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Title
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LO SPIRITO DELLA FORNICAZIONE: VIRTÙ DELL'ANIMA E VIRTÙ DEL CORPO IN FRIULI, FRA '600 E '700
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Creator
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Luisa Accati
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Date Issued
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1979-05-01
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Is Part Of
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Quaderni Storici
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volume
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14
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issue
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41 (2)
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page start
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644
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page end
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672
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Publisher
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Società editrice Il Mulino S.p.A.
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Language
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ita
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Format
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pdf
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Relation
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La volontà di sapere, Italy, Feltrinelli, 1968
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Rights
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Quaderni storici © 1979 Società editrice Il Mulino S.p.A.
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Source
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https://web.archive.org/web/20230920154851/https://www.jstor.org/stable/43778799?searchText=Foucault&searchUri=%2Faction%2FdoBasicSearch%3FQuery%3DFoucault&efqs=eyJsYV9zdHIiOlsiYVhSaCJdfQ%3D%3D&sd=1975&ed=2000&pagemark=eyJwYWdlIjoxMSwic3RhcnRzIjp7IkpTVE9SQmFzaWMiOjI1MH19&groupefq=WyJjb250cmlidXRlZF90ZXh0Iiwic2VhcmNoX2NoYXB0ZXIiLCJjb250cmlidXRlZF9hdWRpbyIsInJlc2VhcmNoX3JlcG9ydCIsInNlYXJjaF9hcnRpY2xlIiwicmV2aWV3IiwibXBfcmVzZWFyY2hfcmVwb3J0X3BhcnQiXQ%3D%3D&ab_segments=0%2Fbasic_search_gsv2%2Fcontrol&refreqid=fastly-default%3Aeb6e899e1ae8a0814a952eb52b74e46d
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Subject
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confession
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sexuality
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extracted text
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LO SPIRITO DELLA FORNICAZIONE: VIRTÙ DELL'ANIMA E VIRTÙ DEL CORPO IN FRIULI, FRA '600 E 700 *
Il fenomeno della stregoneria europea, secondo gli storici, nel '600, è ormai in declino. La documentazione relativa alla metà del '600 in pochi villaggi del Friuli, suggerisce invece l’importanza anche dei processi tardi; in essi infatti, spento ormai il furore delle battaglie cinquecentesche, si vede su quali basi la Chiesa intenda riassestare il suo sistema di controllo. Le streghe e gli stregoni vengono interrogati come testimoni di un fenomeno sostanzialmente domato, di cui precisare i significati. La diminuita tensione fra inquisitori e fedeli consente inoltre di verificare come il prevalere delle donne nella stregoneria sia legato alla peculiarità del corpo femminile.
«Noi collezioniamo i prodotti della abilità umana, raccogliamo testi scritti e orali; ma ignoriamo ancora le possibilità così numerose e varie di cui è suscettibile questo strumento, universale e alla portata di tutti, che è il corpo umano»*. Marcel Mauss si rende conto molto chiaramente di quanto sia socialmente rilevante l'uso del corpo e di come i comportamenti siano effetto della educazione e dei compiti che la società suddivide fra gli individui: «una quantità enorme di particolari inosservati e che occorre sottoporre ad osservazione costituisce l’educazione fisica di tutte le età e dei due sessi»2. D'altro canto nel Saggio di una teoria generale della magia egli afferma che le donne «sono ritenute dovunque più adatte degli uomini alla magia, più per i sentimenti sociali di cui sono oggetto le loro qualità, che per i loro caratteri fisici»3.
Marcel Mauss, pur avendo intuito l'importanza delle diversità e degli usi del corpo e pur avendo intuito che l'Inquisizione sfruttava e alimentava i pregiudizi contro le donne4, non asso-
* Ringrazio Marina Soranzo a cui è dovuta la puntuale trascrizione di molti dei documenti utilizzati in questo articolo. I documenti sono conservati presso 1'Archivio Arcivescovile di Udine (d’ora innanzi: A.C.A.U.).
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eia questi elementi, tradito forse, più che non si creda, «da una formazione intellettuale e morale tanto pudica quanto lo era quella del neokantismo»5 regnante nelle Università alla fine del secolo. La documentazione, che si trova all'Archivio Arcivescovile di Udine, dimostra infatti proprio il contrario: le peculiarità del corpo femminile sembrano la fonte dei «sentimenti sociali» riguardo alle donne in generale e alle streghe in particolare.
Polidoro della Frattina, pievano di Brazzano, è un uomo scrupoloso e preciso. Il 18 maggio 1645, scrivendo aH'Inquisitore della diocesi di Aquileia e Concordia, lo assicura: «Non manco da applicazione, et ogni giorno ricevo lume maggiore [...], a segno tale, et le figliole denunciano le superstizioni della madre. Faccio minute memorie con la presenza di testimoni per maggiormente validar l'attistato, quale conservo appresso di me»6; ed in effetti raccoglie ogni sorta di preenti, cioè scongiuri e formule deprecatorie, con dovizia di particolari. Manda a chiamare chiunque sia in fama di conoscerne, chiunque, nel corso delle deposizioni, venga nominato e lo interroga, prende nota di chi non si presenta e si sposta di paese in paese per rendere più agevoli le testimonianze e l'inchiesta.
Dal 10 al 26 maggio 1645 si presentano a lui non meno di 30 persone, di cui 27 donne e 3 uomini; si sono denunciati a catena, uno dopo l'altro.
A Brazzano e a Giassico serpeggia una gran paura di essere sorpresi e smascherati come persone che conoscono e fanno preenti, ma la catena delle denunce coinvolge anche Percoto, Farra, Visinale, Cormons, Chiopis e Rutars. La tensione è spasmodica fra le donne, gli uomini sono in secondo piano. Non potrebbe essere diversamente, i preenti infatti si dividono in due tipi: alcuni hanno una componente sessuale femminile, altri sono pratiche di medicina popolare, scongiuri contro le malattie. Sono le donne ad assistere i malati, le malattie inoltre sono, per lo più, malattie infantili oppure malattie connesse con il parto e l'allattamento.
Il 10 maggio 1645 a Brazzano, Margherita e Antonia Del Conte, zia e nipote, denunciano Madalina Del Conte, moglie di Bastiano e Zannuta Morguto7. Il 19 maggio si presenta Madalina, conferma le accuse di Margherita e Antonia: «dieci anni in circa feci che la suddetta Zannutta [...] montasse nuda a cavallo di un bigonzo et andasse a torno il suo campo, supplicando spesso nell'alba del giorno: “Fui, fui ruie et il mio con8 ti mangiuie"». Non l'ha fatto per offendere Iddio, ma per cacciare
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le rughe (bruchi) dal campo. Sua madre gliel'ha insegnato “nel tempo che era giovane’*; le insegnò anche il «preento di segnar le tette in nome del P. e del F. e dello SS. Aggionge anco sua madre suddetta è dona data alle superstizioni, che si ricorda che essendo in pericolo di tempesta si ha levato li pani di dietro et ha proferito verso l’aere queste formali parole: Nul, nul fa tant mal, cu’ po fa chist cui et detta sua madre sa il preento de vermi, quello di andar ad adorar l’ortica ed un altro di cacciar via la febbre»9.
Madaiina, prima di venire a deporre, è già stata da Svalda sua madre, a Rutars, per indurla a raccontare a sua volta al pievano «queste materie concernenti al Santo Officio». La madre rifiuta di presentarsi, poiché il cappellano di Rutars, don Zorzi Salomon, le ha dato l’assoluzione e le ha detto che la confessione era sufficiente per le sue colpe. Svalda tuttavia è preoccupata e va a confidarsi con una vicina, Pasca figlia di Nadal: con lei ammette di aver fatto dei preenti e, incautamente, gliene racconta alcuni. Le confessa pure che suo marito Gioseffo non la lascia andare dal pievano, come invece le suggeriva la figlia, anzi Gioseffo vuol bastonare la figlia se tornerà ad insistere. Pasca si reca immediatamente a riferire questa conversazione al pievano10; la povera Svalda, stretta fra due paure, decide di presentarsi, di nascosto dal marito, il 22 maggio alla pieve di Brazzano.
Svalda conosce moltissimi preenti e li espone tutti dettagliatamente: «è andata a torno con le vesti alzate mostrando le parti vergognose per cacciar via le rughe, le quali dentro gli facivano dano, con dir sempre tanto che si faceva il circolo: “Fui, fui mie et il mio con ti mangiuie” [...]. Nel tempo che era pericolo di tempesta anco dopo esser maritata si è alzata su le vesti, et col espor le sue vergogne all’aere circa le parti posteriori ha proferito queste parole: “Nul, nul puisista’ fa tant mal cu’ po chest cui” et, nel far questa azione proferiva una sola volta le parole. Che ha preentato le tette alla dona più di 20 volte e nel fare il preento pigliava un petine et con esso faceva a torno le tette tre circoli dicendo per ogni volta nel nome del Padre et del Figliolo et dello Spirito Santo [...]. Essendo sua figlia Madalena inferma di febbre pigliò ima rana viva et la legò ad una strazza mettendola al collo e portandola per il spazio di tre giorni e poi la butò via, et che dopo di esser madre ha fatto lo stesso per la febbre ad un suo figliolo facendojela portar al collo tre giorni come sopraddetto» u.
Madaiina Del Conte non è ancora soddisfatta, si reca di
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nuovo dal pievano; strada facendo incontra suo figlio Bastiano, che «l'ha ripresa con dir che si dovesse vergognar [...] e si meravigliano di lei et che ha fatto la parte sua perché ritorni indietro»12. Madalina non si lascia distogliere, va da don Polidoro. Questa volta denuncia la cognata: anch'essa fa il preento contro la madrazza13. Quindi va a Farra, cerca di Zannuta Mor-guto e l'accompagna dal pievano. Zannuta conferma di aver preentato le rughe, «nel tempo ch'essa fece quest'azione era puta»14. Frattanto il pievano convoca Menia, moglie di Mattia da Rutars, la cognata accusata da Madalina, nonché nuora di Svalda. Il 25 maggio Menia si presenta e conferma nella sostanza le accuse di Madalina, nomina molte altre donne. Del resto anche sua madre le insegnò dei preenti: quando era piccola le fece cavalcare il bigonzo e «li ha insegnato a preentar li stregoni il quale preento lo ricitava spesso avanti che sapesse che fosse peccato». Altre due donne le hanno insegnato degli stratagemmi per prevedere chi sarà suo marito e quanti anni vivrà; una terza donna insegnò a lei e ad altre, quando erano giovani, il preento contro la tempesta, alzando le gonne; accusa anche un uomo, Simone di Nadal: sa un preento contro le malattie degli animali15.
Alla prima deposizione di Madalina era presente Ursula Mia-no, che denuncia, per parte sua, una cognata, Zannuta Bon, vedova di Zuan, come «donna veramente datta alla superstizione». Costei avrebbe fatto venire presso di sé ima donna e avrebbe confabulato con lei per tre giorni di preenti, saprebbe dei preenti contro la sordità e sarebbe in possesso di un unguento per far crescere, da applicare sotto le ginocchia, sotto le braccia e sotto le costole. Il 22 maggio arriva Zannuta Bon, infuriata, dal pievano e «con parole improprie» protesta la sua innocenza e dichiara che «non aveva fatto strigamenti»16.
In quegli stessi giorni altre donne si presentano al pievano: il 20 maggio Cattarina Visintino, denunciata da Madalina Giaco-pito, ammette di aver imparato molti preenti da Giusta Mon-chias di S. Andrat17: fra gli altri il preento contro il mal di piedi. Don Polidoro riferisce che «essa l'ha fatto stimando che non sii peccato et tanto più si fondava in questa credenza essendo che una volta il reverendo Padre Gasparo mio predecessore havendo inteso, che la quondam Maria di Biasio della suddetta Villa di S. Andrat faceva questo preento per il mal di sinistrarsi i piedi la riprese in confessione, et che poco doppo occorse che il quondam suddetto pievano si contorse un piede, et la mandò a chiamare, et per le parole che li giovasse li
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diede anco licenza che continuasse a preentare, onde per questo esempio essa stimando far bene ha continuato a farlo molti anni, anzi aggionge, che le genti andavano a lei con tanta devozione come se fossero andati a casa di un sacerdote a pigliar un nome di Gesù per la febbre». Cattarina sa anche i preenti per la febbre, i vermi e il catarro. La figlia di costei, Apollonia Miano, denunciata da Antonia Fabro, conferma di aver fatto il preento contro i vermi a suo fratello in presenza di sua madre Cattarina e di averlo imparato da sua nonna: «l'ha fatto in altri tempi a più persone, stimando che non sij peccato e che per l'havenir non lo farà»19. Il 21 Madalina Piano conferma la denuncia sporta contro di lei da due cognate di Visinale: è salita nuda sul bigonzo per scacciar le rughe19. Il 23 maggio un nuovo susseguirsi di denunce: Antonia Vidir, una donna sposata di Giassico, denuncia Madalina Del Conte, moglie di Antonio, anch'essa di Giassico. Madalina nega di aver fatto il preento contro la tempesta: «disse non esser vero che abbi mostrato le parti posteriori all'aere, ma è ben vero che [...] pigliò un suo bambino, et li levò la camisa in dette parti signando il tempo, et dicendo: “Nul, nul puestu fa tante virtù cu' po' fa chist cui"». Madalina Piano dice che effettivamente quando era piccola sua madre la mandò «nuda a cavallo di un bigonzo a torno un horto infestato dalle rughe, con supplicar sovente: “Fui, fui rueie et il mio con ti mangime"». Ha fatto il preento della madrazza; anche lei, come tutte le altre, asserisce di aver compiuto queste azioni non sapendo di portar offesa al buon Dio20. Il 24 Marcolina Brescitto viene da don Polidoro ed ammette quanto egli già aveva saputo dalla cognata di lei, Maurizia. Marcolina aveva detto a Maurizia che, per cacciare le rughe da un campo di rape «dovesse trovar una vergine et farla spogliar nuda col montar a cavallo di un bigonzo circondar a torno le rappe con dir: “Fui, fui ruie et il mio con ti mangime"». Marcolina «questo non ha fatto per altro se non perché ella aveva imparato ciò di piccola, et lo aveva anco fatto in esecutio-ne, una volta di piccola, per ubidire, una sua cognata [...], ma che non l'ha fatto per offendere il buon Iddio»21. Maria Del Bon ha insegnato a Pasca Silvestro come, per curare il male alla testa di una sua creatura, «dovesse trovar doi donzelle che havessero il mestruo, et dovessero farle andar appresso una vite di cividino dandogli in mano la creatura acciò esse la facessero passar per mezzo di questa tre volte, dandola una all'altra con vicissitudine et dicendo certe parole»; nega però «la circumstantia del mestruo»22.
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Apollonia Favretto è inviata dal suo confessore: ha fatto un preento contro le rughe e come Pasca Monaco e Maria Del Conte sa preenti contro la febbre23.
Don Polidoro si occupa anche delle «superstizioni» degli uomini, che si dividono sostanzialmente in due categorie: preenti per gli animali e sortilegi per sedurre le donne.
L’«horbo Zuan di Giassico» il 10 maggio 1645 dice «che sono in circa 12 anni, che ha cominciato a far questo preento, che sarà qui sotto notato, il quale li fu insegnato da suo nono, et che nel farlo usa questa cerimonia di parlar aH'animale infermo nove volte nelle orecchie, et che questo lo fa credendo egli del certo, che li giovi»24. È così tranquillo dell'efficacia dei suoi preenti che racconta come, di stalla in stalla, egli preenta e si fa pagare; tanto sono salutari i suoi preenti che, quando Horten-sio da Mariano, mancando alla parola, non voleva pagarlo per il preento fatto ai suoi animali, Zuan si rivolse «appresso la giustizia di Cormons et alla fine — conclude il racconto — fu terminato che dovessi esser pagato del tutto». «Oltre a questo ha preentato gli animali nella forma suddetta a diversi, et in particolare uno a Nardino di Vitinal sogetto a questa cura per il quale ebbe per premio quattro scudelìe di minestra. Nove animali al Zotto Visintino di Giassico, et uno a Giacomo del Conte di Brazzano, il quale era ristato dalli altri morti sol vivo, et che se esso non havesse agiustato questi animali col suo preento crede fermamente che sarieno morti tutti».
Zuan non è disposto a rinunciare alla sua professione di "veterinario popolare, come non è disposto Gasparo Gasparutto, anch'egli da Giassico: Gasparo sa tener lontani i lupi, «lo ha sperimentato diverse volte»25.
Don Giacobbi, piovano d’Auronzo, «fa piovere et ingrossar li fiumi», ma le sue pratiche non hanno nulla di simile a quanto abbiamo visto cosi comune fra le donne di Brazzano, «questo lo fa perché ha ereditato certi libri come comunemente si crede»26.
La magia agraria e terapeutica maschile è condizionata da strumenti o da conoscenze. Non si serve del corpo: nessuna parte del corpo maschile ha facoltà magiche. Un solo corpo maschile partecipa ai preenti, quello del piccino neonato di Madalina Del Conte da Giassico. La madre gli alzò le vesti sul sedere per fare lo scongiuro contro il maltempo, ma il preento non riuscì: «una tempesta colse in queste parti il bambino, quale piangendo, essa lo riportò dentro in casa»27. La presunta
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forza magica del figlio deriva dall'essere ancora una parte di sua madre, anzi ima parte del ventre di sua madre. In questo senso anche le virtù magiche dei Benandanti sono di natura femminile, il segno della loro predestinazione magica infatti è la camisiutta: nascendo avvolti nella placenta, si portano nel mondo un pezzo di ventre materno.
La forza magica del ventre femminile è costitutiva; la sua capacità di dar vita, per analogia, ha anche la forza di affrontare e distruggere ciò che alla vita e alla fertilità si oppone, così come, per analogia, chi sa dare la vita sa dare la morte. Le donne sono dunque in rapporto diretto con l'aldilà. Il prete ha in loro le più pericolose avversarie, giacché mettono di fatto in discussione la sua egemonia sul sacro.
La Chiesa nel corso del '600 si propone di assorbire ogni e qualsiasi aspetto magico dentro alla categoria ecclesiastico-religiosa del sacro. La capacità d'intervenire sulla vita e sulla morte fa parte sia della sfera del magico, sia della sfera del sacro28. La sfera del magico, a metà '600 in Friuli è femminile ed è racchiusa nel ventre, la sfera del sacro è maschile e risiede nella conoscenza dell'ordine divino rivelato. La Chiesa si è garantita l'interpretazione dell'ordine rivelato: ogni uomo percorrendo i gradi della gerarchia ecclesiastica può accedervi. D'altro canto la conoscenza si pone su vari livelli; la Chiesa si riserva i più alti, ma riconosce un'area di conoscenze «professionali», atte a combattere la malattia e la morte con rimedi terreni e legati a pratiche empiriche. L'efficacia di queste pratiche non interferisce con il potere del prete, si pone su un altro piano e può dunque convivere con il potere del clero. L'atteggiamento di don Polidoro verso Zuan l'horbo o Gaspare Gasparut-to rientra nella preoccupazione più generale di definire gli ancora incerti confini dentro ai quali autorizzare e contenere la conoscenza laica. La magia terapeutica maschile (nel '600 in Friuli) è uno sconfinamento della conoscenza laica, in cui medici o veterinari popolari e medici dotti possono incorrere. Il medico Giulio Superchio il 24 aprile del 1648 racconta all'inquisi-tore: «fui più che pregato dal Signor Cristoforo Federli da Gemona il quale, innamorato di una sua serva, dalla quale non poteva conseguire i suoi disegni, che io gli volessi dare qualche aiuto superstizioso stimando che come medico io havessi qualche segreto»29.
Il potere magico di questi uomini non solo si colloca fuori del loro corpo, ma anche in una sfera che non ha più un legame condii soprannaturale. Zuan e Gasparo riaffermando l'ef-
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ficacia dei loro preenti limitano la loro responsabilità all'ambito di una sorta di medicina e veterinaria popolare, basata su «conoscenze» tramandate, di sicuro effetto; il medico Giulio Su-perchio, per parte sua, vuol allontanare ogni sospetto di magia dalla sua «scienza».
Le donne invece, non possono discutere con il prete. Non sono possibili gradualità fra il loro potere e quello del prete: si tratta infatti di poteri non omogenei, ma insanabilmente diversi. Come potrebbero difendere l'efficacia dei loro preenti senza affermare, più o meno indirettamente, che la vita e la morte hanno sede nel corpo e non nell'anima?
Anche gli uomini, nel sortilegio per sedurre le donne, diversamente da quello che avviene per i preenti, si pongono come nemici diretti del prete. Ma senza una autonomia magica di tipo fisico come le donne, maghi e preti si contendono la stessa qualità di sacro. Il sortilegio consiste nel mettere delle foglie sotto l'altare e nel farvi recitare sopra 9 messe: le erbe così rese magiche consentono di sedurre quante e quali donne si voglia. Don Polidoro avverte che c'è in questa pratica una contrapposizione netta, che non può esser negoziata, ma deve essere affrontata, respinta e stroncata sul piano del sacrilegio: gli uomini tentano di carpire al prete i suoi stessi poteri sul sacro. Così, venuto a conoscenza di uno di questi sortilegi in Rutars, nel dicembre del 1647, ne avverte senz'altro il Sant'Ufficio e fa convocare direttamente il parroco di Rutars, don Zorzi Salomon (di cui, dopo la facile assoluzione concessa a Svalda, non doveva più fidarsi molto) e tre uomini. «Padre Inquisitore io ho ricevuta una lettera di V.P. Rev.ma e fu hieri circa un'ora di sole per mano di un chierico del mio Sig. Piovano Polidoro Frattina nella quale lui mi diceva, io dovessi venire quanto prima da lei per interessi del S. Offizio e nella lettera [...] mi domandava tre cittationi da farsi a Domenico di Perin, a Giovanni figliolo del suddetto Domenico Perino e la terza a Biasio figliolo di Gregorio Cantia-no tutti di Rutars. Io per ubidire a questo S. Tribunale feci subito presenti le tre cittationi hieri, e questa mattina di notte mi son partito da casa mia per questa volta et ho meco condotto i tre cittati30»; e don Zorzi racconta che, celebrando la messa, dopo la consumazione del calice, s'era accorto che sotto la tovaglia dell'altare c'era del trifoglio, avvolto in una foglia e legato con dell'erba. Alla fine della messa, mostra l'erba ai fedeli presenti e ricorda a tutti, con severe parole, come sia peccato riprovevole una simile azione. Uscendo di chiesa incontra i tre uomini e riferisce loro l'accaduto; i tre, incauti, mostra-
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no di aver già sentito parlare di tale sortilegio e tanto basta a farli sospettare di esserne anche gli autori.
Giovanni Perino ripete all’inquisitore quanto aveva già raccontato a don Zorzi: «anco a me uno voleva insegnare che una gamba di trifoglio di quattro foglie se io Fhavessi messa sotto le tovaglie dell'altare e ci havessi fatto dire nove messe sopra con quella herba mi haverei fatto venir appresso qualsivoglia putta e qualsiasi donna che io havessi voluto»31.
I sortilegi ad amorem di questo tipo sono numerosissimi e sono ben noti a tutti; Giorgio, fratello carnale di Giovanni, bimbo di 8 o 9 anni, scherzando per strada con delle ragazze che parlavano di quanto era accaduto in chiesa «disse che quella herba era stata messa sotto le tovaglie dell’altare per andar a dormir con le polzetis, e lo disse ridendo» e le ragazze a loro volta ridono32.
Questo sortilegio è molto significativo dei mutamenti subiti dal conflitto fra la Chiesa ed i suoi fedeli. Il sacro e i poteri sul sacro sono stati fonti di grandi battaglie ideologiche: la Chiesa ha massacrato fra 300 e ’400 chiunque gliene contendesse la definizione. Gli eretici, prevalentemente uomini, pensavano di poter interpretare il sacro e di aver con esso un rapporto non mediato, diretto. Le persecuzioni prima, le guerre di religione poi, hanno soffocato e respinto quest’ipotesi. La complessità e la molteplicità dei fattori messi in gioco dalla Riforma e dalla Controriforma trovano nel ’600 un assestamento; i punti di arrivo sono assai diversi, ma, nella sostanza, la piena libertà individuale nei rapporti con il sacro è disattesa nei paesi protestanti, del tutto negata in quelli cattolici.
Nel Friuli del 1645 il potere ideologico sul sacro è saldamente in mano alla Chiesa, e nessuno osa più contrastarne il monopolio. A chi voglia usare il sacro ai suoi fini particolari e inconfessabili non resta dunque che rubarne un po’ al prete, con ingenui stratagemmi. La persecuzione degli eretici ha eliminato il magico maschile prevalentemente ideologico; la persecuzione della streghe completa l’opera distruggendo il magico femminile, prevalentemente corporale.
Il corpo grottesco medioevale, di cui parla Bachtin, è un corpo in movimento. Non è mai pronto né compiuto: sempre in corso di costruzione, di creazione e a sua volta in procinto di costruire un altro corpo, questo corpo assorbe il mondo e ne è assorbito. Per questo il ruolo essenziale del corpo grottesco è affidato alle sue parti, a quei luoghi in cui va oltre se stesso, rompe i suoi limiti, mette in cantiere un altro (un secondo)
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corpo: il ventre e il fallo. Tutte le escrescenze e gli orifizi sono caratterizzati dal fatto che sono il luogo dove le frontiere fra due corpi e fra il corpo e il mondo vengono superate33. Questo corpo, a metà del '600 in Friuli è ancora il corpo di Madalina, Svalda e Zannuta, conserva le sue funzioni di continuità con il mondo. La vagina libera la terra dalle rughe e l’orifizio del culo tiene a bada le tempeste, abbassa il cielo e rovescia il mondo.
Dei fasti dionisiaci del fallo resta soltanto una debole traccia: il pettine con cui far la croce sulle mammelle nel preento contro la «madràzza»M.
Il tempo del grottesco è una giustapposizione, una simultaneità di fatto delle due fasi dello sviluppo, inizio e fine, inverno e primavera, morte e nascita. Il rapporto fra la madre e la figlia, fra la nuora e la suocera, fra Svalda vecchia, Madalina giovane donna e Zannuta bambina è legato ad una concezione «del tempo ciclico della vita naturale e biologica»35, per cui ogni momento della vita, come ogni stagione, produce e consuma i suoi frutti.
La verginità, per queste contadine friulane, è il momento della massima potenzialità del corpo femminile, quando la fertilità è nel suo pieno e non ne è stata ancora utilizzata alcuna parte, analogamente alla fioritura delle piante. Questa verginità ha termine con la prima mestruazione, quando cioè dalla carne esce il sangue, «perché la vita d’ogni carne è il sangue». Una donna dunque che sia mestruata deve realizzare la sua fertilità nella procreazione, altrimenti la forza generatrice colerà via da lei con il suo sangue. Madalina ha dei figli, la sua efficacia vitale è già destinata, applicata e utilizzata in parte, mentre quella di Zannuta, intatta, conserva una completa e generalizzabile «efficacia simbolica»36. Nei preenti fondati sull'uso del corpo la quantità di fertilità necessaria varia a seconda dell'entità del pericolo da affrontare. La verginità è la condizione per combattere la morte, la morte del raccolto e la morte dei bambini, mentre la tempesta la si può scongiurare, come dice Svalda, «anco dopo esser maritata».
La verginità della Madonna, nella concezione ecclesiastico-religiosa, sembra avere alcuni aspetti in comune con la verginità corporale di Zannuta: la Madonna è colei che, pur essendo madre, non ha perduto nulla della sua fecondità. In realtà la Chiesa fonda il suo concetto di verginità sul modello della santità biblica.
Per quel che concerne il corpo, nel Levitico «al concetto di
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santità era attribuita un’espressione fisica, esteriore, nell'integrità del corpo visto come involucro perfetto»37. È un involucro non comunicante, che non ha ima continuità col mondo, con la terra, con il basso corporale38, bensì con Dio, di cui è immagine e somiglianza, con il cielo, con l'alto spirituale e ascetico; un corpo basato sul dominio di sé, sulla completezza e sulla separazione da tutto ciò che non è della sua stessa natura39. Il santo del Levitico è un santo maschile, il cui corpo versa fuori e lontano da sé le sue secrezioni contaminanti. La Chiesa trasferisce queste norme di santità al corpo femminile, rendendo la fecondità un bene che, per essere realizzato, deve essere contaminato e degradato: verginità e fecondità diventano contraddittorie. La Chiesa si propone di tramutare la verginità di Zannuta, attiva, fecondante e inalienabile virtù del corpo, in virtù passiva deiranima, di cui l'integrità fisica è Foggettivazione, una oggettivazione che la rende espropriabile e minacciatale 4°.
La seconda metà del '500 è contrassegnata in Friuli sia da una sempre più rigida distinzione fra cultura delle classi dominanti e cultura artigiana e contadina, sia dall'indottrinamento a senso unico delle masse popolari41. Se assumiamo il corpo grottesco medioevale come immagine e radice della cultura contadina, l'evangelizzazione e l'indottrinamento sembrano aver colpito prima e più facilmente il corpo grottesco fallico del corpo grottesco uterino.
L'indottrinamento delle masse è a senso unico, ma le immagini e i modi dell'indottrinamento sono ricavati, suggeriti, rafforzati dai risultati dell'Inquisizione. Non sono poche, per tutto il '600, le resistenze opposte dai fedeli, non sono poche le credenze difficili da stroncare, non sono poche le esitazioni della Chiesa relative ai culti da diffondere, ai costumi da assorbire nella pratica cristiana e a quelli da espellere.
Le streghe demoniache fra 1640 e il 1650 si attengono, nelle loro confessioni, al modello del sabba diabolico diffuso dalla Chiesa. I racconti ricalcano puntualmente tutte le nefandezze attribuite alle streghe: il viaggio per andare al sabba, il sabba, la copula carnale col demonio, le offese alle immagini sacre e al culto cristiano, il furto delle particole consacrate. I loro scopi sono uccidere i bambini, far andar via il latte alle donne e alle mucche e così via. Narrazioni dunque in cui la principale preoccupazione è quella di compiacere Finquisitore, confermando il modello demonologico ecclesiastico. Le streghe diaboliche sono tutte in situazioni ambigue: vedove, orfane, nubili.
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Bartolomea Golizza, moglie di Simone di Lenarduz, nata, sono ormai 60 anni, a Colloredo, vive a Farra e quivi è rimasta anche dopo la morte del marito: è una povera filatrice. Bartolomea, come le sue compagne di stregheria, Lena Zampara e Sabbata Lorenzona, sono vedove e, per giunta, Bartolomea e Sabbata non sono native di Farra, dunque una volta rimaste vedove sono sfuggite a ogni controllo, in mancanza della loro famiglia di origine. Domenica di Camillo da Faedis è orfana di madre, scacciata dal padre, psicologicamente fragile, è gelosa, infelice e miserrima; Maria Danellis da Forni di Sotto in Car-nia, pur avendo 30 anni è ancora nubile42. Il loro potere è negativo, ma della stessa natura di quello positivo delle streghe agrarie e terapeutiche: solo le donne infatti possono far morire, perché possono far nascere; solo le donne possono far andar via il latte perché possono allattare; solo le donne diventano liminali da vedove, da orfane, da nubili, perché non sono soggetti sociali e il loro status si fonda su una relazione con il padre, o con il marito43.
La continuità e l'omogeneità fra streghe positive e streghe negative è dunque il corpo. La spontaneità delle streghe terapeu-te nell'alzarsi le gonne, nel girar nude per i campi, nel segnarsi le tette, denota un rapporto, per così dire, naturalistico con il corpo, una consapevolezza delle sue virtù e della presenza positiva di tutte le sue parti. Nel caso delle streghe demoniache questo tipo di rapporto con il corpo, come vedremo, si accentua: la disinvoltura diventa esplicita affermazione delle propensioni sensuali del corpo.
Confrontando le deposizioni delle streghe demoniache con quelle delle streghe terapeute vediamo delinearsi, molto nitido, un unico corpo femminile, che esprime con grande intensità le buone ragioni della carne. Nei racconti di Zannuta, Svalda e Madalina si afferma la fertilità generatrice del corpo; nei racconti di Bartolomea, Domenica e Maria si afferma il piacere come prerogativa ch'emana spontaneamente dal corpo. Tutti e due questi elementi hanno profonda radice nella cultura contadina e un preciso punto di riferimento nei caratteri della festa. A metà '600 la Chiesa già da tempo tenta di ridurre e di cristianizzare le feste contadine sparse lungo tutto l'arco dell'anno e poco per volta le convoglia dentro al breve periodo di Carnevale. Il Carnevale assomma dunque e concentra i significati delle feste, diventa il teatro in cui si riversano i rituali agrari e non cristiani via via espunti dal calendario. Il Carnevale festeggia la morte della vecchia stagione, il nascere della nuova, la fertilità
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e la fecondità e nel contempo ironizza sulle assurde pretese della gerarchia dominante e dei suoi membri all’eternità e all'im-mortalità44. Strega e giullare s’ispirano l’un l’altra come possiamo verificare confrontando la deposizione di Domenica di Camillo da Faedis con la descrizione di un carnevale. La strega e le maschere dileggiano il sacramento della penitenza: lo strumento con cui la Chiesa, proprio in questi anni, cerca di penetrare e d’imporsi nelle campagne. Domenica espone il quadro demono-logico ecclesiastico, ma, a ben osservare, nel suo racconto troviamo particolari da diablerie, saliti alla mente della ragazza dalle strade del suo villaggio45.
Domenica dichiara che a Faedis una volta in cui il diavolo si era presentato «in forma di cavallo di color rosso con la testa pellata rossa con la sella..., con la coda nera, et* io fui esortata dalla Sabbata andarmi a confessare dal Diavolo in forma di cavallo, che mai in vita mia havrei fatta una simil confessione, et entrate tutte tre nella suddetta cucina, e ritrovato il diavolo in forma di cavallo, la Giacoma gli cominciò a parlare con dire “Sig. Padre ascoltate la confessione di questa putta”, et in questo mentre il diavolo si trasformò dalla figura di cavallo in figura di uomo di bell’età vestito di color pavonaz-zo fatto all'usanza di prete, et haveva in capo una berretta nera come i preti, e ne le mani un libro rosso, et alli piedi haveva una tal figura di piede che pareva una zampa di bove e mi disse che non voleva che mi confessasse mai»46.
Molti aspetti di questo racconto li ritroviamo, in chiave festosa, in occasione di un carnevale. Sabato 4 maggio 1652 il pievano di S. Clemente in Povoletto si presenta all’Inquisitore con tre contadini, Giovan Domenico Tomadino, 22 anni, Antonio Decano, 22 anni, e Giuseppe figlio di Giovanni di 15 anni, e narra: «Per questo Carnevale prossimo passato il sabbato sera innanzi alla domenica di sessagesima questi tre giovani erano mascherati per allegrezza carnevalesca, et andando per la villa boffonando s’incontrarono in Gregorio Cocolo detto Guverlo et in Battista Cainero, in Gregorio Schitulo, in Battista, Giuseppe e Francesco figlioli di Daniele Bastianutto, in Antonio Bastianut-to, in Menia e Maria sorelle del detto Gregorio Schitulo, et in Biasio fratello del detto Giovanni Domenico Tomadino tutti mascherati, e tutti della detta villa di Povoletto, fra questi Gregorio Cocolo era mascherato da Prete, e Battista Cainero era vestito con ima pelle secca di bue non conciata adattata in modo che le corna gli venivano sopra la pelle accomodate che non si vedevano, però fingeva esser un demonio. I detti tre
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sponte comparenti s’accompagnarono con l’altra truppa di maschere: era notte, et andarono per le veglie nelle case. La mascherata consisteva in questo, che il detto Gregorio Cocolo in habito di prete faceva il confessore, invitava l’altre maschere, et altre persone non mascherate a confessarsi da lui, come il sopradetto Antonio Decano, persona semplice che ha patito anco riduzione di cervello. In tre luoghi ha fatto finta di confessarsi dal detto finto sacerdote, cioè in casa di Vincenzo di Bastianutto, in casa di Giovanni q. Domenico del Decano, e di Gregorio Schitolo sopraddetto. Questi altri due, cioè Giovanni Domenico Tomadino, e Giuseppe del Decano sopraddetti, sponte comparenti, vedevano e sapevano che il detto Gregorio Schitto-lo fingeva il personaggio di prete et anco di confessore, e sentirono come egli nelle veglie e nelle case chiamava questo e quello dicendo “Vien qua che voglio confessarti e per penitenza ti voglio dare una corona”. Tutti ridevano, èt egli diceva a quegli che non si volevano confessare che li voleva far portare via dal Diavolo, come in effetti chiamava Battista Cainero che era vestito con la pelle di bue da Demonio, e diceva “Vien qua Diavolo porta via costui che non si vuol confessare”. E lui faceva una scodata et una girata per la casa mettendo spavento alle persone poi usciva fuori»47.
Biasio Tomadin conferma: «il detto Diavolo entrava e girava per tutta la stanza e tutti ridevano».
Questo diavolo carnevalesco è ambivalente, rappresenta la forza del «basso» materiale e corporale che dà la morte e rigenera. Ma il riso rigeneratore, che fa sentire ad ognuno la continuità della vita sulla pubblica piazza, mescolato alla folla di Carnevale, è turbato da un giovane che, invitato a mascherarsi da diavolo, rifiuta. Giustina, madre di Antonio Decano, lo aveva avvertito «che non si mascherasse da diavolo con la pelle, perché un altro giovane mascherato da diavolo per un pezo tribolò e se si volse liberare li bisognò andare alla Madonna di Gracia a Udine. Sentita questa cosa Battista Cainero si fece il segno della croce e disse: “non si fa per disprezzo né per far malie, ma per star aiegri nel tempo di Carnevale” e così si mise la pelle»48.
L’elemento di paura e di intimidazione del diavolo ecclesiastico rompe l’atmosfera non ufficiale della festa; l’elemento carnevalesco nella confessione di Domenica getta una luce beffarda sulla ragazza.
L’intensa sensualità dei suoi racconti assume il sapore di un grande sberleffo compiaciuto e burlesco, pieno di «malitia e
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gusto», airinquisitore: «quando si veniva a quelle parole “Bene-dieta tu'* mi insegnò, mi insegnorno, et comandorno dover dire: “Maledicta tu in tal mallhora", e nel Pater Noster a quelle parole “Da nobis hodie”, mi insegnorno a dire per burlare “Donabisodie". Et in chiesa mi dissero che io mi dovessi palpare la mia vergogna, et anco mi toccassi tutta la vita in particolare le mammelle con malitia e gusto, ed io più volte ho fatto le sopraddette cose, e per il diletto e gusto che sentivo in me cadevo in pollutione nell'istessa chiesa circa venticinque volte»49.
Anche nel racconto di Maria Danellis, figlia di Gregorio si ripresenta la stessa spavalda descrizione dei piaceri del corpo: «sempre desideravo giovani diversi, quanti ne vedevo, in chiesa, fuori di chiesa, e per tutto e desideravo far peccato carnale con tutti loro d’ogn*hora, e non mi potevo liberar da questa tentazione»50. Una volta stava in letto, senza poter dormire, quando, — racconta — «all'improvviso viene il demonio in forma d'un huomo però in forma brutta, e nero la prima volta poi si trasformava in forma di bellissima donzella vestita e guarnita delle più belle cose che si potessero vedere, e poi si trasformava in forma di bellissimo giovane e mi diceva molte cose, e mi mostrava bezzi, monete d'oro, d'argento e d'ogni sorta, e me le voleva dare ogni cosa, purché io gli havessi data l'anima mia; e mi toccò tutta la vita con le mani, e con tutto, et usò carnalmente con esso me mettendo la sua natura dentro la mia come fanno moglie e marito, e questo fu una volta sola nel letto e due altre volte mi pareva che mi havesse condotta in paesi lontani brutti dove altre volte cioè due volte hebbi commercio carnale con esso nel modo che ho detto la prima volta e questo durò per spatio di tre hore continue. Io gl'accon-sentij perché havevo una tentazione di carne tanto grande che non era possibile che potesse resistere, e ne hebbi grandissimo gusto».
Tanto nelle confessioni veritiere dei preenti, quanto in quelle estorte per paura (e per resistenza di un modello meglio strutturato di confessioni a cui riferirsi), troviamo ima componente autentica costante: l'estrema disinvoltura riguardo agli aspetti sessuali. Nessuna forma di censura sembra ostacolare i racconti, che a noi, oggi, paiono decisamente osceni. Molte paure affiorano dalle confessioni: la paura di essere bruciate, la paura di essere incarcerate, la paura e la vergogna di essere considerate streghe e di rimanere isolate per questo, lo sconforto di fronte alla miseria e alla malattia. Ma in nessun caso le interrogate mostrano il timore di venire giudicate impudiche.
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Si è spesso detto che i molti particolari osceni erano sollecitati da Inquisitori morbosi: può darsi che qualcuno lo sia anche stato, ma la curiosità minuziosa è propria dell'intera Inquisizione e non solo a questo proposito. Un'altrettanto grande precisione troviamo nelle disposizioni dei confessionali51. La evangelizzazione delle campagne è preceduta ed accompagnata dalla moralizzazione del clero52. Il diavolo Lucio Bello nella finta confessione a Domenica da Faedis dice di volerla per moglie, comportandosi proprio come i numerosi preti che in confessionale sollecitano rapporti sessuali con le penitenti 53. Il sacramento della confessione è lo strumento indispensabile alla evangelizzazione e alla moralizzazione delle campagne: e il sesto comandamento, nel corso del '600, vi assume un ruolo fondamentale. Lo scopo della minuziosità sembra quello di avere, anche sui comportamenti sessuali, un'ampia informazione per affinare e rendere più efficaci dei controlli ancora incerti ed approssimativi.
I molti don Polidoro, fra Giulio Missino, fra Lodovico sparsi per la cristianità hanno fornito materia di riflessione e sono la fonte dei confessionali. Solo dopo il loro intervento le confessioni possono diventare «morbose»; la moralizzazione dei costumi è condizione indispensabile della morbosità.
L'infelice Domenica da Faedis conclude la sua confessione domandando perdono, ma nelle sue parole si insinua ima sfida, si mettono di fatto in dubbio i poteri dell'Inquisitore: «domando perdono a Dio, a questo S. Tribunale et a V. P. Rev.ma e la prego che per l'amor di Dio vogli perdonarmi tanti peccati, e liberar se non il corpo almeno Vanima mia dalle mani del demonio».
Per tutto il '600 e '700 vi è una sorta di inseguimento, preti-fedeli, anima-corpo, peccato-colpa.
Sia nel caso dei preenti, che in quello della magia diabolica, il contrasto fra prete e streghe è contrassegnato da una forte tensione: tuttavia essa non ha più il carattere di scontro mortale che aveva avuto 50 anni prima. L'impressione è piuttosto che, definite le norme in base alle quali si giudica che cosa è magico e che cosa non lo è, si tratti di curarne il perfezionamento e, d'altro canto, di ritualizzarne l'applicazione. Alle streghe, in questa fase, tocca una funzione di mediazione fra il clero e i compaesani. Streghe demoniache o streghe taumatur-ghe devono indicare ed insegnare a tutti chi è l'antistregoneM. I preenti mettono in gioco una fitta rete di relazioni e pertanto l'azione della strega ha una potenza sociale molto ampia.
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In primo luogo risulta evidente che i preenti erano tramandati da donne sposate attraverso le relazioni di parentela: tutte infatti dicono di aver appreso i preenti dalla madre, dalla suocera o da una cognata. In secondo luogo sono fondamentali le relazioni fra donne, non solo parenti, ma vicine e compaesane, giacché ognuna delle donne interrogate chiama in causa altre due o tre donne. Nelle 27 deposizioni compaiono, variamente nominate, non meno di 60, 70 donne complessivamente, di contro a una decina di uomini. Il lucro non è fra i motivi che inducono a fare preenti o perlomeno non è un motivo rilevante o sufficiente: i preenti sono prestati e diffusi come uno scambio di aiuto e d'informazione fra buoni vicini. Gli uomini credono ai preenti delle donne; alcuni vi si attengono, altri mandano a chiamare le donne ritenute capaci di preentare.
Molti elementi emergono dalla vicenda di cui Madalina del Conte è il fulcro.
Perché Madalina confessa ogni cosa al pievano e pretende che sua madre e sua cognata confessino a loro volta? Tutto il suo comportamento la mostra preoccupatissima di compiacere il pievano: si confessa, fa confessare le altre, è pentita e solerte nel pentimento. Il suo scopo è conquistare la fiducia del pievano e convincerlo che lei considera «superstitioni» tutti quei preenti.
Gioseffo e Bastiano del Conte invece si oppongono con ogni mezzo, comprese le bastonature, a che Svalda e Madalina si rechino dal pievano: i due uomini vedono infatti sminuita la loro autorità sulle donne di casa, e quindi sminuito il loro posto nella gerarchia sociale del villaggio.
La figura del pievano gioca in maniera contrastante per Madalina e per Gioseffo. Gioseffo, Bastiano e don Zorzi Salomon rappresentano l'autorità locale, legata ai rapporti interni alla comunità, il pievano è l'elemento nuovo, il rappresentante di una forza esterna, accentratrice. Le donne corrono a confessarsi da lui, certamente anche per paura: l'inquisizione friulana è sempre stata piuttosto mite55, comunque l'eco della grande caccia alle streghe ha, anche qui, se non altro un effetto di terribile minaccia incombente.
Nondimeno tutto l'atteggiamento del pievano fa pensare che lo scopo del Santo Uffizio fosse, innanzi tutto, di stendere un inventario delle credenze popolari, per verificare in quali punti e sotto quali aspetti il rapporto con il soprannaturale sfuggiva alla Chiesa. Don Polidoro vuole in primo luogo controllare capillarmente la situazione e venire a giorno delle convinzioni più radicate e diffuse fra la popolazione. La sua minuzia e
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la sua precisione sono quasi da etnologo: riporta più e più volte lo stesso preento, la stessa formula, divide in punti i preenti, se la donna esita nel racconto Don Polidoro le legge altre deposizioni e le confronta, sottopone a verifica le deposizioni prima di farle firmare. Ha cura inoltre di far presenziare sempre gente del luogo alle deposizioni: se si tratta di persone di Giassico, i testimoni sono di Giassico. Sono spesso presenti altri membri della comunità, più o meno casuali: il figlio di Zannuta Peton, le persone che han sporto la denuncia ed altri. Anche Madalina del Conte è testimone varie volte; sono presenti a numerosissime confessioni Zannuta Pillizuto e la massara di Don Polidoro. È facile immaginare che i testimoni in generale, e le ultime due donne nominate in particolare, avessero una precisa funzione d'informazione e di coordinamento delle notizie, dal pievano verso la comunità e viceversa.
Il pievano acquista potere dal suo ruolo ambivalente; la sua minaccia cade purché si sia disposti a metterlo a parte delle convinzioni riguardanti il soprannaturale. Bisogna dire che cosa si sa, che cosa si è fatto e chi altri sa o fa atti magici; poi bisogna riconoscere che questi atti sono «superstizioni» (questo termine percorre tutte le denunce) e che ogni atto di questo tipo, cioè magico (positivo o negativo) è «materia del Santo Officio».
Una volta accettata l’autorità sovrana della Chiesa, appreso ciò che non si deve fare e promesso che non lo si farà più, la donna pentita è scagionata e purificata dalle sue colpe. La visita e la confessione al pievano diventano a questo punto un elemento di forza, che consente alla donna obbediente di presentarsi con autorevolezza nuova e con sicurezza alla comunità e alla sua stessa famiglia: la comunità perde infatti il diritto di mormorare di lei. Il pievano da nemico diventa alleato, Madalina acquista virtù e credibilità dal pievano e il pievano acquista potere attraverso Madalina. •
Madalina recupera la sua dignità a prezzo di farsi strenua combattente contro la «superstitione»; il pievano penetra, servendosi di lei, nel reticolo sociale dei villaggi di Brazzano e di Rutars. Madalina scova le streghe, le denuncia, le porta a confessarsi, fa da testimone, estende l'autorità di don Polidoro, sostituendolo al più ingenuo don Zorzi Salomon, parroco del paese. Madalina e le altre potenziali streghe, ree confesse, hanno tutto l’interesse a far prevalere l'autorità di Don Polidoro. Madalina (come le altre) rinuncia alle sue capacità personali e naturali (legate alle prerogative del suo corpo) in cambio di un'autorità
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riflessa e dipendente, ma più sicura, che la garantisce dalla cattiva fama e dalle incerte e spesso conflittuali relazioni familiari e sociali delle donne nelle comunità contadine. Può bastare un litigio, una imprevedibile vedovanza a mutare una magia positiva in stregoneria malefica. Don Polidoro attraverso Madali-na si afferma come un'autorità superiore alle autorità della comunità: il suo giudizio su Madalina e Svalda diventa l’unico giudizio che può sollevarle dall’accusa di essere streghe. Esso si afferma contro il parere di Gioseffo, scavalcando quindi l’autorità paterna e quella maritale, nonché quella di don Zorzi Salomon, il parroco troppo compromesso con la comunità e forse reo delle stesse «superstizioni».
L’ambiguità dei rapporti fra le donne e il pievano è dovuta al fatto che possono diventare, come Madalina, delle alleate. Ma si tratta di alleate molto infide, perché il magico di cui sono detentrici è difficile da espropriare, sta dentro il loro corpo e può essere riutilizzato, indipendentemente dal prete, in ogni momento; è un potere diverso e contrastante rispetto a quello del prete. Le donne sono una minaccia continua, giacché, se il prete ha il potere di dar vita e morte all’anima, le donne hanno il potere di dar vita e morte al corpo: nell’incerta battaglia fra anima e corpo, possono sempre intervenire autorevolmente a favore del corpo.
Spostiamoci ora di cento anni e osserviamo gli effetti del combattimento fra il clero e le streghe.
Nel 1740 troviamo ad Aviano una donna di 22 anni, nubile, Angela Roletti, figlia di Bartolomeo. La giovane, gravemente ammalata, fa ben tre deposizioni. L’andamento del racconto, ma soprattutto il crescendo delle autoaccuse dalla prima alla seconda deposizione, testimoniano un lungo tormento interiore. Angela non ha, come Bartolomea Golizza, alcuna paura che «la brusi-no». Sembra piuttosto spinta dal rimorso: «devo rappresentarmi a deporre [...] ed accusare le mie iniquità commesse contro Dio, e in pregiudizio dell’anima mia»56.
La vedova Giuliana Chiaranda, di 60 anni, nativa di Marsu-re, ma abitante ad Aviano e Cattarina Paiara, vedova sessantenne da S. Leonardo, l’hanno iniziata alla stregoneria. Le insegnarono, circa 6 anni fa, «che il Figliuolo di Dio è stato generato doppo il Padre. Che Dio non è stato, né sarà eterno. Che il demonio è creatore di tutte le cose visibili. Che non vi è purgatorio. L’insegnò abusarmi di Sagramenti, delle cose sagre, et a fare ingiuria d’ogni sorta alle immagini dei Santi». Mentre si
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trovava a Monte Reale la vedova Maria Schiavon di 70 anni le insegnò che «Maria Vergine non è Vergine. Che S. Giuseppe è vero padre di Gesù Cristo, e che l'anima nostra è mortale: e mi fece intendere tal cosa col smorzare un lume d'olio col dire: “tale è anco ranima nostra"».
La Chiaranda le fa fare un patto con il diavolo, «che mi fece comparire con corona in capo, scettro in mano, ossia sopra un trono [...]. Doppo fatto lo scritto la medesima m'insegnò mille iniquità» e le elenca minuziosamente: sono stratagemmi per prevedere il futuro e «proposizioni eretiche». «Affine di pervertire le mie [...] sorelle gli diceva: credete voi che sono vere le cose d'altra vita? Oh che è meglio prendersi in questo mondo le sue soddisfazioni, che tanto attendere alle cose diverse!».
Procura particole consacrate alle due streghe, le trafigge con spilli. La Chiaranda possedeva una statuetta del demonio a cui tanto lei che le altre si rivolgevano per ottenere le loro soddisfazioni. «Tutte, o quasi tutte le mie soddisfazioni le ho avute con tutte le persone che ho desiderato; il più delle volte però dal demonio, comparso in sembianza di tali persone; e queste o per mezzo del ricorso alla statua, o dei comandi fatti da me o dalle suddette donne dal demonio [...]. Ho avuto lungo commercio carnale con persone d'ogni condizione, e concepito cinque volte, e col consiglio della prima donna ho preso diverse cose per abortire, come anzi ne è seguito l'effetto [...]. Ho fatto abortire due donne maritate già anni 5 in circa in poco distanza da un aborto all'altro [...]. Gli aborti furono effettuati nella seguente maniera: le 2 donne suddette avevano affanno di stomaco, il che inteso dalla prima donna malefica, mi mandò in diversi tempi alla casa delle suddette con due bozzette di vetro piene d'acqua colorita, che tirava al rossetto, della tenuta di due soldi di olio in circa col dire alle medesime che bevessero l'acqua contenuta nelle stesse bozzette, che era buona per l'affanno di stomaco, e di fatto era ordinata a farle abortire».
Tutto ciò si svolgeva «ogni qualvolta bramassi qualche mia soddisfazione»: non è necessario il sabba, né la presenza del demonio, basta una sua statua. Il sabba è un particolare fra altri: «Ho anco 30 volte in circa usate dell’unzioni per andar in stregaria il giovedì sera [...], ciò ho fatto da 30 volte in circa coWeffetto consueto del trasporto del corpo alle solite recreazioni delle streghe». Fa quindi un elenco degli «stromenti de malefici»: «varie cose, parte sagre, e parte non sagre».
Il 6 novembre 1740 Angela, costretta a letto, fa scrivere dal
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suo padre spirituale una lettera nella quale chiede nuovamente di essere ascoltata dall'Inquisitore. Il 2 dicembre si presenta a casa della donna lo stesso inquisitore della diocesi di Aquileia e Concordia, Antonio Crivelli, per raccogliere la confessione. Angela si fa leggere la sua precedente deposizione e quindi, con tono ripetitivo da litania e da mea culpa, passa in rassegna le già numerose autoaccuse, le ribadisce e le aggrava. Aumenta il numero di volte che commise Tatto malefico oppure se ne assume la responsabilità, mentre nella precedente dichiarazione faceva ricadere la colpa sulla Chiaranda. «Dove dissi, mi insegnò similmente d’accostarmi all'altare non digiuna, come ho fatto più di una volta, doveva dire che lo feci continuamente. Dove dissi: ho fatto più di 150 adorazioni al Demonio dovevo dire ogni notte, in sei anni che sono stata strega [...]. Dove dissi: morivano quattro figliuoli, due maschi e le altre due femmine, [...] con malefici ricevuti dalla suddetta donna, dovevo dire, con malefici fatti da me, siccome s’infermò per tali malefici la Signora Elisa Detta figlia del Sig. dottor Oliva».
Alla fine della confessione don Antonio Crivelli le chiede se abbia mentito su qualcos’altro: «Io ho detto tutto quello di cui mi sentivo aggravata, e ho detto la verità” — risponde —. Il sacerdote insiste e la esorta a riflettere ancora: «Stetit aliquan-tulum cogitabunda, et postea dixit, non ho altro per quanto mi ricordo da dire, sopra questo proposito della mia prima spontanea comparsa». Evidentemente Angela esita e il confessore si accorge che, pur nell’impeto della contrizione, non ha ancora detto tutto. Richiesta «an habeat aliquid aliud deponere in S. Officio prò exoneratione propriae conscientiae», Angela infine parla: «devo parimenti rappresentare per sgravio della mia coscienza che doppo fatta quella mia prima spontanea comparsa nel S. Offizio lasciai di dire che Padre Antonio Cigolotti [...], che è stato il principio e Torigine della rovina delTAnima mia con indurmi dagli anni nove della mia età sino a tredici a continui carnali commerci, è Mago e Stregone, compone strega-menti, fà unzioni per il trasporto de corpi. Ha fatto seguire undici aborti, cinque a me e sei ad altre figlie ed ha tenuto per se otto corpicioli per uso de malefici. Anche doppo li tredici, molte volte ha avuto qui in Aviano meco carnale commercio». Altri 5 sacerdoti entrano nottetempo in casa sua, usano con lei carnalmente e le insegnano delle eresie, fra questi «don Antonio Sartogo il giovane sacerdote di Aviano è mago e stregone [...]. M’insegnò che l’anima nostra è mortale. Che Dio non è giusto, mentre condanna chi merita premio, e primia chi merita esser
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condannato. E che Maria Vergine non è Vergine». Inoltre lei e Giuliana Chiaranda hanno corrotto e rese streghe un gran numero di donne, di cui elenca i nomi, ed hanno anche ucciso moltissimi bambini. La confessione prosegue lunghissima, non trascurando nessuna delle possibili nefandezze che venivano attribuite alle streghe. Ogni atto, ogni comportamento è elencato secondo canoni e terminologie molto codificati. Angela stima che la causa di tutta la sua storia sia la corruzione carnale; tuttavia ben discreti sono i riferimenti che fa al corpo: «Ho ammesso, che ho fatto altri due scritti con Satana, cioè uno con il solo Lucifero, che di mio consenso e persuasione della detta Chiaranda, mi entrasse nelle parti vereconde a fine di farmi provare stimoli carnali per essere più disposta a ricevere...] lo spirito di Satana, con cui hò patuito di riceverlo sette volte alla note».
«Stimoli carnali», non più «gusto e malizia»; i cinque preti corrotti entrano e escono dalla sua stanza come vogliono; non è lei che va al sabba.
Il 23 marzo depone per la terza volta: è sempre a letto ammalata, per il santo Officio viene da lei don Giuseppe Simo-netti, Angela conferma la sua seconda confessione: «Son tutte vere le cose che ho deposto e presentemente tutte le ratifico». Quanto alle eresie dice: «Non ho però tenute, né credute tali cose con firma credenza, ma piuttosto con intenzione di far dispiacere a Dio, e piacere al Demonio, et a compagni dei miei eccessi per così avere le mie bramate sensuali soddisfazioni».
È pur vero che molte eresie di Angela sono improntate a una sorta di materialismo, di negazione del mistero (la Vergine non è Vergine, San Giuseppe è il vero padre, Gesù Cristo non è nelle particole, Dio non è infinito, il Figlio è nato dopo il Padre), ma nessuna cosmogonia è visibile. Angela non ha in mente una interpretazione organica della realtà, non propone una visione del mondo, giustappone semplicemente elementi ereticali che circolavano, senza essere un'eretica. Meno di 200 anni prima anche Menocchio aveva dichiarato che la Madonna non era Vergine e che S. Giuseppe era il vero padre57. Menocchio era un uomo e Angela è una donna, cui è negata a priori la capacità di elaborazione concettuale riconosciuta a Menocchio. Ma non è questo soltanto a rendere ben diversa la stessa affermazione. Perché il Diavolo suggerisce ad Angela che la Madonna non è Vergine e San Giuseppe è il vero padre di Gesù Cristo? Perché è «lo spirito della fornicazione».
Fra la dichiarazione di Menocchio e quella di Angela il
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culto della Madonna e di San Giuseppe assumono il significato di ima riabilitazione dello stato laicale — condizione perché un'istituzione naturale, così legata alla carne come il matrimonio, diventi pienamente un sacramento.
La Madonna da sempre è il modello irraggiungibile offerto alle donne, è il recupero di Èva tentatrice. L'accentuarsi del culto della Sacra Famiglia implica l'accentuarsi delle sue virtù contrastanti: Vergine e Madre. Una volta ammesso che la santità può essere raggiunta anche nella vita laicale, anche nel matrimonio e non solo nel sacerdozio, diventa essenziale ribadire che la sessualità è intrinsecamente un male. Il matrimonio è il minore dei mali58, accettabile solo in quanto sia in grado di confermare che il valore resta comunque la castità.
Angela Roletti non ha nessuna «firma credenza», rifiuta piuttosto un modello che non lascia alcuna possibilità agli «stimoli carnali», «con intenzioni di far dispiacere a Dio, e piacere al Demonio, ed a compagni dei miei eccessi». A ciò è stata spinta dalla condizione di malata e dalla disperazione: «nelle ultime ricadute nulla più credeva delle verità di nostra Fede».
Ma esaminiamo la malattia che costringe Angela a letto. «Di fatto è un anno e mezzo che io mai ho potuto inghiottire cosa alcuna né di liquido né di solido, e neppure mi ha potuto passare il mercurio, di cui più di una volta i medici ne hanno fatto prova.
Un giorno, a tal proposito di non poter inghiottire, discorrendo con la donna già detta, come io potessi vivere senza cibarmi, essa mi rispose con parole oscure, ma però da me intese, che quel Demonio, al quale io ho fatto lo scritto, che si chiama lo spirito della fornicazione, come essa mi dice, [...] esso Demonio sopradetto mi nutriva con somministrarmi a suoi tempi il cibo. Io però che sempre ho aborrito ed aborrisco anche al presente di essere cibata dal Diavolo, dissi alla Donna [...] che se mai ciò fosse vero, vorrei subito romper con lei, e col Demonio, l'amicizia, coll'andarmi a confessare. Di fatto poco dopo fatta tale espressione, cioè giorni 4 in circa, ebbi libere le fauci, ed inghiottivo, come prima dell'incomodo. Ma doppo giorni quindeci in circa si chiusero di nuovo le fauci [...]. Mastico di ogni giorno, e bevo, ma tutto poi rigetto, per non poter inghiottire, come lo sanno i miei domestici. [...]. Le fauci mi si chiusero doppo posto in bocca parte di un cedro, portatomi dalla donna suddetta, che doppo mangiatolo mi disse, che non lo inghiottirò più»59.
Vomita, un groppo le stringe la gola, non riesce a inghiotti-
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re e tutto ciò è provocato dallo «spirito della fornicazione». Angela cerca di sottrarsi ai desideri carnali con ogni mezzo, ma tosto ci ricade e la malattia si ripresenta. È affetta da questo male da più di tre anni, sia pure non in continuazione. Il racconto della malattia è punteggiato da accenni a «pensieri di dispirazione», che il Diavolo le suggeriva: tutte e tre le confessioni hanno un tono coscienziale, di autoesame e di autoriflessione, che non era assolutamente presente né nella confessione di Domenica da Faedis, infelice e psichicamente turbata, né in quella di Maria Danellis, mossa da «desiderio di carne grandissimo». Senz'altro vi erano elementi psicologici anche in questi casi, ma la paura veniva dairesterno, era la paura dell'Inquisito-re e dei compaesani. Nel caso di Angela invece si sono sviluppati dal di dentro pudore e senso di colpa, che, dal di dentro, le serrano la gola e le rovesciano lo stomaco. Angela, lungi dal temere l'Inquisitore, lo manda a chiamare tre volte, si fa benedire ed esorcizzare, con l'Agnus papale, con il Rosario, con il Vangelo di S. Giovanni e con «altra cosa sagra», si accusa con passione, si pente quanto più può, ma senza successo.
Il quadro clinico fa inequivocabilmente pensare ad una malattia che, di lì a 100 anni, si rivelerà come «naturale» nelle donne: l'isteria: «Uno dei sintomi più comuni dell'isteria è una combinazione di anoressia e di vomito»60.
Anche Domenica da Faedis (come infinite altre) dà segni interpretabili come follia: «batteva il capo alle muraglie, et in terra con pericolo di ammazzarsi, e si sarebbe precipitata o altro, se non fosse stata tenuta»61. Non di meno si scuote, si agita, si contorce, ricalcando il cliché ecclesiastico dell'indemoniata. Angela invece languisce a letto, i sintomi sono diversi. S'intravede un mutamento che consente di passare da una concezione religioso-ecclesiastica della demoniaca sessualità femminile, ad una concezione scientifico-medica della esuberante sessualità femminile.
Al corpo grottesco medioevale mancavano i requisiti per la follia di tipo nevrotico che vediamo affacciarsi in Angela. La sensualità, il ventre erano una fonte di gioia e di eccessi, che potevano venir puniti e contenuti dalla morale ufficiale, ma di cui non ci si vergognava. Che il corpo femminile avesse delle normali ed accettabili propensioni sessuali è stato per molto tempo un fatto accettato come ovvio e non certo riprovevole. Nelle cause per seduzione si ritiene sufficiente una promessa di matrimonio, puramente verbale e privata, da parte dell'uomo perché una donna abbia di buon grado rapporti sessuali con
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lui. La menzogna è considerata stupro. Il consenso della donna non interessa il tribunale: anche quando la donna dichiara di essere stata consenziente, più volte, il reato di stupro rimane. L'inquisitore vuole sapere soltanto se ci sia stata promessa o no62.
Il controllo delle donne nell'Antico Regime, nelle comunità contadine, riguardava essenzialmente il controllo della natalità e della reciprocità. Nella società divisa in ordini le donne trasmettono status sociale assieme alla vita, sono gli strumenti attraverso i quali si perpetua la gerarchia sociale, rigida, precostituita. La società aristocratica e feudale nella rete di relazioni sociali poneva l'accento sul momento dello scambio, cioè sul matrimonio e le alleanze conseguenti.
Fra '600 e '700 il potere si sposta gradatamente dalla periferia al centro, dalle comunità di villaggio allo Stato. La mobilità sociale aumenta, la endogamia di villaggio e di strato sociale s’incrinano, dunque il sangue non è più un veicolo sicuro dello status sociale. Con l'aprirsi del raggio di scambio diventa fondamentale la qualità della merce; pertanto il momento cruciale nello scambio delle donne si sposta, lentamente, dal matrimonio al comportamento sessuale (dalla natalità alla sessualità): la virtù è la sola garanzia della qualità dei figli.
Si è molto insistito sulle trasformazioni strutturali dell’Età Moderna, sul fatto che la rotazione triennale e le innovazioni tecniche nell’agricoltura pongono fine alle carestie e non si scende più sotto il livello di sussistenza. Questi mutamenti sono i più agevolmente osservabili: ma scambi economici e scambi matrimoniali sono parte integrante di un sistema di reciprocità 63. Il nascere di nuove reti di relazioni è fonte di un intricato intreccio di conflitti: si gioca una partita in cui si ridistribuiscono le parti e si riformulano le regole.
La Chiesa in Friuli (ma anche altrove) riesce a garantirsi la riformulazione delle regole negli scambi matrimoniali, appoggiandosi sul controllo delle donne. Una simile operazione riesce per due ragioni: la prima è che la Chiesa con la Controriforma punta tutte le sue carte sulla gestione della morte e sul timore dell'aldilà; le avversarie per definizione su un simile terreno sono coloro che danno la vitaM. La seconda ragione è che all’interno dei ceti emergenti, che vanno prendendo il potere, ceti artigianali, mercantili e professionali laici e liberali, si pensa che alle donne non convenga un’educazione sperimentale e laica, bensì un’educazione sostanzialmente religiosa. Nei paesi cattolici l’educazione delle donne viene delegata alla Chiesa; e
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la Chiesa attraverso le donne si inserisce nelle maglie delle relazioni sociali, tanto più saldamente, quanto meno sono rilevanti i poteri civili.
Le nevrosi femminili sembrano avere delle differenze così marcate rispetto a quelle maschili, che una considerevole parte di queste differenze è stata attribuita alle diversità biologiche e naturali. Ma la distanza fra cultura maschile e femminile nel ’600 si accentua tanto quanto quella fra classi sociali. I modi e i tempi di questo fenomeno sono per lo più scarsamente analizzati.
Abbiamo tentato di abbozzare in figure come Madalina, Sval-da e Angela i contrasti tra il clero e le donne. Le carte dell’Arcivescovado di Udine per il '600 e il 700 lasciano trapelare riguardo agli effetti della evangelizzazione sugli uomini assai poco, soltanto alcuni indizi: i sortilegi per sedurre le donne diminuiscono progressivamente dal '500 al '600 fino a sparire quasi nel 700; nel 700 gli uomini compiono numerosissimi sortilegi per avere denaro e, in genere, i processi istruiti contro di loro sono brevissimi: né l'inquisitore, né il presunto stregone sembrano annettervi alcuna importanza. Gli uomini dichiarano, senza difficoltà, di aver cercato di dare l'anima al diavolo in cambio di denaro, ma il diavolo, più volte invocato, non si presenta mai e così rinunciano: più per inefficenza magica e sfiducia che per rispetto della fede. L'inquisitore, a sua volta, non ritiene di dover insistere per lo scarso seguito che hanno questi sortilegi: nessuno degli uomini infatti coinvolge o nomina qualcun altro, ognuno tenta la sorte da solo. Tutto dunque si svolge fra uno stregone sfiduciato, un diavolo ritroso e un inquisitore indifferente 65.
Luisa Accati Università di Trieste
NOTE AL TESTO
1 C. Levi - Strauss, Introduzione all’opera di Marcel Mauss, in M. Mauss, Teoria generale della magia e altri saggi, Torino 1965, p. XVIII.
2 M. Mauss, Teoria generale della magia e altri saggi, Torino 1965, p. 396.
3 M. Mauss, op. cit., p. 23.
4 Ibidem, p. 24.
5 C. Levi - Strauss, Introduzione, cit., p. XVII.
‘ A.C.A.U., S. Officio, busta 27 proc. 951, 1645.
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7 A.C.A.U., S. Officio, busta 27 proc. 946, 1645.
8 «con» dal latino cunnus = conno, vagina.
9 II preento dell’ortica, consiste nel portare pane e sale ad un'ortica, dicendo: «Bondì, bondì urtie ti puorti del pan e del sai», in cambio l'ortica si porta via la febbre o la malattia. Vi sono varie versioni della formula magica.
10 Ibidem.
11 Ibidem. Il preento alle mammelle ha lo scopo di scongiurare la mastite, infiammazione dovuta al ristagno del latte nei canalicoli del seno.
12 Ibidem.
13 II -termine madrazza indica la mastite o quanto meno il rigonfiamento doloroso della montata lattea.
14 Ibidem.
15 A.C.A.U., S. Officio, busta 27, proc. 955, 1645.
18 A.C.A.U., S. Officio, busta 27, proc. 946, 1645.
17 A.C.A.U., S. Officio, busta 27, proc. 953, 1645.
» A.C.A.U., S. Officio, buste 27, proc. 950, 1645.
19 A.C.A.U., S. Officio, busta 27, proc. 954, 1645.
20 A.C.A.U., S. Officio, buste 27, proc. 945, 1645.
21 A.C.A.U., S. Officio, buste 21, proc. 954, 1645.
22 A.C.A.U., S. Officio, buste 27, proc. 955, 1645. «Vite di cividino»: vite che dà il vino detto «cividin» o «zividin», antico vitigno del Friuli. «Cividin» deriva da Cividale, anche se questo tipo di vino si trova in zone diverse del Friuli (G. A. Pirona, E. Carletti, G. B. Coronali, Il nuovo Pirona. Vocabolario Friulano, Udine 1977, pp. 158 e 1235).
23 A.C.A.U., S. Officio, buste 21, proc. 954, 1645.
24 A.C.A.U., S. Officio, buste 27, proc. 944, 1645.
25 A.C.A.U., S. Officio, buste 21, proc. 945, 1645.
28 A.C.A.U., S. Officio, buste 21, proc. 971, 1646.
27 A.C.A.U., S. Officio, busta 21, proc. 945, 1645.
28 Per la distinzione fra magia e religione vedi M. Mauss, op. cit., pp. 17-19 e M. Gluckman, Les rites de passage, in M. Gluckman (a cura di), Il rituale nei rapporti sociali, Roma 1972, pp. 37 e ss.
29 A.C.A.U., S. Officio, buste 29, proc. 20 bis, 1648.
38 A.C.A.U., S. Officio, buste 28, proc. 992, 1647.
31 Ibidem.
32 Ibidem.
33 M. Bakhtine, L'oeuvre de Francois Rabelais et la culture populaire au Moyen Age et sous la Renaissance, Paris 1970, p. 315.
34 Menia da Rutars «disse che circa il farsi preentar le tette con la natura dell'uomo essa non l'ha mai fatto, ma ha inteso dire, che una volte fu insegnato dalla Primosa di Rutars a Giacoma moglie di Valentin Savalit parmenti di Rutars. Che sua suocera Svalda [. ..] li ha una volte preenteto le tette con un petine nella quale attione li faceva circuii con segni di croce tre volte una dietro l'altra dicendo: "In nomine Patris et Filij et Spiritus Sancti”». (A.C.A.U., S. Officio, buste 21, proc. 955, 1645). Svalda l’ha imparato 30 anni prima da un tal Bastiano «che dovesse farsi preentar le tette ne le quali haveva malie, dalla natura dell’uomo». Madaiina del Conte conferma che
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Svalda e Menia le han detto «che faciva un certo preento il quale era questo che la dona pigliava la natura e li faceva alcuni segni di croce sopra le tette con essa per la madrazza» (A.C.A.U., S. Officio, busta 27, proc. 946, 1645). Il preento serve a far sgorgare il latte dalle mammelle.
35 M. Bakhtine, op. cit., p. 34.
36 C. Levi - Strauss, L’efficacia simbolica, in Antropologia Strutturale, Milano 1966, pp. 210 e ss.
37 M. Douglas, Purezza e pericolo, Bologna 1972 p. 87.
38 Si chiama Mater Castissima «[. . .] Perché fu un horto chiuso a tutto ciò che potesse offendere la sua Purità, horto sempre difeso, sempre custodito» (S. Valfrè, Divota Istruzione, Torino 1694).
39 Per la santità come dominio di sé vedi J. Epstein, Il giudaismo. Studio Storico, Milano 1967; per la santità come completezza e separazione vedi M. Douglas, op. cit.
40 Nella Genesi Dio crea due donne: una madre e una moglie. La madre è a immagine di Dio, essa è infatti la parte femminile dell'uomo ed è la progenitrice degli uomini, anche a lei, oltrecché all'uomo è affidato il compito di rendere soggetta la terra, i pesci e gli uccelli. «E Dio creò l'uomo a sua immagine; lo creò a immagine di Dio; li creò maschio e femmina» (Genesi I, 27). La moglie invece deriva dall'uomo e dipende rigorosamente da lui. Quando infatti tutto è creato Iddio disse: «Non è bene che l'uomo sia solo; io gli farò un aiuto che gli sia convenevole», quindi da una costola di Adamo crea la donna. «E l'uomo disse: "Questa, finalmente, è ossa delle mie ossa e carne della mia carne. Ella sarà chiamata donna perché è stata tratta dall'uomo! Perciò l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua moglie, e saranno una stessa carne» (Genesi II, 18; 23-24). La donna moglie dipende dal marito, la donna madre dipende da Dio, per la Chiesa è dunque essenziale inserirsi fra la madre e Dio per garantire la sua egemonia su tutto il sacro, maschile e femminile. La verginità nel Deuteronomio è una norma di controllo della moglie. Una donna deve essere vergine fino al matrimonio, se il marito non la troverà vergine «allora si farà uscire quella giovane all'ingresso della casa di suo padre, e la gente della sua città la lapiderà, sì ch'ella muoia, perché ha commesso un atto infame in Israele, prostituendosi in casa di suo padre» (Deuteronomio, XXII, 21). La Chiesa muta la norma esercitata sul corpo in norma esercitata sull'anima e la trasferisce dalla figura della moglie a quella della madre.
41 C. Ginzburg, Il formaggio e i vermi, il cosmo di un mugnaio del ’500, Torino 1976, p. 146.
42 A.C.A.U., S. Officio: busta 29, proc. 18 bis., 1648; busta 28, proc. 997, 1647; busta 27, proc. 975, 1646. A proposito di Domenica di Camillo vedi C. Ginzburg, I Benandanti, Torino 1966, p. 146.
43 Per il concetto di liminalità vedi V. Turner, La foresta dei simboli, Brescia 1976, pp. 123 e ss.
44 M. Bakhtine, op. cit., p. 213.
45 A proposito del significato ispiratore del carnevale vedi: N. Zemon - Davis, Society and Culture in Early Modern France, Stanford 1975, p. 147 e p. 103. P. Cam foresi, La maschera di Bertoldo, Torino 1976, p. 224, P. Cam foresi, Il paese
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della fame, Bologna 1978, pp. 187 e ss.
* A.C.A.U., S. Officio, busta 48, proc. 997, 1647.
47 A.C.A.U., S. Officio, busta 37, proc. 208, 1652.
48 In altri casi compaiono elementi decisamente carnevaleschi, in cui accanto alla satira delle funzioni religiose, si intuisce una concezione gioiosa del diavolo, non necessariamente spaventoso, né malvagio. Pasca moglie di Antonio descrive a don Polidoro un modo di segnarsi in un latino contraffatto e scherzoso «che essa l’ha insegnato a diverse persone per modo di burla» (A.C.A.U., S. Officio, busta 27, proc. 955, 1645). Lucretia Panitiola, molto invaghita di un giovane, perché non gli sfugga chiede aiuto al demonio «temendo che il demonio non mi apparisse [. . .] mi raccomandavo a Dio e poi chiamavo il diavolo» (A.C.A.U., S. Officio, busta 29, proc. 1 bis, 1648).
49 A.C.A.U., S. Officio, busta 48, proc. 997, 1647.
50 A.C.A.U., S. Officio, busta 27, proc. 975, 1646.
51 «Non bisogna dimenticare che la pastorale cristiana, facendo del sesso ciò che, per eccellenza, doveva essere confessato, l’ha sempre presentato come l’enigma inquietante: non ciò che si mostra ostinatamente, ma quel che si nasconde dappertutto, l'insidiosa presenza alla quale si rischia di restare sordi tanto essa parla a voce bassa e spesso irriconoscibile» (M. Foucault, La volontà di sapere, Milano 1978, p. 35). "
52 F. Chabod, Lo Stato e la vita religiosa a Milano all’epoca di Carlo V, Torino, pp. 231 e ss.
53 Cfr. ad esempio A.C.A.U., S. Officio, busta 28 proc. 999-1640.
54 E. E. Evans - Pritchard, Sorcellerie, oracles et magie, chez les Azandé, Paris 1972, pp. 189 e ss.
55 C. Ginzburg, I Benandanti, cit., p. 81.
56 A.C.A.U., S. Officio, busta 55, proc. 831 bis, 1740.
57 C. Ginzburg, Il formaggio e i vermi, cit., p. 9.
58 P. Ariès, L’enfant et la vie familiale sous l’Ancien Régime, Paris 1973, p. 398; vedi anche C. Klapisch, La «Mattinata» médiévale d’Italie, comunicazione alla tavola rotonda sullo «Charivari», Parigi, aprile 1977, p. 13.
5’ A.C.A.U., S. Officio, busta 55, proc. 831 bis, 1740?
60 S. Freud, op. cit., p. 94.
61 A.C.A.U., S. Officio, busta 28, proc. 997, 1647.
62 A questo proposito cfr. S. Cavallo, Fidanzamenti e divorzi in Ancien Régime: la diocesi di Torino, in Miscellanea Storica Ligure, IX (1977), pp. 5-50.
63 C. Lévi - Strauss, Le strutture elementari delta parentela, Milano 1969, pp. 76-77.
64 «La tradition comique populaire et la tendance ascétique sont profonde-ment étrangères fune à l’autre. La première n’est nullement hostile à la femme et ne porte sur elle aucun jugement défavorable. . . dans cette tradition, la femme est essentiellement liée au bas matériel et corporei: elle est l’incarna-tion du "bas" à la fois rabaissant et régénérateur. Elle est aussi ambivalente que lui. La femme rabaisse, rapproche de la terre, corporali se, donne la mort; mais elle est avant tout le principe de la vie, le ventre» (M. Bakhtine, op. cit., p. 240).
65 A.C.A.U., S. Officio, buste da 41 a 54, 1657-1740.