STRATEGIE POLITICHE E FAMILIARI INTORNO AL BALIATICO. IL MONOPOLIO DEI BAMBINI ABBANDONATI NEL CANAVESE TRA SEI E SETTECENTO

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Title
STRATEGIE POLITICHE E FAMILIARI INTORNO AL BALIATICO. IL MONOPOLIO DEI BAMBINI ABBANDONATI NEL CANAVESE TRA SEI E SETTECENTO
Creator
Sandra Cavallo
Date Issued
1983-08-01
Is Part Of
Quaderni Storici
volume
18
issue
53 (2)
page start
391
page end
420
Publisher
Società editrice Il Mulino S.p.A.
Language
ita
Format
pdf
Relation
Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Italy, Einaudi, 1976
Rights
Quaderni storici © 1983 Società editrice Il Mulino S.p.A.
Source
https://web.archive.org/web/20231113090452/https://www.jstor.org/stable/43777162?saml_data=eyJzYW1sVG9rZW4iOiI4MGE5NDg4MC1lN2U4LTQwMGYtYjA1Yy1iMjAwZDY1NGFhYzUiLCJpbnN0aXR1dGlvbklkcyI6WyJlNDE3YzhkNS0wMWU2LTQ3NjEtYmUwNS03MjQ4NmQ2OGJlZDMiXX0
Subject
surveillance
discipline
confinement
extracted text
Strategie politiche e familiari intorno al baliatico.
IL MONOPOLIO DEI BAMBINI ABBANDONATI NEL CANAVESE TRA SEI E SETTECENTO - Sandra Cavallo
1. Negli ultimi decenni del XVII secolo alcune comunità del Canavese si assicurano il controllo degli affidamenti a balia degli esposti all'ospedale San Giovanni di Torino, stabilendo con l'istituto un rapporto preferenziale che si mantiene per oltre un secolo. Si tratta di un caso evidente di formazione e riproduzione di un canale di privilegio attraverso cui l'ospedale garantisce a questi territori l'accesso costante a una risorsa che, come vedremo, occupa un posto rilevante nell'economia e più in generale negli equilibri delle comunità.
Pur costituendo un aspetto relativamente marginale ed «esterno» all'attività assistenziale dell'istituto, l'analisi delle dinamiche che regolano la distribuzione dei ballotti permette di ricostruire le logiche caratterizzanti il funzionamento di un istituto di Carità in Ancien Régime. Il caso degli esposti documenta infatti lo scollamento esistente tra ideologia e pratica caritativa: meccanismi clientelarli dominano ampiamente il governo dell'opera e l'allocazione delle risorse che l'istituto può offrire, snaturando le formulazioni del disegno assistenziale e dando all'intervento caritativo un'impronta fortemente segnata dagli interessi particolari di chi controlla la gestione delle singole istituzioni.
La prima parte del lavoro si propone di ricostruire la genesi di questo rapporto preferenziale tra ospedale e comunità, le ragioni funzionali e non che sottendono la scelta di specializzare un'area come zona di baliatico. In particolare si sono intese rintracciare le connessioni tra potere nell'ospedale e potere locale, i canali di privilegio che permettono una distribuzione differenziata del baliatico in ambito territoriale.
Nei paragrafi successivi vengono presi in esame i modi in cui il forte afflusso di ballotto si inserisce nelle dinamiche locali delle comunità, e l'esercizio del baliatico è utilizzato nelle strate-




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gie economiche e demografiche delle famiglie. Anche qui logiche di discriminazione che favoriscono alcuni gruppi di famiglie determinano un accesso ineguale alla risorsa esposti nella comunità.
2. A Torino i bambini abbandonati vengono affidati all'ospedale San Giovanni, un'opera eretta principalmente per gli infermi e che non dispone di redditi specifici destinati al mantenimento degli esposti. Secondo quanto dichiara ima memoria compilata nel 1738 ^ l'ospedale ha accettato di accoglierli nel corso del XVI secolo su richiesta della Città, con l'esclusivo scopo di impiegarli al proprio servizio risparmiando sul personale salariato. Per una sorta di inerzia questi rimangono però a carico del San Giovanni per oltre due secoli fino alla ristrutturazione dell’assistenza operata dai Francesi che nel 1801 istituiscono un apposito Ospizio dei Trovatelli; il loro numero è crescente e ormai del tutto indipendente dai bisogni di mano d'opera interni. L'ospedale entra a più riprese in contrattazione con la municipalità e coi funzionari statali per ottenere lo sgravio di questa categoria di assistiti, rispetto alla quale ritiene di non avere obblighi ufficiali. La richiesta di intervento riguarda gli anni dell'adolescenza, e relativamente alle figlie anche quelli dell’età adulta, nei quali gli esposti, perlopiù inattivi, affollano l'ospedale occupando i letti destinati agli infermi e consumando i redditi loro destinati2.
I primi accordi con la Città, risalenti appunto al '500, garantiscono invece che il mantenimento degli esposti nei primi anni di vita sia a carico della municipalità3: abbandonati al San Giovanni, questi vengono subito affidati a balie esterne che li trattengono fino al compimento del 7° anno di età, riscuotendo un salario che proviene dalle casse municipali; sono quindi restituiti all'ospedale ad un'età in cui possono già essere utilmente impiegati in attività di lavoro, oppure rimangono presso i «balii4», o comunque nelle zone di baliatico, attraverso forme più o meno ufficiali di adozione.
Almeno formalmente, quindi, l'ospedale rifiuta sempre di riconoscere di propria competenza la questione esposti e si mostra reticente ad allestire al suo interno strutture che sanciscano la loro presenza nell'opera. In numerose occasioni, ad esempio, la Città cerca di istituire alcune balie stabili nell’ospedale che garantiscano perlomeno la sopravvivenza dei neonati nell'intervallo tra l’abbandono e il loro ritiro da parte delle nutrici esterne ma, forse temendo di estendere così l’assistenza agli esposti anche ai




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primi anni di vita, questo provvedimento incontra resistenze e sembra essere entrato realmente in vigore solo negli anni *30 del 7005.
Malgrado la riprovazione che a più riprese nelle sedute del Consiglio comunale colpisce l'immorale incuria con cui i bambini appena abbandonati vengono tenuti al San Giovanni, la negligenza dell'ospedale provoca un notevole alleggerimento della spesa che la Città deve sostenere: l'altissimo tasso di mortalità concentrato nei primi giorni di vita, è infatti il principale responsabile del contenimento del numero di esposti per i quali si paga l'allevamento. In seguito, nel periodo di baliatico, la mortalità, già di per sé più lieve, sarà ampiamente sottostimata grazie a meccanismi di protezione locali che coinvolgono le stesse figure di controllo: il Visitatore, un sovrintendente di zona incaricato dalla Città di retribuire ogni quadrimestre le balie, dopo aver verificato le condizioni del bambino, e i Parroci che devono rilasciare attestazioni di buona salute dei baliotti6. Come documentano i risultati delle ispezioni che saltuariamente la Città fa compiere nelle zone di baliatico, in un alto numero di casi essa continua a pagare fino, e anche oltre, al settimo anno, il mantenimento di esposti ormai morti7.
La non identità tra gli organismi preposti alla gestione economica e alla gestione reale dell'impresa degli esposti, sembra spiegare l'autonomia dalle direttive e dagli interessi della Città, con cui l'ospedale amministra giornalmente la distribuzione di baliotti. I primi controlli sulle balie spettano infatti al personale del San Giovanni che può assegnare il bambino solo a donne di cui sia provata la disponibilità di latte. Secondo un'Istruzione settecentesca, per evitare scambi, la balia deve addirittura presentarsi all’ospedale di persona, munita di una descrizione delle sue caratteristiche somatiche compilata dal Visitatore degli esposti il quale ha già verificato in sede locale la sua disponibilità di latte — che deve essere «non men fresco di mesi sei» — la situazione familiare, la presenza di altri baliotti8.
Ma né l'ospedale né il Visitatore assolvono con diligenza alla loro funzione di controllo. I libri in cui il tesoriere dell'ospedale legistra le uscite degli esposti e le famiglie cui sono stati assegnati, indicano spesso che non la balia ma il marito di questa ha ritirato il bambino; seguendo la cronologia degli affidamenti si notano poi delle concentrazioni per paese tali da suggerire la consuetudine di inviare un delegato della comunità a prelevare un certo numero di baliotti9. Infine la ricostruzione delle fami-



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glie di baliatico realizzata su una delle comunità in relazione agli affidamenti 173645, ha messo in luce la netta preferenza a introdurre il ballotto una volta svezzato il proprio figlio, quindi diciotto mesi circa dopo l’ultima gravidanza, e la frequente sovrapposizione di due o anche più baliotti di età ravvicinata presso la stessa balia.
Non si tratta di isolate trasgressioni ma di casi assolutamente comuni: la distribuzione degli esposti segue in modo generalizzato la logica delle strategie economiche e demografiche delle famiglie; queste, più che le Istruzioni della Città, definiscono modi e tempi deH'inserimento dei baliotti.
Gli «abusi» lamentati dalla Città trovano dunque complicità proprio negli organi preposti al loro controllo: il Visitatore stesso, in quanto appartenente ai luoghi di baliatico, non è estraneo alle pressioni locali e a logiche di favoritismo e di protezione verso le famiglie delle balie; l'ospedale d’altra parte, incalzato dal numero di esposti che continuano ad affluirvi, obbedisce principalmente alla necessità di sgravarsi del loro peso nel minor tempo possibile. Questo non si traduce in una distribuzione indiscriminata, che anzi non potrebbe assicurare ritmi regolari di assorbimento, ma semai nella creazione di una clientela fissa di balie che garantiscono lo smaltimento degli esposti, in parte anche indipendentemente dai ritmi di fecondità e dall’abbondanza di latte. All’esigenza dell’ospedale di stabilizzare il deflusso di esposti fa riscontro infatti, come vedremo, la specializzazione non solo di alcune aree ma di alcune famiglie di balie per più generazioni. Se dunque possiamo cogliere dei meccanismi di selezione nella pratica dell’ospedale, questi non coincidono comunque con quelli richiesti dalla Città.
3. L’affidamento a balia degli esposti del San Giovanni interessa costantemente zone di mezza-montagna, privilegiate probabilmente sia perché più salubri e meno sensibili a fenomeni epidemici, sia per la presenza diffusa, seppure complessivamente poco rilevante, deH’allevamento, che garantisce una continuità di latte permettendo il ricorso aH’alimentazione artificiale. Fino al 1658 non disponiamo degli elenchi delle balie ma gli Ordinati della Città fanno a più riprese riferimento alla Valle di Lanzo e a quella di Pont nel Canavese, come aree privilegiate di baliatico nella prima metà del XVII secolo. Nel 1662, ad esempio, il Consiglio nomina un Visitatore a Lanzo e prevede la retribuzione del parroco di Alpette come supervisore per la Valle di Pont10.




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Ma già nei primi anni per i quali sono conservati i registri degli affidamenti, a partire dalla seconda metà del secolo, resercizio del baliatico sembra essersi quasi completamente concentrato nel Canavese: nel 1659 ancora il 25% circa dei ballotti distribuiti neiranno sono inviati in altre zone (oltre che in Valle di Lanzo, in alcune comunità della bassa Val di Susa e della collina torinese), ma già negli anni 70 questi si sono ridotti a poche unità e nel decennio successivo risoluto monopolio del Canavese sembra ormai affermato.
Le comunità che registrano il maggior afflusso di esposti presentano modelli di sussistenza molto simili: il loro territorio è costituito perlopiù di castagneti, e da poco aratorio alternato con viti; sono caratterizzate da un’alta densità di popolazione che rende i prodotti locali insufficienti al sostentamento degli abitanti; spesso i raccolti subiscono inoltre forti riduzioni per le frequenti tempeste e per le brine. I particolari sono perciò costretti a vendere buona parte della produzione di vino, sottraendola all'alimentazione delle famiglie, soprattutto per far fronte alle taglie, malgrado il basso prezzo che se ne ricava «per essere immaturo come territorio troppo vicino alla montagna». Anche il bestiame è nel suo complesso scarso per la ristrettezza dei pascoli e viene allevato quasi esclusivamente per il consumo interno e per la manutenzione dei terreni. Gli abitanti ricorrono inoltre sistematicamente all'emigrazione stagionale, in parte vendendo la propria forza-lavoro nell’immediata pianura come giornalieri, ma soprattutto assentandosi dalla comunità per sei o anche otto mesi l'anno nel periodo invernale11.
Malgrado l'analogia delle condizioni socio-economiche ed ecologiche, il vasto territorio variamente interessato dal baliatico può essere distinto in un certo numero di aree, che in periodi successivi si guadagnano il controllo di questa risorsa. Il fenomeno sembra seguire cioè dinamiche di attrazione ed esclusione di territori specifici. La ricostruzione di questi spostamenti di influenza è stata condotta sulla serie continua più estesa di dati di cui disponiamo, il periodo cioè 1658-90.
In base alla cronologia della distribuzione dei ballotti, abbiamo aggregato le comunità che sembrano seguire logiche analoghe di preferenzialità in quattro aree: il territorio ancora pianeggiante del Valpergato in cui, malgrado l'ampio numero di comunità investite in certi periodi del fenomeno (Valperga, Fa-vria, Rivara e Forno, San Ponzio, Oglianico, Busano e Salassa), il numero di baliotti non raggiunge mai valori molto alti; le tre



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comunità di montagna della Valle di Pont (Pont, Alpette, Sparo-ne) in cui l'afflusso di esposti è invece proporzionalmente forte; i paesi della Valle dell'Orco sovrastanti Cuorgné, dove pure il baliatico assume forme di specializzazione (Cuorgné, San Colombano, Canischio, Pertusio, Prascorsano, Pratiglione) ; e infine le comunità della Valle di Castelnuovo che gravitano su Castella-monte (Borgiallo, Colleretto, Chiesanuova, Salto, Priacco, Cintano, Sale, Castelnuovo).
Le aree identificate rispetto alla frequenza e ai tempi con cui sono investite del fenomeno baliatico, oltre che zone di diversa influenza politica, corrispondono a quattro circuiti di scambio e di relazioni: a parte la zona di Valperga che ha comunque con questa risorsa un rapporto più occasionale, Pont, Cuorgné e Castellamonte costituiscono per le povere comunità di montagna che ad essi fanno riferimento i centri di pianura più prossimi, sedi amministrative e di mercato e i primi poli dell'emigrazione temporanea e congiunturale. Il territorio di Castellamonte, che è stato oggetto di analisi più dettagliata, sembra ricalcare anche un’area di relativa endogamia.
Negli anni presi in considerazione sembra operarsi un importante spostamento nella destinazione dei ballotti: l’area di Cuorgné che assorbe il maggior afflusso di esposti all’inizio del periodo, perde il suo primato a favore di ima zona di nuova specializzazione che in precedenza è solo tangenzialmente, e più per effetto della saturazione delle aree limitrofe, toccata dal fenomeno del baliatico. Alla fine degli anni ’80 il territorio legato a Castellamonte si afferma come principale polo di attrazione degli esposti inviati a balia, in rapporto al massiccio declino della Valle dell’Orco ma anche a quello più lieve delle altre due zone.
Possiamo seguire lo svolgimento di questo processo nella Tabella 1. Le variazioni effettive del peso del baliatico in rapporto alla risorsa latte delle comunità possono essere valutate solo su periodi più lunghi dell’intervallo annuale: la considerazione degli affidamenti a balia anno per anno fa registrare infatti forti sbalzi da attribuirsi ad effetti di compensazione (i cali bilanciano le punte di afflusso degli anni precedenti). Perciò, assumendo come intervallo la durata della permanenza dei bambini presso le balie, i dati sono stati aggregati in periodi di 7 anni consecutivi, per appiattire appunto le oscillazioni annuali, e vengono messi in relazione al numero totale di ballotti distribuiti nel settennio.




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Tabella 1. Distribuzione dei ballotti nel Canavese (1658-90).
1658-64 % 1665-71 % 1672-78 % 1679-85 % 1688-90 %
CASTELLAMONTE e Valle di Castelnuovo (con Salto) 157 18,4 340 32,9 444 42,8 499 53,3 348 63,9
PONT e Valle di Pont 120 14,1 121 11,7 115 11,1 149 15,9 51 9,4
VALPERGA e Valpergato 78 9,2 123 11,9 127 12,2 68 7,3 36 6,6
CUORGNE’ e Valle dell’Orco 373 43,8 349 33,7 295 28,4 209 22,3 107 19,6
CASTELLAMONTE e Valle di Castelnuovo (senza Salto) 31 3,6 167 16,1 235 22,6 412 44,0 249 45,7
N. totale di baliotti distribuiti nel settennio 851 1.035 1.038 937 545
Non disponendo dei dati per il biennio 1686-87 i valori degli ultimi tre anni possono essere utilizzati solo come proiezione dell'esito del processo.
Un ulteriore elemento di complessità si inserisce però nella lettura del trend di affidamenti. La comunità di Salto ha infatti un comportamento anomalo rispetto agli altri paesi della Valle di Castelnuovo, alla quale è tuttavia geograficamente assimilabile: essa registra forti presenze di baliotti già nei primi anni e mantiene anche in seguito il carattere di centro specializzato di baliatico. Compresa orograficamente nella Valle di Castelnuovo — seppure ai limiti con quella dell'Orco —, Salto ha però una doppia identità politica nel corso del '600: tradizionalmente posta sotto il dominio dei Signori di Valperga essa fa parte di una zona di influenza diversa da quella delle altre comunità della Valle; nella seconda metà del secolo Salto passa però in retrofeudo agli Ayra e ai Carino12, una famiglia questa che ritroveremo anche in seguito e che è invece strettamente legata al resto della



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Valle di Castelnuovo e a Castellamonte. La doppia lealtà feudale di Salto e i riflessi che questa sembra avere sulla sua attività di baliatico, indica l'importanza dell'identità politica come criterio di definizione di un territorio e di interpretazione dei comportamenti.
Queste considerazioni mi hanno indotto dunque a distinguere l'andamento dei paesi della Valle di Castelnuovo da quello particolare della comunità di Salto, separando i dati relativi ai primi in una colonna a sé stante.
Come è evidente nel primo periodo l'afflusso di ballotti nella zona di Castellamonte è molto basso: considerando a parte i valori di Salto già altissimi, solo 31 esposti vengono distribuiti in questo settennio nella zona. L'espansione del 1665-71 è forte, ma sembra riflettere soprattutto la dilatazione del numero totale di esposti inviati a balia in questi anni rispetto al periodo precedente: non a caso anche il Valpergato, zona in cui, come abbiamo detto, il baliatico non assume forme di specializzazione, cresce in questi anni, forse in risposta alla saturazione delle altre due aree. Nei sette anni successivi, alla stabilità del numero complessivo dei ballotti fa riflesso quella delle zone di Pont e di Valperga. L'ascesa della Valle di Castelnuovo corrisponde al declino di quella dell’Orco.
Ma è nel periodo 1679-85 che la sostituzione di una zona all’altra subisce un’accelerazione, particolarmente significativa se consideriamo la diminuzione del numero totale degli esposti che impone interpretazioni non meccaniche del fenomeno; inoltre, protagonisti del poderoso assorbimento di ballotti (+22% rispetto agli anni precedenti) sono soprattutto i paesi della Valle perché a Salto si registra anzi una flessione. La zona di Castellamonte stabilisce qui una netta supremazia che viene confermata anche, insieme al forte declino di Cuorgné, dai dati dell’ultimo triennio.
Ora la diffusione del baliatico a Castellamonte e nei paesi della Valle di Castelnuovo non è attribuibile ad imo straripamento del fenomeno dalle zone limitrofe provocato da una crescita di domanda che non si riesce a fronteggiare. Se non motivata in termini demografici l’attrazione di esposti nella zona di Castellamonte può essere spiegata solo con un mutamento della destinazione dei ballotti, con una scelta preferenziale che asseconda la specializzazione di un’area a scapito di altre prima privilegiate. Siamo di fronte cioè ad una competizione tra unità territoriali nella quale sembrano entrare in gioco elementi di peso ben più




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determinante della contrattazione che i particolari delle comunità possono stabilire direttamente con l'ospedale.
Un prestigioso elemento di mediazione tra potere locale e istituzione si stabilisce infatti, proprio in questi anni, in seguito al matrimonio del Conte Bernardino Carroccio, figlio primogenito del Primo Presidente della Camera dei Conti Pietro, e la figlia ed erede del Conte Amedeo di Castellamonte, uno dei membri del Consortile che governa il contado. Le nozze avvengono nel 1667 e a partire dal 1682, con la morte del suocero, Bernardino si trova ad amministrare i beni della moglie — di cui verrà più tardi investito il figlio Pietro Ignazio —, avviando sull'area di nuova influenza una politica di espansione del potere territoriale della famiglia ma prestando anche particolare cura alla creazione di un'immagine di prestigio e di magnanimità in sede localeB.
Parallelamente allo svolgersi di tale processo di consolidamento territoriale e di status a Castellamonte, un membro della famiglia occupa ima posizione di particolare autorità all'interno dell'ospedale San Giovanni di Torino. Dal 1658 al 1716 il Canonico Ignazio, fratello del Presidente Pietro, è infatti Rettore e Presidente della Congregazione dell'ospedale. Il nipote Tommaso, fratello di Bernardino, eredita la carica dello zio un mese dopo la sua morte e la mantiene fino al 1756. I Rettori che presiedono aH’amministrazione dell'opera sono otto, quattro laici e quattro ecclesiastici, ma la frequenza della loro comparsa agli atti e ai momenti decisionali, agli incontri coi rappresentanti del re, segnala solo per alcuni una partecipazione effettiva alla gestione dell'ospedale mentre per altri la carica non comporta che la saltuaria presenza alle sedute della Congregazione. Soprattutto Tommaso Carroccio sembra svolgere un ruolo particolarmente attivo: risiede nell'ospedale, e in occasione di sua indisposizione la Congregazione si riunisce a casa del fratello dove egli si trova infermo, è uno dei due Procuratori Fiscali dell'ospedale, è delegato dell'opera nelle contrattazioni coi funzionari statali14.
È difficile non mettere in relazione i problemi di integrazione che i Carroccio incontrano nell'area di nuova influenza con le possibilità che derivano loro dalla autorevole posizione rivestita da Ignazio prima, da Tommaso poi all'ospedale San Giovanni. l'attrazione degli esposti verso il territorio di Castellamonte può trovare dunque una spiegazione nei nuovi canali di mediazione con l'istituzione che tale zona vanta ora rispetto alle altre aree di baliatico.
Sicuramente i due Canonici Carroccio hanno tutta l'autorità



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all'interno dall'ospedale per assecondare una distribuzione dei ballotti e degli altri vantaggi che l'ospedale può elargire attraverso gli esposti (doti, adozioni retribuite) che favorisca la politica territoriale della famiglia. In alcune occasioni l'azione di Tommaso soprattutto, volta a sgravare l'ospedale dal peso degli esposti, è molto intensa e si traduce in evidenti benefici per le zone di baliatico: nei difficili anni '30 e '40 del Settecento egli conduce una serrata contrattazione col Conte Caissotti, protettore dell’ospedale e attraverso la sua mediazione ottiene nel 1734 dalla Città il prolungamento del baliatico per i maschi fino ai 10 anni come misura stabile, quello delle femmine invece, limitatamente agli anni di crisi, a partire dal 1739. Inoltre, sempre per diminuire il sovraffollamento di cui l’ospedale soffre in questo periodo, anche i figli sani delle ricoverate vengono affidati in questi anni critici ai paesi in cui si inviano gli esposti a balia.
4. Se riteniamo che la distribuzione territoriale del baliatico sia correlata anche ad elementi di protezione e di clientelismo si tratta ora di motivare l’omogeneità politica tra la Valle di Ca-stelnuovo e la comunità di Castellamonte che, almeno nominalmente, non è così evidente. Le famiglie nobili che vantano anticamente il dominio sulle comunità della Valle sono alcuni rami dei San Martino: nel caso dei paesi posti più a monte, cioè Cintano, Villa Castelnuovo e Sale, sui quali hanno la superiorità i San Martino Castelnuovo, possessori al tempo stesso di una cospicua porzione di giurisdizione e beni feudali a Castellamonte15, esiste una continuità evidente con il potere nobiliare nel centro di pianura. Riguardo alle comunità di mezza montagna invece, il collegamento con Castellamonte non corrisponde alle reti del potere feudale: i Conti San Martino Strambino e i d’Agliè, investiti del dominio su queste zone, sono infatti estranei al Consortile di Castellamonte, non risiedono nel luogo e i loro interessi sono concentrati altrove. A Chiesanuova, Borgiallo e Colleretto la presenza del feudatario è più nominale che reale: i Signori si limitano a esigere i frutti della giurisdizione, e i possedimenti feudali, quasi completamente affrancati, si esauriscono nelle quattro giornate occupate dal modesto castello e «sitti» che il Conte di Strambino possiede ancora a Colleretto.
I San Martino di Castelnuovo al contrario sono particolarmente attivi non solo nei territori soggetti al loro dominio — nei quali risiedono stabilmente — ma anche nelle zone limitrofe: a partire dagli anni ’80 del ’600 e con maggior vigore nei primi due decenni




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del 700, Ruggero e poi Pompeo sono spesso appaltatori dei redditi annuali di forni e pedaggi a Castellamonte e di numerosi censi prestati sia alle comunità che ai particolari in diversi paesi della Valle16.
Ma il più forte dinamismo sul territorio è espresso da alcune figure di notabili — medici, avvocati, notai — che rivestono a più riprese cariche amministrativo-giudiziarie e soprattutto fiscali nelle diverse comunità della zona, mantenendo spesso la carica per più generazioni aH'interno della famiglia. Il raggio dell'attività imprenditoriale di questi personaggi definisce come area di influenza il territorio considerato e dà un'identità politica unitaria, al di là della geografia del potere feudale, alla Valle di Castelnuovo e al contado di Castellamonte.
Un esempio biografico può meglio illustrare quanto detto: nel testamento dell'avvocato Carlo Franco Garino di Colleretto rogato nel 1696, troviamo documentate le fasi della sua carriera e gli esiti della sua politica territoriale. Esattore delle taglie nel paese d'origine negli anni '40, vanta ancora parecchi crediti nei confronti dei particolari di Colleretto; negli anni '60 è giudice di Castellamonte e, consecutivamente tra 1679 e 1687, esattore della comunità. Tra i redditi più rilevanti conseguiti nella sua attività di prestatore di crediti troviamo il censo di 2000 lire sulla comunità di Colleretto e quello di 1100 lire su quella di Priacco. Come in altre carriere analoghe, l'investimento in beni stabili sembra essere stato limitato rispetto a quello in denaro: il patrimonio fondiario comprende solo le due cascine esistenti nelle fini di Castellamonte e Colleretto (con 29 giornate di terreno). Più rilevante l'investimento in prestigio attraverso l'acquisizione di diritti feudali provenienti da rami decaduti dei Signori di Castellamonte — due fitti enfiteutici e un mese ogni tre anni di gurisdizione —, e tramite il consolidamento dei beni e ragioni già acquistati dal suo predecessore a Salto, dai Valperga e dai S. Martino, antichi feudatari del luogo — i redditi sui forni e pedaggi, 7 mesi e dieci giorni di giurisdizione, oltre al castello —. I figli di Carlo Franco sono già in questi anni esattori della comunità di Colleretto.
Quella di Garino costituisce una traiettoria tipo che troviamo ricalcata da una serie di famiglie — i Gallenga, i Cauda, i Vercellino,... — che analogamente fondano il loro potere sulle diverse comunità della zona, attraverso l'esercizio della carica di esattori e come prestatori di denaro. Il pagamento delle taglie costituisce infatti un problema drammatico per gli abitanti della



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Valle e il debito verso gli esattori e i loro eredi si accumula e si trascina di generazione in generazione, dando luogo a frequenti aggiudicazioni di beni.
In un'economia fondata eminentemente sull’autoconsumo, la quasi totale assenza di commercializzazione e quindi di moneta fa sì che la circolazione dei crediti costituisca l’oggetto della gran parte delle transazioni: le doti vengono perlopiù pagate con scritture d’obbligo o con la cessione di crediti verso terzi (o addiritura alcuni matrimoni sembrano combinati per saldare o diminuire un antico debito esistente tra le famiglie dei contraenti); il mercato della terra è in gran parte costituito da vendite apparenti che sono in realtà ipoteche su qualche bene stabile, per trasferire sull’acquirente parte dei propri debiti. I problemi di reperimento di denaro liquido che si fanno pressanti soprattutto rispetto agli obblighi fiscali, fondano quindi il potere di coloro che maneggiano denaro e che tengono in qualche modo le maglie del mercato del credito: un potere economico che diventa relazionale e politico, perché offre la possibilità di usare protezione o rigore verso i debitori, condonando o prorogando i reliquati di taglia, o facendo procedere all’aggiudicazione dei beni.
Il baliatico costituisce dunque in questa situazione una importante fonte di denaro dell’economia locale: le 25 lire annue che la Città paga alle nutrici per l’allevamento di un esposto, rappresentano un’entrata tutt’altro che disprezzabile se pensiamo che tre o quattro anni del salario di ima balia equivalgono alla dote comunemente pagata dalle fasce più povere per sposare una figlia. Ma il baliatico è una risorsa rilevante soprattutto per il suo valore relativo, in quanto pagato in denaro liquido. Non a caso il solo contratto stipulato con la Città permette già di utilizzare la futura retribuzione per il ballotto, come moneta di scambio nel circuito dei crediti. Nel 1729 ad esempio Giovanni del fu Domenico Savoia rimette a Giò Batta Bosio per le doti della sorella Benedetta «il libro di un esposto dell’ospedale per esigerne il bailaggio sino all’importo delle lire 81 accordate per instrumento 14-5-1718»17.
Ora ci sembra interessante osservare come la carica di esab tore coincida con quella di Visitatore degli esposti. Solo nel 1733, infatti, si ha un riconoscimento istituzionale della supremazia di Castellamonte come area di baliatico, attraverso il trasferimento dell'incarico di Visitatore, prima affidato al Signor Cugnonato di Valperga, ad un personaggio di Castellamonte18. Si tratta del Signor Antonio Cauda, figlio del medico Franco esattore di Castel-




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lamonte negli anni '90, che manterrà la carica di Visitatore fino al 1755. Antonio insieme al fratello Giuseppe è anch'egli a più riprese esattore della comunità già dai primi anni del secolo19. Proprio la figura che vanta quindi straordinarie dipendenze da parte degli abitanti, verso la quale tutti, chi più chi meno, sono debitori, è quella che per 30 anni amministra localmente l'importante risorsa del baliatico.
L'ipotesi che la distribuzione dei baliotti segua canali preferenziali, che favoriscono aree territoriali e addirittura famiglie a scapito di altre, trova quindi ulteriore sostegno nel fatto che la mediazione con l'ospedale sia affidata ad una figura così coinvolta nei meccanismi politici locali. In questo caso il Visitatore sembra inoltre vantare relazioni che gli assicurano rapporti di privilegio e forse di connivenza con l'ospedale, l'altro organo incaricato di selezionare le balie. Tra la famiglia Cauda e il grande feudatario Carroccio intercorrono infatti legami di particolare benevolenza: oltre alle transazioni economiche che passano tra di loro mi sembra significativo il riconoscimento che essi ricevono nello stesso anno in cui Antonio diviene Visitatore attraverso la nomina del terzo fratello, il Reverendo Michele, a Cappellano della Cappella che i Conti posseggono nel Castello di Castellamonte 2°.
Se la responsabilità di Cauda, che è il mediatore ufficiale di questa risorsa, nel favorire una distribuzione differenziata del baliatico può sembrare più evidente, altri interessi entrano sicu-xamente in gioco nell'esplicazione dei canali preferenziali che questa segue. Solo una ricostruzione dei legami politici in ambito locale ben più particolareggiata di quella che qui proponiamo, può motivare il meccanismo dei favori e delle esclusioni. È indubbio comunque che, accanto a fattori certo non trascurabili di ordine demografico, la logica delle attribuzioni a balia segue ampiamente una logica politica.
5. Alcune zone del Canavese stabiliscono dunque un rapporto privilegiato con l'ospedale San Giovanni di Torino, garantendosi per oltre un secolo il monopolio degli affidamenti a balia dei bambini che in esso vengono abbandonati: l'esercizio del baliatico diviene una delle attività peculiari delle comunità e il flusso degli esposti una risorsa stabile e continuativa a cui le famiglie possono far ricorso. Cerchiamo dunque di definire le logiche dell'inserimento dei baliotti nel ciclo economico e riproduttivo delle famiglie prendendo in esame il caso di un paese della Valle di



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Castelnuovo, la zona che, come si è visto, diventa a partire dagli ultimi decenni del '600 uno dei poli di assorbimento degli esposti inviati a balia.
Colleretto di Castelnuovo dispone di fonti molto ricche relative a tutto l’arco del ’700, grazie alle quali è stato possibile ricostruire un quadro relativamente dettagliato della situazione delle famiglie di baliatico in rapporto ad un elenco completo di affidamenti conservato per il decennio 1736-4521.
La comunità ricalca ampiamente le caratteristiche ecologiche già segnalate come tipiche delle zone di baliatico. La popolazione (nel 1734 si contano 933 anime di cui 803 maggiori di 5 anni, 130 minori) è numerosa rispetto alle limitate risorse del territorio22. Delle 1971 giornate di terreno, 214 (ossia il 10,9%) sono costituite da aratorio alternato con viti, seminato nei terreni migliori 2 anni a segala e 1 anno a meliga, da cui si ricava un prodotto comunque insufficiente ai bisogni locali; 433 giornate sono a prato (il 22,0%), solo 1/3 delle quali produce due fienagioni; 528 sono coperte di castagneti (26,8%) — e le castagne costituiscono la principale base alimentare degli abitanti —; 13 di bosco selvatico (0,7%) e 340 di pascoli e gerbidi (17,3%), che danno un magro contributo al sostentamento del bestiame che vi si alleva23. La presenza di pecore (tra i 350 e i 500 capi alle varie Consegne), diffuse in poche unità presso tutti i nuclei domestici, si limita a coprire i bisogni alimentari delle famiglie e permette in qualche caso la produzione di un po’ di formaggio da smerciare «nelle terre circonvicine». Il numero relativamente alto di bovini (circa 250 capi ai vari censimenti), perlopiù non di proprietà ma presi in affitto per 2/3 dell’anno dai paesi della pianura, contendono i pascoli, già limitati, al bestiame proprio degli abitanti.
Anche qui dunque, analogamente alle altre aree di baliatico, un’economia uniforme, una coltura promiscua evidentemente orientata verso l’autoconsumo, ma insufficiente al mantenimento della popolazione per tutto l’anno, viene integrata da molte altre attività, tra le quali assume particolare rilevanza l’esercizio del baliatico. Il massiccio ricorso all’emigrazione assume due forme: una più congiunturale e che riguarda anche alcune componenti della popolazione femminile, che attira mano d’opera nella pianura verso Chivasso al tempo della sarchiatura del mais e dei raccolti; una più regolare ed esclusivamente maschile, che ogni anno allontana dalla comunità buona parte degli uomini, nei mesi in cui il territorio si copre di neve e diminuisce il bisogno di braccia nel paese24. All’emigrazione maschile, che costituisce dunque




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un fenomeno strutturale dell'economia locale, fa riscontro una esaltazione del ruolo delle donne nella comunità: ad esse viene demandata per 608 mesi l’amministrazione dell’impresa domestica e degli interessi della famiglia. Talvolta troviamo le mogli sostituire i mariti anche in occasioni ufficiali e di rilievo come le transazoni concluse davanti al notaio e le sedute del consiglio di comunità25. Per buona parte dell’anno il paese rimane popolato da una prevalenza di donne e di bambini — oltre ai propri figli, gli esposti dell’ospedale che superano in questi anni il centinaio26 —: durante la lunga assenza maschile, donne e bambini lavorano la canapa e confezionano cesti ed altri manufatti per il consumo interno e per il piccolo commercio27.
L’esercizio sistematico del baliatico costituisce anch’esso un modo per monetizzare la sedentarietà che caratterizza una componente della popolazione femminile. Spesso troviamo donne impegnate ad allattare per anni: la loro specializzazione come balie sembra un fenomeno riconducibile da un lato al limitato impiego della forza lavoro femminile in ima situazione in cui alla scarsa estensione del territorio coltivabile fa riscontro un surplus di popolazione; dall’altro al bisogno di mantenere, malgrado le forti oscillazioni della presenza maschile, l’identità famiglia-territorio, attraverso la stabilità di una componente del nucleo domestico.
L’emigrazione costituisce infatti una forma regolare ma solo temporanea di alleggerimento del sovrannumero di abitanti; la comunità è sottoposta a forti variazioni periodiche della popolar zione maschile ma non pratica espulsioni definitive. Anche il modo di trasmissione del patrimonio tende a riprodurre la continuità della residenza: non prevede infatti sistemi di privilegio e di esclusione tra i figli ma la ripartizione equa dei beni stabili tra maschi e la dotazione in denaro delle femmine. È evidente che la divisione tra gli eredi costituisce un momento critico per la gran parte delle famiglie. Come si può osservare nella Tabella 2, che raggruppa i proprietari in base alle lire di registro (i punteggi teorici indicativi del valore della terra sui quali veniva calcolata di anno in anno l'imposta), la maggior parte della popolazione si concentra infatti nelle prime tre fasce di proprietà, su aziende cioè di piccole dimensioni che non coprono interamente le esigenze di autoconsumo familiare.
Presso queste classi la presenza di più di due figli maschi crea già dei problemi perché il frazionamento eccessivo della esigua proprietà rischia di rompere l’instabile equilibrio tra risorse



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Tabella 2. Registranti ripartiti per le lire di registro.
0-1 1-2 2-3 3-4 4-5 5-6 6-7 7-8 8-9 9-...
62 57 43 14 12 9 7 2 — 5
e autoconsumo. In questi casi il sistema ereditario in vigore in tutta la Valle di Castelnuovo e nel territorio di Castellamonte prevede, di fronte a un numero esorbitante di eredi, il ricorso al meccanismo della «surrogazione». I maschi in eccesso, collocandosi in matrimonio presso famiglie che hanno solo figlie femmine, vengono «surrogati in casa» del suocero, cioè «sostituiti» all’erede maschio mancante. Lo sposo, privato dei suoi diritti sull’eredità paterna, entra allora nella casa della moglie portando una dote in denaro — equivalente alla somma che si sarebbe sborsata per ima figlia —, ne assume il cognome e si impegna a fare di questa la sua dimora. Si opera quindi una sorta di rovesciamento sessuale in cui è la donna a recare i beni stabili e il nome. Solo rispettando queste condizioni, garantendo cioè la continuità della casa e del nome d’acquisto, l’uomo ottiene il diritto ad ereditare i beni della moglie e a trasmetterli ai figli nati sia da questo che da eventuali successivi matrimoni. Nel caso rimanesse vedovo egli dovrà infatti portare in casa le nuove spose; decidendo invece di entrare in un’altra famiglia potrà richiedere soltanto la restituzione della sua dote.
Il meccanismo della «surrogazione» costituisce dunque una forma di scambio di persone che interviene su una distribuzione disfunzionale non del numero ma del sesso dei figli: sostituendo i maschi alle femmine e le femmine ai maschi, si ristabilisce infatti, nella trasmissione dei beni, un equilibrio «di genere» che presume tuttavia sempre un forte contenimento del numero dei figli di ambo i sessi, in rapporto alla scarsa consistenza della eredità. La necessità di limitare il numero degli eredi, cruciale per le fasce medio-povere della popolazione, rimane cioè affidata — in assenza di forme di discriminazione della trasmissione del patrimonio e di significativi livelli di emigrazione duratura — principalmente al contenimento delle nascite. Il baliatico raggiunge, come vedremo, proprio presso questi gruppi forme specialistiche: oltre che sotto il profilo della sua evidente funzione



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economica, esso va forse preso in considerazione anche per gli effetti che induce sul ritmo riproduttivo della coppia.
6. Nella Tabella 3 è riportata la distribuzione degli esposti inviati a balia a Colleretto nel decennio 173645 presso famiglie appartenenti alle diverse classi di reddito, definite come si è detto in base alle lire di registro; la percentuale di famiglie che allevano ballotti è stata ovviamente calcolata sul numero delle coppie fertili, ricostruendo sui registri dei battezzati la loro attività riproduttiva nel periodo esaminato. L'esercizio del baliatico si configura in primo luogo come un fenomeno relativamente generalizzato che, pur concentrandosi nelle prime classi di reddito, è presente in percentuali rilevanti anche presso i medi proprietari e non esclude nemmeno i gruppi sociali più elevati.
Tabella 3. Rapporto tra coppie fertili, esercizio del baliatico e classi di reddito.
Senza terra 0-1 1-2 2-3 3-4 4-5 5-. .
Coppie fertili 32 37 38 26 11 9 17
Coppie con baliotti 17 24 13 12 3 2 2
% 53,1 64,8 34,2 46,2 27,3 22,2 11,7
Tabella 4. Rapporto tra gravidanze, assunzione di baliotti e livelli di autoconsumo.
Salariati senza terra 0-0,6 Piccoli proprietari 3-4 Medi proprietari
0,7-1 1-2 2-3 4-5 5-. .
Coppie con baliotti 28 13 13 12 3 2 2
Gravidanze 64 36 28 28 6 4 4
Baliotti 32 28 25 18 3 2 3
% 50,0 77,7 89,2 64,3 50,0 50,0 75,0



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Grafico 1.
%
90-1
...... rapporto (%) tra coppie fertili e coppie che esercitano il baliatico per classi di reddito.
------ rapporto (%) tra numero delle gravidanze e numero dei baliotti nelle coppie di baliatico per classi di reddito.
Tali dati si limitano però a misurare, nel rapporto tra coppie di balii e coppie fertili, l’estensione del fenomeno lungo la scala sociale e sono solo parzialmente indicativi della reale incidenza del fenomeno. Più significativa appare a questo proposito la frequenza con cui tale pratica ricorre presso le singole famiglie, il ritmo cioè con cui gli esposti vengono inseriti nel ciclo riproduttivo della coppia: considerando la relazione tra gravidanze e assunzione di baliotti (Tabella 4), l’esercizio del baliatico assume




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livelli di specializzazione diversi tra le famiglie interessate. Il rapporto tra proprietà e autoconsumo sembra determinante nel definire il ruolo che rallevamento di esposti occupa nel ciclo familiare. Un'assunzione sporadica di baliotti caratterizza, al pari dei nullatenenti, i registranti più poveri dotati di proprietà così esigue da dover ricorrere al lavoro salariato per la produzione della parte prevalente del loro reddito e a forme di emigrazione che coinvolgono anche l’intero nucleo: abbiamo dunque considerato insieme, nella categoria dei salariati, il comportamento dei senza terra e di questi piccolissimi proprietari, stabilendo approssimativamente a 0,6 lire di imponibile il limite tra proprietà del tutto o solo parzialmente incapaci di garantire la sopravvivenza della famiglia. Una pratica sistematica di baliatico interviene invece a più riprese presso i detentori di proprietà anche modeste (da 0,7 a 3 lire di registro) ma che, per la maggior razionalità della composizione della coltura, permettono di ricavare una quota rilevante di autoconsumo dai frutti della tema.
Diversi modelli di sussistenza dunque sembrano corrispondere anche ad un uso differenziato del baliatico. Presso la fascia dei giornalieri e dei piccolissimi registranti, privi spesso di casa propria e possessori solo di poche tavole di monocoltura, ad un alto livello di natalità fa riscontro un limitato numero di esposti a balia; tendenzialmente i baliotti vengono inoltre introdotti (nel 70% dei casi) in concomitanza con la morte del figlio che si stava allattando; quando questo sopravvive si preferisce invece non interrompere, prolungando l'allattamento, l’attività riproduttiva caratterizzata presso questo gruppo da ritmi molto intensi. Tra i piccoli proprietari, compresi soprattutto nella seconda e terza classe di reddito, ad un limitato numero di figli corrisponde un alto numero di baliotti, che vengono sistematicamente inseriti negli intervalli intergenetici, una volta svezzato il proprio figlio. Mentre per la popolazione fluttuante il baliatico sembra dunque costituire una risorsa occasionale ed eminentemente economica, a cui si fa ricorso perlopiù in seguito alla perdita di un figlio per monetizzare un bene, il latte, che andrebbe sprecato, per le famiglie medio povere, ma stabili e con livelli più alti di autoconsumo, l’attività di balia rappresenta un impiego consolidato e continuativo della sedentarietà femminile.
Presso questo gruppo gli esposti si alternano alle nascite e talvolta si succedono l’uno all’altro: è evidente che il prolungamento artificiale dell’allattamento che così si ottiene, oltre a massimizzare una fonte di reddito, ha anche l’effetto di ritardare



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nuove gravidanze. Nella gran parte dei casi l'assunzione di baliot-ti sembra funzionare effettivamente da distanziatore tra nascite successive. Il baliotto è introdotto tra i 12 e i 20 mesi dall'ultimo parto e determina il raddoppiamento del periodo di allattamento; di solito il concepimento successivo si ha non prima di 12-18 mesi dall'arrivo dell'esposto, tra i 2 e i 4 anni quindi dall'ultima nascita. Caterina Fontana ad esempio partorisce nel 1736 Gioanina, che muore circa a un anno di vita nel settembre '37; prima di perdere il latte i coniugi Fontana prelevano un figlio dell'ospedale. A distanza di 1 anno e 7 mesi l’allattamento viene ulteriormente protratto ritirando un altro esposto. La seconda figlia nasce nell'aprile '41, concepita quindi a 1 anno e 2 mesi dall'arrivo del secondo baliotto e a 4 anni e mezzo dal parto precedente. Quando Gioanna ha poco più di 1 anno le viene affiancato un nuovo baliotto, che però muore ed è sostituito nel giugno '43 da un altro esposto del S. Giovanni. Fino all'autunno '45 i coniugi Fontana non battezzano nuovi figli. Nell'arco di 10 anni Caterina ha dunque svezzato 4 figli dell’ospedale e portato a termine solo due gravidanze.
Il baliatico sembra funzionare come misura anticoncezionale, anche se in modo non sempre efficace; talvolta la regolarità degli intervalli è alterata rispetto all'andamento tipo prima indicato e interrotta da parti ravvicinati. Pur senza avanzare spiegazioni meccanicistiche, è difficile non rilevare gli effetti di contenimento demografico che ima pratica così sistematica del baliatico poteva avere; non a caso poi questa caratterizza proprio il gruppo che, come abbiamo suggerito, sembra avere maggiori preoccupazioni di trasmissione della proprietà e di limitazione degli eredi.
Anche presso le fasce di reddito più elevate il baliatico si presenta infine in forme peculiari: qui interessa principalmente coppie appena costituite, che vivono in famiglie allargate composte da diversi nuclei domestici. Tendenzialmente l'assunzione di baliotti si concentra in una fase precisa del ciclo riproduttivo, si limita cioè ai primi anni di matrimonio e al periodo di coabitazione coi parenti. Il salario di balia può costituire per le giovani coppie una fonte di reddito autonomo importante in vista dell’emancipazione; oltre a ciò, il baliatico può essere impiegato anche qui come tentativo di contenere le nascite e non squilibrare eccessivamente le dimensioni del gruppo domestico.
Almeno tre diversi modelli di utilizzazione del baliatico sono dunque individuabili nella comunità: non tanto l'appartenenza a diversi livelli di reddito quanto la ricerca di specifici equilibri




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riproduttivi, oltreché economici, definisce forme particolari di assunzione degli esposti a balia.
Gli studi sul baliatico hanno solitamente insistito sulla concentrazione del fenomeno presso i gruppi più poveri della co-munità28. Nel grafico abbiamo affiancato al rapporto tra stratificazione sociale e famiglie che prendono baliotti, la frequenza della assunzione di esposti a balia da parte delle singole famiglie in relazione alle gravidanze. Anche nel caso di Colleretto la percentuale di famiglie che esercitano il baliatico è certo inversamente proporzionale, anche se non in modo così diretto, al loro livello di ricchezza. Tale andamento è in qualche modo tautologico e suggerisce spiegazioni esclusivamente economiche della pratica e della diffusione del baliatico. La considerazione invece della percentuale di baliotti calcolata in relazione ai ritmi riproduttivi delle famiglie, che sono essi stessi differenziati a seconda delle classi sociali di appartenenza, dà esiti più complessi: evidenzia infatti una diversa distribuzione del fenomeno che interessa con maggior intensità non i gruppi poverissimi ma quelli al centro della gerarchia sociale. Il baliatico assume dunque nella comunità forme e funzioni differenti che riflettono specifiche strategie, non solo economiche ma demografiche, di gruppi con diverse esigenze di equilibrio familiare.
7. Ma il modello va ancora complicato. Concentrazioni di baliotti sono infatti evidenti nella comunità presso alcuni gruppi familiari: nelle assegnazioni a balia notiamo la ricorrenza di alcuni cognomi e la sistematica assenza di altri. Anche il confronto tra le distribuzioni di bambini nel decennio 1736-45 e le presenze di baliotti denunciate dalle Consegne di popolazione del 1702 e soprattutto del 1721, conferma la persistenza di una specializzazione di baliatico presso alcuni gruppi di omonimi.
I caratteri dell'insediamento nella comunità possono fornire utili elementi di interpretazione: a Colleretto questo è strutturato per gruppi di abitazioni sparsi sul territorio in cui risiedono diversi aggregati domestici che condividono la discendenza dal medesimo lignaggio, portano quindi lo stesso cognome che definisce anche la località (Case Peyla, Case Bertoldo, ...). I vari nuclei hanno tra di loro legami di parentela talvolta stretti ma spesso ormai rarefatti e riflettono livelli di proprietà e di status anche molto diversi. Si tratta quindi più di poli di vicinato che di reti di parentela attive.
La fisionomia gerarchica del gruppo determina frequenti relazioni



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tra le famiglie appartenenti ai diversi strati in esso rappresentati: i più poveri lavorano spesso la terra dei membri che possiedono le proprietà più estese. L'identità lignaggio-territorio (mantenuta come si è visto dallo stesso sistema ereditario, che conserva il nome anche in caso di trasmissione dei beni per via femminile) non riguarda inoltre la sola residenza ma si riflette sulla disposizione che la proprietà assume sul territorio: i terreni degli omonimi sono perlopiù coerenti e questo favorisce la frequenza degli scambi di terra tra vicini, soprattutto quando le cessioni sono fittizie e costituiscono forme di prestito. Strutturato verticalmente, il gruppo dei vicini tende dunque a produrre al suo interno legami di dipendenza e di protezione tra le famiglie di diversa condizione che lo compongono.
Ora, la distribuzione dei ballotti nella comunità privilegia appunto alcuni di questi ambiti di vicinato: le attribuzioni a balia seguono cioè, anche all'interno del paese, criteri di prefe-renzialità che favoriscono alcuni gruppi di residenza a scapito di altri. La presenza di baliotti estesa all'intero arco della gerarchia sociale che abbiamo già segnalato, trova dunque spiegazione nell'attrazione esercitata da alcuni aggregati verticali di vicinato: l'appartenenza ad ambiti territoriali e di relazione, più che a differenti strati socio-economici, determina l'assorbimento differenziato degli esposti.
I figli dell'ospedale si concentrano inoltre presso questi poli di vicinato, non soltanto in qualità di baliotti, ma anche nei casi in cui, già adolescenti e adulti, rimangono nella comunità. Se si esamina la loro sorte successiva al periodo di baliatico, risulta evidente come, compiuti i 10 anni, essi si inseriscano nelle strategie anche di famiglie relativamente abbienti, presso le quali si trasferiscono a lavorare come servi invece di far ritorno all'ospedale. Raggiunta l'età adulta poi, essi trovano sovente una collocazione matrimoniale e divengono a pieno titolo membri della comunità. Per l'intero gruppo di omonimi dunque e non solo per le famiglie dei balii, essi costituiscono una risorsa, oltre che come baliotti, come riserva di forza lavoro e di sposi.
L'assunzione di esposti a servizio avviene a condizioni vantaggiose che li rendono probabilmente preferibili ai locali: «presi per carità», essi sono remunerati per anni col solo mantenimento «a pane e vino»; soltanto al momento in cui lasciano la casa per sposarsi viene loro assegnata, ima volta per tutte, una somma sotto forma di dote. Il rapporto tra l'esposto e la famiglia presso cui serve si avvicina cioè più ad una forma di adozione che ad un




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contratto di lavoro. Solo in casi molto rari, si conclude con l’ospedale — probabilmente poco incentivato a finanziare un meccanismo di assorbimento già relativamente funzionale — un atto formale di adozione, che prevede l’esborso di 25 lire da parte dell'istituto, in cambio dell’impegno del contraente a mai più restituire l’esposto al San Giovanni e a trattarlo come figlio proprio29.
Anche le doti che l'ospedale destina alle figlie esposte in occasione delle loro nozze, coprono solo ima parte del numero di matrimoni che si concludono nei luoghi di baliatico30. Il piccolo fondo che gli esposti si sono formati col loro lavoro sostituisce le 100 Ere pagate dall'ospedale o nel migliore dei casi si aggiunge ad esse. Questo fondo costituisce anche per i maschi una «dote», grazie alla quale essi vengono spesso «surrogati in casa» presso famiglie con sole eredi femmine. Attraverso questo genere di matrimoni essi perdono così definitivamente la loro identità di «figli dell'ospedale» e acquistano il cognome della sposa.
Gli esposti si collocano in matrimonio presso famiglie di condizione molto diversa: perlopiù nella fascia media dei proprietari, talvolta presso contadini anche relativamente ricchi, più raramente tra i più poveri. Di solito la conclusione del loro matrimonio non avviene autonomamente ma è mediata dalle famiglie presso cui sono stati allevati o sono a servizio: come avverrebbe per il proprio figlio, le combinazioni matrimoniali risentono dunque delle strategie di relazione delle famiglie adottive. Anche in questi casi infatti il matrimonio si inserisce in una storia di transazioni — economiche e non — tra famiglie: perciò gli esposti, che si trovano spesso assimilati a gruppi di condizione relativamente agiata, concludono matrimoni anche molto vantaggiosi. La figlia esposta Margherita, ad esempio, mantenuta dopo il periodo di baliatico in casa di messer Giuseppe Mattioda, va sposa nel 1722 a Michele Camerlo, figlio emancipato di Pietro, un ricco contadino che, come Mattioda, possiede una vasta proprietà sconfinante nel territorio di Castellamonte. L'atto dotale prevede che le 200 lire di dote che il padrone assegna a Margherita per i servizi resi, si scalino dalle 550 di cui Pietro Camerlo è debitore verso di lui31. Attraverso il matrimonio dell'esposta, Mattioda recupera parte di un suo antico credito, evitando l'esborso della dote. La presenza di Margherita permette a Mattioda, i cui figli sono ancora bambini, di anticipare, rispetto alla fase del ciclo familiare, un'operazione di politica matrimoniale. La possibilità di utilizzare gli esposti come figli propri allarga dunque le



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occasioni che le famiglie adottive hanno a disposizione, di perseguire strategie di relazione, attraverso la conclusione del loro matrimonio e la costituzione di dote. I figli dell'ospedale entrano perciò in molti casi nel circuito di transazioni delle famiglie di adozione, condividendone in un certo senso il livello di status.
Sovente c’è quindi una relativa continuità tra le condizioni del nucleo presso cui gli esposti vengono trattenuti negli anni successivi al periodo di baliatico, e quella della famiglia nella quale entrano col matrimonio. Spesso essi rimangono anzi come sposi, nella casa stessa in cui sono stati tenuti a balia o, più facilmente, a servizio. Meccanismi affettivi entrano probabilmente in gioco nella scelta di riconoscere formalmente come membro definitivo, l'esposto che ha condiviso per anni la vita della famiglia. Non si tratta tuttavia di episodi limite, né circoscritti alle fasce più modeste della popolazione ma piuttosto più frequenti, come si è detto, presso alcuni gruppi verticali di vicinato.
La figlia dell'ospedale Gioanna, ad esempio, sposa nel 1721 Pietro, unico figlio maschio di Giacomo Peyla, presso il quale è serva da anni: pur ottenendo dal suocero una dote molto povera, di sole 60 lire, Gioanna entra però in una famiglia che nel paese si colloca nella fascia media dei proprietari32. Alle Case Peyla è comune una forte concentrazione di esposti. Molti nuclei allevano baliotti; la stessa Margherita, moglie di Giacomo, risulta balia nella consegna del 1702 e la nuora Gioanna allatta nel decennio ’34-'45 tre figli dell'ospedale, partorendo solo due volte, in questo arco di tempo, figli che non sopravvivono. I Peyla sembrano praticare tradizionalmente una politica di contenimento delle nascite cui fa riscontro, come presso altri medi proprietari, l’assunzione di servi — preferibilmente esposti — per coprire le necessità di mano d’opera lasciate insoddisfatte dalle limitate dimensioni della famiglia. L'esistenza di un unico erede permette ai Peyla di mantenere indivisa, per tre generazioni, la proprietà che nel 1743 si annovera tra le aziende valutate tra le 4 e le 5 lire di registro, e supera le 9 giornate di terreno. Ancora nel '56, runico figlio maschio vivente di Pietro, Gioanni, tiene esposti a balia.
Una forte concentrazione di esposti — di bambini ma anche di adolescenti e di adulti — caratterizza dunque alcuni gruppi di omonimi, presso i quali essi vengono impiegati non solo dalle famiglie dei balii ma anche dai proprietari più ricchi — non esclusi alcuni dei massimi registranti del paese — come servi e come sposi da cedere nei propri scambi relazionali. Nel giro di




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pochi anni ad esempio, si concludono alle case Reano — uno dei poli di attrazione di esposti — tre matrimoni di figli dell’ospedale, almeno due dei quali sono evidentemente combinati con l’intervento della figura più prestigiosa del gruppo di omonimi, il Signor Gio Giacomo Reano Leone, uno dei più ricchi possidenti del paese, notaio e segretario della comunità. Nel 1730 l’esposto Biagio, allevato in casa di Antonio Reano e poi servo presso il notaio, sposa l’unica figlia del balio, Gioanna, portando 130 lire fornitegli dal padrone, che vengono immediatamente impiegate per riscattare i beni da poco sequestrati ad Antonio per debiti di taglie33. Due anni dopo, Caterina esposta, anch’essa serva presso il Signor Reano Leone, va sposa a Gio Batta Valerio, membro di un altro gruppo di baliatico: come dote il notaio cede a Valerio, oltre al fardello, un suo credito di 100 lire34. Non a caso probabilmente, proprio negli anni in cui domina la figura del notaio, i Reano si garantiscono anche due adozioni retribuite che favoriscono fratelli della stessa famiglia: è questo un privilegio molto raro che in tutto l’arco del secolo viene concesso solo quattro volte alla comunità di Colleretto.
Presso i Reano, come presso altri gruppi di omonimi — i Valerio, i Peyla, i Bosio, i Sassoè — l’impiego degli esposti si inserisce stabilmente in questo periodo, nella definizione degli equilibri familiari. L’utilizzo degli esposti assume inoltre presso questi gruppi un carattere generalizzato e coinvolge anche gli strati più elevati. La presenza nel gruppo di personaggi influenti come il notaio Reano sembra giustificare le maggiori possibilità di accesso alla risorsa esposti di cui queste famiglie godono. L’appartenenza a diversi ambiti di residenza e di relazione si traduce infatti nella disponibilità di protezioni più o meno influenti: la mappa di vicinato riflette in qualche modo anche una maggiore o minore prossimità ai centri del potere nella comunità. Il notaio Reano che domina ampiamente questi equilibri è certo in grado di far valere autorevoli pressioni nel procacciare al gruppo di residenza, verso il quale esercita un evidente ruolo di patronage, ima risorsa che viene distribuita secondo logiche ampiamente clientelari.
Anche nel caso dei Bosio, un altro gruppo di baliatico, sembrano esistere legami con le reti in grado di controllare l’assegnazione degli esposti. Tradizionalmente essi lavorano sui beni che i Garino possiedono a Colleretto: si tratta della stessa famiglia di esattori che abbiamo già incontrato, a più riprese, svolgere un’intensa politica territoriale su tutta la zona di Castellamonte



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; membri del Consortile e partecipi della sua giurisdizione, essi hanno rapporti diretti e frequenti con gli stessi Carroccio.
Le reti che, attraverso diversi livelli di mediazione, garantiscono un accesso preferenziale alla risorsa esposti fornita dall'ospedale, restano ancora in gran parte da precisare. Per ora ci limitiamo a suggerire alcuni elementi di connessione ampiamente indiziari che sembrano tuttavia indicare come la distribuzione discriminata di baliotti, evàdente nella comunità, sia da collegare alla diversa capacità di attrazione che, grazie al differente peso delle loro relazioni, alcuni gruppi di omonimi sono in grado di esercitare.
8. La ricerca ha teso a mettere in luce le logiche fortemente selettive che presiedono alla distribuzione a balia degli esposti del S. Giovanni. L’affidamento dei baliotti sembra ampiamente influenzato dagli interessi particolari dei diversi gruppi che a livelli successivi sono in grado di controllare l’assegnazione di questa risorsa: meccanismi di preferenzialità e di esclusione dominano perciò non solo la destinazione territoriale del baliatico ma la sua attribuzione alle singole famiglie. Abbiamo suggerito infatti come la specializzazione della zona di Castellamonte in area di baliatico possa essere connessa alle esigenze di formazione di consenso di una importante famiglia nobile che proprio nello stesso periodo estende a questo territorio il proprio dominio feudale. La posizione di potere che alcuni membri della famiglia rivestono ai vertici dell’amministrazione dell’ospedale viene utilizzata dai Carroccio a sostegno della politica territoriale del gruppo. La gestione dell’istituto viene dunque piegata a favorire le strategie perseguite in più ampi contesti sociali dai suoi amministratori.
Gli studi sull'assistenza, soprattutto di ispirazione foucoltlana, hanno spesso trascurato queste connessioni, limitandosi a ricostruire le traiettorie ideali del disegno istituzionale, le logiche di un potere mai osservato in azione in contesti reali ma piuttosto considerato per le sue dichiarazioni di intenti35. Il caso degli esposti indica invece come nella gestione dell’istituto entrino in gioco meccanismi fortemente personalistici: il controllo dell’assistenza può dunque costituire una risorsa politica. Per i Carroccio, come per il Visitatore degli esposti e gli altri mediatori locali, l’attribuzione discriminata del baliatico rappresenta in effetti un importante strumento di influenza sul territorio. Non si tratta solo dello sfruttamento dei margini di autonomia che la




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gestione dell'impresa degli esposti lascia aperti. L’utilizzazione a fini politici di questa risorsa modifica ampiamente anche le norme ufficialmente prescritte che dovrebbero regolare l’assegnazione a balia e contenere gli abusi. Le stesse figure istituzionali incaricate di garantire il regolare funzionamento dell’impresa coprono e manipolano ai propri fini queste trasgressioni: esistono certamente logiche e coerenze nell’assunzione dei baliotti da parte delle famiglie, che non coincidono però con quelle previste dai regolamenti dell’istituzione. Il baliatico segue piuttosto modi e tempi definiti dalle strategie familiari e dalle dinamiche locali. I fruitori della risorsa baliatico incidono cioè profondamente nella determinazione stessa delle regole che definiscono il loro rapporto con l’ospedale. La pratica dell’istituzione è quindi ricostruibile solo attraverso la lettura dell’interazione tra direttive centralizzate, dinamiche interne ai gruppi preposti alla sua gestione e strategie differenziate di quanti, in modo più o meno diretto, ne sono i fruitori.

NOTE AL TESTO
1 Archivio di Stato di Torino (d’ora in poi AST), Sezione Prima, Luoghi Pii di qua dai Monti, m. 17 fase. 2, Rappresentanza del venerando Spedale Maggiore di San Giovanni Battista e della città di Torino,
2 Sul numero degli esposti, sui caratteri della vita interna all'ospedale dopo la restituzione da balia e sui provvedimenti presi nei loro confronti nell’arco del Settecento si veda S. Cavallo, Assistenza femminile e tutela dell’onore nella Torino del XVIII secolo, in «Annali della Fondazione Einaudi», voi. XIV, 1980.
3 Archivio Comunale (d’ora in poi AC), Ordinati, 1572, c. 28.
4 Questa definizione che ricorre comunemente nei documenti, riflette il controllo sulla pratica di baliatico che, come per altre attività economicamente redditizie, è affidato al capofamiglia: nella generalità dei casi è appunto il marito della balia a tenere i rapporti con l'ospedale.
5 II ripetersi negli Ordinati della città di provvedimenti di questo tipo indica lo scarso effetto che avevano di volta in volta le decisioni. Ad esempio, AC, Ordinati, 1632, c. 51; 1693, c. 225; 1703, c. 207; 1717, c. 85.
6 False dichiarazioni da parte dei parroci vengono denunciate a più riprese. Cfr. AC, Ordinati, 1662, c. 89; 1693, c. 225; 1788, c. 2121.
7 Nel sopralluogo effettuato dal Tesoriere della città nel 1729 ad esempio, i 1050 esposti per i quali si pagava il baliatico vengono ridotti a 717: 141 sono infatti morti, 106 hanno già compiuto i 7 anni, 28 sono riconosciuti legittimi e



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fatti restituire ai genitori, 58 infine non sono comparsi e sono stati quindi eliminati. AC, Ordinati, 1729, c. 118.
8 La compilazione dell'attestato, prima affidata ai parroci (si veda ancora la relazione Maletto in AC, Ordinati, 1693, c. 225), diviene nel Settecento compito dei Visitatori. A.S.T., Sez. I, Opere Pie. Comuni e Borgate, m. 234, Istruzioni indirette specialmente ai Visitatori degl’Esposti. . . s.d. (prima del 1734).
9 Sono conservate alcune serie di affidamenti. Archivio Ospedale S. Giovanni (d’ora in poi AOSG), libri esposti, 1657-1690; Registro dei ritirati da balia, 1764-1769 e 1782-1799; AST, Sez. Prima, IPIM, Libro degli esposti, 1736-1745 e 1773-1783. Per i periodi intermedi non disponiamo di nessun elenco.
10 AC, Ordinati, 1662, c. 89.
11 Queste informazioni generali sono tratte dalle relazioni compilate negli ultimi anni del Seicento e nei primi del secolo successivo dai delegati ducali per la Misura Generale, AST, Sez. Riunite, Allegato I, pacco 9, fase. 50-51-54 e dalle più tarde relazioni degli intendenti, Ivi, Prima archiviazione, Provincia dTvrea, m. 1, fase. 18, 1742-48 e Ivi, Seconda Archiviazione, capo 79, n. 7 (Ivrea, 1753); Biblioteca Reale di Torino, Mss. Storia Patria, 852, Rezia di Mombello, Descrizione della Provincia dTvrea, 1752-54.
12 Ricaviamo quest’informazione dall’inventario legale dei beni lasciati dall’avvocato Carlo Franco Garino, che non menziona però la data del passaggio. Archivio Notarile dTvrea (d’ora in poi ANI), Notaio Gallenga Gerolamo, Minutario, 425, Inventario legale, 15 febbraio 1696. Il dominio di Ayra e Garino è confermato in AST, Sez. Riunite, Seconda Archiviazione, capo 23, m. 20, Beni feudali anteriori al 1720.
13 Si vedano ad esempio i numerosi interventi caritativi dei Carroccio verso i membri decaduti della famiglia Castellamonte e gli investimenti per ampliare e ristrutturare il Castello che, grazie a nuove acquisizioni, diviene quasi interamente di loro proprietà. ANI, Notaio Gallenga Gerolamo, Minutario 419, Compra del Conte Carroccio dal Conte Valperga Castellamonte, 7 luglio 1705; Ivi, Minutario 425, Compra del Conte Carroccio dal Conte Gabriel Giuseppe Castellamonte, 27 ottobre 1711; Ivi, Ratifica del Conte Carroccio da madamigella Teresa e Costanza Castellamonte, 27 ottobre 1713; AST, sez. riunite, Insinuazione di Torino, 1732 libro 6, Testamento del Conte Pietro Ignazio Carroccio, 6 maggio 1732.
14 Le notizie sull’attività dei rettori sono tratte dallo spoglio degli ordinati della Congregazione del S. Giovanni. AOSG, Ordinati, dal 1607.
15 AST, Sez. Riunite, Seconda Archiviazione, capo 23 cit. e le già citate Relazioni degli intendenti.
16 Si vedano i diversi atti che attestano tm'attività di credito da parte dei San Martino in ANI, Insinuazione di Castellamonte, libri 9, 10, 11, 12.
17 ANI, Insinuazione di Castelnuovo e Valle, libro 12, Quietanza di Gio Batta Bocio a Gio Savoia, 15 marzo 1729.
1” AC, Ordinati, 1722, c. 91.
19 ANI, Insinuazione di Castellamonte, libri 3 e 4.
20 AST, Sez. Riunite, Insinuazione di Torino, 1723, libro 4, Vendita di censo dei fratelli Cauda di Castellamonte al Conte Carroccio Castellamonte, 10 novembre 1722.
21 Alcuni censimenti nominativi della popolazione (Consegne per il sale del




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1702, 1721, 1756 e lo Status animarum del 1773) conservati presso l’Archivio Comunale di Colleretto e presso la parrocchia di Borgiallo, sono stati utilizzati per seguire lo svolgersi del ciclo familiare; questi documenti forniscono inoltre una rappresentazione del sistema delle coabitazioni, la mappa deU'insediamento e del vicinato. Le consegne del sale riportano anche il numero di capi di bestiame posseduto da ogni nucleo domestico. I registri di nascita, morte e matrimonio sono stati utilizzati come supporto. Il catasto della Comunità, compilato tra il 1743 e il 1747, conservato presso AST, Sez. Riunite, Allegato D, n. 64 ha poi reso possibile una classificazione della popolazione in base al valore della proprietà fondiaria accertato a fini fiscali. I fondi notarili della valle di Castelnuovo (ANI) hanno permesso di ricostruire il sistema di trasmissione dei beni.
22 AST, Sez. Riunite, Seconda Archiviazione, capo 10, m. 10, Ricavo generale delle consegne per il sale 1734.
23 AST, Sez. Riunite, Allegato I, pacco 9 fase. 50, La misura generale del finaggio di Colleretto di Castelnuovo. . . 1709.
24 Notizie sui caratteri dell'emigrazione sono riportate oltreché nelle relazioni per la misura generale e in quelle degli intendenti, a margine delle Consegne per il sale: di qui apprendiamo ad esempio che per tradizione gli uomini si recavano a lavorare nelle zone malariche e sottopopolate del vercellese.
25 In alcuni Ordinati del Consiglio della Comunità si legge: «Si è riunito il Consiglio generale dei Capi di Casa composto in parte di Donne».
26 Nel 1721 ad esempio gli esposti a balia sotto i sette anni sono 134.
27 Queste notizie si ricavano dalle Informative compilate dai parroci in pieparazione della Visita pastorale. Archivio della Curia Vescovile dTvrea, Informative, 1728, 32 II 5.
28 Per una bibliografia sul baliatico cfr. G. Sussman, The wet-nursing Business in Nineteenth Century France, in «French Historical Studies», IX, 1975; A. Chamoux, L'enfance abandonnée à Reìms à la fin du XVIIIe siècle, in «Annales de Démographie Historique», 1973; J. C. Peyronnet, Les enfants abandonnés et leurs nourrices à Limoges au XVIIIe siècle, in «Revue d'Histoire Moderne et contempo-raine», XXIII, 1976; J. Ganiage, Nourrissons parisiennes en Beauvaisis, in Homma-gc à Marcel Reinhard, Paris 1973; R. Berthieu, Les Nourrissions à Cormeilles-en--Parisis (1640-1789), in «Annales de Démographie Historique», 1975; J. R. Lehring, Family Life and Wet-nursing in a French Village, in «Journal of Interdisciplinary History», XII, 4, Spring 1982.
29 Le adozioni retribuite sono segnalate nei registri degli affidamenti a balia; le altre non sono invece registrate. Non disponiamo quindi di dati quantitativi sulla dimensione di questo assorbimento spontaneo: non si tratta tuttavia di un fenomeno eccezionale ma nel periodo in esame si contano alcune decine di casi.
30 Le esposte possono aspirare solo alle quattro doti annue del lascito Spanna, le uniche che non richiedono la legittimità di nascita. Tra 1715 e 1729 esse vengono tuttavia escluse anche da questo pagamento dotale per un’eccezione che viene sollevata a proposito del possesso della cittadinanza. SuH'attribuzione di queste doti cfr. S. Cavallo, Assistenza cit.
31 ANI, Insinuazione di Castelnuovo e Valle, libro 9, Matrimoniali tra Michele Camerlo e Margherita Domenica con credito di Giuseppe Matioda da Giaco Camerlo, 30 maggio 1722.



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32 ANI, Insinuazione di Castelnuovo e Valle, libro 9, Patti matrimoniali tra Gio Pietro di Giacomo Peyla e Gioanna esposta, 28 agosto 1721.
33 ANI, ivi, libro 12, Acquisto di Biagio Reano dai nobili Domenico e Pietro Bertoldo con credito del notaio Gio Giacomo Reano Leone, 28 dicembre 1730.
34 ANI, ivi, libro 12, Matrimoniali tra Gio Batta fu Carlo Valerio e Catta esposta, 30 giugno 1732.
35 Si veda a questo proposito la discussione con Michel Foucault in M. Perrot, L’tmpossible prison, Paris 1980.