IN PRESENZA DEL LUOGO STESSO... PRATICHE DOTTE E IDENTIFICAZIONE DEGLI SPAZI ALLA FINE DEL XVIII SECOLO

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Title
IN PRESENZA DEL LUOGO STESSO... PRATICHE DOTTE E IDENTIFICAZIONE DEGLI SPAZI ALLA FINE DEL XVIII SECOLO
Creator
Bernard Lepetit
Benedetta Borello
Date Issued
1995-12-01
Is Part Of
Quaderni Storici
volume
30
issue
90 (3)
page start
657
page end
678
Publisher
Società editrice Il Mulino S.p.A.
Language
ita
Format
pdf
Rights
Quaderni storici © 1995 Società editrice Il Mulino S.p.A.
Source
https://web.archive.org/web/20230920173959/https://www.jstor.org/stable/43778915?searchText=Foucault&searchUri=%2Faction%2FdoBasicSearch%3FQuery%3DFoucault&efqs=eyJsYV9zdHIiOlsiYVhSaCJdfQ%3D%3D&sd=1975&ed=2000&pagemark=eyJwYWdlIjoxNywic3RhcnRzIjp7IkpTVE9SQmFzaWMiOjQwMH19&groupefq=WyJjb250cmlidXRlZF90ZXh0Iiwic2VhcmNoX2NoYXB0ZXIiLCJjb250cmlidXRlZF9hdWRpbyIsInJlc2VhcmNoX3JlcG9ydCIsInNlYXJjaF9hcnRpY2xlIiwicmV2aWV3IiwibXBfcmVzZWFyY2hfcmVwb3J0X3BhcnQiXQ%3D%3D&ab_segments=0%2Fbasic_search_gsv2%2Fcontrol&refreqid=fastly-default%3A950e4c1539c25b7e06ec592ab428f893
Subject
power
confinement
surveillance
exclusion (of individuals and groups)
extracted text
IN PRESENZA DEL LUOGO STESSO... PRATICHE DOTTE E IDENTIFICAZIONE DEGLI SPAZI
ALLA FINE DEL XV1H SECOLO *
1. All’inizio del 1787, a Parigi, viene pubblicata, con approvazione e Privilegio [autorizzazione esclusiva a stampare un’opera, previo esame della censura, n.d.t.] regi, un’opera di Volney dal titolo Voyage en Syrie et en Egypte1. Il libro riscuote un immediato successo2. Come quasi sempre accade, si ignora il numero delle copie diffuse; l’edizione del 1787, comunque, conosce a Parigi due ristampe, nel 1789 e nel 1790, ed una riedizione nel 1792. Nel 1799, in occasione della spedizione francese in Egitto, si pubblica una terza edizione, riveduta ed ampliata, due altre edizioni appariranno nel 1808 e nel 1820, mentre l’autore è ancora in vita. Il libro era stato, fin dal 1787, tradotto in inglese, in tedesco nel 1788, in olandese l’anno seguente, in italiano nel 1799.
L’edizione francese del 1799 fa seguire nuovi brani al testo rivisto del Voyage'. la traduzione di due manoscritti arabi inediti, una tabella del commercio con l’Oriente tratta dai registri della Camera di Commercio di Marsiglia ed infine le Considérations sur la guerre entre les Russes et les Turcs, pubblicate da Volney nel 1788. Questo libro, poiché unisce al resoconto di viaggio, la filologia, la statistica commerciale e riflessioni che oggi si potrebbero definire di natura geo-politica, si presenta ai nostri occhi con una configurazione editoriale inconsueta. Tra la fine XVIH e il XX secolo, la conoscenza dell’Oriente si organizza secondo modalità diverse da quelle odierne3. Per l’autore, per l’editore e per i lettori che, come testimonia la Dècade Philosophique, hanno, in breve tempo, svuotato l’edizione della sua attualità politica, questi testi, volontariamente riuniti, hanno un senso nel loro insieme.
Ciascun singolo brano, e in modo particolare il Voyage, che è il più importante di essi, deve forse essere considerato con lo stesso senso di estraneità e richiedere dunque una spiegazione?
* Traduzione dal francese di Benedetta Barello.
QUADERNI STORICI 90 / a. XXX, n. 3, dicembre 1995



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Non sembra, in primo luogo, neanche necessario porre una tale domanda. Torniamo all’edizione del 1787. Guidi, che è il censore incaricato di leggere il manoscritto di Volney per conferirgli il Privilegio regio, è anche l’autore delle Lettres concernant le journal d’un voyage à Rome, pubblicate nel 1783. Egli dà, del libro del suo collega, un giudizio da esperto: «mi sembra che l’autore non abbia trascurato nulla per conoscere a fondo il paese che descrive. Credo che quest’opera possa suscitare interesse tanto per i dettagli curiosi che contiene, quanto per il tono veritiero con il quale è composta». Conoscere a fondo è descrivere; descrivere è sviluppare un discorso veritiero all’interno del quale le curiosità, oltre a destare interesse, costituiscono l’emblema dello spazio esotico. In questo modo il pregio del resoconto di viaggio sta nella forza dell’evidenza che rivela4. Il resoconto comporta l’adesione e non c’è altro da dire. Organizzato in base a descrizioni di fatti veri, esso è una sfida al commento; richiede un duplicato e fornisce tutti gli elementi necessari e sufficienti ad una conoscenza positiva del mondo. Anche se la potenza euristica delle descrizioni geografiche sembra oggi affievolita, il cammino del Voyage non è segnato dall’estraneità: conoscere l’Oriente significa ancora una volta fornirne un segnale di veridicità.
Dobbiamo per questo ritenere che il libro di Volney ci offra la situazione reale dell’Egitto e del Levante alla fine del XVHI secolo, periodo in cui le potenze europee si interrogavano sull’opportunità di un intervento militare? Abbiamo rifiutato ciò che, da tempo, ci appare come una debolezza o un’ingenuità. Il sospetto è vecchio quanto il resoconto di viaggio, la cui veridicità sembra essere funzione dei mezzi d’informazione, della sagacia e dell’interesse del viaggiatore.
Forse ci si ricorda dell’immagine che apre il Voyage en Egypte et en Syrie: essa riproduce la città di Alessandria dove, all’inizio del 1783, è appena approdato Volney. L’emozione prevale. Non appena il viaggiatore scende a terra «una folla di oggetti sconosciuti lo assale attraverso tutti i suoi sensi ... In questo tumulto ... il suo spirito è incapace di riflettere». Una volta sistematosi nell’alloggio, egli ritorna all’analisi per poco tempo, ispirato da «l’aria generale di miseria che vede fra la popolazione e il mistero che circonda le case»: i suoi passi vengono attirati dal vasto terreno compieta-mente coperto di rovine che egli scorge dietro la città moderna. Allora, nuovamente, il sentimento ha la meglio, e il viaggiatore «prova un’emozione che arriva sovente fino alle lacrime o che suscita riflessioni la cui tristezza penetra il cuore quanto la loro maestà eleva l’animo»5. Queste poche righe aprono, fin dall’inizio,



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due strade alla critica. La prima, percorsa in prevalenza dall’analisi letteraria, sottolinea gli aspetti preromantici di un brano che coniuga il pittoresco del bazar e la melanconia della rovine. La seconda, che mette in luce il principio di selezione dei dettagli che hanno senso (si tratta del dibattito, vivo in Europa, sul dispotismo orientale), conduce alla denuncia di un’ideologia che è alla base di un testo trasformato in una delle armi dell’imperialismo europeo6. Volney si presenta forse come un saggio, tutto intento a descrivere lo stato del mondo? O si illude egli stesso o inganna il suo lettore; tutti gli indizi, d’altro canto, concorrono a farne un agente segreto del ministro degli Affari Esteri francese7.
La valutazione oscilla così tra due estremi. O il Voyage, nella sua impersonalità quasi opprimente, è il luogo di piatta registrazione dell’evidenza del mondo: non c’è nulla da dire del resoconto del viaggio. Oppure questa evidenza, retta com’è dai canoni letterari o dalle categorie dell’ ideologia, è pura illusione: dell’Egitto o della Siria, allora, non si può di dire nulla di vero. Nel primo caso la verità della rappresentazione si ammanta della trasparenza del metodo; nel secondo, al contrario, l’oggetto scompare nelle pieghe della descrizione.
L’analisi che segue si fonda su proposizioni un po’ diverse. Le rappresentazioni del mondo non sono proiezioni più o meno buone, o più o meno fedeli, di realtà che si troverebbero dietro di esse8. Questo è un postulato. Esso implica che il problema di conoscere quale è il vero Egitto negli anni Ottanta del Settecento ammette un gran numero di soluzioni: il Voyage di Volney non è che una di queste. Ecco ora due ipotesi. La prima è che le procedure di elaborazione delle diverse forme di memorie descrittive sono trasparenti solo perché noi non sappiamo percepirle. Si andranno a ricercare, nella descrizione di Alessandria fornita dal Volney, gli elementi per rinforzare una tale ipotesi. La seconda ipotesi è che le procedure non sono omogenee e che le caratteristiche attribuite al mondo devono la loro origine a questa eterogeneità. Si cercherà di dimostrarlo spostando lievemente il luogo di osservazione (da Alessandria al Cairo e dal Voyage alla Description de l’Egypte), organizzando, inoltre, l’analisi partendo dalla questione che qui ci interessa: quella dello spazio.
2. La descrizione di Alessandria di appena qualche paginetta (sette paragrafi in tutto) consente di ottenere, in diversi registri, tutte le indicazioni per una conoscenza positiva del mondo9. La campagna, sabbiosa, le palme a parasole, l’allineamento dei tetti a terrazza, le punte dei minareti: ecco gli elementi di un paesaggio in



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cui le linee orizzontali sono dominanti. A terra il viaggiatore si confronta con la folla. Tipi umani definiti dal loro linguaggio, dal loro abbigliamento, dalla loro fisionomia; scene di strada - i cammelli portatori d’acqua, i banchi del mercato, i cani erranti, questo «cavaliere in pantofole» su un asino sellato e questi «fantasmi ambulanti» che sono le donne - compongono un quadro aggressivo iscritto nei registri della stranezza, dello squallore, della miseria. Fatta eccezione per i prodotti oggetto di transazione, è anche possibile trovarvi gli elementi di una geografia commerciale: la posizione della città inserita nelle correnti di scambio a lungo raggio, le caratteristiche e i pericoli dei siti del porto nuovo, destinato ai cristiani e spazzato dalle tempeste e del porto vecchio, riservato ai musulmani, ingombro di rottami.
Ma il quadro della città, esplicitamente cominciato come scena culminante, iscritta nel vocabolario dello «spettacolo» (la parola è usata tre volte) dell’«effetto» (due volte) e del «pittoresco» (termine usato una volta), finisce nel registro della precisione da dare. Allora si conta (le perdite di vascelli all’ancora, in seguito alle tempeste, i cannoni a difesa del faro, i giannizzeri che compongono la guarnigione) e si misura (la lunghezza del canale che rifornisce la città di acqua dolce). Sarebbe facile individuare gli interessi che sono la struttura portante di questi sviluppi, una volta messi in evidenza gli effetti dello stile e le scene di genere. Il primo di questi sviluppi è il dibattito teorico sulla natura e gli effetti del dispotismo, in rapporto al quale si interpretano anche i colori foschi della città - «già l’aria generale di miseria che vede fra la popolazione e il mistero che circonda le case gli fa sospettare la rapacità della tirannia»10 - nonché le attrezzature del porto in rovina - «la mentalità turca è di rovinare le opere del passato e la speranza del futuro; perché nella barbarie di un dispotismo ignorante non c’è avvenire»11.
La seconda domanda a cui il testo dà risposta è quella della valutazione delle possibilità di uno sbarco: facile da prendere, la città sarebbe difficile da tenere. Ma è la traccia dei modelli di conoscenza utilizzati che io cerco, e non quella delle problematiche nelle quali il quadro di Alessandria si inserisce. Tra i modelli che si presentano alla fine del XVIII secolo, è qui possibile individuarne due tra i meglio strutturati.
3. «Senza il tempo non si può ben giudicare, perché ci colpisce il primo aspetto degli oggetti e getta nel disordine il nostro spirito; bisogna aspettare che il primo tumulto si sia calmato, e bisogna tornare più di una volta all’osservazione per essere sicuri della sua



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giustezza. Saper osservare è un’arte che richiede più esercizio di quanto si pensi»12.
Saper osservare e riferire quello che si è visto: il metodo di Volney si fonda sull’osservazione diretta. Alle false immagini dipinte dai resoconti ingannatori egli oppone l’esperienza sensoriale del mondo.
Tutta la descrizione di Alessandria è fatta dal punto di vista dell’osservatore che si sposta, sbarcando, percorrendo le viuzze della città moderna, misurando a larghi passi le rovine, attraverso il canale, allontanandosi dalla città. Pochi suoni, nessun odore: la vista è di gran lunga il senso più sollecitato, e il quadro di Alessandria è tracciato dal punto di vista dell’occhio che osserva (limite all’impersonalità, del resto mal compresa dalla maggior parte dei commentatori del Voyage volneyano). E un occhio poco sensibile ai colori (se ne trovano solo tre, che fanno macchia, giacché in qualche parola sono riuniti: il popolo «nerastro», camicia blu, cintura rossa), ma attento alle forme, ad individuarle, a misurarle, a contarle, a caratterizzarle comparativamente. La logica del quadro è quella dell’inventario degli oggetti che vi sono riuniti, quella di una fisica del mondo.
Nel 1749, Etienne Bonnot de Condillac aveva pubblicato il Traité des Systèmes. Egli definisce sistema la disposizione delle diverse parti di un’arte o di una scienza, in modo che tali parti si sostengano tutte a vicenda e che il valore delle conclusioni risieda nella dipendenza dal valore dei principi. Apologia del metodo sperimentale, il Traité individua tre tipi di principi: le astrazioni, le ipotesi e i fatti, e sostiene che i soli sistemi veri sono quelli che si elaborano basandosi sui fatti. Nel volume del Cours d’études pour Vinstruction du Prince de Pame - pubblicato nel 1776 -, intitolato «Arte del ragionamento», Condillac sviluppa la stessa epistemologia e conclude: «l’evidenza di fatto, o Signore, somministra tutti i materiali di questa scienza che chiamasi fisica ed il cui oggetto è di trattare i corpi» u.
Volney persegue la stessa ambizione: contribuire all’elaborazione di una sorta di fìsica degli spazi socio-politici. Il suo metodo è di tipo induttivo; egli lo espliciterà nelle Questions de statistiques à Tusage des voyageurs, scritte nel 1795 su richiesta del governo della Repubblica, basandosi sulla sua esperienza orientale. Dalla accumulazione di giuste osservazioni, raggruppate in base ad un questionario che forma un sistema, il metodo conduce ad una loro comparazione e alla vera conoscenza: «il ministero ha deciso di raggruppare un numero abbastanza consistente di fatti per trarre dal loro raffronto, ponderatamente meditato, sia verità nuove, sia la



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conferma di verità conosciute, sia infine la confutazione di errori adottati)»14. Una epistemologia è alla base di questa metodologia per osservare e descrivere. Essa conferisce agli oggetti da conoscere e ai soggetti conoscenti qualità particolari. Gli oggetti sono omogenei, ovvero appartengono ad una stessa realtà, unitaria e materiale, ma sono anche frammenti, indipendenti gli uni dagli altri, di questa realtà. Ai soggetti viene tolto ogni accesso intuitivo o sintetico al mondo. Al di là di ogni metafisica, il loro approccio agli oggetti e l’elaborazione della conoscenza avvengono per mezzo dei soli sensi.
Ne risulta un metodo fondato sulla descrizione dell’apparenza sensibile delle cose e sulla scomposizione analitica della realtà. L’osservazione sensibile trova la sua giustificazione nella filosofia della conoscenza, espressa da Condillac nel 1754 quando, ammettendo la sola ipotesi del possesso dei sensi, il filosofo descrive la struttura logica delle facoltà cognitive. La riflessione, quindi, o «non è nel suo principio che la sensazione stessa», oppure «è tanto fonte di idee, quanto il canale per cui queste scaturiscono dai sensi»15. Quanto all’analisi essa è, alla fine del XVIII secolo, una chiave universale di intelligibilità (come più tardi lo saranno, per esempio, l’evoluzione, la dialettica o la struttura). Trascurando le importanti differenze di concezione e di applicazione (nella sua accezione più generale, si definisce come «1’ intera scomposizione di un oggetto e la distribuzione delle parti nell’ ordine in cui diventa facile la sua generazione»16) l’analisi permette di raccoglire i saperi nella finzione di un paradigma unificato. Quasi una scatola nera intellettuale, in alcune delle sue applicazioni, essa mette a fuoco un problema mal posto: il rapporto tra la struttura del mondo e quello della conoscenza.
La descrizione di Alessandria che apre il Voyage deve essere letta come applicazione rigorosa di questo metodo. La conoscenza libresca di uno spazio esotico è svalutata principalmente anzitutto per il fatto che i sensi non vi contribuiscono («l’effetto sullo spirito sarà sempre lontano da quello dell’oggetto sui sensi») e per l’incapacità della riflessione analitica di potervi trovare un appiglio euristico («l’immaginazione ... è costretta a riunire le membra sparse per ricostruirne dei corpi nuovi; e senza questo lavoro, vagamente prescritto e fatto in fretta, non è facile che l’immaginazione non confonda e alteri le forme»). Volney, una volta sceso a terra, invece, mima in quattro sequenze, la totalità del processo cognitivo. La prima fase dell’esperienza sensibile dissolve in un attimo la sintetica rappresentazione libresca della città orientale, che era a disposizione del viaggiatore. Ne deriva un’immediata rivalutazione



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dell’esperienza sensibile: è per mezzo dei sensi che il mondo, aggressivamente, impone i propri caratteri. Realtà globale? Niente affatto, perché è sotto forma di frammenti costituiti da oggetti individualizzati che si presenta la realtà urbana e che la percepisce l’udito della vista: la descrizione numerica degli elementi del quadro che colpiscono lo sguardo forma il terzo momento di questo processo accelerato di acquisizione del sapere. Un ultimo anello della catena vede il tutto ricomporsi nella sua unità («un popolo magro e nerastro»): le forme spontanee della sua scomposizione avevano già permesso di sospettarne la genesi. Alla sua origine ci sono la violenza, la schiavitù e la tirannia.
Non disponiamo dei diari tenuti da Volney durante il suo viaggio. H testo che abbiamo sotto gli occhi è il prodotto di un lungo lavoro di composizione. Prima della sua partenza per l’Oriente, Volney era entrato in contatto, a Parigi, con il gruppo di Holbach e aveva frequentato il salotto di Madame Helvetius: entrambi gli ambienti erano, in quel momento, espressione della filosofia sensista e razionalista. Tornato dal suo viaggio Volney viene ospitato ad Auteuil, nella residenza di campagna di Madame Helvetius, e dedica diciotto mesi alla redazione del suo libro. Quest’ultimo non contiene altri riferimenti se non quelli fatti ai protagonisti del dibattito sul dispotismo orientale e ad alcuni predecessori di Volney nel viaggio in Oriente. Sarebbe necessario ricostruire il contenuto delle biblioteche a disposizione di Volney, le sue letture, le sue conversazioni. Qui, per necessità ci si limita agli indizi formali.
Questi ultimi, nella descrizione di Alessandria, permettono di individuare ancora un altro modello cognitivo dell’opera. Le osservazioni (sull’aspetto delle donne o sul tipo di guarnigione) sono di diverso tipo. Come si è detto, sono due infatti le questioni che si mescolano: la natura del regime turco e la possibilità di un intervento europeo in Egitto. H dispotismo orientale è una delle chiavi di lettura della descrizione della città: è la legge di questa fisica dei popoli che spiega la particolare disposizione locale del corpo sociale. Da buon metodo induttivo, è alla fine dell’indagine che deve apparire la legge; e l’ultimo capitolo del Voyage, che è il più lungo, «Le abitudini e il carattere degli abitanti della Siria», è dedicato interamente a questo aspetto. Fin dalle prime pagine, appare a titolo di ipotesi esplicativa. Ma la sua presenza nel testo trasforma la condizione delle osservazioni. Esse non si dispongono per formare un quadro esauriente della realtà del mondo, ma come sintomo: la generale aria di miseria fa sospettare la tirannia, allo stesso modo in cui la trascuratezza, in cui si tengono le attrezzature del porto, riconduce alla barbarie del dispotismo. In questo modo, se il



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mondo impone ai sensi l’evidenza degli oggetti di cui è composto, la descrizione può fondarsi su un principio selettivo: non si deve tanto cercare l’esaustività quanto, piuttosto, l’esemplarità del tratto che forma l’indizio. Qui il metodo analitico si ricongiunge ad un procedimento artistico, giacché è anche il principio del pittoresco che fissa i dettagli di un paesaggio, di una scena di strada o di un tipo umano che danno un senso all’intera immagine.
Quando si tratta di decidere sulle possibilità tecniche di un intervento militare le osservazioni sono fornite in modo diverso. L’informazione è data fondandosi sul modo molto caratteristico dell’equilibrio. Il Porto Nuovo? Ci si trovano ancora dei vascelli, ma lo svernamento è minacciato dalle tempeste. Il Porto Vecchio? Non è soggetto a questo tipo di pericoli ma da duecento anni lo si ingombra, gettandovi la zavorra dei bastimenti. La guarnigione? E formata da cinquecento giannizzeri, ma, a dire il vero, essi sono «salariati capaci solo di fumare la pipa». La conoscenza positiva, così riunita, nutre l’ambizione di permettere la formazione del giudizio. Essa delinea uno spazio di deliberazione, preludio all’azione. I suoi elementi non vi figurano come indizi, ma come dati di un problema valutabili quantitativamente (quattro cannoni difendono il porto) o qualitativamente (i cannonieri non sanno prendere la mira), un problema che si può contribuire a risolvere con l’ausilio della statistica descrittiva (sapendo che il canale di approvvigionamento dell’acqua dolce misura 12 leghe, di che effettivo si avrà bisogno per controllarlo?) o ricorrendo ad un calcolo delle probabilità (sapendo che 16 o 18 anni fa nel porto vecchio sono stati distrutti 42 battelli ancorati e che negli anni seguenti ne sono andati perduti 14, 8 e 6, quale probabilità c’è al tempo ‘t’ di perdere ‘n’ navi?). Le osservazioni presenti nel testo non sono fornite a titolo di indizio ma come dati pertinenti alla questione da risolvere.
L’ideale della descrizione non è più la rappresentatività ma l’esaustività, tenuto conto del problema considerato: dimenticatevi di menzionare il canale di approvvigionamento dell’acqua e rischirete di avviare, su basi errate, lo sbarco militare. Poiché la decisione finale dipende da un compromesso tra un guadagno (il controllo di Alessandria) e un costo, di cui tutte le voci (una fregata per «ridurre in cenere», la guarnigione a cui va aggiunto un certo numero di navi per mantenere il possesso della rada e un certo numero di soldati per controllare il canale ...) devono poter essere valutate a partire dalle informazioni fornite. Il modello cognitivo è qui completamente diverso: associando problematizzazione e calcolo in un processo di ausilio alla decisione, necessita di una conoscenza da ingegnere. E dal XVI secolo, che questa «intelligenza del fare»



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prende forma nei trattati e nelle memorie sulla difesa delle piazze militari e che, dalla fine del XVII secolo, compare nei preventivi e nei progetti redatti per la fortificazione, la costruzione di navi da guerra, di cantieri di strade e di canali, o per lo sfruttamento delle foreste reali17. Questa «intelligenza del fare» è segretamente all’opera in un testo che ha forse accompagnato una memoria redatta per il ministero degli Affari Esteri francese.
4. La stessa cura dell’osservazione, la stessa acutezza dello sguardo costituiscono la base di due distinte forme di presentazione del sapere, inserite in un medesimo rapporto con il mondo. L’occhio, che resta alla superficie delle cose, individualizza, registra le qualità sensibili, conta. Si tratta di processi di astrazione che differiscono poi nelle loro modalità. La selezione degli oggetti fissata dalla descrizione dipende, nel primo caso, da una sorta di sondaggio del reale. Essa si accontenta della passeggiata nella città, giacché la deambulazione aleatoria o ragionata del viaggiatore gli offre un accesso, come attraverso un taglio nel tessuto urbano che permette l’accumulazione di numerosi fatti ai princìpi regolatori del corpo sociale. Nel secondo caso la scelta delle osservazioni dipende dall’inventario parziale: il mondo non si presenta più nella sua unità fondamentale e nella sua diversità fenomenica, ma si fa vedere a partire dal principio di selezione che costituisce il problema da risolvere. Il primo modo di procedere è inserito nella logica del colpo d’occhio, da intendere in senso letterale18, mentre il secondo è quello del punto di vista da intendere metaforicamente.
Ognuno dei due frammenti del testo potrebbe essere trascritto in due diverse rappresentazioni grafiche. Al secondo corrispondono le colonne di un prospetto che presentano, a sinistra, la lista degli oggetti pertinenti e suscettibili di svilupparsi verso destra, fino alla stima delle spese necessarie ad un’operazione militare riuscita. Ridotta ad un costo, la configurazione degli spazi si dissolve. H primo frammento del testo corrisponde ad una mappa, sulla cui superficie piana sono tracciati gli spostamenti del viaggiatore nelle vie della città moderna e tra le rovine: non una carta mentale, ma una carta dell’esperienza individuale dello spazio. Questa rappresentazione grafica non figura, però, nel libro. La rappresentazione del tragitto, seguito da Volney in diciotto mesi, tra Egitto e Siria, è presente, su un’altra scala, solo nell’edizione del 1959; tale mappa viene riprodotta solo a costo di una ricostruzione diffìcile e incerta nelle conclusioni realizzata dall’editore di oggi (l’edizione del XVIII secolo contiene soltanto due piante: quella del pachalik di Aleppo e una



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carta sommaria del basso Egitto). Due motivi spiegano un tale deficit figurativo.
Da una parte, all’interno di questa metodologia della buona osservazione, i colpi d’occhio successivi non svolgono la funzione di introdurre la particolarità dei luoghi, ma solo i principi dell’organizzazione sociale. Perciò, il viaggio nelle contrade già esplorate non serve a mostrare le tracce della sua singolarità, l’autore infatti ricerca più principi di generalizzazione che effetti del reale. L’epistemologia materialistica di Volney, d’altra parte, stabilisce una corrispondenza diretta tra la configurazione sensibile degli spazi e le regole della fisica del mondo sociale.
Lo stesso vale per le questioni sullo stato fìsico di un paese, per tipo delle sue produzioni, per gli alimenti del suo popolo e sulle sue occupazioni. Da lungo tempo, profondi osservatori hanno dovuto riconoscere che tutti questi oggetti avevano una potente influenza sulle abitudini, i costumi, il carattere delle nazioni e di conseguenza sulla natura dei governi e sul tipo delle leggi .
Sia che la legislazione politica sia l’espressione delle leggi naturali, e l’ordine delle determinanti conduca dalla configurazione dei suoli e dei climi alla natura dei governi. Sia che le leggi naturali siano snaturate, come nel caso del regime dispotico orientale, l’ordine delle causalità si inverta e l’organizzazione sensibile del mondo diventi la traccia di un cattivo governo. In entrambi i casi l’organizzazione dello spazio (qualunque sia la definizione che se ne dia: fisica, antropologica, economica ...) e l’organizzazione della società sono riconducibili l’una all’altra. Dire l’una è dire l’altra e, la mappa, con la descrizione analitica della società, diventa ridondante. Non ha quindi ragion d’essere.
5. A ben ricordare, in base alla lista dei compiti che mi sono dato, si rende necessario un secondo capitolo. Esso vuole essere un’applicazione particolare del programma di analisi delle tecnologie intellettuali; già definito da Jack Goody, di recente è stato ripreso da Jean-Claude Perrot, a proposito dei dispositivi materiali sui quali, tra il XVI ed il XVIII secolo, si basa l’invenzione dell’economia politica20. Per analizzare gli effetti di questa tappa, è necessaria un’articolazione più complessa delle diverse modalità di rappresentazione del mondo. H breve episodio della spedizione francese in Egitto ne fornisce un’occasione quasi sperimentale.
L’episodio è di breve durata: l’armata, comandata da Bona-parte, sbarca ad Alessandria il 2 luglio 1798 e capitola il 31 agosto 1801, dopo trentotto mesi di presenza nel paese21. Nonostante le belle carriere che molti veterani d’Egitto faranno in seguito, l’e-



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sperienza egiziana non sembra tanto un’anticipazione del governo imperiale, quanto piuttosto lo sviluppo, caratteristico dell’Età dei Lumi, di un’unione tra scienza e potere. I militari, a dire il vero, non partono da soli. Li accompagna una Commissione delle Scienze e delle Arti, composta da centocinquanta membri, un terzo dei quali sono ingegneri (geografi, ingegneri del genio civile, o ingegneri di marina), un terzo sono scienziati, le cui discipline sono di competenza della prima classe dell’Istituto per lo sviluppo del sapere, fondato a Parigi nel 1795 (matematica, arti meccaniche, astronomia, fisica sperimentale, chimica, storia naturale, mineralogia, botanica, zoologia), l’altro terzo, infine, comprende pittori, disegnatori, architetti, letterati, interpreti e così via. H 22 agosto 1798, al Cairo, viene fondato l’Istituto d’Egitto, composto da quattro sezioni (matematica, fisica, economia politica, arte e letteratura) con dodici membri ciascuna. Sul modello dell’affine Istituto di Parigi, o basandosi sullo schema della precedente Accademia delle Scienze, l’Istituto d’Egitto si riunisce in sedute regolari, durante le quali si leggono e si discutono delle memorie, si pubblica un giornale, la «Dècade Egyptienne», si distribuiscono due premi annuali, uno per questioni relative al progresso e alla civilizzazione del paese, l’altro per lo sviluppo dell’industria. La spedizione riunisce, dunque, in un’estrema vicinanza, dovuta all’esotismo e all’ostilità del paese, un gruppo di persone, tra i cui scopi principali c’è quello della modalità del controllo, dell’organizzazione o della conoscenza del territorio. Perciò i mezzi intellettuali che essi mobilitano a questo fine differiscono a causa o della loro formazione, o della loro preoccupazione principale.
La spedizione d’Egitto costituisce così una tappa obbligata nella circolazione e nel confronto delle tecniche dotte di conoscenza del mondo.
La Description de l’Egypte costituisce uno dei nessi privilegiati di questi raffronti22. Si tratta di un insieme complesso, formato da quattro elementi: memorie, figure o tavole, commenti delle tavole ed infine un atlante disegnato sul modello della carta di Cassini, la cui pubblicazione viene a lungo procrastinata, per ragioni strategiche. I volumi, in folio o in folio grande, hanno un tale formato da renderne difficile la consultazione globale. Essi, però, sono organizzati in base ad un sistema di rimandi da un volume all’altro: i commenti delle tavole duplicano il disegno accompagnandolo con una nomenclatura, le memorie, normalmente rinviano alle tavole, attraverso note. La complessità pervade anche l’elaborazione del testo23. H progetto era stato inaugurato nel novembre 1799, per decisione di Kleber, ma le difficoltà militari, le peripezie del rientro in



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patria degli scienziati ed i gravami editoriali dell’operazione avevano a lungo procrastinato la pubblicazione dei volumi che sono datati tra il 1809 e il 1822. La produzione dei testi di cui si compone la Description de l’Egypte è individuale, ma la procedura di approvazione è collettiva. Con un decreto dell’aprile 1802, era stata creata una «commissione d’Egitto», composta da otto membri ed incaricata di ricevere i contributi, di giudicare la loro adeguatezza al progetto generale e di decidere sul loro reciproco adattamento. In questo processo, il segretario generale della commissione, Lancret - poi sostituito da Jomard - finisce per svolgere un ruolo principale.
Imbevute dello spirito enciclopedico della fine del XVIII secolo, le ricerche che formano l’opera si rifanno ad un metodo, l’osservazione, e a due criteri, la fedeltà e l’utilità. L’«Introduzione storica» che apre la Description precisa:
L’Accademia del Cairo, come quelle d’Europa, si propone di coltivare le scienze e le arti, di perfezionarle e di ricercarne tutte le applicazioni utili. Ci si doveva principalmente attenere alla distinzione delle opere dell’Egitto e ai mezzi per ottenerle; era dunque necessario osservare con molta cura il paese che stava per essere sottomesso ad una nuova amministrazione: tali furono i motivi che condussero a intraprendere le ricerche di cui oggi si pubblicano i risultati .
Per la preoccupazione di oggettivizzazione e per il contributo che essa intende apportare ad una scienza empirica del governo degli uomini, questa grossa pubblicazione appartiene alla stessa configurazione intellettuale del Voyage en Egypte. E nell’ambito di un identico modo di pensare che si può fondare un sistema delle differenze e delle similitudini legate all’uso di dispositivi cognitivi distinti.
6. Per condurre l’analisi a buon fine, un cambiamento di scala si impone. Nello stesso modo in cui abbiamo preso in considerazione la descrizione volneyana di Alessandria, esaminiamo ora la sola descrizione del Cairo e le tavole corrispondenti25. Numerosi motivi inducono a questa scelta. Il brano è tra i più lunghi e dettagliati. Il suo titolo per esteso sottolinea che esso presenta il carattere composito che si ricerca: esso si intitola appunto «Descrizione abbreviata della città e della cittadella del Cairo seguita dalla spiegazione della pianta della città e dei suoi dintorni, contenente informazioni sulla sua distribuzione, sui suoi monumenti, sulla sua popolazione, sul suo commercio e sulla sua industria». Si noterà che vengono fornite le indicazioni necessarie sulla tecnica di acquisizione e di organizzazione del sapere, sulla quale è fondata la de-



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scrizione. L’autore ha, inoltre, una formazione culturale diversa da quella di Volney. Quest’ultimo, dopo gli studi di diritto, aveva seguito per qualche tempo, a Parigi, dei corsi di medicina. Edme-Frangois Jomard è invece ingegnere. Nato a Versailles nel 1777 da una famiglia di mercanti la cui attività era legata alla presenza della corte, nel febbraio 1794 entra all’Ecole des Ponts et Chaussées, frequenta nel dicembre dello stesso anno l’Ecole Polytechnique, ed infine, nel 1796, entra all’Ecole d’Application du Génie. Nell’aprile 1798 egli è al servizio della spedizione in Egitto come ingegnere geografo. Tornato in Francia, viene inviato nell’Alto Palatinato come supervisore delle operazioni topografiche, prima di essere nominato segretario della commissione di redazione della Description (1803) e poi commissario del governo per la direzione dei lavori di tipografia e stampa, sin dall’inizio della pubblicazione dei volumi (1809)26.
Secondo Jomard e, più in generale, secondo gli ingegneri che compilarono le memorie sulle città orientali, esistono due termini che ne consentono di individuare le caratteristiche: la complessità e l’opacità. La complessità riguarda l’antropologia urbana. Guardate la minuziosa scomposizione della popolazione del Cairo. Giudicando «quasi superflua» la distinzione tra liberi e schiavi, giacché «lo stato di schiavitù è, in Egitto, molto diverso da quello degli antichi o da quello che ancora c’è nelle colonie». Jomard divide i 260.000 abitanti che formano, secondo una stima, la popolazione del Cairo «in base a quattro rapporti»:
- religione: si contano 5.000 greci scismatici, 10.000 cristani giacobiti, 5.000 greci di Siria e Maroniti, 2.000 cristiani d’Armenia, 3.000 ebrei («reputo questa cifra troppo modesta» aggiunge Jomard in nota), 400 cristiani di lingua franca, cattolici e protestanti, il «resto maomettani»;
- nazionalità: 10.000 egiziani copti, 3.000 ebrei, 5.000 siriani, 2.000 armeni, 5.000 greci, 1.000 europei franchi, 10.400 mamelucchi e odjaklis, 10.000 turchi o osmanli, 12.000 africani di entrambi i sessi: negri, barabrah, nubiani ed etiopi, circa 210.000 egiziani musulmani ed arabi;
- sesso ed età: distinguono tra uomini e donne, nonché tra adulti e bambini;
- la «condizione»: ossia l’insieme delle cariche, funzioni e professioni tra le quali si può dividere la parte attiva della popolazione essenzialmente maschile: circa 10.400 militari; l’ordine civile così diviso: ulema, sceicchi, uomini di legge, effendi, ecc. un numero ignoto che abbinato ai proprietari e ai moultezims, ammonta in totale a 5.000; 3.500 commercianti all’ingrosso, 4.500 mercanti al



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dettaglio, 1.500 tenutari di locali, 21.800 artigiani (compresi asinai e cammellieri), 4.300 operai giornalieri e facchini, 8.600 manovali che ottengono dal loro lavoro appena di che vivere; 26.400 servitori, says, valletti, portatori; 86.000 individui in tutto, senza contare le donne e i bambini. Un gran numero di domestiche di sesso femminile è composto da negre e nubiane27.
E possibile dunque dare un ordine alla complessità della popolazione cittadina, imputabile alla posizione geografica dell’Egitto, alla complicata storia regionale delle correnti migratorie. Alcuni principi analitici, una scomposizione in categorie, una quantificazione di ciascun gruppo così isolato, una totalizzazione implicita di un totale, forniscono elementi per una soddisfacente comprensione della società urbana. Questa tabella a più voci successive trova una verifica nell’osservazione del mondo; essa riproduce un’antropologia sociale che trova conferma sul campo. Qui, la diversità di interessi e la varietà degli usi testimoniano la pluralità delle appartenenze ad identità analiticamente costruite. Ad Alessandria (ma la descrizione vale anche per il Cairo)
è all’ombra dei bazar o nei quartieri mercantili ... che è curioso osservare l’unione di tanti individui di diverse nazioni che l’interesse per le relazioni commerciali riunisce in pace e che all’improvviso li divide dieci e venti volte al giorno. E lì che, come in un’immagine in movimento, si possono giudicare le infinite sfumature che la natura imprime sulla fronte come su ogni abitudine del corpo umano, così come le differenze morali, che i climi, l’educazione e la religione che si apportano al suo carattere e alla sua esistenza .
La confusione delle società orientali, che appare all’occhio dell’osservatore europeo, non è irriducibile. La tabella analitica, la numerazione statistica, la configurazione dello spazio sociale, si confermano a vicenda nella descrizione della diversità umana.
L’opacità invece caratterizza la morfologia delle città. Quello che colpisce subito è l’assenza di un ordine generale della rete stradale. Al Cairo, la difficoltà di trovare le arterie principali si deve al fatto che «le strade, anche le più lunghe, invece di portare un unico nome, cambiano di denominazione ad ogni istante»29. Jo-mard finisce, tuttavia, per fermarsi a otto, il che non corrisponde al numero delle porte monumentali che sono settantuno, alcune delle quali sono comprese nel tessuto urbano. La rappresentazione grafica, adottata nella pianta generale che riproduce la città del Cairo e i dintorni, sottolinea, però, retoricamente, questi varchi ipotetici con un tratto continuo, quasi rettilineo30. La stessa incertezza vale per l’insieme delle strade, che l’ingegnere classifica, però, seguendo un tipologia a quattro livelli: le grandi vie di comunicazione, le



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strade, le traverse, i viottoli e i vicoli ciechi, che egli prova a contare.
A questa assenza di apparente gerarchia degli spazi, si aggiunge, in contrasto con l’ideale urbano degli ingegneri francesi, la loro irregolarità e la loro scarsa ampiezza. Al Cairo
la distribuzione urbana interna non assomiglia affatto a quella delle città europee: non solo le sue vie e le sue pubbliche piazze sono estremamente irregolari, ma la città è quasi interamente composta, ad eccezione di numerose vie di comunicazione, da strade molto corte e da imbocchi a zig-zag che terminano in innumerevoli vicoli ciechi.
Questo spazio labirintico è ancora un territorio frazionato. E più uno spazio impenetrabile che un luogo dove ci si perde.
Ognuna di queste ramificazioni è chiusa da una porta che gli abitanti aprono a loro piacimento: dal che risulta che l’interno del Cairo è molto difficile da conoscere nella sua totalità31.
Anche qui la retorica grafica accusa il tratto. La mappa in scala 1:5000, riprodotta nel volume delle tavole, fa del Cairo una massa compatta e nerastra dove la dimensione degli isolati - che sembrano a malapena attraversati da sottili gallerie e non hanno uguali nella realtà europea - contrasta con l’ideale di apertura che caratterizza, dagli anni Cinquanta del XVHI secolo, l’urbanesimo degli ingegneri del genio civile32.
Lo stesso sentimento di confusione si prova per l’architettura domestica. Gli scarti sociali, nelle città orientali, non sono all’origine di modelli architettonici facilmente identificabili, come invece accade a Parigi con le residenze aristocratiche, per esempio. Le differenze sociali iscritte nella pietra, non sembrano di natura, ma solo di grado:
i palazzi dei bey o dei kàchefs e le residenze degli sceicchi o dei capi religiosi più importanti dell’agha, dell’ouàli, del kadì e degli altri funzionari si distinguono, di primo acchitto, dalle case dei semplici privati cittadini ^er una costruzione più accurata, un aspetto più rifinito, una maggiore ampiezza33.
Spazi chiusi, le case non offrono al passante che lisce facciate, in cui tutti i balconi, le finestre e le luci sono chiusi da grate sbarrate con legno. Spazi poco penetrati esse, sovente, non mostrano al visitatore che l’ordine del loro vuoto centro, il cortile centrale34. Quando queste case possono essere misurate e ricostruite in piano e in altezza, come nel caso di quella di Hassan Kachef35, che ospita l’Istituto d’Egitto, esse suscitano lo stesso sentimento di disordine:



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sarebbe troppo lungo e, nello stesso tempo, difficile descrivere la distribuzione interna delle case del Cairo; ce ne sono poche disposte in modo regolare: le stanze di uno stesso appartamento, raramente sono allo stesso livello; bisogna sempre discendere o salire qualche scalino per andare da una all’altra36.
Così, a prescindere dalla scala di riproduzione, né la ricognizione degli elementi architettonici o urbanistici semplici, né l’identificazione di regolari combinazioni consentono, agli ingegneri che accompagnano Bonaparte, di dare un senso alla città. Le attività professionali, immediatamente accessibili ad una lettura tecnica, introducono chiare distinzioni:
al Cairo e in altre importanti città europee, ogni tipo di industria è concentrato in un quartiere particolare della città, come in altri tempi succedeva nelle nostre città europee: ci sono così intere strade dove non si incontrano che calderai, altre in cui non ci sono che confettieri e altri commercianti di dolciumi, altre ancora monopolizzate dai sellai e dai fabbricanti di equipaggiamenti per l’equitazione; gli orafi, i gioiellieri, i tagliatori di pietre preziose, ecc., hanno le loro botteghe in quartiere che è più chiuso e controllato degli altri .
Ecco cosa fonda una divisione dello spazio, nulla più. Solo la natura è quindi un principio esplicativo, capace di dar senso alla morfologia urbana. Le vie strette e tortuose, i moucharabieh [balconi chiusi da una grata che forma un avancorpo davanti alla finestra, n.d.t\ elementi caratteristici dell’urbanistica e dell’architettura della città egiziana moderna, devono essere ricondotti soltanto alla necessità di proteggere le abitazioni e gli uomini dalla luce del sole e dal suo calore estremo. Ma un tale principio ha i limiti dei suoi pregi: esso si applica uniformemente, come i raggi del sole. Tale principio perde ogni proprietà ordinatrice in uno spazio urbano dove le gerarchie e le strutture restano essenzialmente inosservate.
7 . Resta da comprendere questo particolare insuccesso. Se si suppone che esso non appartenga alla natura delle cose (perché lo spazio della città musulmana dovrebbe essere meno decifrabile di quello della città europea?) bisogna cercarne la causa nello sguardo con cui le si è fissate, ovvero nelle pratiche e nelle categorie messe in opera per osservarle e descriverle.
La «Description ... du Kaire» trova la sua origine in un’iniziativa militare. Nel settembre 1798, gli ingegneri geografi, al servizio dell’armata furono incaricati di tracciare, con la tabella pretoriana e la catena metrica, un progetto sommario per stabilire un sistema di difesa contro gli attacchi interni ed esterni. Essi si avvalsero di questa opportunità per localizzare 54 punti della città (cumuli di rovine, torri e soprattutto minareti) destinati a stabilire, per trian-



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gelazione, il piano geometrico dettagliato della città. La scelta della scala, 1:2000, è conseguenza della singolarità dell’oggetto da descrivere: «con questa scala, i più piccoli dettagli e tutte le caratteristiche che si incontrano nelle città d’Oriente hanno potuto essere segnati»38. Jomard, prima di scrivere la lunga memoria descrittiva della città, è incaricato della verifica della pianta che risulta da queste operazioni.
Le nozioni, che si sono potute leggere, sono, in larga parte, i risultati di un lavoro di cui fui incaricato dal capo degli ingegneri geografi, per completare la mappa geometrica del Cairo e accrescerne l’utilità. Si trattava di scrivere su ogni parte di questa pianta i nomi esatti degli edifìci pubblici, dei monumenti di ogni tipo, nonché quelli dei quartieri e delle strade della città. Dovevo anche raccogliere informazioni sul commercio, l’industria, la popolazione e i costumi degli abitanti. H giro che feci al Cairo cominciò il 19 frimaio dell’anno Vm e durò due interi mesi, senza un giorno d’interruzione; uno scrivano, un interprete di oda-bàchy, e tre o quattro guide mi accompagnavano. I cavalli ci seguivano più indietro con i domestici. Appena ottenuta, ogni informazione, i nomi erano scritti in arabo sulla mappa originale dallo scrivano copto, greco o musulmano, o da me in francese. Le descrizioni venivano registrate, nello stesso tempo ed in presenza del luogo stesso, in un quaderno di informazioni. Qui io mi sono limitato ad aggiungere a questi dettagli, diverse circostanze storiche per interrompere la monotonia e l’aridità della nomenclatura39.
Questa pratica sistematica di misurazione dei terreni e di identificazione dei luoghi costituisce il fondamento di una serie di dispositivi. Alcuni di questi derivano da una politica di controllo: la pianta del Cairo e la sua spiegazione riproducono la divisione della città in otto distretti militari, posti sotto l’autorità di altrettanti comandanti e «questa divisione cominciava a introdurre una sorveglianza e una polizia salutare nei quartieri malsani e infetti»40. Ma il commento non ci trascinerà in questa direzione: il fine di questa analisi non è di ritrovare Michel Foucault. Gli altri tipi di dispositivi sono di natura cognitiva; essi hanno per scopo il quadrillage dello spazio [operazione di divisione a scacchiera di un territorio, n.d.t\ e assumono la forma di quattro dispositivi grafici che rinviano l’uno all’altro:
- la pianta. E la riduzione in scala 1:5000 del piano trigonometrico in scala 1:2000, in quattordici fogli. I limiti delle varie sezioni sono indicati con la linea punteggiata. La mappa si inscrive in una quadrettatura formata dall’intersezione di linee orizzontali numerate da 1 a 16, e colonne distinte dalle lettere da A a Z. Sulla pianta, i luoghi (che si tratti di piazze, vie, moschee, o di oggetti più comuni come cisterne, pozzi, ecc.) sono segnati da un numero all’interno di ciascuna delle sezioni e, talvolta (nel caso dei luoghi più importanti) da un numero e un nome;



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- la nomenclatura. Essa occupa il centro (pp. 589-657) della «Description ... du Kaire» e riproduce, in colonne, i nomi menzionati nel quaderno delle informazioni, tenuto da Jomard. La lista dei nomi di luoghi, strade, piazze e monumenti, presentati fianco a fianco in francese e in arabo, è corredata da una parte da un indice dei «numeri incisi sulle piante» e dall’altra da un indice dei «quadri» di riferimento. Questa lista viene fornita, successivamente, per ciascuna delle otto sezioni in cui è divisa la città e la cittadella;
- la descrizione dei luoghi occupa circa quaranta pagine della memoria (pp. 658-613). L’ordine è tematico (le piazze pubbliche poi le porte, quindi le moschee, ecc.) e per ciascuna rubrica prevale la logica della enumerazione. Si fornisce, per esempio, il numero totale delle porte, poi, di alcune di esse si menziona il nome, le più importanti, infine, sono nominate e descritte;
- le tavole41. Come una nota a piè di pagina del testo, Jomard lo sottolinea, le tavole, raddoppiano la frammentazione della memoria: «si consultino le tavole di questo volume per seguire la descrizione del Cairo; vale a dire, per i punti, la figura 27, per le moschee le figure da 27 a 38; per le piazze pubbliche le figure da 39 a 43, ecc.».
La «Description ... du Kaire» e la descrizione di Alessandria appartengono allo stesso genere epistemologico: dal momento che la realtà è composta di oggetti distinti e differenziabili, la conoscenza del mondo passa attraverso la sua scomposizione in elementi individuabili e identificabili. Alla fine di queste reiterate distribuzioni retoriche, ogni luogo del Cairo, ogni oggetto urbano è caratterizzato da un nome (in due sistemi di denominazione, uno francese e l’altro arabo), da una localizzazione (in due spazi, uno geometrico e l’altro di amministrazione militare), da una descrizione (che si fonda su due modalità, una si avvale del linguaggio naturale, l’altra di quello iconografico) e gode così di una completa identificazione. La compresione dello spazio urbano della capitale egiziana, tuttavia, ha fatto, apparentemente, pochi progressi. La realtà della città orientale può definirsi secondo le medesime categorie di oggetti di quella europea. Ma, una volta scomposta in elementi identici nella loro natura (anche se variano nella forma o nel modo di chiamarsi), essa non può essere ricomposta in un sistema, di cui si possa percepire la coerenza originaria. La scomposizione dello spazio urbano in elementi identificati implica una triplice conseguenza. Essa cancella, in primo luogo, la specificità dello spazio delle strade, dei negozi, dei camminamenti parzialmente recintati da spazi residenziali. Rappresentando, poi, la moschea del sultano



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Hassan, ad esempio, come una cattedrale medievale o il ponte sul canale di derivazione del Nilo come il Pont Neuf sulla Senna, essa conferisce a ciascuno di essi lo status di monumento, identico a quello esistente nelle capitali d’Occidente. Infine, estraendoli dal loro spazio prossimo, essa conferisce un carattere immaginario alla loro articolazione nel tessuto urbano. «H suo ingresso sulla via chiamata Souk el Selah è molto importante, anche se irregolare» nota, a proposito della moschea del Sultano Hassan, la descrizione del Cairo per aggiungere poi, «l’effetto sarebbe molto maggiore se vi fosse una piazza da questa parte». Le tavole alle quali rinvia in nota hanno proprio il risultato di produrre questo effetto42. Nonostante il comune sistema di riferimenti, nulla è più contraddittorio, quando li si mette a confronto, della pianta del Cairo in scala 1:5000 e le vedute dei monumenti della città, pubblicate nello stesso volume delle tavole della Description de l’Egypte. H processo, attraverso il quale l’ingegnere geografo passa dalla realtà concreta del mondo alla sua rappresentazione, trova il suo limite proprio nella forma che tale processo assume: lavoro di astrazione, ovvero di prelievo, al fine della caratterizzazione, di successive parti del reale. La procedura si insterilisce nel registrarla per trasferirla nel quadrillage delle piante, nelle colonne delle tabelle, nelle rubriche di descrizioni enumerative o in serie di immagini, il che resta allo stato di collezione di oggetti.
8. Un breve ritorno alla descrizione di Alessandria permetterà di comprendere i motivi di questo fallimento. Nei suoi sviluppi ultimi, il metodo del topografo Jomard combina la condotta deam-bulatoria e il progetto di esaustività. Volney, come si è visto, svolgeva separatamente i due progetti. H percorso forniva gli indizi di una descrizione dello spazio sociale ordinato in base alla questione del dispotismo; la numerazione completa forniva gli elementi della risoluzione, selezionati fondandosi sull’enunciato del problema (l’intervento militare europeo). Due punti di vista sul mondo strutturavano, secondo due diverse modalità, la stessa arte di vedere a fondo. Nessun punto di vista unificatore, che avrebbe permesso di ricomporre quello che il primo movimento di analisi aveva separato, emerge, al contrario, nel principio della descrizione della morfologia del Cairo. Per quanto riguarda la composizione della popolazione i totali in colonna, delle differenti categorie analitiche assicurano, secondo punti di vista successivi, la sintesi ricercata: la religione, l’etnia, l’appartenenza sociale... Quanto alla composizione dei luoghi, invece, la carta, che presenta all’occhio la disposizione relativa degli elementi, altrove scomposti, dello spazio urbano viene



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meno in un’eventuale funzione sintetica. Essa non dà fondamento alla presentazione ragionata dei risultati. Non rivela contraddizioni mal risolte che sono di ostacolo alla comprensione dei principi di organizzazione della città. Al lettore di oggi, la stessa carta offre, al contrario, gli elementi per una critica del testo di ieri. Il fatto è che la retorica grafica all’opera nelle diverse tecniche del sapere, non è la sola in causa. Il valore attribuito a ciascuna di esse nella formazione della conoscenza conta altrettanto. L’incapacità di dar senso allo spazio della città araba è così il segno della svalutazione relativa che ancora conosce la carta per un approccio sintetico al mondo. Una generazione prima a tale conclusione era giunto l’articolo «Reconnaitre» deWEncyclopédie:
Si crede comunemente di non aver omesso niente per ben riconoscere un paese, quando ci si è procurati delle carte o quando ci si è fatti arruolare; ma se ci si attiene alle conoscenze che esse possono fornire, non si conosce un paese che in modo molto imperfetto. Per essere veramente utili è necessario che esse siano accompagnate da una descrizione particolare che spieghi tutte le circostanze del territorio la cui conoscenza è necessaria nelle azioni e nei movimenti degli eserciti; lavoro che non può essere fatto se non da un uomo molto intelligente, assai versato nella teoria e nella pratica di guerra e non da un geografo qual. . 43
siasi .
D’altro canto, in Egitto, scienziati, ingegneri, militari avvertono, nella loro esperienza quotidiana, questa inattitudine del disegno a riprodurre l’organizzazione complessa di quello che non è uno spazio, bensì un territorio. Le memorie che formano la Description de VEgypte non ne contengono che deboli echi:
Non è permesso ai Franchi di entrare nelle moschee; non è che in seguito all’occupazione militare dei francesi che ci è stato permesso di entrarvi, di rilevarne le piante e le dimensioni, di disegnare gli ornamenti principali dell’architettura. E, ciononostante, i musulmani, riuniti nelle moschee, mormoravano ad alta voce di vedere dei cristiani con le scarne insudiciare il luogo santo, quando invece essi sono obbligati a togliersi i sandali .
Bernard Lepetit
Centre de Recherches Historiques E.H.E.S.S. Paris
Note al testo
1 Voyage en Syrie et en Egypte pendant les années 1783, 1784 et 1783, par M.C.F. Volney, 2 voli., Paris 1787 [trad. it. Viaggio in Egitto e in Siria, a cura di S. Moravia, Milano 1974].
2 J. Galmier, L’idéologue Volney, 1737-1820. Contribution à l’histoire de l’orientalisme en France, Beirut 1951 [rist. Genève 1980].
3 Questo aspetto, nonostante l’utilità delle sue ricerche, non è stato colto da H. Lau-



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rens. H. Laurens, Les origines intellectuelles de l'expédition d'Egypte. L'orientalism islamisant en France, 1698-1798, Istambul-Paris 1987.
4 B. Lepetit, Voyages en France, in O. Marcel (a cura di), Composer le paysage. Con-struction et crise de l'espace (1789-1992), Paris 1989, pp. 111-130.
5 Volney, Viaggio in Egitto cit. pp. 53-54.
6 E. Said, Orientalism, New York 1978.
7 J. Gaulmier, Op. cit.
8 M. Merleau-Ponty, Le visible et l'invisible, Paris 1964, pp. 279-280.
9 Volney, Viaggio in Egitto cit., pp. 54-56.
10 Ibid., p. 54.
11 Ibid., p. 56.
12 S. Moravia, Il pensiero degli Idéologues. Scienza e filosofia in Francia (1780-1815), Firenze 1974. E uno studio molto fine sul metodo volneyano di accesso alla realtà.
13 E. Bonnot de Condillac, Traité des systémes (1749), Paris 1821; Id., Art de raisonner (1776), Paris 1821, [trad. it. Corso di studio dell"Ab. Condillac per l'istruzione del principe di Parma oggi S.A.R. l'Infante di D. Ferdinando Duca di Parma, Piacenza, Guastalla, ec., ec., ec., Napoli, presso Donato Campo Regio impressore, a spese de’ fratelli Marotta, MCXXXCVI, Tom. IH, cap. VUI, Dell'oggetto dell'evidenza di fatto e come debba ella concorrere all'evidenza di ragione, p. 13].
14 M.C.F. Volney, Questions de statistiques à l'usage des voyageurs, Paris DI [D edizione con un’introduzione, Paris 1813, rist. Paris 1989], p. 665 (il numero della pagina si riferisce all’edizione del 1989).
15 E. Bonnot de Condillac, Traité des sensations (1754), Paris 1821 [trad. it. Trattato delle sensazioni, Bologna 1927, p. 13].
16 Id., Art de penser (1776), Paris 1821 [trad. it. Corso di studio cit., tomo IV, cap. IV, Dell'Analisi, p. 48].
17 H. Vérin, La gioire des ingénieurs. L'intelligence technique du XVIe au XVIIP siècle, Paris 1993.
18 M. Quaini, Appunti per un'archeologia del «colpo d'occhio». Medici, soldati e pittori alle origini dell'osservazione sul terreno in Liguria, in D. Moreno, L. Coveri, Studi di etnografia e dialettologia ligure in memoria di Hugo Plomteux, Genova 1983.
19 Volney, Questions de statistiques, ediz. 1989 cit., p. 666.
20 J. Goody, The domestication of thè savage mind, Cambridge 1977 [trad. it. L'addomesticamento del pensiero selvaggio, Milano 1981]; J.C. Perrot, Une histoire intellectelle de l'éco-nomie politique, XIP-XVIIP siècles, Paris 1992.
21 H. Laurens, L'expédition d'Egypte, 1798-1801, Paris 1989.
22 Description de l'Egypte ou recueil des observations et des recherche qui ont été faites pendant l'expédition de l'armée frangaise, 20 voli., Paris 1809-1822. H numero di pagina delle citazioni si riferisce a questa prima edizione.
23 M.W. Albin, Napoleoni Description de l'Egypte: problems of corporate authorship, in «Publishing History», 8, 1980, pp. 65-85.
24 Introduzione storica a Description cit., p. VI.
25 Description cit., voi D, seconda parte, L'Etat moderne, pp. 579-778, voi. I Planches Etat moderne, pi. 26-73.
26 E. Houth, Edme Jomard égyptien, in «Bulletin de l’Institut d’Egypte», 1933, pp. 259266.
27 Description... du Kaire, in Description cit, pp. 694-695.
28 Mémoire sur la ville d'Alexandrie, in Description cit., voi. H, VEtat Moderne, seconda parte, p. 297.
29 Description... du Kaire cit., p. 581.
30 Planches, Etat moderne, in Description cit., voi. I, pi. 15.
31 Description... du Caire, in Description cit., p. 580, così come la precedente citazione.
32 Planches, Etat moderne, voi. I, pi. 26.
33 Description ... du Kaire, p. 584.
34 Cfr. le vedute della residenza dell’Osman Bey e del palazzo di Kasim Bey in Planches, Etat moderne, voi. I, pi. 50 e 51.
35 Ibid., voi. I, pi. 54-55.
36 Description... du Kaire, p. 584.



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37 Mémoire sur l’agriculture, ['industrie et le commerce de l’Egypte, in Description cit., Etat moderne, voi. Il, p. 618.
38 Mémoire sur la construction de la carte de lEgypte, in Description cit., Etat moderne, voi. Il, seconda parte (pp. 1-118), p. 63.
39 Description... du Kaire, p. 658.
40 Ibid., p. 585.
41 Ibid., p. 663.
42 Ibid., p. 666 e Planches, Etat moderne, voi. I, pi. 32-38.
43 Reconnaitre, in Encyclopedie ou Dictionnaire raisonné cit., Neufchàtel 1765, voi. XIII, p. 862.
44 Description... du Kaire, p. 665.