CONSIDERAZIONI DI METODO PER LA STORIA DELLA PSICHIATRIA. UNA RICERCA SUL SAN LAZZARO DI REGGIO EMILIA

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Title
CONSIDERAZIONI DI METODO PER LA STORIA DELLA PSICHIATRIA. UNA RICERCA SUL SAN LAZZARO DI REGGIO EMILIA
Creator
Marzio Dall'Acqua
Maristella Miglioli
Maurizio Bergomi
Date Issued
1982-04-01
Is Part Of
Quaderni Storici
volume
17
issue
49 (1)
page start
302
page end
319
Publisher
Società editrice Il Mulino S.p.A.
Language
ita
Format
pdf
Relation
Storia della follia nell'età classica, Italy, Rizzoli, 1963
Rights
Quaderni storici © 1982 Società editrice Il Mulino S.p.A.
Source
https://web.archive.org/web/20230920170428/https://www.jstor.org/stable/43777041?searchText=Foucault&searchUri=%2Faction%2FdoBasicSearch%3FQuery%3DFoucault&efqs=eyJsYV9zdHIiOlsiYVhSaCJdfQ%3D%3D&sd=1975&ed=2000&pagemark=eyJwYWdlIjoxNSwic3RhcnRzIjp7IkpTVE9SQmFzaWMiOjM1MH19&groupefq=WyJjb250cmlidXRlZF90ZXh0Iiwic2VhcmNoX2NoYXB0ZXIiLCJjb250cmlidXRlZF9hdWRpbyIsInJlc2VhcmNoX3JlcG9ydCIsInNlYXJjaF9hcnRpY2xlIiwicmV2aWV3IiwibXBfcmVzZWFyY2hfcmVwb3J0X3BhcnQiXQ%3D%3D&ab_segments=0%2Fbasic_search_gsv2%2Fcontrol&refreqid=fastly-default%3A27fc9956fc4ee220ad0e9c30f3594959
Subject
institutions
confinement
panopticon
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CONSIDERAZIONI DI METODO PER LA STORIA DELLA PSICHIATRIA. UNA RICERCA SUL SAN LAZZARO DI REGGIO EMILIA
Parigi 1950: Éxposition d’histoire et des progrès de la psychia-trie. L’occasione della mostra era data dal primo congresso mondiale di Psichiatria. Con questa rassegna si riassumeva visivamente, in modo spettacolare, una concezione storiografica che, affondando le sue radici nell’età positivistica, si risolveva in agiografie di medici-scienziati, medici-apostoli, medici-filantropi e, in senso più generale, in una cronaca lineare di progressi terapeutici e scientificix.
Questo modo di fare storia della psichiatria, in quegli anni, anche in Italia, era assai diffuso e solo in parte superava i limiti angusti delle riviste specializzate di psichiatria, per inserirsi nei casi migliori all’interno della storia della medicina o di una più generale storia della sanità, orientamento che fu incoraggiato dalla creazione del CISO (Centro Italiano di Storia Ospitaliera) e dai suoi convegni2.
Una serie differenziata di approcci storiografici alla psichiatria viene successivamente nascendo all’interno del movimento per una nuova prassi psichiatrica che si costituisce a partire da quegli anni.
Una inquietudine sulla funzione della psichiatria intacca l’ottimismo che, due anni prima, aveva caratterizzato il congresso mondiale, esprimendosi in un numero monografico dedicato dalla rivista «Esprit» al tema della «miseria della psichiatria»3, mentre Maxwell Jones, in Inghilterra, esperimentava una forma di comunità terapeutica che si opponeva al funzionamento tradizionale del reparto manicomiale4. Quest'ultima esperienza fu un punto di riferimento fondamentale per gli psichiatri italiani che costituivano ima sparuta avanguardia in quegli anni5.
Nello stesso 1952 la farmacologia gettava le basi per una vera
QUADERNI STORICI 49 a. XVII, n. 1, aprile 1982



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e propria rivoluzione nel trattamento delle malattie mentali6.
L’esperienza delle comunità terapeutiche inglesi ed americane e il movimento psicoanalitico, oltre agli effetti prodotti dall’uso degli psicofarmaci, spinsero, anche in Italia, ad esperimentare nuove forme di organizzazione dell’intervento psichiatrico. Dalla creazione della prima comunità terapeutica nel manicomio di Gorizia, per opera di Franco Basaglia nel 1962, all’apertura del primo Centro di Igiene Mentale nel 1968, la psichiatria italiana riuscì a porre in crisi le istituzioni manicomiali tradizionali e a coagulare, a partire dal convegno nazionale di psichiatria sociale del 1964 7, istanze e forze diverse, fino alla creazione, nel 1973 di «Psichiatria Democratica», che «unificava» tutte le esperienze di rinnovamento nel trattamento della follia8.
Uno degli obiettivi primari che si pose il movimento fu la abolizione della legge del 1904 sui manicomi e la creazione di ima nuova legislazione psichiatrica che avrebbe dovuto sancire la chiusura dei manicomi, contro il permanere dei quali il Movimento si batteva. In questa fase di lotta, che seppe incidere nell’opinione pubblica, l’avanguardia psichiatrica italiana si servì dei più sofisticati mass-media, affiancando le forme di contestazione degli anni 1969-1970; per appoggiare le proprie tesi il movimento riformatore si appropriò di testi sociologici come quelli di Goffman e Marcuse9, sottolineandone una lettura in chiave an-tiistituzionale e antirepressiva.
Questo movimento politico-culturale, che in Italia iniziò la lotta all’istituzione manicomiale, con forte senso di rottura rispetto al passato e con la grande carica utopica di poter realizzare modelli di assistenza psichiatrica in parte diversi da quelli stranieri più avanzati, si pose anche il problema del rapporto con la storia della psichiatria, anche se talora in modo impacciato. «Qual’è la vera storia della psichiatria asilare? — si chiedevano Giovanni Jervis e Lucio Schittar, nel 1967 — Confessiamo la nostra ignoranza. Una ricerca nelle biblioteche e nelle riviste mediche europee dalla metà del secolo scorso ad oggi, potrebbe senza dubbio fornirci una risposta: e sarebbe una risposta affascinante. Al momento attuale possiamo partire dalla constatazione che in centocinquanta e più anni la psichiatria asilare sembra aver fatto poca strada» e si propone una storia che consideri l’esistenza «di un’altra psichiatria, che non esitiamo a considerare più importante, costituita dalla storia reale dei rapporti fra gli psichiatri ed i malati di mente. Questa psichiatria prende in esame le forme in cui i ruoli impliciti in questi rapporti si



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costituiscono in sistemi sociali (istituzionali)...»10.
Ancora una volta, come già era accaduto anche in passato, gli psichiatri si fecero storici della propria disciplina, senza alcun confronto interdisciplinare e senza ima precisa metodologia storica, sotto la spinta di trovare conferme a proprie teorie o alla propria lotta per l'affermazione di un'esigenza di rinnovamento.
L'unico testo di storia della psichiatria, scritto da un non psichiatra, che trovò consensi e fu ampiamente citato, anche con riferimento alla situazione attuale, fu quello di Foucaultu, mentre altri testi ebbero minor fortuna12, oppure furono tradotti più tardiB.
Estremamente cauto ed impacciato, in quegli anni, fu l'approccio con le esperienze più avanzate del passato, particolarmente quelle dell'open door e del no restraint, John Conolly, ad esempio, fu rifiutato come, uno dei possibili padri delle istanze della nuova psichiatria, pur accettandone i giudizi negativi nei confronti del manicomio tradizionale, per indicare un parallelismo tra il pensiero dell’irlandese e le esperimentazioni psichiatriche di quegli anni: «Se oggi noi abbiamo — scrivevano Agostino Pirella e Domenico Casagrande — a che fare con vecchie e nuove forme di violenza, con una realtà oppressiva ancora una volta frutto del fallimento istituzionale e delle contraddizioni sociali, possiamo ben ricordare l'impegno di Conolly nel rovesciare sulla società, sugli assistenti, sui «sani» la responsabilità di questo fallimento e di queste contraddizioni»14.
Mentre Jervis e Schittar rimarcavano la improbabilità di una continuità tra le esperienze in atto e quelle teorizzate dall'«open door» nel passato: «Conolly e Maxwell Jones a un secolo di distanza uno dall'altro non ci dicono le stesse cose, anche quando usano linguaggi simili, perché le loro parole hanno un diverso significato, oggi, per i compiti psichiatrici che concretamente ci troviamo dinanzi» 15.
Questi giudizi saranno ripresi nel 1976, anche se in forma più complessa ed articolata, in un ampio confronto tra Conolly e Pinel e in un tentativo di lettura ' dell'opera dello psichiatra irlandese in rapporto alla società capitalistica inglese della metà del XIX secolo. Pinel è visto come l'anticipatore della «perfetta equivalenza tra comportamento “obbediente" [da parte del malato mentale] e salute, ideologia questa che impronterà di sé la psichiatria e la pratica istituzionale della riabilitazione forzata fino ai nostri giorni», ma Conolly rischia di esser anch'egli emarginato: «all’interno della psichiatria come scienza della so-

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cietà borghese, tutta protesa al sequestro ideologico del folle... il suo ruolo diviene quello di un epigono senza energia ideologica, un radicale che ha in sospetto l'intellettualismo ed il cui impegno è “banalmente pratico”»16.
La storia della psichiatria in questi anni, diviene una vera e propria riscoperta da parte degli psichiatri, che orientano le proprie ricerche in funzione ed in appoggio alle fasi della lotta che vengono conducendo per il rinnovamento delle strutture psichiatriche.
Oggetto privilegiato di studio fu la figura e l’opera di Cesare Lombroso che fu visto come un nodo centrale del dibattito psicopatologico degli anni 1870-189017. Emblematico del momento fu l'approccio di un comitato editoriale, costituito da F. Basaglia, M. Risso, L. Lombardi Satriani, F. Graziosi e U. Cerroni che discusse in una «tavola rotonda» con l'editore Napoleone — il quale riassunse i termini della discussione in una nota che premise a «L'uomo delinquente» — i criteri da adottare per ima riedizione completa delle opere dello psicopatologo ottocentesco. Per capire il clima culturale con il quale si affrontava il problema di pubblicare una «fonte» in qualche modo documentaria, basta leggere alcuni passi: «Presentare al lettore Lombroso può voler dire dare spazio e vigore alla controparte istituzionale che ci è di fronte e che può far leva su una certa pretesa di scientificità obiettiva della ricerca di Lombroso» per cui «la discussione si è soffermata ancora, sempre in rapporto ad un eventuale uso negativo dell'iniziativa, sulla possibilità o meno che una prefazione valga a costituire un antidoto sufficiente». La soluzione ottimale fu trovata nel proporre di «realizzare un'antologia critica di brani di Lombroso, opportunamente annotata e discussa, che assolve le funzioni di guida alla lettura dell'Opera Omnia di Lombroso stesso» 18.
Questi passi ci danno la chiara misura di come venisse affrontato il confronto con il passato, di quali distorsioni ideologiche soffrisse la psichiatria nel ripercorrere la propria storia e come le fosse difficile questo rapporto, per cui l'antologia lom-brosiana chiosata non vide mai la luce.
A questo filone storiografico si riallacciano, in tempi più recenti, una serie di contributi brevi e di corto respiro di psichiatri che sembrano voler far calzare il cappuccio della ideologia corrente a notizie storiche, su singole realtà locali, già ampiamente documentate nelle storie positivistiche delle istituzioni manicomiali italiane19.



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Diverso Patteggiamento storiografico di Ferruccio Giacanelli, che già nel 1973 si richiamava al Dorner, che egli stesso ha tradotto per l'edizione italiana20.
Giacanelli accentra l'interesse sul momento positivistico e sulla psichiatria italiana nel primo Stato unitario, fino all'età giolittiana (leggi sui manicomi del 1904-1909), periodo nel quale la «costituzione della psichiatria come funzione autonoma istituzionalizzata» si sviluppa e si organizza e si definisce organicamente 21. Egli recupera alla psichiatria positivistica ima «autenticità» e una «pregnanza» nel tentare di «curare» e «guarire», per cui è la costituzione della disciplina, i suoi paradigmi teorici e l'organizzazione della corporazione psichiatrica (riviste, società, congressi, ecc.) che Giacanelli analizza. Successivamente egli propone di studiare la «storia della follia solo come storia delle concezioni della follia all'interno di una società determinata e nel loro legame dialettico, di determinazione reciproca, a) con le forme della gestione istituzionale di volta in volta ritenuta necessaria, b) con i contenuti concreti, cioè il tipo di fatti — le persone, le situazioni, i comportamenti — di volta in volta ritenuti di pertinenza della psichiatria» 22.
In questo testo del 1978, Giacanelli è influenzato da confronti con l'opera di R. Castel, ch'egli annota con una prefazione alla traduzione italiana, due anni dopo 23.
A partire dalla metà degli anni '70 — mentre il movimento psichiatrico ricostruiva la propria recente storia24 — alcuni autori hanno cercato di focalizzare l'attenzione sulle singole situazioni, provinciali o regionali, e di sviluppare l’indagine, circoscrivendone l'ambito «a luoghi e tempi determinati, e quindi alla concretezza di situazioni e forme locali di organizzazione dell'assistenza, psichiatrica e non, in risposta a problemi emergenti dal costituirsi amministrativo, politico e culturale del nuovo Stato unitario e dalle ragioni economiche ed ideologiche della nuova classe egemone, anche esse lette nelle loro espressioni circoscritte ad un territorio determinato» 25.
Tuttavia la maggior parte dei contributi fino ad ora comparsi utilizzano quasi esclusivamente fonti bibliografiche. Rari e molto recenti i saggi costruiti su materiale archivistico e documentario.
Un impulso inaspettato alle ricerche di storia della psichiatria è venuto proprio dall'entrata in vigore della legge 180/13 maggio 1978, che non ammette più ricoveri di malati psichiatrici in manicomio e quindi sancisce la morte, seppur lenta, di un'istituzione ormai, in varie province italiane, più che secolare e dalla

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legge 833/23 dicembre 1978 di riforma sanitaria nazionale, per cui il servizio psichiatrico passa dalle amministrazioni provinciali alle dipendenze delle Unità Sanitarie Locali.
Proprio i manicomi, al loro estinguersi, hanno manifestato un rinnovato interesse per il proprio passato. Talora sono state le stesse amministrazioni manicomiali o quelle provinciali a sollecitare studi e ricerche e, nei casi migliori, a porsi il problema della salvaguardia, della conservazione e della valorizzazione di un patrimonio documentario, non solo archivistico. In alcuni casi furono create fondazioni (Venezia) e centri di studio (Milano) e la committenza pubblica coinvolse in indagini di storia della psichiatria esperti di discipline storiche, che affiancarono gli psichiatri i quali fino ad allora si erano interessati di questi argomenti.
Questo nuovo tipo di ricerche si muove sostanzialmente in due direzioni, pur all'interno del quadro generale della storiografia psichiatrica italiana degli ultimi anni: verso l'approfondimento di temi e categorie istituzionali, letti in chiave storico-sociologica, sotto l'influsso del modello di Foucault26, oppure come proposta di situazioni esemplari, per cui il discorso su «un» manicomio, viene esteso all'istituzione manicomiale, facendo di un istituto singolo un «microcosmo» nel quale si evidenziano «fenomeni e processi che consentono proiezioni analitiche di carattere generale»27.
Da queste ricerche condotte direttamente sulle fonti archivistiche è comunque emerso con evidenza che il «caso» della storia della psichiatria italiana è profondamente diverso da quelli francesi, tedeschi o inglesi analizzati da Foucault e Dòrner.
Si sono recuperate così, senza pregiudizi ideologici, le linee di sviluppo dell'assistenza ai malati di mente, in ambito locale e regionale, e nella formazione della scienza e terapia psichiatriche, delineandone un quadro più ricco, complesso e articolato di quanto si sospettasse28.
È evidente infatti che la storia istituzionale italiana ha un passato fortemente connotato da diversità regionali e provinciali, che corrispondono alla storia degli stati preunitari che espressero culture, economie e forme sociali fortemente differenziate tra loro.
La ricerca negli archivi degli ospedali psichiatrici conferma queste diversità istituzionali, tanto più rilevanti quanto più è sopravvissuta integra la documentazione, accumulatasi nel tempo. La scoperta di questa ricchezza, pressoché inesplorata, di documenti ha incrinato il procedimento consolidato della storia della



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psichiatria italiana, caratteristico anche dei contributi migliori, di scrivere ima storia per «problemi», costruita su materiali documentari e bibliografici, scelti in funzione di ipotesi iniziali precostituite, per cui venivano focalizzate le analisi sui dati di appoggio e sistematizzate le relazioni tra fatti ed eventi che potevano suffragare i risultati desiderati.
Non a caso proprio lavorando su singole istituzioni si è invece ribaltato il rapporto con le fonti. Il caso singolo, analizzato non superficialmente, non solo presentava forti difformità rispetto ad un quadro generale, che appariva consolidato (nella periodizzazione, nella cultura, nell'elaborazione scientifica, nell’utenza, nelle classi dei ricoverati, nell'organizzazione istituzionale ed amministrativa) ma suggeriva relazioni, rimandi e analogie sincroniche insospettate, arrivando a modificare profondamente ciò che si sapeva della situazione globale. Saltano così le categorie e i parametri storiografici usati sino ad ora, almeno in Italia, nella storia della psichiatria; vengono messe in crisi le facili periodizzazioni, si riscopre un sapere scientifico dimenticato e diverse modalità di trasmissione e d'esperienza di questo stesso sapere (si pensi ai viaggi d'istruzione degli psichiatri italiani della prima metà del XIX secolo), si rompe ancor più uno schema di crescita lineare delle istituzioni e dello sviluppo del corpus dottrinario.
Un’esperienza conoscitiva simile ha fatto anche chi scrive, prima partecipando al concorso di idee bandito nel 1978 dal San Lazzaro di Reggio Emilia per la costituzione di «un museo storiografico della psichiatria»29 e quindi allestendo, sempre a Reggio Emilia, la mostra storiografica della psichiatria «Il cerchio del contagio»30.
Per il San Lazzaro di Reggio Emilia il 1980 ha rappresentato una data fondamentale nella sua vicenda plurisecolare. In quell'anno infatti l’Istituto non solo vedeva concludersi la sua funzione manicomiale, ma perdeva la propria autonomia amministrativa e il tradizionale carattere di opera pia, seppur dal 1453 a carattere laico e non ecclesiastico come era di molti istituti simili. Nel 1980 infatti divenne operante il DPR 616/1977 che scioglieva le Istituzioni di Pubblica Assistenza e Beneficienza (IPAB). È comprensibile quindi che dal 1977 in poi l’Istituto tendesse a programmare ed organizzare una serie di manifestazioni che ne celebrassero il passato e che, nel contempo, ponessero le basi per conoscere e salvaguardare l’ingente patrimonio storico e documentario accumulato nel tempo.



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Il San Lazzaro di Reggio Emilia presenta le caratteristiche, in apparenza, di un tipico luogo dell'esclusione, con ima storia che risale al 1178 e con un adeguamento delle sue funzioni, nel tempo, con le fasi tradizionali del lebbrosario, della casa di mendicità, della casa dei pazzi, del Frenocomio e dell'Istituto Neuropsichiatrico. In una scansione di denominazioni, che corrisponde a diversi sistemi di segregazione e di controllo della devianza. All’inizio del XVI secolo il lebbrosario perse la sua funzione e per più di un secolo venne successivamente usato come cronicario e casa di mendicità.
Il controllo della povertà, nei secoli XVI-XVIII, a Reggio trova una serie di istituzioni che tendono a privilegiare le forze-lavoro, gli artigiani colpiti dalle crisi economiche, e l'assistenza domiciliare, e che non propongono mai la soluzione del «grande internamento», ma piuttosto si differenziano per una molteplicità di interventi assistenziali e sanitari. Nel S. Lazzaro il primo «pazzarello» è registrato nel 1536 e a lungo i pazzi convivranno con i mendicanti, o con persone sole e anziane che nell’istituto ricevevano ospitalità, in cambio dei loro beni, talora modesti. Nel 1754 il San Lazzaro fu eretto da Franceso III d’Este a «Casa dei pazzi» per i ducati di Modena e Reggio, anche se fino al 1821 l’ospedale continuò ad ospitare cronici e mendicanti.
Antonio Galloni — direttore del San Lazzaro dal 1821 al 1855 — è colui che organizza prima teoricamente poi praticamente il manicomio reggiano: detta istruzioni all’architetto, scrive regolamenti, disegna e progetta accessori — bagni, letti, tavoli... —, riscrive minutamente ogni aspetto di un edificio, di un ambiente e di un'organizzazione che si pone come unico obiettivo curare gli alienati. La terapia è quella morale, quella proposta da Pinel, ma a Reggio Emilia essa trova nell'opera di Antonio Galloni una sua particolare applicazione, che nasce dallo studio e dalla riflessione sulle esperienze proprie e altrui del medico reggiano. Tutto deve contribuire alla realizzazione della «terapia morale», di questa «scienza bambina» — così la definisce il Galloni — che è la psichiatria: l'ergoterapia, i divertimenti, le prediche del curato, la ginnastica, la farmacopea, fino ai minimi dettagli delle strutture architettoniche. Tutto deve tendere non a segregare i pazzi, a ridurne semplicemente la pericolosità sociale, ma a reinserirli nella società, restituendoli alle famiglie, al lavoro e ad una vita normale. I pazzi del San Lazzaro vengono così condotti a teatro, in villeggiatura in case di ricchi possidenti che offrivano le loro ville, vengono lasciati liberi di andare e tornare dalla città.



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Onnipresente l'occhio, la volontà e la programmazione terapeutica del direttore, che ha il sopravvento persino sulle difficoltà economiche che indurrebbero talora il duca Francesco IV a soluzioni ritenute inadeguate dal Galloni. Questo rapporto del medico con un sovrano tipico rappresentante della Restaurazione in Italia è quanto mai emblematico. È il duca che finanzia e asseconda i progetti terapeutici del direttore, il quale decide fidandosi e basandosi esclusivamente sul suo sapere scientifico. Prima di dirigere il San Lazzaro, il Galloni aveva compiuto un «giro d'istruzione» nei manicomi di Lucca, Firenze ed Aversa, ritenuti, l'ultimo soprattutto, all'avanguardia per l'epoca in Italia 31. Nel 1827 visitò i manicomi francesi e inglesi. Per comprendere la storia del manicomio di Reggio Emilia nel periodo della direzione Galloni, non è possibile rifarsi alle teorizzazioni francesi e inglesi del tempo, ma si deve operare all'interno della documentazione del San Lazzaro, ritrovare gli scritti — anche quelli apparentemente più minuti — del Galloni, quelli redatti sotto l'urgere delle necessità quotidiane o nel colloquio riformistico, a distanza, con l'amministrazione modenese.
Solo così si è in grado di comprendere lo spessore e l'importanza dell'esperienza di quegli anni32. Il tentativo galloniano non era tuttavia isolato rispetto alla realtà nazionale ed internazionale. Anche in altri luoghi infatti si procedeva con questo atteggiamento mentale, che rifuggiva dalle teorizzazioni, dal ridursi a manuale o trattato, per immergersi direttamente nella prassi terapeutica ed istituzionale33.
Questa prima fase della psichiatria è caratterizzata dalla nascita di ima serie di esperienze, che diventano paradigmatiche: da quella di Vicenzo Chiarugi a Firenze, inaugurata nel 1789, a quella del Linguiti ad Aversa (dal 1813 al 1825), fino al Galloni a Reggio Emilia.
Ciascuno di questi momenti rappresenta una rottura, una vera e propria rivoluzione rispetto al trattamento precedente della malattia mentale in un Stato italiano preunitario. Un dato caratteristico di queste esperienze è non solo l'eccezionale interesse che intorno ad esse si sviluppò sin dall'inizio, riflettendosi anche sui giornali del tempo, ma anche il fatto che il massimo risultato veniva ottenuto solo nei primi anni di applicazione dei nuovi metodi. Problemi contingenti, difficoltà amministrative e burocratiche, resistenze ed incomprensioni, negli anni successivi, facevano segnare il passo all'opera di rinnovamento.
La nascente psichiatria sembra spostarsi da un luogo ad un



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altro, tenendo certo conto delle esperienze precedenti, ma reinventando anche la applicazione della «terapia morale», persino negli oggetti di contenzione o terapeutici.
Lucca, Firenze, Aversa — tappe del viaggio d’istruzione del Galloni — e il San Lazzaro stesso, rappresentano dunque momenti simili, non diacronici e nello stesso tempo inaccostabili, se non si restituisce loro anche la trama storica, sociale, culturale e scientifica — a livello d’avanguardie europee non dimentichiamolo — che li collega, ne mette in crisi i modelli e ne matura i risultati positivi.
Quando il San Lazzaro presentò ai partecipanti al concorso di idee per la costituzione di «un museo storiografico della psichiatria» il ricchissimo materiale che possedeva, quasi tutti gli oggetti — di cui moltissimi non avevano né denominazione, né definizioni d’uso — furono presentati come tipici strumenti di contenzione. In realtà ad ima ricerca più approfondita fu evidente che solo una parte di essi lo era e che già lo psichiatra positivista Carlo Livi (1873-1877) li collocò, così conservandoli sino a noi, in un «museo delle anticaglie», che aveva una precisa finalità di denuncia dei sistemi psichiatrici più antichi, equiparati ai sistemi usati dall'Inquisizione.
Gli oggetti manicomiali si sono rivelati fondamentali fonti storiografiche al pari di quelle documentarie. Un’accurata ricerca sul materiale del San Lazzaro ha permesso di recuperare parecchi strumenti dei laboratori scientifici (anatomia, fisiologia, psicologia, batteriologia, chimica, istologia). Ricostruire la storia di quei laboratori, così come quella della terapia, con i suoi successi e le sue sconfitte, era ricostruire una parte fondamentale dell’ideologia manicomiale positivistica e postpositivistica34; significava anche trovare tracce di collegamento tra la storia della psichiatria e la storia della tecnica (molti strumenti furono inventati o rielaborati all’interno dello stesso San Lazzaro). Dal 1874 al 1907 il San Lazzaro fu la sede della cattedra di Psichiatria deH'Università di Modena. Il manicomio quindi fu anche sede privilegiata di ricerca, sperimentazione e insegnamento della Psichiatria. Poi il distacco. A questo proposito sembra strano che non si siano indagate parallelamente le due strade della psichiatria sempre più divergenti: una della ricerca che si identificava con l'Università e l’altra del manicomio ridotto a gestire la malattia mentale.
Il manicomio della fine del secolo scorso, nell’illusione di scoprire cause organiche della malattia mentale e nella speranza



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di individuare nuove soluzioni terapeutiche, ha permesso agli psichiatri di fornire notevoli contributi alla medicina. Per il San Lazzaro, sotto la direzione di Augusto Tamburini (1877-1907) ricordiamo i risultati importanti conseguiti da Giulio Vassale sulle ghiandole endocrine, da Carlo Ceni sull’epilessia, da Luciani per la fisiologia e da Donaggio per l’istologia. Dal 1880 circa i laboratori scientifici dell’istituto furono, per quasi vent’anni, il più importante centro di ricerca in Italia nell’ambito psichiatrico e formarono una intera generazione di psichiatri italiani.
L’esperienza di indagine condotta sugli oggetti da chi scrive va estesa a tutto il manicomio. L’architettura, gli edifici, i padiglioni, ogni minimo particolare non era lasciato al caso, ma era studiato nella duplice funzione terapeutica e custodialistica.
Più di qualsiasi discorso teorico o ideologico dicono i serramenti dei reparti, le chiavi e i passepartout usati per ogni tipo di chiusura (nel San Lazzaro s’inventò una chiave universale semplicissima, ma che nel contempo garantiva la ripartizione gerarchica, per cui gli infermieri potevano aprire solo certi luoghi, i medici altri, mentre a chi aveva responsabilità direttive nulla era precluso), i materiali con i quali i muri erano intonacati, gli angoli smussati delle celle, la guardiola dell’infermiere, la distribuzione degli spazi e degli ambienti. Il reparto Lombroso, scelto dal San Lazzaro come sede del costituendo museo, nato nel 1892 e trasformato nel 1910 in sede per dimessi dai manicomi criminali, in questo senso, è un vero e proprio documento nel suo complesso e in ogni particolare. Si pensi al gabinetto posto in modo tale che il capoinfermiere potesse controllare i malati che lo usavano e far scorrere in loro vece l’acqua, perché i malati non avessero catenelle o corde a portata di mano. Dalla stessa posizione egli sorvegliava l'infermiere posto all'ingresso che controllava contemporaneamente le stanze da pranzo, il cortile e i lavandini dei bagni e l’ingresso al gabinetto.
Nessun trattato saprà restituire in modo così evidente ima tecnologia — lo si è visto già dall’epoca del Galloni — totalmente sottomessa alle finalità di un disegno terapeutico e custodialisti-co. Anche se nei trattati positivistici il tema delle strutture ospedaliere è ampiamente svolto e dibattuto.
Dall’esperienza fatta, quindi, abbiamo ricavato un’importante indicazione metodologica35: quella di considerare, nel manicomio, ogni elemento superstite come un dato, un documento, del quale, per una corretta lettura, si deve prima di tutto stabilire la cronologia, la funzione e lo scopo per cui è stato realizzato, e in



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qual modo, all'interno dell'ideologia, delle conoscenze scientifiche e del dibattito dell'epoca. Così tutti questi indizi, queste fonti vengono collegate insieme, per ricostruire la fitta rete di interrelazioni che li univa. Questa trama di fatti ed eventi sembra completamente cancellata dalla memoria degli operatori psichiatrici e delle istituzioni. Anche i positivisti poterono presentarsi per primi come i fondatori della psichiatria, facendo dimenticare esperienze a loro precedenti come quella del Galloni. Questa perdita del ricordo del proprio passato, in psichiatria, è pressoché costante, per il modo quasi rivoluzionario con il quale le varie teorie scientifiche si sono presentate, succedendosi nel tempo, per la durezza polemica con la quale esse rigettavano teorie sorpassate e prassi terapeutiche logorate e avvilite nell'uso, per il rifiuto di confrontarsi con altre teorie, per il senso di progresso, di avanzamento che le animava e per la forte connotazione ideologica che le ha sempre permeate.
Metodologicamente quindi si ritiene che si debbano ripercorrere queste storie locali dell'istituzione manicomiale, ovviamente collegandole al tessuto socio-culturale e alle altre strutture sanitarie contemporanee, però utilizzando tutte le fonti possibili. Solo così si potrà uscire dalla fase attuale, che viene sì riscoprendo le fonti, ma limitandole a quelle documentarie.
Certamente non tutti gli istituti conservano ima documentazione oggettuale così ricca come quella del San Lazzaro, ma in molti è possibile reperire testimonianze materiali, edilizie, architettoniche, o tracce di precedenti forme organizzative (come la biblioteca per i degenti, ad esempio, o la partecipazione degli istituti in età positivistica con propri stands alle esposizioni locali, nazionali ed internazionali delle realizzazioni in campo psichiatrico, o le raccolte fotografiche36.
Queste testimonianze integrano e completano le fonti documentarie che rimangono fondamentali, sia come archivio della direzione sanitaria che come archivio amministrativo. Meno interessanti sono le cartelle cliniche che spesso sono povere di dati, schematiche, redatte a posteriori dal medico all'atto della dimissione o della morte del degente. Esse offrono soprattutto notizie di carattere statistico, già reperibili in altre fonti a stampa, abbondantemente diffuse ed elaborate nei manicomi del passato37. Questo materiale ricavato dalle cartelle e rielaborato statisticamente, rischia di confermare luoghi comuni, quali quelli del sovraffollamento della fine del secolo scorso, della presenza di pellagrosi, di alcoolisti, di lungodegenti, di recidive e croniciz-



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zazioni. Poco invece le cartelle dicono delle diagnosi e soprattutto dei sintomi e quasi nulla sulle terapie, sul rapporto non legale tra medico/ospedale e malato. Ciò non significa che siano ima fonte trascurabile purché venga utilizzata sapendo cogliere quelle informazioni che siano realmente significative. Si può rilevare, ad esempio, che testimoniano scarti notevoli tra teorizzazione e prassi.
Si ritiene quindi necessario privilegiare rispetto alle cartelle cliniche, che solo in apparenza sembrano conservare la vita degli esclusi, degli oppressi, delle vittime senza storia del manicomio, altre fonti documentarie, anche in questo caso riproponendo la salvaguardia dell'unità e della globalità delle documentazioni.
Questo criterio, pur ovvio archivisticamente, è fondamentale ricordarlo in una situazione di incertezza istituzionale come Fattuale, per lo smantellamento dei manicomi e il trapasso dalle Province alle Unità Sanitarie Locali.
Le istituzioni psichiatriche hanno spesso respinto da sé non solo la memoria del passato, ma anche le testimonianze del passato, come dimostra il fatto che molti loro fondi archivistici, anche di epoche recenti, sono confluiti e confluiscono negli Archivi di Stato38.
Oggi ciascun manicomio, ciascuna USL o ciascuna Provincia stanno adottando soluzioni diverse per la conservazione del patrimonio documentario del passato, senza alcun collegamento a livello nazionale e nella fase transitoria nella quale i manicomi non ricevono più degenti, ma continuano ad esistere e a svolgere un servizio. Molto dipende dalla sensibilità degli operatori o delle istituzioni locali, ma i rischi di distruzioni e dispersioni sono molti.
La soluzione più corretta sarebbe che gli archivi rimanessero dove sono nati, collegati alla complessa realtà e storia manicomiale, respingendo così suggestioni che propongono di accentrare in un solo posto i documenti di realtà che sono locali e che non possono essere sottratti dalla zona socio-economica nella quale si sono venuti formando39.
È indispensabile, del resto, concepire l'archivio manicomiale come una fonte che possa essere collegata oltre che al manicomio, al tessuto sociale, economico, istituzionale e culturale di origine, tanto più per chi voglia fare la storia dei malati, dei senza storia, le cui tracce sono non solo nel manicomio, ma anche nelle carte di polizia, dei comuni, dei tribunali, degli enti di



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assistenza, in un peregrinare che restituisce il suo senso drammatico e storico solo se ricostruito collegandone tutte le tappe.
Marzio Dall'Acqua Maristella Migligli Maurizio Bergomi
NOTE AL TESTO
1 P. Deniker, L'éxposition de l’histoire et des progrès de la psychiatrie, in «Actes Généraux du Congrès mondial de psychiatrie», Vili, Paris 1952, pp. 155164. Una rievocazione recente è stata fatta da G. Padovani, La prima esposizione internazionale di storia della psichiatria (Parigi, 1950), in AA.W., L'emarginazione psichiatrica nella storia e nella società, Atti del Convegno Nazionale organizzato dagli Istituti Ospedalieri Neuropsichiatrici «San Lazzaro» di Reggio Emilia, Reggio E. 11-12 aprile 1980, suppl. al fase. IV, voi. CIV, della «Rivista Sperimentale di Freniatria», 1980, pp. 993-1003.
2 Cfr. Atti del 1° Congresso Italiano di Storia Ospitaliera, Reggio Emilia, A.G.E., 1957; Atti del 1° Congresso Europeo di Storia Ospitaliera, Bologna, 1960.
3 Ésprit, dicembre 1952, «Misère de la psychiatrie». Cfr. anche M. Ammaniti, F. Antonucci e B. Jaccarino, Appunti di psicopatologia, Roma 1975.
4 M. Jones, Social Psychiatry in Practice, London 1968 [trad. it. Ideologia e pratica della psichiatria sociale, Milano 1970].
5 II rapporto con le esperienze di terapia sociale si può agevolmente ricostruire con la lettura di G. Jervis, Manuale critico di psichiatria, Milano 1975, che al cap. II delinea anche ima «breve storia della psichiatria contemporanea» e attraverso i testi di Franco Basaglia, ora raccolti in una antologia dal titolo Scritti. I, 1953-1968. Dalla psichiatria fenomenologica all'esperienza di Gorizia, Torino 1981.
6 H. Laborit, P. Huguenard, R. Alluaume, Un nouveau stabilisateur végétatif (le 4560 RP), in «Presse médicale», n. 60, 1952, pp. 206-208. Per alcune annotazioni di carattere storico sull'uso dei neurolettici si rimanda a G. Jervis, op. cit.; B. de Fréminville, La raison du plus fort, Paris 1911 [trad. it. La ragione del più forte, Milano 1979] e R. Canosa, Storia del manicomio in Italia dall'unità a oggi, Milano 1979, pp. 168-170.
7 AA. W., Processo al manicomio, Roma s.d. (1964). Il convegno si tenne a Bologna dal 24 al 26 aprile 1964.
8 AA. W., La pratica della follia, Atti del I convegno nazionale di Psichiatria Democratica, Venezia 1975.
9 E. Goffman, Asylums. Essays on thè social situation of mental patients and other inmates, New York 1961 [trad. it. Asylums. Le istituzioni totali: i meccanismi dell'esclusione e della violenza, Torino, 1968, trad. di Franca Basaglia, con introduzione di Franco e Franca Basaglia]. Sul tipo di lettura fatta di Goffman, in questi anni cfr.: Franca Basaglia Ongaro, Commento a E. Goffman. La



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carriera morale del malato mentale, in F. Basaglia (a cura di), Che cos’è la psichiatria?, Torino 1973, pp. 221-284. M. Marcuse, Eros and civilization, Boston 1955 [trad. it., Eros e Civiltà, Torino 1964. L'introduzione all'edizione italiana è stata fatta da Giovanni Jervis].
10 G. Jervs e L. Schittar, Storia e politica in psichiatria: alcune proposte di studio, in F. Basaglia (a cura di), Che cos’è la psichiatria, cit., p. 172. La prima edizione del volume è del 1967, a cura dell’Amministrazione Provinciale di Parma.
11 M. Foucault, Histoire de la foile à Page classique, Paris 1961 [trad. it. Storia della follia nell’età classica, Milano 1963]. Si vedano, ad esempio, le citazioni fatte in Basaglia. Scritti.. ., cit., passim.
12 È il caso di G. Zilboorg e G.W. Henry, A History of Medicai Psychology, New York 1941 [trad. it. Storia della psichiatria, Milano 1963].
13 K. Dorner, Biirger und Irre. Zur Sozialgeschichte und Wissenschaftssoziolo-gie der Psychiatrie, Frankfurt a.M. 1969 [trad. it. Il borghese e il folle. Storia sociale della psichiatria, Bari 1975, introduzione di F. Giacanelli]; F.G. Alexander e S.T. Selesnick, The History of Psychiatry, Los Angeles 1966 [trad. it. Storia della Psichiatria, Roma 1975].
14 A. Pirella, D. Casagrande, John Conolly, dalla filantropia alla psichiatria sociale, in F. Basaglia (a cura di), Che cos’è . . ., cit., p. 169.
15 G. Jervis, L. Schittar, Storia e politica. .., cit., p. 174.
16 A. Pirella, Introduzione a J. Conolly, Trattamento del malato di mente senza metodi costrittivi (1856), Torino 1976, passim. Nella citazione del testo ai puntini di sospensione corrisponde una parentesi aperta da Pirella: «questo gigantesco imprigionamento morale che si ha l’abitudine di chiamare la liberazione degli alienati da parte di Pinel e Tuke, dice Foucault».
17 Su Cesare Lombroso in quegli anni: A. Pirella, Introduzione a C. Lombroso, L’uomo di genio, Roma, 1971. L.Bulferetti, Cesare Lombroso, Torino, 1975. G. Colombo, La scienza infelice. Il museo di antropologia criminale di Cesare Lombroso, Torino 1975, con introduzione di F. Giacanelli. F. Silvani, Recenti lavori su Lombroso, in «La questione criminale», 1, 1976, pp. 194-205. E. De Bernart e M. Tricarico, Per una rilettura dell’opera di Cesare Lombroso, in «Physis», 1976, 18, pp. 179-184. I. Ciani e G. Campioni, La «scienza infelice» di Cesare Lombroso, in «Quaderni piacentini», 62-63, 1977, pp. 197-206.
18 Nota dell’editore premessa a C. Lombroso, L’uomo delinquente in rapporto all’antropologia, alla giurisprudenza ed alle discipline carcerarie, Roma 1971, pp. XIII-XV.
19 Citiamo, a titolo esemplificativo, alcuni di questi testi della storiografia psichiatrica di età positivistica o di poco posteriori, mentre riteniamo sia inutile elencare i contributi recenti, che ad essi, salvo i pregiudizi ideologici, nulla aggiungono: per Reggio Emilia, V. Grasselli, L’Ospedale di S. Lazzaro presso Reggio Emilia, Reggio Emilia 1897; per Bologna, A. Alvisi, L’antico ospedale dei pazzi in Bologna, Bologna 1881; per Parma, F. Ugolotti, L’assistenza agli alienati e i loro Ospedali di ricovero nel territorio di Parma, in «Note e riviste di Psichiatria», Pesaro, anno LXII, n. 1-2, gennaio-giugno 1933; per Ferrara, oltre alle relazioni triennali di G. Gambari, dal 1850 al 1868, C. Bonfigli, Ricordi autobiografici, Ferrara 1907 e R. Tambroni, Il manicomio provinciale di Ferrara dal 1858 al



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1927, Ferrara 1929; per Milano, A. Verga, Cenni storici sugli stabilimenti dei pazzi in Lombardia, in «Gazzetta Medica di Milano», tomo III, n. 39-40, sett. 1844; E. Gonzales, Il manicomio di Milano, Milano 1881; per Brescia G.B. Manzini, Rendiconto medico statistico dal 1871 al 1873 sui manicomi provinciali di Brescia, Brescia 1874.
20 F. Giacanelli, G. Campoli, La costituzione positivistica della psichiatria italiana, in «Psicoterapia e scienze umane», n. 3, 1973, pp. 1-6.
21 F. Giacanelli, Appunti per una storia della psichiatria in Italia, prefazione a K. Dòrner, Il borghese e U folle, cit., p. V.
22 F. Giacanelli, Per una storia sociale della psichiatria italiana, in «Storia della Sanità in Italia. Metodo e indicazioni di ricerca», a cura del C.I.S.O., Roma 1978, p. 227. Per la relatività delle classificazioni psichiatriche cfr. G. Lanteri-Lau-ra, La chronicité dans la psychiatrie moderne, in «Annales E.S.C.», mai-juin 1972, a. 27, n. 3, pp. 548-568.
23 R. Castel, L’ordre psychiatrique. L’àge d’or de l’alienisme, Paris 1976 [trad. it. L’ordine psichiatrico. L’epoca d’oro dell’alienismo, Milano 1980].
24 L. Forti (a cura di), L’altra pazzia, Feltrinelli 1975. A. Manacorda, V. Montella, La nuova psichiatria in Italia, Milano 1977; AA. W., Nuova psichiatria. Storia e metodo, Roma 1977; D. De Salvia, Per una psichiatria alternativa, Milano 1977; F. Basaglia e P. Tranchina, Autobiografia di un Movimento. 1961-1979. Dal manicomio alla Riforma Sanitaria, Firenze 1979. Una storia del Movimento, anche se parziale, si può ricostruire, dal 1970 in poi, dalla lettura della rivista «Fogli di informazione» diretta da A. Pirella e P. Tranchina. Un’autobiografia critica dall’intero del Movimento è stata scritta da G. Jervis, Il buon rieducatore. Scritti sugli usi della psichiatria e della psicanalisi, Milano 1977, pp. 9-42.
25 A. Slavich, L. Missiroli, M. Turchi, Leggere la psichiatria nella storia, non scrivere una storia della psichiatria. Progetti per una ricerca nella provincia di Ferrara, in Storia della Sanità in Italia, cit., p. 259. L. Missiroli, M. Turchi, Aspetti strutturali e culturali nell’impianto della psichiatria ferrarese nella seconda metà dell’800, in «Neuropsichiatria», 34, 1978, pp. 145-154. L. Missiroli, M. Turchi, La stabilizzazione di un potere istituzionale. Il manicomio di Ferrara durante la direzione di C. Bonfigli (1873-1893), in «Neuropsichiatria», 34, 1978, pp. 155-173.
26 È il caso del gruppo di lavoro veneto, che fa capo alla Fondazione San Servolo di Venezia, che si propone anche di essere polo di accentramento per la ricerca e la documentazione di storia della psichiatria italiana. Cfr.: M. Galzigna, H. Terzian, (a cura di), L’archivio della follia. Il manicomio di San Servolo e la nascita di una fondazione, Venezia 1980.
27 È il caso di Milano, dove pure l'Amministrazione Provinciale ha fondato un «Centro studi e ricerche sulla devianza e l’emarginazione». Cfr.: A. De Bernardi, F. De Peri, L. Panzeri, Tempo e catene. Manicomio, psichiatria e classi subalterne. Il caso milanese, Milano 1980; F. De Peri, Le origini dell’istituzione manicomiale e della scienza psichiatrica, in «Società e Storia», n. 6, 1979, pp. 683-723.
28 F. Bellato, L. Del Pistoia, Cenno storico sulle origini dello spedale de’ pazzi di Fregionaia, in «Rassegna di studi psichiatrici», voi. LXVII, fase. 3, 1978, pp. 517-526; L. Del Pistoia, E. Arrigucci, L. Canova, Emarginazione e istituzione in una città illuministica: ricerche sulle origini dell’O.P. di Lucca, in L’emarginazione psichiatrica. . ., cit., pp. 941-957; F. Asioli, A Parma prima della psichiatria, in



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Marzio Dall'Acqua, Maristella Migliali, Maurizio Bergomi
«Annuario Neurologico Psichiatrico», n. 73, 1979, pp. 133-146.
29 M. Bergomi, F. Bonilauri, M. Dall’Acqua, M. Migligli, Opera prima classificata in Per un museo storiografico della psichiatria, in «Rivista Sperimentale di Freniatria», voi. I, suppl. al fase. Ili, anno CHI, 1979, pp. 693-807.
30 M. Bergomi, F. Bonilauri, M. Dall’Acqua, M. Migligli, G. Paltrinieri, R. Zamboni ni, Il cerchio del contagio. Il San Lazzaro tra lebbra, povertà e follia. (1178-1980), catalogo della mostra tenutasi dall'll aprile al 3 maggio 1980, edito dagli Istituti Neuropsichiatrici S. Lazzaro, Reggio Emilia, 1980.
31 Per Aversa: V.D. Catapano, E. Esposito, Aversa e cultura psichiatrica italiana ed europea. Nota I: Palermo (1816-1824), in «Giornale storico di Psicologia Dinamica», voi. Ili, giugno 1979, fase. 6, pp. 19-40; Nota II: Pietroburgo (1820-1828), ibidem, voi. IV, giugno 1980, fase. 8, pp. 31-54.
32 L’eco dell’esperienza reggiana di A. Galloni si diffuse in Germania attraverso le testimonianze di Horn (1824) e di Nasse (1826), in Francia di Brierre de Boismont (1829), Fulchiron (1832) e dello stesso Esquirol che lo citava come modello da imitare al re Carlo Alberto nel 1830: G. Bianchi, Il manicomio di S. Lazzaro presso Reggio, in AA. W., Alla memoria di Francesco IV. Tributo della R. Accademia di Modena, parte I, Modena 1846, pp. 118-119.
33 Si comprende così come abbia scarso interesse storiografico la proposta formulata da R. Bettica-Giovanni, Piccola storia dell'isterismo e dell'ipocondria, in «Rassegna di studi psichiatrici», voi. LXIV, fase. 6, 1975, pp. 994-1000, di redigere una storia della psichiatria impostata solo sulla bibliografia scientifica e per nosografie; e come non si possa concludere che la psichiatria italiana è scarsamente produttiva esclusivamente basandosi sul fatto che dal 1830 al 1860 produsse solo otto trattati, cfr. L. Missiroli, M. Turchi, Ruolo e potere del medico alienista alla metà dell'800. Contributo ad una ricerca storica in Italia, in «Neuropsichiatria», genn.-dic. 1978, pp. 93-111.
34 M. Migligli, Laboratori scientifici e Mezzi terapeutici e di contenzione, in AA. VV., Il cerchio del contagio. .., cit. pp. 76-130, con relative schede.
35 Una metodologia analoga alla nostra, su di un campione profondamente diverso, è stata condotta nella ricerca per l’allestimento della mostra e la stesura del catalogo sul manicomio di Alessandria: cfr. C. Coppo, A. Ferrari, P. Lanzavecchia, G. Massobrio, Il peso delle pareti. Amministrazione e trattamento della follia nella storia e negli archivi del San Giacomo di Alessandria, Alessandria 1981.
36 F. Cagnetta, (a cura di), Nascita della fotografia psichiatrica, mostra organizzata dalla Biennale e dalla Provincia di Venezia, Cà Correr, 31 gennaio-8 marzo 1981, Venezia, 1981.
37 Per il S. Lazzaro: oltre a V. Grasselli, op. cit., I. Zani, Conto statistico del Manicomio di S. Lazzaro presso Reggio neH'Emilia, in «Archivio Italiano per le malattie nervose e più particolarmente per le alienazioni mentali», 1873, pp. 3 e ss. e più recentemente M. Baraldi, Statistica dal 1821 al 1974. Movimento dei ricoverati e delle degenze negli Istituti Ospedalieri Neuropsichiatrici «San Lazzaro» di Reggio Emilia, Reggio Emilia, s.d. (1975). Per Alessandria: G. Ponza, Intorno ad alcuni prospetti statistici del manicomio di Alessandria, Alessandria, 1863; per Milano: G. Capsoni, Nuove ricerche statistiche sull’ospizio de’ pazzi detto la Senavra presso Milano, in «Annali universali di statistica», s. II, v. XV,



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1848, pp. 154-178; C. Castiglioni, Note statistiche sul numero dei pazzi in Lombardia nell’anno 1855, in «Gazzetta medica italiana — Lombardia», appendice psichiatrica, 3 giugno 1861, oppure cfr. «Gazzetta del manicomio della provincia di Milano in Mombello», per gli anni 1872-1896. Per Venezia: S. Biffi, Il manicomio di San Servilio a Venezia e sua ultima statistica, in «Archivio Italiano per le malattie nervose», anno XXIII, 1886, p. 450 e segg.. Per Aversa: cfr. annate del «Giornale medico-storico-statistico del Reale Morotrofio del Regno delle Due Sicilie per la parte citeriore al Faro», dal 1843 al 1845. Per la situazione internazionale: G. Capsoni, Ricerche statistiche sui pazzi in Europa, Milano 1844. Per quella nazionale i dati offerti da: A. Verga dal 1877 al 1885 in «Archivio di statistica» e «Annali di statistica» e la bibliografia relativa con i dati forniti da A. Tamburini, G.C. Ferrari e G. Antonini, L’assistenza degli alienati in Italia e nelle varie nazioni, Torino 1918.
Più recentemente: G. Gorni, Malattia mentale e sistema. L’istituzione manicomiale italiana dalla fine del Settecento agli inizi del Novecento, in «Classe», anno X, n. 15, giugno 1978, pp. 193-223, alla cui bibliografia si rimanda, integrandola con: G. Agnetti — A. Barbato, L’estrazione sociale dei ricoverati alla Reai Casa dei matti di Palermo dal 1824 al 1834, in AA.W., L’emarginazione psichiatrica .. ., cit., pp. 1039-1114; G. Guaitini, C. Nocentini, C. Pasquini e A. Rotondi, Per una storia della istituzione manicomiale a Perugia, ibidem, pp. 1153-1163.
38 G. Badini, Archivi e psichiatria. Primi risultati per una ricerca delle fonti documentarie negli Archivi di Stato italiani, in AA. W., L’emarginazione psichiatrica. . ., cit., pp. 1281-1301.
39 V. la proposta di H. Terzian «di fare di San Servolo la sede di un archivio-memoria dell'emarginazione sociale e culturale dei secoli passati, raccogliendo in esso anche gli archivi di tutte le istituzioni dell'emarginazione — e non soltanto quelle dei manicomi — di tutto il Veneto e ove possibile di tutta Italia», in M. Galzigna e H. Terzian (a cura di), op. cit., p. 19.