.
36 Ibidem, pp. 16-20, 195-198. Sulle discussioni intorno ai rapporti tra costituzione fisiologica, comportamento e valori in Italia e particolarmente a Firenze, E. Garin, L’Istituto di Studi superiori di Firenze (Cento anni dopo) e Un secolo di cultura a Firenze da Pasquale Villari a Piero Calamandrei, in La cultura italiana tra ’800 e ’900, Laterza, 1962, pp. 29-66 e 77-101; G. Landucci, Darwinismo a Firenze. Tra scienza e ideologia (1860-1900), Leo S. Olschki Editore, 1977.
37 A. Miele, Il generale Federico Torre (con documenti inediti), «Rassegna



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storica del Risorgimento», a. XIX (1932), pp. 843-849; C. Pariset, Il generale Federico Torre, Verona 1940.
38 F. Torre, Memorie storiche sull’intervento francese in Roma nel 1849, Torino, 1851/1852. Sugli altri scritti di Torre, C. Pariset, Il generale Federico Torre, cit., pp. 111-121.
39 C. Pischedda, L’esercito piemontese : aspetti politici e sociali, in Problemi dell’unificazione italiana, Mucchi, 1963, pp. 28-31; P. Pieri, Storia militare del Risorgimento. Guerre e insurrezioni, Einaudi, 1962, pp. 568-578; J. Whittam, Storia dell’esercito italiano, Rizzoli, 1979, pp. 61-74.
40 F. Della Peruta, I democratici e la rivoluzione italiana, Feltrinelli, 1958, pp. 295-330; P. Pieri, Storia militare del Risorgimento, cit., pp. 578-588.
41 C. Pischedda, L’esercito piemontese: aspetti politici e sociali, cit., pp. 79-83; J. Whittam, Storia dell’esercito italiano, cit., pag. 70.
42 C. Pischedda, L’esercito piemontese : aspetti politici e sociali, cit., pp. 31-37.
43 Per un confronto con la normativa attuale, cfr. l’Elenco delle imperfezioni e delle infermità che sono causa di non idoneità in V. Agresti - M. Pacelli, Codice delle leggi sulle Forze Armate, Giuffré, 1966, pp. 873-889.
44 C. Pischedda, L’esercito piemontese: aspetti politici e sociali, cit., pag. 58. Sulle tecniche del corpo, M. Mauss, Le tecniche del corpo in Teoria generale della magia e altri saggi, Einaudi, 1965, pp. 385-409; L. Boltanski, Les usages sociaux du corps, in «Annales E.S.C.», 1971, n. 1, pp. 205-233. Per un confronto con le malattie simulate dai mendicanti, P. Camporesi, Introduzione a II libro dei vagabondi, Einaudi, 1973, pp. CXXX-CXXXII.
45 M. Mazzetti, Dagli eserciti pre-unitari all’esercito italiano, in «Rassegna storica del Risorgimento», 1972, pp. 564-592; P. Pieri, Storia militare del Risorgimento, cit., pp. 624-744; Idem, Le forze armate nell’età della Destra, cit., pp. 36-69; R. Battaglia, Esercito e unità nazionale, in Risorgimento e Resistenza, Editori Riuniti, 1964, pp. 33-48; G. Rochat - S. Massobrio, Breve storia dell’esercito italiano dal 1861 al 1943, Einaudi, 1978, pp. 24-30; J. Whittam, Storia dell’esercito italiano, cit., pp. 77-100.
46 W. Kula, Problemi e metodi di storia economica, Milano, 1972, pp. 497-538; Idem, La métrologie historique et la lutte des classes. Exemple de la Pologne au XVIIIe siècle, in Studi in onore di Amintore Fanfani, Giuffré, 1962, voi. V, pp. 275-288; Idem, Miary i Ludzie, Warszawa 1970, pp. 651-662.
47 C. Pischedda, L’esercito piemontese: aspetti politici e sociali, cit., pp. 37-54; G. Rochat - G. Massobrio, Breve storia dell’esercito italiano dal 1861 al 1943, cit., pag. 18.
48 L. Bodio seguì questo metodo per calcolare idonei al servizio e riformati in Sui documenti statistici del Regno d’Italia. Cenni bibliografici presentati al VI Congresso internazionale di statistica, Firenze, Barbera, 1867, pp. 89-93; anche Torre accettò e usò questo procedimento per valutare la percentuale dei riformati nello studio su L’esercito ne L’Italia economica nel 1873, Roma, 1873, pp. 157-229. Successivamente questo metodo venne più ampiamente utilizzato da G. Sormani in Geografia nosologica dell’Italia, Roma, 1881, pp. 13-61.
49 Leva dell’anno 1862 (classe 1841). Quadro delle imperfezioni e malattie che determinarono la riforma degl'inscritti appartenenti alla leva medesima, in F.



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Torre, Relazione sulle leve eseguite in Italia dalle annessioni delle varie provincie al 30 settembre 1863, cit., pp. XCVI-XCIX.
50 Carlo Ilarione Pehtti di Roreto, Del lavoro dei fanciulli nelle manifatture. Dissertazione, pubblicata in «Atti della reale Accademia delle scienze di Torino», s. II, voi. Ili, Torino, 1841, ora in Opere scelte, a cura di C. M. Bravo, Torino, 1969, voi. I, pp. 591-691.
51 S. Jacini, La proprietà fondiaria e le popolazioni agricole in Lombardia, Milano, 1857; sulle condizioni dei contadini lombardi, F. Della Feruta, Per la storia della società lombarda nell’età della Restaurazione, in «Studi storici», a. XVI, (1975), n. 2, pp. 305-339; G. Sacchi, Sulla condizione dei fanciulli occupati nelle manifatture, in «Annali universali di statistica», 1842-1843, ora parzialmente riprodotto in M. V. Ballestrero - R. Levrero, Genocidio perfetto. Industrializzazione e forza-lavoro nel lucchese 1840-1870, Feltrinelli, 1979, pp. 67-76.
52 L. C. Farini, Sulle questioni sanitarie ed economiche agitate in Italia intorno alle risaie. Studi e ricerche, Firenze, 1845; F. Puccinotti, Delle risaie in Italia e della loro introduzione in Toscana, Livorno, 1843, ora parzialmente riprodotti in L. Faccini, Uomini e lavoro in risaia. Il dibattito sulla risicultura nel ’700 e nell’800, Angeli, 1976, pp. 152-169; 184-194.
53 G. C. Marino, La formazione dello spirito borghese in Italia, La Nuova Italia, 1974, pp. 69-75; 115-122.