TRA LOGICA CETUALE E SOCIETÀ BORGHESE: IL «CASINO VECCHIO» DI TRIESTE (1815-1867)

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TRA LOGICA CETUALE E SOCIETÀ BORGHESE: IL «CASINO VECCHIO» DI TRIESTE (1815-1867)
Creator
Marina Cattaruzza
Date Issued
1991-08-01
Is Part Of
Quaderni Storici
volume
26
issue
77 (2)
page start
419
page end
450
Publisher
Società editrice Il Mulino S.p.A.
Language
ita
Format
pdf
Rights
Quaderni storici © 1991 Società editrice Il Mulino S.p.A.
Source
https://web.archive.org/web/20230920163748/https://www.jstor.org/stable/43778605?searchText=Foucault&searchUri=%2Faction%2FdoBasicSearch%3FQuery%3DFoucault&efqs=eyJsYV9zdHIiOlsiYVhSaCJdfQ%3D%3D&sd=1975&ed=2000&pagemark=eyJwYWdlIjoxMywic3RhcnRzIjp7IkpTVE9SQmFzaWMiOjMwMH19&groupefq=WyJjb250cmlidXRlZF90ZXh0Iiwic2VhcmNoX2NoYXB0ZXIiLCJjb250cmlidXRlZF9hdWRpbyIsInJlc2VhcmNoX3JlcG9ydCIsInNlYXJjaF9hcnRpY2xlIiwicmV2aWV3IiwibXBfcmVzZWFyY2hfcmVwb3J0X3BhcnQiXQ%3D%3D&ab_segments=0%2Fbasic_search_gsv2%2Fcontrol&refreqid=fastly-default%3A35dfae6fafad77079616b4d41533150b
Subject
sexuality
biopower
power
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TRA LOGICA CETUALE E SOCIETÀ BORGHESE: IL «CASINO VECCHIO» DI TRIESTE (1815-1867)
Il presente saggio costituisce un «case study» sulla formazione e articolazione della «società civile», intendendo con questo termine quella sfera sociale semipubblica - posta tra apparato statuale e ceti subalterni - che assumeva nei confronti del primo il ruolo di interlocutore privilegiato e nei confronti dei secondi uno statuto di superiorità sociale e culturale. In diversi contesti storico-politici l'accesso alla società civile veniva regolato da differenti meccanismi, era aperto a diversi gruppi sociali ed era connesso, in varia misura, ad un qualche esercizio di diritti politici. Storicamente, tale spazio semipubblico fortemente minoritario, e in quanto tale pienamente legittimato, caratterizza il periodo tra le riforme civili di ispirazione illuministica e l'affermazione piena dei principi liberali nella sfera politica L
In campo storiografico è ormai un dato acquisito, il fatto che la società civile così intesa si articolasse ed esprimesse in primo luogo attraverso le associazioni volontarie, promosse da una componente ristretta dell’élite sociale con finalità di tipo utilitaristico, letterario-artistico o di semplice autorappresentazione 2.
La ricerca storica su tali temi ha privilegiato finora l'associazionismo di intento dichiaratamente politico o civile (società di lettura, associazioni per la promozione delle arti e delle industrie ecc.), caratterizzate dal protagonismo della borghesia delle professioni in diversa aggregazione con la parte più aperta della nobiltà, desiderosa di proiettarsi nella sfera civile 3. Sono state invece trascurate, a parte rare eccezioni, le associazioni con finalità esclusivamente ricreative, i cui scopi erano limitati all'aggregazione dell’élite sociale in funzione assertiva e di autorappresentazione. Gli scarsi esempi a disposizione 4 sembrano comunque documentare che tali strutture associative ebbero un peso rilevante per l’aggregazione del notabilato urbano nella fase precedente alla formazione dei partiti politici, assumendo pure la
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funzione di modello per stili di vita e forme di sociabilità di un ceto borghese più ampio.
Il presente saggio si propone quindi di fornire un contributo su un aspetto del fenomeno «associazionismo» lasciato finora alquanto in ombra della ricerca storica, ricostruendo le vicende della più importante associazione ricreativa della Trieste di primo Ottocento, il «Casino Vecchio», ex «Casino Nobile».
Poiché l'oggetto primario d’indagine è dato qui dalla formazione della società civile - di cui l'associazionismo d’élite rappresenta una delle manifestazioni -, l'analisi è incentrata su quegli aspetti della vita del circolo in cui si riflettano valori, simboli e modelli di aggregazione sociale propri ad un contesto più ampio rispetto a quello dell’associazione stessa. Verranno perciò via via illustrati i modi della pratica conviviale, il modello di rapporti con lo Stato di cui il circolo si faceva interprete, le norme che codificavano - e al tempo stesso riflettevano - l'asimmetria delle relazioni tra uomini e donne, adulti ed adolescenti, i meccanismi di delimitazione verso l’esterno, la loro assunzione in altri contesti (per es. nella sfera politica) ed infine, il ruolo svolto dall’associazione rispetto alla gerarchizzazione della società civile stessa.
La formazione di una società civile e di strutture associative che ne dessero visibilità ed articolazione è legata, a Trieste, al costituirsi del ceto mercantile come ceto egemone tra la fine del Settecento e gli anni della Restaurazione 5. Rispetto a coeve realtà urbane della Penisola, il «caso Trieste» presenta elementi di originalità, individuabili in primo luogo nell’assenza di un ceto nobiliare, nella precoce preminenza del ceto borghese-mercantile 6, nel ruolo, infine, svolto dallo Stato nella creazione della città emporio. Tali elementi danno al processo di formazione della società civile un carattere «artificiale», quasi di costruzione illuministica, privo di quegli elementi spuri ed opachi che caratterizzano in genere le dinamiche di accorpamento sociale.
Borghese, cosmopolita fortemente dipendente dall'iniziativa statale era l’élite sociale a Trieste tra tardo Settecento ed età metternichiana. La nascita stessa della città emporiale era dovuta all’iniziativa mercantilistica della Casa d'Austria, che approfittando della decadenza veneziana aveva dotato di franchigie doganali i possedimenti costieri di Trieste e Fiume, al fine di rafforzare la propria presenza economico-commerciale nel Levante. Tale politica, iniziata da Carlo VI, venne continuata con maggior coerenza e larghezza di mezzi da Maria Teresa, che estese le franchigie doganali all’intera città, la dotò di un'Intendenza



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Commerciale 7 e vi garantì la libertà di culto, favorendo nel contempo l'insediamento di stranieri di varia provenienza e diversa religione che vi volessero esercitare la mercatura.
Nel corso di pochi decenni venne così formandosi pressoché dal nulla un ceto mercantile di notevole consistenza, privo di tradizioni comuni e spesso di recentissima origine plebea. Le zone di provenienza della prima generazione di mercanti si dividevano tra località italiane, austro-tedesche, svizzere, olandesi, slovene ed ottomane8. Andavano inoltre costituendosi le «nazioni» (tra cui la greca e l'ebraica) - comunità dotate di propri statuti di autogoverno - destinate a giocare un ruolo di primo piano nella vita economica della città 9.
A tale élite economica, formatasi in modo tumultuoso e legittimata esclusivamente dalla propria ricchezza, i centri dell'associazionismo conviviale offrirono la struttura in cui rispecchiarsi e riconoscersi, segnalare la propria qualità civile all'esterno e dare forma alle proprie relazioni reciproche.
I MODI DELLA RAPPRESENTAZIONE
Rispetto a tali funzioni, un ruolo preminente spettava al «Casino nobile di S. Pietro», i cui statuti vennero sottoposti all'approvazione dell’autorità imperiale già nel 1763 10. Il modello immediato a cui si ispirarono gli estensori degli statuti era dato da corrispondenti realtà associativo-ricreative di carattere nobiliare operanti a Venezia. Ciò sebbene nella fase precedente alla formalizzazione dei caratteri societari il «Casino nobile» fosse stato semplicemente un ritrovo informale dei mercanti operanti sulla piazza, i quali, in un locale situato nella sede del vecchio consiglio patrizio, ammazzavano il tempo con il gioco d'azzardo. Che la presentazione degli statuti societari aH’autorità statale abbia segnato una trasformazione della qualità e dell’immagine di sé dell’associazione, risulta anche da una memoria interna del Casino, secondo la quale, «nel 1763 [. . .] si era formata una società più ristretta ed esclusiva» 11.
Dopo una breve interruzione dovuta alla terza occupazione napoleonica, nel 1815 il Casino riapriva i battenti «nell’edifizio della Borsa mercantile», presentando i nuovi statuti che ricalcavano a grandi linee quelli del 1763 ed assumendo la denominazione di «Casino Vecchio», a sottolineare la continuità con il «Casino nobile». Anche in anni successivi, comunque, il termine



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«Casino nobile» continuò a venir usato indifferentemente al posto di quello di «Casino Vecchio» 12. Lo scopo dell’associazione consisteva nel «procacciare onesti sociali divertimenti, di avvicinare e facilitare la conoscenza e i dolci legami delle famiglie dei membri che vi sono aggregati, di stringere vieppiù le loro relazioni amichevoli; di procurare agli stranieri, che qui arrivano, un luogo centrale di consorzio e di nobile trattenimento, e di promuovere finalmente col mezzo di questa piacevole ed amichevole consociazione i beni della vita civile, ed il comodo e lustro della città» 13.
A tale fine il Casino si sarebbe dotato di «sufficiente servitù», di un «competente assortimento di gazzette e giornali», avrebbe dedicato una sera della settimana alle «maggiori conversazioni», mentre «ogni altra sera, e per tutto l’anno, potrà esservi ugualmente dedicata da tutti quei soci che con le loro famiglie, volessero approfittare dei comodi che a tal’uopo offre questo istituto» 14. Il clou della vita sociale del Casino era dato dai balli del periodo di Carnevale e dai festini dati per «celebrare qualche festa patria, o la venuta di qualche sublime autorità o ospite» 15.
Nel primo periodo della propria esistenza statutaria il Casino aveva sede nella «Locanda Grande», a riprova della scarsa articolazione - anche urbanistico-architettonica - della società civile nel neonato emporio asburgico 16. Dal 1804 al 1828 il Casino vecchio rimase locato al piano nobile della sede della Borsa, da cui venne trasferito dopo che per la crescita dei traffici e dei commerci l’intero piano era stato adibito ad uffici 17. Locato per alcuni anni in sedi provvisorie (tra cui lo stabile che sarebbe poi divenuto sede del Casino Greco, punto di ritrovo dei mercanti fa-narioti), il Casino Vecchio ebbe la propria sistemazione definitiva nel 1840, in un prestigioso edificio sulla Piazza Grande, di proprietà delle Assicurazioni Generali 18.
Da un inventario del Casino risalente all’anno 1827, quando la società aveva ancora sede al piano nobile dell’edificio di Borsa, risulta che questa disponeva di una sala grande per le feste da ballo, di due sale minori, di una camera di lettura, di un locale adibito al gioco del biliardo, di un «gabinetto per le dame», e di alcuni camerini. Il locale di cui risultavano più evidenti le funzioni di rappresentanza era, come prevedibile, la Sala Grande, dotata di 8 «lumiere» (sei delle quali da otto e due da dodici lumi) e di ben dieci specchi da tre pezzi l’uno, con venti bracciali da due lumi. L’arredo era completato da una «guarnizione di mussola tutto in giro, con le sue rosette» 19. Qui «le dame elegan-



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ti sfoggiavano gli abiti dipinti a mano; le vesti di crepe color ca-nerino o rosa pudore, che sembravano vere siepi di fiori [...]. In testa penne di struzzo e di pavone, ali di uccello di paradiso, e i boa in marabout per uscire dalla sala o i mantelli veneziani a due cascate» 20.
Il numero di sedie e divani disposti nelle diverse sale offre un'indicazione approssimativa su quali fossero i massimi livelli di frequentazione del circolo, tra soci e familiari: esso disponeva di 84 sedie ricoperte di marocchino verde e di 24 ricoperte di marocchino rosso, di sei sofà di marocchino verde, due di marocchino rosso e di cinque sofà nuovi di legno di ciliegio, «coperti di stoffa di crema». Nell'insieme potevano trovarvi posto circa 200 persone 21.
Tuttavia, i modi della rappresentazione, mutuati dai Casini nobiliari degli altri centri urbani della Monarchia e della Penisola 22, vennero ben presto erosi dalla cultura, dal sistema di valori e dallo stile di vita di cui i soci erano portatori. Dallo stesso inventario del 1827 traspaiono un’inclinazione al risparmio ed una «filosofia» dell'utilizzo degli oggetti certo più propri ad una classe borghese media (per di più di formazione recente), che al ceto aristocratico.
Alcune voci dell'inventario sarebbero infatti più adatte a figurare in una bottega di robivecchi che in un circolo d'élite, quali per es. un tappeto «di panno verde vecchio per la lettura», un «tapeto di Levante servibile sotto la tavola della tombola», ben «cinque guarnizioni di lata de i baioni di vetro rotti», diciotto «smocolatoi d’acciaio tra buoni ed inservibili», «sei candellieri di ottone vecchi e roti», nonché tre «lumi vecchie, rosse inservibili»23. I congressi dei soci deliberarono ripetutamente riduzioni delle tariffe fissate per i giochi di carte e per il biliardo: già nel dicembre del 1818 le tasse per i giochi di carte vennero dimezzate rispetto a quelle stabilite nel 1816, sebbene del Casino facessero parte i mercanti e i titolari delle ditte di Borsa più facoltosi dell'emporio24. Nel 1830 il congresso deliberò di introdurre per il biliardo la stessa tariffa in vigore negli altri Casini della città (Casino Tedesco e Greco, i cui statuti vennero presentati all’autorità rispettivamente nel 1823 e 1825), «onde non portare aggravio ai soci ed invitarli vieppiù a frequentare il nostro» 25. Nel marzo del 1832 un congresso direttoriale stabiliva che i premi da acquistarsi per il gioco non dovessero superare il valore di 20 e, rispettivamente, 15 fiorini26. Sempre negli anni Trenta, a causa di difficoltà a far quadrare i bilanci societari, venne stabilito che



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i custodi assunti in pianta stabile dovessero pagare di tasca propria le guardarobiere e la servitù avventizia assunta in occasione delle feste da ballo e delle «conversazioni». Inoltre, sarebbe stata a loro carico «la spesa di donne o facchini per gli bassi servigi di spazzature e lavature di pavimenti, finestre e scale, per cenci e scope e per scalda tura di stufe» 27.
La tassa annuale di iscrizione al Casino Vecchio rimase sempre leggermente più elevata di quella in uso negli altri Casini, passando da 25 fiorini (lire italiane 61,5) nel 1815 a 30 fiorini (lire italiane 73,8) nel 1850. Nel 1912 il canone annuo di associazione per i soci con famiglia aveva raggiunto le 130 corone (lire italiane 160), cui andava sommata una tassa di ingresso una tantum di 40 corone (lire italiane 49,2) 28. In effetti, rammontare della quota di iscrizione era forse uno degli indicatori più immediatamente visibili della gerarchizzazione della rete associativa urbana. Omologando la propria tassa annuale a quella degli altri circoli, il Casino Vecchio avrebbe vanificato del tutto la propria specifica ragion d’essere. È comunque significativo, che in occasione di uscite straordinarie dovute al trasloco dalla Borsa in una nuova sede, una seduta dei direttori stabilisse concordamen-te di chiedere un contributo straordinario non superiore a 10 fiorini (lire italiane 24,6), temendo per di più che non tutti i soci fossero disposti a versare tale somma 29.
Un tema che occupò diverse riunioni direttoriali fu la vendita di due vecchi tappeti, inutilizzabili nella nuova sede della società. Dopo che nessun socio si era offerto di acquistarli e dopo che neppure il direttore conte Paolo Sartorio ed il cassiere Gioachino Ritter se l’erano sentita di portarseli a casa, venne deciso di venderli all’incanto 30.
Anche l'uso aristocratico di far accompagnare i soci con le torce in occasione delle feste da ballo, venne abbandonato già nel 1824, sia perché troppo dispendioso, sia perché probabilmente estraneo alla cultura e alle abitudini degli associati. Da allora avrebbero goduto di tale privilegio solo il governatore e la sua famiglia, nonché «quei triestini di particolare riguardo per i quali i Signori Direttori trovassero di ordinare tale distinzione» 31.
Una tale noncuranza rispetto ai modi ed ai simboli della rappresentazione rimanda all'assenza di una classe nobiliare rispetto alla quale l'aristocrazia del denaro fosse indotta a sviluppare meccanismi di tipo imitativo. Certo non poteva essere considerato tale il patriziato urbano immiserito, antecedente alla costitu-



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zione dell'emporio, i cui pochi esponenti superstiti vennero comunque cooptati nel Casino. L’alto funzionariato statale, che costituiva la sola realtà nobiliare presente in città, era poi troppo ridotto di numero per poter esercitare una reale funzione di punto di riferimento culturale nei riguardi del ceto borghese. In una situazione di assenza dei modelli di vita nobiliare, la componente mercantile arricchitasi tra la fine del Settecento e i primi anni della Restaurazione si trovò ad imporre naturalmente, nella rappresentazione di sé e nelle forme delle relazioni sociali, il proprio stile di vita, caratterizzato da agio esente da pompa e da un’oculata amministrazione dei propri mezzi, che non lasciava spazio a sprechi o a spese manifestamente superflue.
Una conferma dello stile borghese medio che informava la vita sociale del circolo viene da una raccolta di verbali, vergati in stile scherzosamente aulico, sullo svolgimento di alcune serate conviviali organizzate dal Casino nel 1848 32. La lista delle pietanze servite nelle diverse serate non riporta ricette particolarmente raffinate o insolite. Per lo più gli ingredienti sono reperibili in loco (pesci adriatici, capponi arrosto, prosciutto lesso, «diversi piattini di olive dalmate»), talvolta forniti dai soci stessi (soprattutto nel caso degli alcoolici). Anche per i vini si ricorreva ancora ai prodotti locali, di non particolare pregio 33. Poteva addirittura capitare, come in occasione di una cena conviviale del gennaio 1848, che il vino venisse giudicato «scellerato» e si dovesse procurarsene dell’altro nell’osteria posta sotto la sede del Casino. La spesa per la cena, riportata puntigliosamente nei protocolli, oscillava tra i due e i tre fiorini a persona, prezzo che pur superando di parecchie volte la paga giornaliera di un bracciante a giornata, non può essere considerato particolarmente elevato nel contesto in cui tali cene avevano luogo. Desta pure una certa sorpresa ritrovare tramandato tra gli atti del Casino il fatto che «ventiquattro pomi del Tirolo» erano avanzati a beneficio della cena successiva.
Un termine di paragone rispetto allo stile «gutbùrgerlich» del Casino sorse in anni successivi, quando una nuova generazione di imprenditori economici scelse per sé uno stile di rappresentanza più sfarzoso rispetto a quello praticato dalla Società. Messa a confronto con modalità di consumo visibile estranee alle proprie e posta di fronte alla necessità di legittimare il proprio carattere di prima società cittadina, l’associazione fu indotta a riflettere sul proprio stile mediano di rappresentazione, tematizzandolo quale elemento fondante della propria fisionomia collet-



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tiva, aliena dal «lusso» e dallo «sfarzo». Così, nel 1863, la festa per i cent'anni di esistenza del circolo venne descritta come «una festività di famiglia, bella per la schietta intimità [. . .] che tenne il luogo del lusso e dello sfarzo». Una cena in onore di tre veterani della società, uno dei quali era stato console degli Stati Uniti, fu caratterizzata non da «festivo apparato», ma da «schietta famigliarità». «Al lusso degli apparati ed alle superbe imbandigioni di mense venne sostituita quella modesta semplicità che rallegra l’anima e solleva il cuore». Poiché, come ammoniva l’anonimo redattore, «non è il clamoroso gaudio quello che appaga l’anima» .
All’interno di una realtà ab initio borghese, il Casino Vecchio, che di tale realtà era espressione, trovava così nella seconda metà del secolo modo di distinguersi e di rivendicare una propria più antica tradizione, legata alla cultura e ai valori specifici della prima generazione mercantile, prendendo le distanze dal fenomeno dei «nuovi ricchi», prodotto di una successiva fase dello sviluppo emporiale 35.
LA LOGICA CETUALE
L’associazionismo borghese, tale non solo per composizione sociale, ma anche per comportamenti e valori di cui i suoi protagonisti si facevano portatori, si iscriveva, a Trieste, in una cultura ancora fortemente legata ad una logica di tipo cetuale. Di conseguenza, il principio della libera associazione veniva affermandosi solo assai lentamente rispetto al criterio dell’appartenenza ascrittiva ad un corpo collettivo integrato nella struttura statuale.
Infatti, lo statuto del Casino Vecchio del 1815 indicava minuziosamente le categorie di persone autorizzate a richiedere l’iscrizione al circolo. Questi erano: «a) tutti i Nobili dell’Impero Austriaco, e degli esteri stati, comunque siano essi titolati; b) tutti gli Imperiali Regi Uffiziali militari, attivi o pensionati; c) tutti i pubblici non infimi impiegati attivi o pensionati; d) tutti i negozianti all’ingrosso, siano di Borsa o non; e) tutti gli Avvocati, Medici e Chirurghi superiori; f) tutti i Professori di scienze e lettere; g) tutti i giovani dediti alla mercatura all’in-grosso, purché siano persone colte, di conosciuta civile condotta, e i Direttori li giudichino proponibili» 36.
Una prima liberalizzazione rispetto ai requisiti sociali neces-



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sari per essere presi in considerazione come possibili frequentatori del Casino Vecchio venne attuata nel 1849, quando un congresso stabilì che d ora in avanti sarebbero stati considerati idonei ad essere proposti come membri del circolo anche i commercianti al minuto, i sensali, gli artisti e «i giovani dediti alle scienze, alle lettere ed arti liberali» 37. Tuttavia, solo nel 1868 la lista degli «individui qualificati ad essere proposti ed eletti per soci» 38 venne eliminata definitivamente dallo statuto, quando la democratizzazione della vita politica della Monarchia e la maggior articolazione della società civile (anche nelle sue componenti più elitarie), avevano ormai reso estremamente difficile mantenere una codificazione rigida ed inderogabile dei criteri di ammissione.
Accanto ai meccanismi di reclutamento degli associati, altri aspetti della fisionomia del circolo rimandavano piuttosto ad una logica cetuale-statuale che ai principi della libera associazione. Infatti, erano membri di diritto del Casino Vecchio i maggiori rappresentanti del potere statale insediati nell’emporio, tra cui il Governatore, il Comandante militare, il Vescovo, il Presidente del Giudizio Civico Provinciale e Criminale, il Direttore di Polizia, il Preside del Magistrato (carica puramente consultiva e non elettiva, scelta dal Governatore), nonché il Comandante di Piazza. Gli ufficiali ed i funzionari statali dall’ottava classe in poi dovevano essere ammessi come soci dietro semplice richiesta, senza venir sottoposti, come gli altri, all’approvazione dei 2/3 dei partecipanti ai congressi generali della società. Inoltre essi erano esentati dal pagamento del canone d’ingresso di 50 fiorini (123 lire italiane) all’atto dell’iscrizione, poiché «si considerano come membri precari, potendo essi ad ogni istante essere altrove chiamati ed impiegati secondo i bisogni del sovrano servigio, e non potendo quindi ripromettersi d'una continuità di godimento dei vantaggi e piaceri del sociale istituto» 39.
Per il forte peso attribuito a livello statutario alle alte cariche statuali, per il trattamento privilegiato garantito a funzionari e ad i.r. ufficiali, nonché per alcuni cenni riportati nelle pubblicazioni giubilari ed in alcune memorie interne della società 40, è addirittura ipotizzabile che la stessa esistenza del Casino Vecchio, almeno dalla presentazione degli statuti in poi, fosse stata patrocinata daH’autorità asburgica al pari delle altre istituzioni (in primo luogo Borsa ed Intendenza Commerciale), volte a dare impulso ai traffici e ai commerci. Un luogo di ritrovo «civile», dove potessero conferire reciprocamente i rappresentanti dell’au-



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torità statale, i detentori delle cariche consolari (attivate in numero crescente), i titolari delle maggiori case mercantili, nonché gli stranieri di ceto elevato di passaggio in città, costituiva in effetti un’infrastruttura di primaria importanza per una città emporio di nuova fondazione. Il ruolo privilegiato assegnato all'elemento statuale rimanda poi, una volta di più, al dato di fatto che la Trieste emporiale era stata promossa dallo stato asburgico e non da un (inesistente) patriziato mercantile autoctono.
Del resto, la cultura cetuale informava paradossalmente il processo stesso di costituzione della città «borghese» e «compiutamente moderna»41. Nel 1755 i mercanti si erano costituiti in corpo separato nella Borsa, che ancora nel 1855 veniva definita «associazione per la tutela degli interessi del locale ceto mercantile e per la loro rappresentanza nei confronti del governo» 42. Ancora per tutti gli anni Venti i membri della Deputazione di Borsa usavano portare «il giubbone a coda, lo spadino e il cappello appuntato» 43. Secondo Giuseppe Caprin «formavano la corporazione autorevole del tempo» 44.
Anche gli statuti di autogoverno delle diverse comunità religiose, promulgati in età teresiana, corrispondevano a modelli di tipo corporativo45, che del resto erano i soli modelli di riferimento disponibili allepoca nello stato asburgico, all’interno dei quali anche una realtà connotata socialmente come borghese doveva trovare la propria collocazione.
Per la «fedeltà» dimostrata alla Casa d’Austria nel corso del Quarantotto 46, Trieste ottenne due anni dopo l’istituzione di un proprio consiglio comunale elettivo47. Significativamente, al consiglio venivano riconosciute funzioni di rappresentanza della «città immediata di Trieste come corporazione (Kòrperschaft) rimpetto a terze persone, rimpetto al Governo dello Stato, e rim-petto allTmpero» 48: il passaggio a forme liberali di governo rimaneva imprigionato nel linguaggio delle categorie cetuali.
Analoghe considerazioni valgono poi per la composizione degli elettori, distribuiti dallo Statuto del 1850 nei rispettivi «corpi» sia sulla base del loro contributo fiscale, sia sulla base della funzione professionale esercitata o della loro appartenenza al funzionariato statale. Erano disposizioni che preludevano a quanto sarebbe poi avvenuto, su un piano più ampio, con le riforme costituzionali dell'Impero avviate un decennio più tardi, all'interno delle quali il sistema elettorale per «curie» avrebbe mantenuto elementi di ispirazione cetuale.
Nel primo corpo elettorale erano inquadrate le ditte di Borsa



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e i cittadini onorari, al secondo appartenevano i negozianti al-l'ingrosso, i proprietari di fabbriche, i proprietari di navigli, gli avvocati e i notai. Confluivano infine nel terzo corpo categorie come gli spedizionieri, i negozianti al minuto, i sensali patentati, i laureati «in una delle quattro facoltà, che riportarono il grado dottorale in una università austriaca», i chirurghi, i proprietari di farmacia, gli impiegati dello Stato e del Comune anche in pensione, gli ufficiali, gli ecclesiastici, i pubblici professori e maestri 49. Si trattava, in fondo, al pari che per i criteri di reclutamento dei soci del «Casino Vecchio», di una commistione tra principi liberali, in cui la discriminante era data dalla disponibilità di «Besitz» e/o «Bildung», ed una componente di tipo ascritti-vo, rappresentata dalla forte presenza del funzionariato statale. Significativamente, a tale componente il diritto di voto era stato elargito con maggior liberalità che agli altri gruppi sociali, tanto da comprendervi tutto il ceto impiegatizio, senza distinzione di rango. Evidentemente, il peso elettorale di tale ceto era motivato dalla funzione di cinghia di trasmissione tra Stato e società civile che gli veniva attribuita. Pochi decenni più tardi, la diffusione di un acceso nazionalismo italiano con punte irredentiste tra gli impiegati del municipio di Trieste avrebbe smentito clamorosamente tali aspettative 50.
I CRITERI DI DELIMITAZIONE
Il minimo comune denominatore che accomunava i soci del «Casino Vecchio» era la consapevolezza di rappresentare la migliore società cittadina. Il par. 44 dello statuto recitava: «Le leggi di onestà ed urbanità del conversare non hanno bisogno di essere inculcate ad una società di scelti individui, e molto meno quelle, la trasgressione delle quali potrebbe meritare la censura delle Autorità costituite» 51. Quando nel 1815 Domenico Rossetti, assertore del ruolo «patrizio» nella città mercantile, intese richiamare in vita la società, si rivolse alle «principali famiglie triestine» con una circolare che illustrava nei termini seguenti gli scopi della riapertura del Casino: «promuovere tra le concittadine famiglie vieppiù la concordia, Tamicizia e quelle dolci relazioni e legami che sogliono prendere origine dal cortese conversare e dal sociale divertirsi di persone di pari condizioni, abitudini e costumi» 52. Nella corrispondenza interna dell'associazione, il Casino veniva indicato come «colta», «eletta» e «bril-



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lante» società, o come il ritrovo del «più bel fiore della società» 53.
Nonostante i criteri di reclutamento fossero alquanto ampi -siappure rigidamente regolamentati - l'esclusione di persone indesiderabili costituiva una delle maggiori preoccupazioni degli organi dirigenti del Casino e dei suoi soci, timorosi di vederne vanificato il carattere elitario. Diversi articoli dello statuto riguardavano il divieto di introdurre persone non appartenenti all’associazione. La presenza di ospiti stranieri di rango - che era una delle ragioni d’essere di tali realtà associative - veniva regolamentata severamente attraverso la direzione del Casino, alla quale i soci proponenti dovevano garantire «la statutaria qualità degli introdotti». L'ammissione dei soci ordinari era sottoposta per statuto all’approvazione dei 2/3 dell’assemblea generale. Sembra che per difficoltà di bilancio dovute ad un calo nel numero degli appartenenti, la società abbia successivamente derogato da tale principio. Il cassiere Gioacchino Richter lamentava infatti nel 1827 che il Casino Vecchio fosse riuscito a mantenere un numero di oltre 200 soci solo «con facilitarne pur troppo eccessivamente il metodo dell’aggregazione, abolendo, cioè, la maggioranza di 2/3 di voti voluta in origine» 54. E continuava osservando che «qualora non si voglia portare il finale colpo micidiale ai nostri Statuti ed accordi con arruolare dei Soci d'ogni specie, non si può calcolare con fondamento che sull’esistenza di 200 soci» 55.
Nei confronti del ceto mercantile il Casino Vecchio praticava una politica di ampia apertura. Un congresso del dicembre 1830 ribadiva che dovessero considerarsi proponibili come soci «tutti quegli individui colti e di conosciuta civile condotta che sono dediti alla mercatura all’ingrosso, ancorché fossero puramente stipendiati agenti di una casa di commercio all’ingrosso» 56. In tal modo, ogni impiegato di una ditta commerciale avrebbe potuto chiedere l’affiliazione al Casino. Lo stesso congresso rifiutava, in via di principio, di considerare proponibili i proprietari di farmacia. Le motivazioni di tale rifiuto, illustrate dal direttore Domenico Rossetti, offrono un curioso esempio di come una società civile priva di tradizionali fattori di gerarchizzazione (in primo luogo il ceto nobiliare), si fosse dotata comunque di rigidi - siappure alquanto eterodossi - criteri di strutturazione interna. «Apporterebbe sinistre conseguenze» ammoniva il Rossetti «il voler pareggiare la classe dei farmacisti a quella degli avvocati, dei medici, dei chirurghi maggiori, dei negozianti all’ingrosso e dei



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professori di scienze e lettere; è cosa sì strana che pare non abbisogni di seria confutazione. Conosco doversi da tutti avere in pregio questa classe di gente, colta ed istruita nel limitato suo ramo, al pari di qualunque altra; ma essa per ciò non può elevarsi in modo alcuno a classe superiore, né cessa di appartenere a quella di coloro che esercitano il traffico minutissimo, e debbono prestarsi a servizi nosocomiali affatto subalterni. Le ricchezze e le qualità personali di uno o di altri individui non possono decidere per la ammissibilità della classe; altrimenti "nessuna classe" potrebbe dirsi inammissibile. Per le altre classi vi sono altre Società comode e floride» 57.
Nel 1826 degli aspiranti soci erano stati respinti l'uno perché «di impiego infimo e provvisorio», l’altro in quanto sospetto di essere figlio naturale del proponente ed un terzo «perché commercia anche al minuto» 58.
Come già ricordato, il pregiudizio nei confronti dei negozianti e di altre attività «minori» legate al commercio venne a cadere nel 1849. In seguito a tale ampia apertura nei confronti di nuovi gruppi sociali, la rappresentatività del circolo venne quasi a coincidere con la sezione superiore di quel modello di società civile che un anno dopo si sarebbe espresso nello Statuto della «città immediata». Escludendo una parte del funzionariato statale - quello inferiore all'ottava classe -, risultavano infatti idonei a partecipare alla vita del circolo grossomodo i gruppi sociali compresi nei primi tre corpi elettorali.
LA PROIEZIONE DELLA FAMIGLIA BORGHESE NELLA SFERA CIVILE
Accanto alla funzione di delimitare e strutturare - anche gerarchicamente - una società civile in formazione, separandola in modo visibile dal resto della popolazione urbana, i circoli ricreativi d'élite davano pure forma simbolica alla rete di relazioni asimmetriche tra uomini e donne adulti, adolescenti e bambini di ambedue i sessi. Come già ricordato, il Casino Vecchio apriva esplicitamente i battenti della propria sede «ai soci con le loro famiglie» tutte le sere dell’anno. Secondo il par. 5 dello Statuto del 1815 avevano accesso al Casino «gli onoranti, tutti i soci, e gli ospiti [. . .] non solo per le loro individue persone, ma ben anco con tutti i membri di loro propria famiglia; cioè: con le mogli loro e con le loro sorelle, figli e nipoti, purché questi tutti abbiano compiuto l'età di anni dodici le femmine, e di sedici i maschi,



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e purché formino seco loro una sola famiglia; vale a dire, purché siano seco loro in attuale comunione di abitazione e di mensa, ed il socio nominato sia civilmente considerato loro capo di famiglia» 59.
È evidente qui una concezione della famiglia come «ganzes Haus» 60, i cui componenti - al di là dell'età e del sesso - erano sottoposti all'autorità indiscussa del pater familias, con cui venivano pienamente identificati. Pienamente coerenti con un tale punto di vista risultano le modalità di espulsione dei soci. Infatti, il par. 49 recita: «Dovrà ogni socio, che non voglia mancare alla sua parola d’onore, osservare tutte le leggi prefisse dal presente statuto, egualmente che le leggi di universale sociale onestà ed urbanità.
Chi gravemente trasgredisse alcuna di queste leggi, potrà essere escluso dalla società, a giudizio e voto di un regolare congresso generale. Se la trasgressione sarà commessa dal socio nominato, l'esclusione riguarderà tanto la sua persona, quanto ciascuno dei membri di sua famiglia, ammesso alla società sotto suo nome; se però la mancanza non fosse che di uno di questi membri di famiglia, l’esclusione avrà luogo per questo membro soltanto» 61.
Paradossalmente, una struttura associativa imperniata in modo così esplicito suH’autorità patriarcale del capofamiglia offriva alle donne spazi di autonomia e di partecipazione maggiori rispetto alle coeve società scientifiche basate sul principio dell’individualismo borghese (esclusivamente maschile) ed in cui la discriminante di ceto risultava indebolita rispetto a quella operante all’interno dell'associazionismo conviviale. Il «Gabinetto di Minerva», fondato nel 1810 al fine di «procacciare alle colte persone un geniale trattenimento di lettura e di conversazione letteraria ed artistica» 62, vietò l'accesso alle donne fino agli anni Sessanta dell’Ottocento 63. D’altro canto, poteva aspirare ad essere socio della Minerva «ogni persona civile e di buona fama, che [. . .] professi qualche scienza od alcuna delle belle arti; che senza professare veramente né belle arti né scienze, vi si dedichi genialmente, o se ne diletti almeno; ovvero che per altri motivi tale sia da poter promuovere lo scopo e la floridezza della società» 64. Come si vede, i criteri di reclutamento della Minerva risultavano, dal punto di vista dell’estrazione sociale degli appartenenti, molto più ampi di quelli del Casino. Ciò non era in contraddizione con l’esclusione dell’elemento femminile, dato il carattere di circolo intellettuale - e perciò maschile per definizione - della



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Minerva. Appena nel 1869 la Minerva curò la pubblicazione di un'opera femminile (si trattava di un opuscolo su Marco Polo scritto dalla Principessa Elena Ghika), a cui seguirono alcune poesie di Adele Butti nel 1873-74 65. La divaricazione tra crescente apertura dell'associazionismo a nuovi gruppi sociali ed esclusione progressiva dell'elemento femminile trova una formulazione emblematica negli statuti della «Società del progresso», primo esempio di partito politico moderno, di tendenza liberale-democratica, fondato nel 1867 sulla scia delle aperture costituzionali nella parte austriaca dell’Impero. Rispetto all’adesione alla società, l'art. 3 stabiliva semplicemente che vi potesse far parte «ogni cittadino austriaco, maggiore di età, che ne accetti il programma» 66: a parte le donne vi poteva quindi aderire chiunque. Tale articolo statutario corrispondeva del resto pienamente al dettato della legge austriaca sul diritto di associazione promulgata il 17 novembre 1867, che escludeva espressamente la partecipazione ad associazioni politiche di «esteri, donne e minorenni» 67.
Anche gli altri circoli ricreativi imponevano alla partecipazione delle donne limiti più rigorosi del Casino Vecchio. I Casini Greco e Tedesco, ritrovi del ceto commerciale di più recente formazione e di minore coscienza elitaria, erano aperti ai membri femminili delle famiglie dei soci, ma non contemplavano la possibilità di adesione diretta da parte di donne 68. Invece, nelle liste del Casino Vecchio, si ritrovano numerosi nomi femminili, per lo più di vedove divenute socie del Casino dopo la morte del marito. Nel 1818, su 180 soci del Casino Vecchio le donne erano nove; passavano a 13 su 207 nel 1827 e toccavano il numero di 15 nel 1836, quando il numero complessivo dei soci era sceso a 185. Nel 1913 il Casino Vecchio contava 11 donne su 251 soci 69.
Una richiesta di associazione diretta al Casino da parte della vedova di un socio defunto offre importanti spunti di riflessione sia sulla cultura di relativo egalitarismo tra i sessi all'interno della società, sia sulla subordinazione dei figli che vivessero sotto il tetto parentàle. Il 10 marzo 1823, la vedova Bianca Maria Gagliardo inviava alla Direzione del Casino Vecchio la seguente missiva:
Spettabile Direzione!
Dopo la seguita morte di mio Consorte Francesco Gagliardo inscritto Socio al Spettabile Casino Vecchio veggendo io che la Spett.le Direzione continua a rilasciare da 4 anni in qua le solite quittanze pel canone a nome di detto mio marito de-fonto [. . .] e eh' in conseguenza i miei figli continuano a godere del benefizio di



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frequentare lo Spett.le Casino Vecchio come per l’avanti, trovai perciò inutile di fare prima d’ora un mio Speciale Ricorso, onde il mio Nome e rispettiva associazione istituita venisse in loco ed a quella di mio defonto marito, per conservare così, a guisa di tant’altre Vedove [...] le prerogative e diritti istessi agli miei figli, i quali nubili tutti convivono meco sotto l'istesso mio tetto.
Ma siccome in oggi vienmi presentata una quittanza a nome di mio figlio Giuseppe, e comprendendo da ciò che vorrebbesi obbligare i miei figli ad associarsi individualmente nel mentre che Essi trovansi ancora tutti sotto la mia dipendenza e tetto, e eh’inoltre intendo, d'esser 'io in oggi il solo Capo della famiglia in loco del sud.to marito defonto [sottolineatura MC]; quindi è, che necessitata mi vedo, di re-verentemente ricorrere a questa Spett.le Direzione, affinché compiacer vogliasi, di associarmi come Vedova e Capo di famiglia al Spett.le Casino Vecchio in loco e sostituzione del defonto mio Consorte Francesco Gagliardo, e di voler quindi far stilizzare a Nome mio proprio l'annessa quittanza in B) per soddisfarvi, stata indebitamente fatta a nome di mio figlio Giuseppe . ..70.
La Direzione del Casino non poteva logicamente riconoscere una donna come capo di un nucleo familiare misto (maschile e femminile) ed anche l’anno successivo Giuseppe Gagliardo compariva individualmente nella lista dei soci. È tuttavia di per sé significativo, che una donna usa a frequentare il circolo e quindi partecipe dei modelli di relazioni tra i generi che questa associazione esprimeva, ponesse con estrema naturalezza la richiesta di assumere le stesse funzioni di rappresentanza del «ganzes Haus» esercitate in precedenza dal marito. Ma era proprio questa funzione di rappresentanza (e quindi politica in senso lato) che non poteva venir riconosciuta ad un’esponente del sesso femminile 71.
In realtà, il modello di rapporti patriarcali a cui si ispirava il Casino Vecchio, parificando donne e uomini non capofamiglia in uno stato di subalternità relativa, risultava meno discriminatorio per la componente femminile di quanto lo fosse un modello che riconoscesse di per sé al soggetto maschile (e solo ad esso) diritti di autonomia e, tendenzialmente, di espressione della propria volontà politica.
Il Casino Vecchio mantenne fino al 1914 il principio che l’ammissione di un socio comportasse l’accesso al circolo di tutti i familiari che vivessero sotto il suo tetto. Per motivi di bilancio, nel 1840 fu comunque imposto ai figli maschi dei soci di pagare un proprio canone annuale, siappure ridotto 72. I Casini Greco e Tedesco, come pure le Stanze di Radunanza dei Commercianti, dove si riuniva tutto il ceto commerciale presente sulla piazza triestina, ponevano invece limiti rigorosi alla partecipazione dei figli maschi alla vita sociale. Lo Statuto del Casino Greco del 1825 permetteva l’accesso dei figli di soci di ambedue i sessi, ponendo per le donne il limite inferiore d’età di quattordici anni,



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mentre i ragazzi potevano frequentare il circolo se compresi tra un’età tra i dieci e i quindici anni. Tra i quindici e i vent’anni avrebbero pagato un canone d’ingresso dimezzato: dopo i ven-t'anni sarebbero stati trattati come ogni altro aspirante socio 73. Analoghe regole valevano per le Stanze di Radunanza dei Commercianti; qui le donne delle famiglie dei soci avevano un diritto di ingresso pressoché illimitato, a condizione che fossero in compagnia del socio stesso. I figli maschi potevano essere introdotti alle Stanze se compresi tra gli otto e i quindici anni, dopodiché dovevano chiederne l’affiliazione 74. Ancora più rigoroso al riguardo era il Casino Tedesco, che stabiliva: «il diritto di socio è circoscritto alla sola persona, che ne è rivestita, di modo che ai figli, od altri congiunti maschi appartenenti alla famiglia del Socio, non potrà essere conceduto l’accesso al Casino» 75, a meno che, naturalmente, non si associassero a loro volta.
Tali norme contengono l’asserzione implicita che ogni persona di sesso maschile, di condizione civile e di età adulta costituisse un’individualità - da trattarsi come tale - e che il vecchio rapporto di subalternità al pater familias, a suo tempo proprio ad ambedue i sessi, potesse ormai essere legittimamente mantenuto in età adulta, solo per le componenti femminili di ciò che rimaneva del «ganzes Haus».
Andava così delineandosi anche nell’ambito del reticolo associati vo-ricreativo la relazione asimmetrica tra i sessi, nuova per il suo carattere di universalità e borghese per le potenzialità di emancipazione maschile che vi erano connaturate.
IL PREGIUDIZIO ANTIEBRAICO
A partire dalla fondazione deH’emporio e dalla politica di tolleranza religiosa praticatavi da Maria Teresa, la comunità ebraica percorse a Trieste un itinerario di emancipazione politico-civile in anticipo di circa un secolo rispetto alle altre parti dell'Impero, che la portò ad un’integrazione nella società urbana rimasta ineguagliata nel resto dei possedimenti asburgici 76.
Negli anni Trenta e Quaranta dell’Ottocento, quando Temporio triestino visse il suo periodo di maggior splendore 77, l’elemento ebraico assunse un ruolo di primo piano nei settori del commercio all’ingrosso e dell’attività assicurativa, entrando a far parte di pieno diritto - relativamente alla propria componente più facoltosa - dell'élite economica urbana. Poiché gli israeliti a



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Trieste non erano sottoposti a restrizioni di sorta rispetto al godimento dei diritti civili (e, più tardi, di quelli politici), la loro presenza nella Deputazione di Borsa o in altri organi di rappresentanza collettiva del ceto mercantile-armatoriale-assicurativo corrispondeva al loro peso effettivo nell’economia dell’emporio. Le «Stanze di Radunanza dei Signori Commercianti Associati» prevedevano addirittura per statuto che dei quattro membri della Direzione uno dovesse essere di religione israelitica, mentre tra i sette consultori gli israeliti dovevano essere due 78. I rimanenti membri di religione cristiana potevano essere indifferentemente cattolici, ortodossi o protestanti.
Già nel 1818 l'armatore e mercante Aron Isac Parente compariva tra i membri della Deputazione di Borsa 79. I grandi azionisti e dirigenti del settore assicurativo, Moisè Koen, Nedanel Levi, Caliman Minerbi, Marco Parente e Felice Vivante risultavano nel 1840 tra i mecenati-azionisti del Teatro Grande80, venendo così ad ottemperare a tipici obblighi sociali e d’immagine di un ceto alto-borghese, indifferenziato rispetto ad appartenenza religiosa e comunità di riferimento.
Quando nel 1839 fu istituito il «Consiglio Ferdinandeo», organo consultivo espressione del notabilato locale affiancato al rappresentante del governo, vennerp chiamati a farvi parte, tra gli altri, Matteo Cohen, Moisè Hifschel ed Aron Isac Parente81. Esponenti dell’élite economica ebraica vennero eletti a capo degli organi direttivi di istituti di beneficenza, si fecero soci del Gabinetto di Minerva, parteciparono ad imprese di pubblica utilità come la Società per l’Acquedotto di Aurisina 82.
Anche rispetto ad imprese economiche a carattere azionario-collettivo, l’integrazione tra le diverse componenti del ceto mercantile era completa: esponenti della finanza o del ramo assicurativo ebraico sedevano ai vertici di società azionarie assieme a banchieri, armatori ed assicuratori austro-tedeschi, greci, italiani.
Esaminiamo, per esempio, la composizione della direzione delle tre maggiori società per azioni esistenti a Trieste all’inizio degli anni Cinquanta, la compagnia di navigazione Lloyd Austriaco (capitale azionario 3.000.000 di fiorini), le Assicurazioni Generali (capitale azionario 2.500.000 di fiorini) e la Riunione Adriatica di Sicurtà (capitale azionario 1.500.000 di fiorini). All’inizio degli anni ’50 la direzione del Lloyd era composta dai negozianti de Brucker e barone Ermanno Lutteroth (di origine anseatica), dal cav. G. Hagenauer in veste di consigliere governati-



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vo e dal banchiere Elio cav. Morpurgo. Ai vertici delle Assicurazioni Generali sedevano Davide Mondolfo, Giuseppe Morpurgo (fratello di Elio), Samuele della Vida, Vidal Benjamin Cusin, Masino Levi, Francesco Morgante, il ricchissimo Pasquale Revoltel-la, il già citato Hagenauer e gli assicuratori greci Giovanni Sca-ramangà ed Amintore Ralli. La Riunione Adriatica di Sicurtà era espressione di un gruppo di assicuratori greci, affiancati di Ermanno Lutteroth ed R. Salem 83. Tra questi protagonisti della vita economica dell’emporio - dei quali si può ragionevolmente supporre che appartenessero alla componente di maggior prestigio - nessun israelita era socio del Casino Vecchio.
L’assenza più clamorosa è al riguardo quella di Elio Morpurgo, che nel 1865 divenne presidente del Lloyd Austriaco e venne nobilitato nel 1866 con il titolo di barone 84. Anche negli anni successivi, nessuno dei baroni Morpurgo compariva nelle liste dei soci del Casino Vecchio. Altrettanto dicasi per le famiglie Levi, Parente, Vivante, Cohen e, più tardi, per i Brunner, esponenti di primo piano deH’imprenditoria industriale.
Uno o due nomi ebraici sul totale delle liste dei soci conservate, non valgono a smentire il pregiudizio antiebraico radicato, alla base dei criteri di ammissione al Casino Vecchio 85. Piuttosto, rappresentano degli inevitabili incidenti di percorso all’interno di meccanismi in cui tale esclusione non era codificata, ma conservava tutta l’ambiguità delle regole non scritte. Tale ambiguità risulta chiaramente dal verbale di una riunione tenutasi il 5 gennaio 1849, in cui il protocollante annotava: «Il sig. dr. Angeli fece la domanda se gli israeliti possono essere soci di questo Casino. Nessuno dei presenti prese la parola, e la Direzione osservò che lo Statuto non li esclude» 86. Nel 1884, per la prima volta l’atteggiamento antiebraico del Casino Vecchio venne tematizzato pubblicamente, quando un’aspra campagna di stampa denunciò l’immotivata esclusione di un aspirante socio, in possesso di tutti i requisiti sociali per essere ammesso al circolo, ma di religione israelita 87.
Il punto di vista particolare assunto dal Casino Vecchio sugli ebrei, anomalo rispetto a quello di tutte le altre realtà associative in ambito locale, nonché delle istituzioni politiche ed economiche dell’emporio, è spiegabile tenendo presente il dato di fatto che nessun’altra associazione (o istituzione) risultava a Trieste altrettanto legata ai rappresentanti del potere statale. Il Casino Vecchio era nato come spunto di incontro tra l’alto funzionariato asburgico e un ceto mercantile di nuova formazione, come luogo



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simbolico che prefigurava una società civile ancora tutta da inventare. Anche dopo che questa società civile si era formata -emancipandosi in buona misura dalla tutela dello Stato - il Casino Vecchio continuava a caratterizzarsi come il più importante luogo socievole dei rappresentanti dello stato asburgico dislocati temporaneamente nel Litorale. Un pregiudizio antiebraico di tipo culturale era patrimonio comune del ceto degli alti funzionari statali, spesso di origine nobiliare 88. È quindi assai probabile che fosse stata l'influenza dei funzionari statali ad imporre come regola non scritta l'esclusione - in linea di principio - di ebrei dal circolo.
Tale esclusione non penalizzò, particolarmente l'elemento ebraico. La maggior parte dei mercanti israeliti scelse l'affiliazione al Casino Greco, dove non erano sottoposti a discriminazioni di sorta. Nella lista dei soci del Casino Greco del 1855 vi compaiono, per esempio, le famiglie Basevi, Hierschel, Israel, Kohen, Levi, Luzzatto, Mi nerbi, Mondolfo, Morpurgo, Picherle, Pardo, Neumann, Salem, Terni e Vivante 89. Inoltre, gli esponenti delle famiglie ebraiche più in vista partecipavano su un piano di piena parità con il resto dell’élite urbana ad attività di beneficenza ed imprese di mecenatismo artistico-culturale, da cui traevano ormai una legittimazione maggiore che attraverso la frequentazione del Casino. Per quel che riguarda poi la componente ebraica nel suo complesso, al di là dell’elemento mercantile, essa manifestava a Trieste come altrove spiccate simpatie liberali, identificando a ragione tale forza politica come il garante più certo della propria emancipazione politica e civile. Non desta quindi sorpresa la forte presenza ebraica all’interno della «Società Filarmonico-Drammatica», di orientamento liberal-massonico 90.
Di fatto, chiudendosi alla componente israelitica dell’élite urbana, il Casino Vecchio veniva meno alla propria pretesa di rispecchiamento della società civile. Tale esclusione non aveva infatti ragion d'essere, in un contesto in cui tale componente si trovava inserita a tutti gli effetti non solo nella vita economica, ma anche a livello di cariche pubbliche o semipubbliche (Borsa, Camera di Commercio, organi della rappresentanza politica).
La chiusura del Casino Vecchio verso l’elemento israelita si tradusse così in una deformazione e settorializzazione dei meccanismi di rappresentatività dell’associazione stessa, che divenne sempre più punto di ritrovo di una parte della società civile, che non veniva più a coincidere necessariamente con la prima società urbana.



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LA «POSIZIONE RELATIVA» NEL RETICOLO ASSOCIATIVO URBANO
La pretesa del Casino Vecchio di riunire nelle proprie stanze «tutte le famiglie ed individui più eletti della città» venne realizzata solo in parte, per una serie di fattori. La partecipazione alla vita societaria era filtrata attraverso meccanismi misti di carattere ascrittivo e volontario, in quanto basata sull'adesione individuale di singoli appartenenti a categorie sociali rigidamente predeterminate.
Tuttavia, in una città di nuova fondazione come Trieste, con la sua realtà sociale fluida e scarsamente gerarchi zzata, le regole del Casino Vecchio risultavano alquanto artificiali e di difficile legittimazione verso l'esterno. Paradossalmente, lo stesso Casino finiva per negare l'immagine di sé che intendeva proiettare nella sfera pubblica, quando ampliava l’accesso alla società a gruppi di scarso prestigio come gli agenti di commercio, i commercianti al minuto e categorie della piccola borghesia intellettuale.
L'elemento cruciale che minava la funzione che l’associazione intendeva svolgere in ambito urbano era dato dal fatto che la mancata iscrizione al Casino Vecchio non significava di per sé esclusione dalla socialità borghese. Esemplare al riguardo il ricordato caso dell’élite ebraica, che manteneva un’alta visibilità sociale attraverso tanti altri luoghi «esposti» come i palchi teatrali, i comitati di beneficenza, le società musicali e filodrammatiche, nonché le - più tarde - imprese per la promozione delle arti e deH’industria. Dei numerosi soci che tra il 1827 e il 1836 avevano scelto di non rinnovare l’iscrizione al Casino, molti preferivano prender parte alle attività del Gabinetto di Minerva o della Società Filarmonico-Drammatica, frequentare gli altri centri della sociabilità urbana, farsi vedere nei palchi del Teatro Grande91. Se il Casino Vecchio riuscì a mantenere per tutto il periodo in questione la propria funzione di punto di ritrovo della prima società urbana (caratterizzata fin dall'inizio in senso spiccatamente borghese), esso non riuscì quindi a porsi come tramite obbligato per accedere alla sfera della «socialità».
A partire dagli anni '20 dell'Ottocento, con il rafforzarsi di un nuovo ceto mercantile, meno dipendente dal potere statale, il Casino Vecchio si trovò esposto alla concorrenza dei Casini Greco e Tedesco, sorti con analoghe funzioni ricreative, ma con minori pretese elitarie. Lo Statuto del Casino Tedesco, per esempio, non indicava alcun prerequisito necessario a chi volesse aderire alla società, limitandosi a dichiarare che lo scopo della società stessa



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era «di offrire ai suoi membri un variato trattenimento di lettura, di giuoco, di conversazione, di ballo, e di musica» 92. Il Casino Greco, costituitosi una prima volta nel 1795, dichiarava schiettamente nei propri statuti del 1825 le proprie finalità affa-ristico-economiche, affermando che lo scopo della società consisteva «nel procurare ai soci un punto di riunione per trattare più facilmente e comodamente i loro affari, ed in pari tempo col procacciar loro degli onesti divertimenti, avvicinando gli uni agli altri, e così stringere viemaggiormente i legami sociali» 93.
Le crescenti difficoltà finanziarie del Casino Vecchio risultavano dalla concorrenza esercitata dagli altri centri di aggregazione socievole: evidentemente, la frequentazione del circolo non doveva produrre vantaggi così rilevanti in termini di status, se una tariffa inferiore per il gioco a carte o al biliardo poteva costituire un richiamo sufficiente a dirottare i soci verso un altro Casino. È del pari significativo, che già nel 1830 una riunione direttoriale si trovasse a deliberare di tenere i consueti balli di Carnevale alla domenica, «per non trovarsi in collisione con altri casini, e per aversi vantaggio delle due sere precedenti, nelle quali nessuno dà festini» 94. Il Casino Vecchio attraversò diverse crisi, manifestatesi attraverso la disaffezione dei soci e le conseguenti difficoltà a fronteggiare le spese di gestione. Una delle crisi più gravi fu quella del 1839-40, precedente al trasferimento della sede nello stabile delle Assicurazioni Generali in Piazza Grande. Essa era dovuta manifestamente al fatto che i Casini Greco e Tedesco offrivano ai soci analoghi intrattenimenti a prezzi inferiori, garantendo al tempo stesso ai balli e alle conversazioni quella impalpabile «qualità civile» che costituiva la reale linea di demarcazione tra la popolazione dellemporio.
Una nota interna della Direzione, rilevava come «il grandissimo decadimento» fosse dovuto in primo luogo a mancanza di locali adatti e a «difetto di interna decorazione, che corrisponda alle esigenze del tempo e al rango istesso della società» 95. Tale diagnosi trova conferma nelle impressioni dello scrittore carin-ziano Adolf Tschabuschnigg, che trascorse a Trieste il Carnevale del 1837. Secondo Tschabuschnigg i balli del Casino Vecchio non furono mai frequentati da più di venti «coppie danzanti», mentre «il Casino tedesco diede due balli assai affollati, vi ballarono sempre più di 80 coppie». Comunque, anche Tschabuschnigg riconosceva che la società del Casino Vecchio era «elegante ed esclusiva» 96.
Dai dati a disposizione il numero dei soci risulta oscillare tra



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poco più di un centinaio negli anni Trenta ad un massimo di 351 nel 1882. Gli ultimi dati, risalenti al 1913, danno un totale di 251 soci. Nel 1857, dopo il reperimento di una sede adeguata ed il conseguente superamento della crisi, i soci erano 289 97. Tale numero corrispondeva più o meno ai soci del Casino Greco, mentre il Casino Tedesco annoverava già 546 soci 98. Nel medesimo anno 1857 Trieste contava 104.707 abitanti. L’associazione più consistente dal punto di vista numerico era «Le stanze di Radunanza dei Signori Commercianti Associati», locate nella galleria del Tergesteo, con quasi 2.000 soci ". Al riguardo va comunque tenuto presente il carattere fortemente corporato di tale associazione, che comprendeva tutti coloro che fossero attivi in una delle articolazioni del commercio, all’ingrosso e al minuto, ai quali metteva a disposizione «decenti locali di convegno, forniti di corrispondenze e telegrammi commerciali e marittimi, non che libri e pubblici fogli» 10°. Si trattava quindi, in questo caso, di una struttura funzionale specifica più che di un luogo di civile ritrovo.
IL «CASINO VECCHIO» E LA SOCIETÀ CIVILE URBANA
Una valutazione di tipo quantitativo della consistenza della società civile triestina verso la metà dell’Ottocento non si presenta semplice. A titolo indicativo, possono venir utilizzati i dati relativi ai primi tre corpi elettorali istituiti con lo Statuto del 1850. Secondo le liste elettorali formate nel 1850 sulla base dello Statuto, appartenevano al primo corpo elettorale 151 cittadini, 383 al secondo e 834 al terzo 101. Rispetto a tali cifre va tenuto presente che solo gli appartenenti ai primi due corpi rispondevano in pieno ai requisiti richiesti per entrare a far parte del Casino Vecchio, mentre il funzionariato statale e comunale di rango inferiore, inquadrato nel terzo corpo, non era considerato «proponibile» 102.
Sulla base delle indicazioni, certo imprecise, offerte dalla consistenza numerica dei corpi elettorali, si può valutare che verso la metà dell’Ottocento i soci del Casino Vecchio comprendessero da 1/5 a 1/6 della società civile urbana, a seconda dei criteri scelti per definirne i limiti.
Al di là di tale corrispondenza, che si collocava, come abbiamo visto, in un reticolo associativo abbastanza fitto, l’elemento specifico che caratterizzava il Casino Vecchio era, comunque, an-



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cora una volta, la saldatura che vi si attuava tra società civile e Stato e che aveva caratterizzato il circolo fin dalle origini. Non a caso, la maggioranza dei componenti del Consiglio Ferdinandeo (con l'esclusione degli israeliti) erano membri del Casino Vecchio 103. Dei cinquanta consiglieri eletti sulla base della legge elettorale del 1850, ben quaranta provenivano dalle file dell'associazione 104. Affiliati al circolo erano poi, naturalmente, gli esponenti del mondo economico maggiormente coinvolti in imprese con alta valenza politica e di interesse generale per lo stato asburgico: il finanziere Pasquale Revoltella, associato all'impresa del taglio dell'Istmo di Suez, Ludwig von Bruck, tra i fondatori del Lloyd Austriaco, nonché ministro del commercio e successivamente delle finanze. Anche i membri della delegazione di Borsa ed i titolari delle ditte «insinuate in Borsa paganti il canone maggiore» erano presenti tra le file del Casino Vecchio in misura consistente 105. Nel 1866, per esempio, su 251 soci circa un centinaio erano titolari di ditte commerciali all'ingrosso. Tale cifra, certo ragguardevole, conferma il peso dell'elemento mercantile all'interno della società. D'altro canto, le ditte paganti «il canone maggiore di Borsa» erano 419: evidentemente anche per i grandi mercanti l'affiliazione al Casino era lungi dal costituire una convenzione sociale inderogabile.
Sempre nel 1866 erano comunque soci del Casino Vecchio:
— Adolfo Gaddum, socio della ditta di Borsa Rittmeyer F.E. e C., membro effettivo della Camera di Commercio per le ditte di Borsa, assessore allì.R. Tribunale commerciale e marittimo e direttore del Monte Civico commerciale;
— Francesco Federico Gossleth Cav. de Werkstàtten, titolare di una ditta di Borsa attiva nel commercio del salnitro, legnami, pietre lavorate e carbon fossile, associato nelle seguenti imprese industriali: una fabbrica di foramento pietre, una fabbrica di salnitro e prodotti chimici, la Società per l'Acquedotto di Aurisina, la Società austriaca pel Gas, nonché la Prima Società per la fabbricazione di birra in Trieste. Era inoltre socio della sezione letterario-artistica del Lloyd Austriaco.
— Carlo Rittmeyer, censore della i.r. Privata Banca di Sconto, vicepresidente della Banca Commerciale Triestina, consigliere della città immediata, socio acco-mendato della Società di Navigazione a Vapore Lloyd Austriaco, socio dell'Usina Comunale del Gas.
— Carlo Marziale Stalitz, membro effettivo della Camera di Commercio per le ditte di Borsa, i.r. consigliere all'i.r. Tribunale Commerciale e Marittimo, censore dell'i.r. Banca Privata di Sconto, consigliere della Città immediata dellTmpero (Trieste).
— Cav. Antonio de Vicco, presidente della Deputazione di Borsa, membro effettivo della Camera di Commercio per le ditte di Borsa, commissario dell’Ufficio Ve-ritas ,06.
Tali profili non sono stati scelti perché in qualche modo rap-



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presentativi della medietà dei soci del Casino Vecchio, ma come esempi di figure imprenditoriali caratterizzate da una concentrazione di funzioni di rappresentanza del ceto mercantile nel suo complesso, anche a livello istituzionale, che sarebbe stato difficile non immaginarsi tra i soci del circolo.
Dalla interconnessione tra società civile e Stato il Casino Vecchio traeva la propria specifica forma di esistenza - che lo distingueva tra tutti i circoli dell’associazionismo d elite - e la propria ragion d’essere, quella di prefigurare un modello di relazioni tra i due termini che fosse aconflittuale ed apolitico e che corrispose di fatto alla realtà della Trieste mercantile per tutta la prima metà dell’Ottocento.
Dopo il passaggio deH’Austria alla fase costituzionale il quadro di riferimento cambiò comunque radicalmente. A Trieste, come in altre realtà soprattutto urbane della Cisleitania, si formarono partiti politici moderni, forze di aggregazione di nuovi gruppi sociali e nazionali, autonomi ed antagonisti rispetto all’apparato statale e al governo di Vienna. L’autonomizzazione della sfera politica e la sua emancipazione dallo Stato vanificò la funzione fino allora svolta dal Casino Vecchio. A partire dal 1893 a Trieste non si presentarono più alle elezioni esponenti del partito conservatore 107 - di cui il Casino era ora espressione - mentre andava consolidandosi l’egemonia del partito liberal-naziona-le italiano ed assumevano forza il partito nazionalista sloveno (Edinost) ed il socialismo internazionalista. In un tale contesto, il Casino Vecchio, persa ogni funzione di rappresentatività complessiva, si ridusse ad una specie di «covo di austriacanti», marginale rispetto ad una società civile che tendeva ormai a coincidere con il concetto «universale» (anche se solo maschile) di cittadinanza.
Marina Cattaruzza
Dipartimento di Storia,
Università di Trieste
NOTE AL TESTO
Ricerca finanziata dal Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica (fondi 60%). Suggerimenti, critiche ed illuminanti scambi di idee mi sono giunti nel corso della ricerca e della stesura del saggio da Elio Apih, Marco Meriggi e Giorgio Negrelli. A tutti esprimo qui i più calorosi ringraziamenti.
1 Per una storia del concetto di «bùrgerliche Gesellschaft» cfr. M. Riedel, Ge-sellschaft, bùrgerliche, in O. Brunner, W. Conze, R. Koselleck, Geschichtliche Grundbegriffe. Historisches Lexikon zur politisch-sozialen Sprache in Deutschland, Stuttgart 1975, voi. 2, pp. 719-800. Sulla non identità concettuale dei termini «bùrgerliche Gesellschaft» e «civii society» cfr. le acute osservazioni di Jùrgen Kocka in



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Bùrgertum und bùrgerliche Gesellschaft im 19. Jahrhundert. Europàische Entwicklun-gen und deutsche Eigenarten, in JOrgen Kocka (a cura di), Bùrgertum im 19. Jahrhundert, Mùnchen 1988, 3 voli., qui voi. 1, pp. 11-76, in particolare pp. 33-36. Ma già Thomas Mann nelle Betrachtungen eines Unpolitischen (Berlin 1918) (trad. italiana Considerazioni di un impolitico, Bari 1967), aveva messo in luce l'irriducibilità di termini quali «Bùrger» e «Citoyen».
2 La più importante concettualizzazione storiografica del problema in Thomas Nipperdey, Verein als soziale Struktur in Deutschland im spàten 18. und frùhen 19. Jahrhundert (1972), ora in Id., Gesellschaft, Kultur, Theorie. Gesammelte Aufsàtze zur neueren Geschichte, Gòttingen 1976, pp. 174-205. Per una panoramica internazionale cfr. Sociabilité et société bourgeoisie en France, en Allemagne et en Suisse 1750-1850IGeselligkeit, Vereinswesen und bùrgerliche Gesellschaft in Frankreich, Deutschland und der Schweiz 1750-1850 sous la direction d’E. Francois, Paris 1986; M. Mala-testa (a cura di), Sociabilità nobiliare, sociabilità borghese. Francia, Italia, Germania, Svizzera XVII1-XX secolo, in «Cheiron», 1989/1; M. Meriggi, Associazionismo borghese tra '700 e '800. Sonderweg tedesco e caso francese, in «Quaderni storici» 71, a. XXIV (1988), pp. 589-627.
3 Oltre agli studi citati nelle rassegne di Malatesta e Meriggi vanno tenuti presenti alcuni recenti contributi italiani che hanno studiato il fenomeno associazionismo soprattutto in relazione al pensiero e al movimento democratico. Cfr. F. Bracco, Democrazia e associazionismo nel XIX secolo, Firenze 1990; M. Ridolfi, Il circolo virtuoso. Sociabilità democratica, associazionismo e rappresentanza politica nell'Ottocento, Firenze 1990.
4 Cfr. i contributi di Cardoza e Meriggi in questo volume. Vedi inoltre P. Mora-bito, Divertimento e élites sociali a Bologna nella prima metà dell'Ottocento: la Società del Casino, in Malatesta (a cura di), Sociabilità nobiliare cit., pp. 169-191; D. Franc-fort, Nobili e borghesi al caffè: considerazioni sulla clientela dei caffè di Udine a metà del XIX secolo, in Ibid., pp. 133-147. B. Darwin, British Clubs, London 1947; D. Balt-zell, Philadelphia Gentelmen: The Making of a National Upper Class, Glencoe, Illinois, 1958.
5 Manca a tutt’oggi una storia economica della Trieste emporiale. Cfr. a titolo indicativo l’autobiografia «esemplare» di un esponente di primo piano del ceto mercantile: G. G. Sartorio, Memorie, Trieste 1952. Un inquadramento generale sul periodo tra l’istituzione dell'emporio e la fine delle occupazioni francesi è offerto dall’ormai classico studio di E. Apih, La società triestina nel secolo XVIII, Torino 1957. Per la prima fase di sviluppo, tutto interno ancora all’ottica mercantilistica, v. W. Markov, Die Triestiner Ostindien Kompanie (1775-1785) und die Nordsee Adria-konkurrenz, Berlin 1961; Id., La compagnia austriaca di Trieste 1775-1785, in «Studi storici», 1961 Nr. 2, pp. 3-28; G. Luzzatto, Il portofranco di Trieste e la politica mercantilistica austriaca nel '700, Trieste 1953. Sul boom del capitale assicurativo degli anni Trenta dell’Ottocento cfr. G. Sapelli, Uomini e capitali nella Trieste dell'Ottocento. La fondazione della Riunione adriatica di sicurtà, in «Società e Storia», VII, Nr. 26 (1984), pp. 821-874.
6 A Trieste i mercanti titolari di ditte commerciali «insinuate in Borsa», costituivano la «prima società» cittadina. Al riguardo annotava Pietro Kandler, il maggior storico triestino dell’Ottocento: «Imperatrice Maria Teresa sostituì ai privilegi di Compagnia la libertà del Commercio, alle Fiere franche l’immunità da dogane, per cui l'Emporio fu in condizione di fiera perpetua [...]; la mercatura fu professione nobile, così che per le persone che la esercitavano assegnò Tribunale a similitudine del Tribunale dei Nobili; più tardi, il corpo dei Mercanti costituivasi in Ceto privilegiato, ed ancora oggidì usa il nome di Ceto, in memoria dell'antica condizio-



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ne sociale». In In memoria del primo secolo compiuto di vita della Società del Casino detto il Vecchio di Trieste. In occasione della prima festa secolare, Trieste 1863, p. 10.
7 Ancora essenziale su questi temi la raccolta di documenti a cura di P. Kand-ler, Emporio e portofranco di Trieste, Trieste 1864. Cfr. anche G. Cervani, Il Litorale austriaco dal Settecento alla Dezemberverfassung del 1867, in F. Valsecchi, A. Wan-druszka, Austria e province italiane 1815-1918. Potere centrale e amministrazioni locali, Bologna 1981, pp. 85-175. Sul profilo di storico e di intellettuale di Pietro Kand-ler cfr. G. Negrelli, Comune e Impero negli storici della Trieste asburgica, Varese 1968, pp. 115 ss.
8 G. Cervani, Aspetti della vita economica di Trieste alla fine del secolo XVIII. Una statistica di negozianti e di uomini di affari, in Id., La borghesia triestina nell’età del Risorgimento. Figure e problemi, Udine 1969. Alcune rappresentazioni impressionistiche di «tipi» del ceto mercantile si trovano nell'opera a carattere memorialisti-co di G. Caprin, I Nostri Nonni. Pagine di vita triestina dal 1800 al 1830 (1888), Trieste 1926, in particolare pp. 13-18.
9 Sulla comunità greca cfr. G. Stefani, I greci a Trieste nel Settecento, Trieste 1960. In generale sulla comunità ebraica cfr. Angelo Ara, Gli ebrei a Trieste, 18501918, in «Rivista Storica Italiana», CII, 1990 (1), pp. 53-86; G. Todeschini, P. C. Ioly Zorattini, Il mondo ebraico, Gli ebrei tra Italia nord-orientale e Impero asburgico dal Medioevo all’Età contemporanea, Pordenone 1991, in particolare pp. 287-552.
10 In memoria del primo secolo di vita cit., p. 5. Il 1763 è anche l'anno in cui viene istituito il governatorato del Litorale austriaco, con sede a Trieste. Cfr. Kand-ler, Emporio e portofranco cit., pp. 153-236.
11 Archivio Diplomatico (AD), presso Biblioteca Civica di Trieste, 1/2 A 14 (Casino Vecchio, Miscellanea).
12 Memorie storiche della Società del Casino Vecchio di Trieste MDCCLXIII-MCMXIII, Trieste 1914, pp. 26 ss. Osservava per esempio Caprin (I Nostri Nonni cit., p. 42): «L’aristocrazia del denaro conveniva al Casino Vecchio, detto anche dei Nobili, prima Casino S. Pietro, ordinato per istatuto nel 1763».
13 Statuto del Casino Vecchio di Trieste adottato dal congresso generale dei soci nel dì 17 dicembre 1815, Trieste 1818, p. 4.
14 Ibid., p. 5.
15 Ibid. Il Carnevale veniva festeggiato a Trieste con intensa partecipazione da tutti gli strati della popolazione. Cfr. Caprin, I Nostri Nonni cit., pp. 59-70. Cfr. anche le osservazioni di Adolf Ritter von Tschabuschnigg, in Dos Buch der Reisen, Wien 1842, pp. 30-40.
16 Cfr. sullo sviluppo urbanistico della «città artificiale» F. Caputo, R. Masiero, Trieste e l’Impero. La formazione di una città europea, Venezia 1987.
17 Memorie storiche della società del Casino Vecchio cit., pp. 33, 39.
18 Ibid., p. 39.
19 AD, 1/2 A4, Inventario del Casino Vecchio di Trieste.
20 Caprin, I Nostri Nonni cit., pp. 62-63.
21 Inventario del Casino Vecchio.
22 In memoria del primo secolo compiuto cit., pp. 8-9. In occasione di modifiche statutarie apportate nel 1868-69, il Casino Vecchio prese ad esempio, oltre allo statuto del Casino Tedesco di Trieste, anche gli statuti del Casino di Firenze (fondato nel 1844), della Società del Giardino di Milano e del Casino di ricreazione di Genova (ibid., pp. 64-65).
23 Inventario del Casino Vecchio.
24 AD, 1/2 Al5, protocollo dei congressi generali nel Casino dal 1830 al 1833 con annotazioni del Dr. de Rossetti (con allegato «riassunto di tutte le discussioni



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che vennero fatte ai congressi particolari e generali tenuti dalla Società del Casino Vecchio dall’epoca dell'erezione fino al giorno d’oggi»).
25 Ibid., congresso direttoriale del 31 dicembre 1830.
26 Ibid., congresso direttoriale del 26 marzo 1832.
27 Ibid., congresso del 10 dicembre 1831. In un congresso del 7 gennaio 1831 venne addirittura discussa la proposta che un ombrellaio lavorasse nell’atrio della sede, svolgendo al tempo stesso servizio di guardaportoni. Tale proposta fu comunque bocciata.
28 Statuto del Casino Vecchio di Trieste adottato dal congresso generale dei soci nel dì 17 dicembre 1815 cit., p. 20; Archivio di Stato di Trieste (AST), Polizia-Direzione, 258; Statuto della Società del Casino Vecchio di Trieste, Trieste 1912, p. 11.
29 AD, 1/2 Al5, congresso particolare del 30 novembre 1831.
30 AD, 1/2 A15.
31 AD, 1/2 Al5, congresso particolare del 30 dicembre 1824.
32 AD, 1/2 A13, Casino Vecchio in Trieste, Sabbatine 1848.
33 Ibid. Spesso veniva servito il «terano», vino popolare, bevuto in tutti gli strati sociali. In occasione di una sabbatina «un buonissimo vino di campagna bianco ci fu regalato dal sig. De Rin, del (sic!) squisito rum dal sig. Schwachhofer».
34 Testo a stampa in AD, 1/2 A14. Per tale ricorrenza vennero comunque ordinate quaranta bottiglie di champagne francese e dieci di «gold sherry» (ibidem), segno questo, forse, di un certo adeguamento ai tempi, rispetto alle abitudini spartane dell’età della Restaurazione.
35 Puntuali osservazioni sul «consumo vistoso» dell’élite economica triestina per il periodo dagli anni '90 dell’Ottocento allo scoppio della Guerra Mondiale in A. Millo, L’élite del potere a Trieste. Una biografia collettiva 1891-1938, Milano 1989, pp. 75-95. Una visione impressionistica del mondo mercantile triestino intorno agli anni Sessanta si ricava dalla raccolta di novelle di Anna Jahn, originaria di Lipsia, pubblicate sotto lo pseudonimo di Moritz Horst, Aus dem Kùstenlande, Stuttgart 1865. Nella novella Da una città emporio, per es., l’autrice fornisce i seguenti schizzi della città emporiale: «Sul molo ondeggiava una folla variopinta tutta in ghingheri. Molte facce belle ma dai lineamenti pesanti e il lusso eccessivo e smaccato gli riportarono alla mente che si trovava in una società levantina e che oggi era giorno festivo». Oppure, nella descrizione di una festa di fidanzamento: «Isidoro [protagonista della novella, MC] aveva dovuto confessare a se stesso di non avere mai visto convergere in un luogo relativamente piccolo una tale quantità di velluto e brillanti, tante belle donne e così poca grazia ed eleganza». Da S. de Lugnani, La cultura tedesca a Trieste dalla fine del 1700 al tramonto dell’Impero asburgico, Trieste 1986, pp. 147, 153.
36 Statuto del Casino Vecchio di Trieste adottato dal congresso generale dei soci nel dì 17 dicembre 1815 cit., p. 8.
37 AD, 1/2 A14, Processo verbale della seduta 5 gennaio 1849.
38 Statuto della Società del Casino Vecchio, Trieste s.d. (ma 1868 o 1869).
39 Statuto del Casino Vecchio di Trieste adottato dal congresso generale dei soci nel dì 17 dicembre 1815 cit., pp. 6-7, 19-21.
40 Cfr. Memorie storiche della società del Casino Vecchio cit., pp. 4-5; v. anche AD, 1/2 A14 (Casino Vecchio, Miscellanea).
41 La tematica della Trieste asburgica come caso emblematico di città borghese è stata trattata soprattutto da Angelo Ara, Elio Apih, Claudio Magris, Giorgio Ne-grelli. Cfr. A. Ara, C. Magris, Trieste. Un’indentità di frontiera, Torino 1982; G. Ne-grelli, In tema di irredentismo e di nazionalismi, in Aa.Vv., Intellettuali di frontiera. Triestini a Firenze, Firenze 1985, voi. I, pp. 251-92; E. Apih, Trieste, Roma-Bari 1988, p. 9-103.



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42 Archivio di Stato di Trieste (AST), Polizia, Direzione, busta 258/1856.
43 Caprin, I Nostri Nonni cit., p. 31.
44 Ibid.
45 Cfr. L. De Antonellis Martini, Portofranco e comunità etnico-religiose nella Trieste settecentesca, Milano 1968.
46 II Quarantotto triestino ebbe un’impronta spiccatamente costituzionale. Cfr. ora l’equilibrato giudizio di Elio Apih, in E. Apih, Trieste cit. pp. 36-41.
47 Verfassung der reichsunmittelbaren Stadt Triest/Costituzione della città immediata di Trieste, Trieste 1850.
48 Ibid., pp. 27.
49 Ibid., pp. 11-12, 7.
50 La trattazione dei conflitti nazionali a Trieste e del rafforzarsi del movimento irredentista esula dai fini del presente saggio. V. comunque M. Cattaruzza, Sloveni e Italiani a Trieste: la formazione dell'identità nazionale, in «Clio», a. XXV, 1989/1, pp. 27-58. In generale sul ruolo dei conflitti nazionali per la dissoluzione dell’Impero asburgico cfr. per es. H. Mommsen, Zur Beurteilung der altósterreichischen Natio-nalitatenfrage, in Id., Arbeiterbewegung und Nationale Frage, Gòttingen 1979, pp. 127146; E. Apih, La dissoluzione dell’Austria-Ungheria, in L. Firpo, N. Tranfaglia (a cura di), La storia, Voi. Vili: L'età contemporanea (parte III, Dalla Restaurazione alla prima guerra mondiale, Torino 1986, pp. 829-852).
51 Statuto del Casino Vecchio di Trieste adottato dal congresso generale dei soci nel dì 17 dicembre 1815 cit., pp. 22-23.
52 AD, 1/2 A14 (Casino Vecchio, Miscellanea). Sulla concezione municipalistico-patrizia di Rossetti cfr. Negrelli, Comune e Impero cit., pp. 67-114.
53 Cfr. per es. la richiesta di ammissione al Casino Vecchio presentata ai direttori dalla vedova Antonia Pazze, esponente di un’importante famiglia del ceto mercantile, il 29 gennaio 1816, in AD, 1/2 A4 (Atti del Casino Vecchio); cfr. anche il «protocollo tenutosi alla seduta del congresso generale nel Casino vecchio li 10 gennaio 1855», in ibidem. Nella sua presa di posizione contro il trasferimento della sede del Casino Vecchio dall’edificio della Borsa, il cassiere della società, Gioacchino Richter affermava di venerare la società come «una delle più colte, delle più urbane e delle più rispettabili» (AD, 1/2 A4, memoria del 26 aprile 1827).
54 AD, 1/2 A4, memoria del 26 aprile 1827.
55 Ibid.
56 AD, 1/2 A15, congresso direttoriale del 31 dicembre 1830.
57 Memorie storiche della società del Casino Vecchio cit., p. 48.
58 AD, 1/2 A4, congresso generale del 1826.
59 Statuto del Casino Vecchio di Trieste adottato dal congresso generale dei soci nel dì 17 dicembre 1815 cit., p. 7.
60 Sul concetto di «ganzes Haus» cfr. Otto Brunner, Das «ganze Haus» und die alteuropàische «Òkonomik», in Id., Neue Wege der Sozialgeschichte. Vortràge und Auf-satze, Gòttingen 1956, pp. 33-61. Per la sua straordinaria modernità il saggio di Brunner risulta per diversi rispetti anticipatore delle più recenti elaborazioni della «gender history».
61 Statuto del Casino Vecchio di Trieste, adottato dal congresso generale dei soci nel dì 17 dicembre 1815 cit., pp. 24-25.
62 Nuovo Statuto del Gabinetto di Minerva in Trieste, Trieste, 3 aprile 1820, ristampato a cura della Direzione del Gabinetto in giugno 1864, in AST, Polizia -Direzione 275.
63 Sembra che l'ammissione di donne nella società rischiasse di screditare il carattere di gabinetto scientifico della «Minerva». Cenni al riguardo si ritrovano in numerose pubblicazioni giubilali. Annota per es. Marino Szombathely: «Per dimo-



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strare la serietà dei loro propositi, i primi 67 minervali aderirono alla volontà del Rossetti, che bandì dalla sede sociale non solo il gioco e il fumo, ma anche la danza e le donne. Non era punto misoginia: il Rossetti stesso già nel 1815 promosse la fondazione del Casino Vecchio (e ne fu per lunghi anni direttore), luogo di ritrovi più familiari e mondani, allietati dalla presenza del bel sesso». (M. Szombathely, Il CL Anniversario della Società di Minerva 1810-1960, Trieste 1960, p. 8).
64 Nuovo Statuto del Gabinetto di Minerva cit., p. 2.
65 Mostra Storica dei 150 anni di vita della «Società di Minerva» (1810-1960), Trieste 1960, pp. 11-12.
66 Statuti dell’Associazione politica: Società del Progresso, Trieste s.d.
67 Legge del 15 Novembre 1867 sul diritto di associazione, in «Estratti dal Bollettino delle leggi dell'Impero per il Litorale austro-illirico», n. 102. Sulle corrispondenze tra «cittadinanza maschile» e stato nazionale assai illuminanti le osservazioni di George Mosse in Nationalism & Sexuality. Respectability and Abnormal Sexuali-ty in Modem Europe, New York 1985.
68 Cfr. AST, Polizia, Direzione, busta 258/1856, Elenco dei signori soci del Casino Greco; Ibid., Elenco de’ nomi dei signori soci del Casino Tedesco.
69 AD, 1/2 A4, elenco degli attuali soci del Casino Vecchio in Trieste (1818 e 1827); AD, 1/2 A6, elenco dei signori soci del Casino Vecchio (1836); Memorie storiche della società del Casino Vecchio cit., pp. 77-79.
70 AD, 1/2 A4, lettera del 10 marzo 1823.
71 Naturalmente non si danno casi di socie che ricoprano cariche negli organi statutari del circolo. Sulla base delle fonti esistenti non è stato possibile appurare se nel Casino Vecchio le donne fossero escluse dal diritto attivo di elezione, né se partecipassero a pieno diritto alle assemblee. Segnalo comunque il problema per l’indubbio interesse delle implicazioni contenutevi. Attraverso un’originale recezione delle note tesi di Michael Foucault sul potere, Joan Scott ha messo a punto un modello di «sfera politica» assai più esteso di quello tradizionale, che andrebbe a comprendere ogni rapporto asimmetrico di potere ed ogni sistema di significati in cui sia contenuto un elemento gerarchico-valutativo. Cfr. J. W. Scott, Gender and thè politics of history, New York 1988, in particolare pp. 15-50. Tale lezione è stata tenuta presente nella ricostruzione dei rapporti di genere nell’ambito del reticolo associativo triestino.
72 AD, 1/2 A14, seduta generale del 7 febbraio 1840.
73 AST, Governo, Atti Generali, busta 478.
74 AST, Polizia, Società, busta 2.
75 Regolamento della Società del Casino Tedesco, Trieste 1853. Tra le diverse associazioni esaminate, lo «Schiller Verein» era comunque il solo ad aver formalizzato l’adesione alla società della componente femminile. Infatti, il par. 2 dello statuto recita: «Possono essere accolte nella società vedove e signore non sposate che abbiano una posizione indipendente». Lo Schiller Verein era una associazione cul-turale-artistico-ricreativa di lingua tedesca. (AST, Polizia, Direzione, busta 280).
76 In generale sulla condizione degli ebrei nella Monarchia, e sulla loro - incompleta - emancipazione cfr. W. Bihl, Die Juden, in A. Wandruszka, P. Urbanitsch (a cura di), Die Habsburger Monarchie 1848-1918, voi. III. Die Vòlker des Reichs, tomo II, Wien 1980, pp. 880-948; W. Hàusler, Das òsterreichischeJudentum zwischen Beharrung und Forschritt, in ibid., voi. FV: Die Konfessionen, Wien 1985, pp. 633-669.
77 Cfr. R. E. Coons, I primi anni del Lloyd Austriaco. Politica di governo a Vienna ed iniziative imprenditoriali a Trieste (1836-1848), Udine 1982 (1975); Sapelli, Uomini e capitali nella Trieste dell’Ottocento cit.
78 Cfr. la convocazione della Direzione delle Stanze di Radunanza dei Sigg.



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Commercianti Associati in occasione del rinnovo degli organi statutari il 24 giugno 1851, in AST, Polizia, Direzione, busta 258/1856.
79 Cfr. «L’Osservatore Triestino», Sabbato lì 2 maggio 1818, in Trieste, p. 810. Sulla figura di Aron Isak (o Isac) von Parente, nobilitato nel 1847, cfr. Òsterreichi-sches Biographisches Lexikon 1815-1950, voi. VII, Wien 1978, pp. 324-325.
80 Cfr. AST, Atti presidiali riservati, busta 7.
81 Memorie storiche della Società del Casino Vecchio, op. cit., p. 49.
82 Cfr. AST, Polizia, Direzione, buste 258 e 275.
83 AST, Polizia, Direzione, busta 258.
84 Per il profilo biografico di Elio Morpurgo cfr. Ósterreichisches Biographisches Lexikon cit., voi. VI, p. 379.
85 Tra il 1818 e il 1913 ho ritrovato nelle liste dei soci del Casino Vecchio due soli nomi identificabili univocamente come israeliti: C. Rosenzweig, socio nel 1836 e Vito Israel, membro della direzione nel 1862. Ambedue i nomi, appartenenti a famiglie del ceto mercantile, sono registrati per un solo anno nelle liste dei soci.
86 AD, 1/2 A14, Processo verbale della seduta 5 gennaio 1849.
87 Ho tratto l'episodio da T. Cattalan, Società e sionismo a Trieste tra XIX e XX secolo, in Todeschini, Zorattini, Il mondo ebraico cit., pp. 457-490, in particolare p. 465.
88 Cfr. sul processo di piena equiparazione degli ebrei in Austria, conclusosi solo negli anni Novanta, le osservazioni di Bihl, in Die Juden cit., pp. 890-96, 940-48.
89 AST, Polizia, Direzione, busta 258.
90 Cfr. lista degli aderenti della «Società Filarmonico-Drammatica», in AST, Polizia, Direzione, busta 258. In anni successivi, nel corso del processo di formazione di identità nazionali tra i gruppi etnico-linguistici presenti in città, la maggioranza dell'ebraismo triestino si identificò con il gruppo italiano, esprimendo posizioni liberal-nazionali o irredentiste. L’accentuata connotazione laico-liberale del Regno d'Italia non era certo estranea ad una tale opzione. Cfr. A. Scocchi, Gli ebrei di Trieste nel Risorgimento italiano, in «Rassegna storica del Risorgimento», a. XXXVIII (1951), n. 3-4, p. 631-63; Millo, L’elite del potere cit., pp. 55-68. In generale sul nazionalismo come fenomeno storico cfr. E. J. Hobsbawm, Nations and Nationa-lism since 1780. Programme, myth, reality, Cambridge UP 1990.
91 L’elaborazione dei dati è avvenuta con un programma Database. Gli elenchi nominali sono stati tratti da AST, Polizia, Direzione, busta 258, AST, Presidiali riservati, busta 7 e AD, 1/2 A4.
92 Regolamento della Società del Casino Tedesco cit., p. 5.
93 AST, Governo, Atti Generali, busta 478.
94 AD, 1/2 A15, congresso direttoriale del 31 dicembre 1830.
95 AD, 1/2 A14, nota interna anonima.
96 Tschabusnigg, Buch der Reisen, in de Lugnani, La cultura tedesca a Trieste cit., p. 107.
97 Le liste dei soci del Casino Vecchio in AD, 1/2 A4, A6 e A14.
98 Cfr. AST, Polizia, Direzione, busta 258, Elenco de’ nomi dei signori soci del Casino Tedesco; Ibid., Elenco dei signori soci del Casino Greco.
99 AST, Polizia, Direzione, busta 258, Elenco numerico dei Signori Soci alle Stanze di Radunanza dei Signori Commercianti associati.
100 AST, Polizia, Società, busta 2, Regolamento della Società denominata Stanze di Radunanza dei Sig.ri Commercianti associati.
101 Dati riportati da S. G. Cusin e G. De Filippo, Nucleo ebraico e società triestina tra il 1850 e il 1900, in Todeschini, Zorattini, Il mondo ebraico cit., pp. 403-432, in particolare p. 413.
102 Va inoltre tenuto presente che l’iscrizione nelle liste elettorali seguiva su



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richiesta dell’interessato, per cui i dati relativi alla consistenza numerica dei primi tre corpi elettorali risultano approssimati per difetto, rispetto alla effettiva presenza di persone in possesso dei requisiti richiesti per esercitare il diritto di voto, ma non interessate a farne uso.
103 Memorie storiche della Società del Casino Vecchio cit., p. 49.
104 Ibid., p. 51.
105 Dati tratti dall'elenco delle ditte e negozianti, Camera di Commercio e Industria di Trieste (a cura di), Trieste 1867.
106 Elenco ditte e negozianti, cit.
107 A partire dal 1893 non vi fu quindi a Trieste un partito politico che rappresentasse gli interessi dell'economia e che sostenesse in termini assertivi la permanenza della città nella compagine sovranazionale asburgica. Gli esponenti del mondo imprenditoriale si limitavano a far valere le proprie ragioni all'interno del Consiglio Industriale, organo consultivo centrale collegato al Ministero del Commercio. Tale «assenza» fu gravida di conseguenze nella storia successiva della città. Alcune osservazioni sulla «rappresentanza politica imperfetta» nella Trieste asburgica in M. Cattaruzza, I conflitti nazionali a Trieste nell’ambito della questione nazionale del-rimpero asburgico: 1850-1914, in «Quaderni Giuliani di Storia», 1989/1, pp. 131-148, in particolare pp. 146-148.