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Title
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DEVOLUZIONE DEI BENI NELLE VALLI ALPINE DEL DELFINATO (XVII-XVIII SECOLO)
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Creator
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Laurence Fontaine
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Gea Smith
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Date Issued
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1995-04-01
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Is Part Of
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Quaderni Storici
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volume
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30
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issue
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88 (1)
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page start
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135
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page end
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154
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Publisher
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Società editrice Il Mulino S.p.A.
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Language
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ita
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Format
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pdf
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Relation
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La volontà di sapere, Italy, Feltrinelli, 1968
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Rights
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Quaderni storici © 1995 Società editrice Il Mulino S.p.A.
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Source
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https://web.archive.org/web/20230920182038/https://www.jstor.org/stable/43778848?searchText=Foucault&searchUri=%2Faction%2FdoBasicSearch%3FQuery%3DFoucault&efqs=eyJsYV9zdHIiOlsiYVhSaCJdfQ%3D%3D&sd=1975&ed=2000&pagemark=eyJwYWdlIjoxOCwic3RhcnRzIjp7IkpTVE9SQmFzaWMiOjQyNX19&groupefq=WyJjb250cmlidXRlZF90ZXh0Iiwic2VhcmNoX2NoYXB0ZXIiLCJjb250cmlidXRlZF9hdWRpbyIsInJlc2VhcmNoX3JlcG9ydCIsInNlYXJjaF9hcnRpY2xlIiwicmV2aWV3IiwibXBfcmVzZWFyY2hfcmVwb3J0X3BhcnQiXQ%3D%3D&ab_segments=0%2Fbasic_search_gsv2%2Fcontrol&refreqid=fastly-default%3Acf7d9a57d7f94cf4134f54cfe1770d0d
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Subject
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State
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institutions
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power
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surveillance
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panopticon
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extracted text
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DEVOLUZIONE DEI BENI NELLE VALLI ALPINE DEL DELFINATO (XVII-XVin SECOLO) *
La mia analisi prende l’avvio da due constatazioni. Da una parte, lo studio delle disposizioni testamentarie nelle valli alpine dell’Alto Delfìnato nel XVII e nel XVIII secolo mostra che non esiste un modello unico di devoluzione dei beni - come ci si sarebbe potuti aspettare in un paese di tradizione giuridica romana, cioè la designazione di un erede con esclusione dei figli già provvisti di dote - ma vi si incontrano, al contrario, tutti i sistemi di devoluzione evidenziati da Jean Yver nel suo Essai de géographie coutumière: la divisione paritaria tra tutti i figli (maschi e femmine), l’esclusione dei figli provvisti di dote a vantaggio di un unico erede, e alcuni schemi intermedi, come l’esclusione delle figlie sposate con conseguente divisione dei beni tra i figli maschi rimasti a casa.
Dall’altra parte, a questa diversità strutturale se ne aggiunge una diacronica, dal momento che alcuni capifamiglia, nel corso dei vari contratti di matrimonio dei figli e/o dei loro successivi testamenti, dispongono a più riprese dei loro beni in maniere che rimandano ogni volta a modelli diversi.
Questa doppia diversità, che mostra tutta la complessità delle pratiche di trasmissione da una generazione all’altra, apre degli interrogativi sul rapporto tra diritto e pratiche reali: quanto sono vincolanti le regole giuridiche? fino a che punto sono coercitive? Inoltre, nella misura in cui le famiglie si prendono delle libertà rispetto alle norme, entra in gioco il ruolo degli intermediari posti tra queste e gli individui: in quale misura costoro possono ignorare o interpretare queste regole? E come avviene, conseguentemente, la distribuzione o la redistribuzione del potere all’interno delle comunità?
A questo primo gruppo di questioni se ne aggiunge un secondo. Le regole di devoluzione dei beni mettono in scena un dialogo tra le autorità che producono le norme - lo Stato e la Chiesa - e la famiglia ristretta a cui tali disposizioni e regole giuridiche
* Traduzione dal francese di Gea Smith.
QUADERNI STORICI 88 / a. XXX, n. 1, aprUe 1995
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Laurence Fontaine
sono rivolte. Queste norme impongono dunque un ambito specifico - la famiglia nucleare - alla riproduzione sociale delle famiglie. Ma va accettato come tale? Oppure dobbiamo chiederci, prima di assumerlo come modello valido, se è effettivamente all’interno della famiglia ristretta che viene negoziato il ricambio delle generazioni? In effetti, le norme segnalano una volontà di regolamentazione che potrebbe essere uno dei metodi utilizzati dallo Stato per mantenere un controllo sulla società1, confinando nella sfera della famiglia ristretta pratiche che si esplicavano invece in altri contesti.
Infine, questa doppia constatazione, mostrando come il ricambio generazionale tenga occupate le famiglie per diversi anni, solleva una terza serie di questioni: queste portano alla luce le dinamiche sociali ed economiche, interne ed esterne alla famiglia, che obbligano a frequenti adeguamenti delle disposizioni prese per garantire la continuità familiare. La discussione verterà su questi tre insiemi di questioni: qual è il rapporto tra norme e prassi? La famiglia ristretta è effettivamente l’ambito pertinente per studiare la trasmissione dei beni nelle alte valli del Delfinato? E infine, quali sono le dinamiche che possono ostacolare i piani delle famiglie, modificare i ruoli al loro interno, imporre divisioni non previste dei patrimoni, sconvolgendo insomma ogni loro previsione? Quest’ultima serie di interrogativi introduce quell’elemento di imprevedibilità che è intrinseco alla vita degli individui e delle famiglie; e vorremmo accostarlo sforzandoci di vedere da una parte in che modo le famiglie tengono conto delle dinamiche esogene, e dall’altra parte, invece, come queste stesse dinamiche, per lo più ingovernabili, sconvolgono le strategie volontarie: e questo per meglio distinguere i comportamenti conformi all’ideologia della devoluzione dei beni da quelli che invece vengono imposti da dinamiche interne o esterne alla famiglia.
Ma se a loro volta i processi che intervengono nel rinnovamento delle generazioni modificando profondamente i ruoli familiari producono trasformazioni nelle pratiche di devoluzione dei beni e creano tensioni nell’ambito familiare, diventa difficile rispondere alla domanda sottostante: il mutare delle consuetudini produce effettivamente dei cambiamenti nell’ideologia della devoluzione dei beni? Per affrontare questo problema, sollevato da Renata Ago, avremmo bisogno di documenti da cui trarre informazioni sull’ideologia delle famiglie che abitavano le alte valli del Delfinato e su come venivano assimilate le norme legali. I lavori degli etnologi danno un grande rilievo a questa questione, di fronte alla quale gli storici sono invece per lo più disarmati2. Eric Wolf e John Cole, studiando nel corso degli anni sessanta l’alta valle del Non in Trentino, fanno due osservazioni importanti. In primo
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luogo, rilevano che due villaggi - Saint-Félix e Tret - rivendicano ideologie di devoluzione diverse pur avendo sistemi molto simili. In secondo luogo, constatano come l’ideologia, anche se non sembra avere un ruolo nella distribuzione dei beni, è invece alla base della trasmissione dell’autorità. I due etnologi constatano che a Tret, dove gli abitanti affermano di adottare la prassi della divisione in parti eguali - cosa che in realtà non fanno - i genitori ripartiscono tra i figli il potere nell’impresa familiare, per cui fratelli e sorelle continuano a sentirsi coinvolti nella conduzione di questa anche dopo che hanno lasciato il paese; a Saint-Félix, invece, anche se il padre lascia al figlio maggiore soltanto una parte dell’impresa, gli trasmette invece tutta intera l’autorità gestionale, escludendo gli altri figli rimasti in paese da ogni decisione concernente l’azienda. Se vi lavorano, lo fanno in qualità di dipendenti e non come eguali3.
1. Nome e pratiche
L’analisi condotta sulle pratiche di devoluzione dei beni nell’Alto Delfinato rimette in discussione l’assetto geografico proposto da quegli storici che hanno desunto dalle ricerche sulla consuetudine i vari modelli di struttura familiare e la loro ripartizione sul territorio europeo4. H percorso che ha portato a formulare queste ipotesi geografiche solleva due ordini di questioni. H primo, cui ci limitiamo ad accennare, riguarda il diritto e i costumi. La loro appartenenza allo stesso livello di alfabetismo è stata ampiamente dimostrata5. In compenso, le ragioni dell’emanazione stessa di queste norme sono più oscure, e la loro estrema diversità da un luogo all’altro - anche in un contesto omogeneo come quello delle leggi scritte - induce ad affrontarle non soltanto a partire dai giuristi che le hanno codificate, ma anche relativamente al contesto dei giochi di potere locali e dell’ambito familiare, dove tali codificazioni hanno la loro origine. H secondo gruppo di questioni riguarda i rapporti tra gli abitanti dei paesi e le leggi, la loro presunta sottomissione alle norme giuridiche o consuetudinarie, e infine le pratiche obbligatorie imposte dalle regole di devoluzione. Ad esempio, affinché l’esclusione dei figli con dote protegga effettivamente l’impresa di famiglia dal pericolo di frazionamento, bisogna che la dote sia in denaro - per chi ne possiede - oppure che sia di entità irrisoria: infatti, se il figlio dotato e quindi escluso dall’eredità ha ugualmente accesso ad una parte del patrimonio equivalente a quella dei figli coresidenti - tanto più se si tratta di terre - il sistema verrebbe completamente rovesciato, e diverrebbe un sistema
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egualitario. Ma se tali usanze esistono, viene quindi da chiedersi se la divisione in parti uguali e l’istituzione di un primogenito non siano, almeno in certe zone, due fasi successive di uno stesso processo, anziché due categorie indipendenti che rispondono a logiche diverse.
Lo studio della devoluzione dei beni a partire dai provvedimenti concreti presi dalle famiglie per trasmettere il loro patrimonio si inserisce nell’ambito del profondo rinnovamento degli studi sulla famiglia6. Questo si è incentrato su due aspetti in particolare: la reintroduzione del tempo dell’individuo e della famiglia attraverso i concetti di «ciclo familiare», di «traiettoria di vita» e di «coorte», e la considerazione delle strategie messe in moto dai singoli e dai gruppi familiari. Questo cambiamento di impostazione ha prodotto inoltre una modifica delle scale di lavoro: il demografo, infatti, si trova a collaborare con l’etnologo per decifrare, a livello di paese, o addirittura di singole famiglie, interazioni che su scala più grande rimarrebbero invisibili.
Tuttavia mi sembra che questi studi sulla famiglia o sui villaggi, che pure miravano a reintrodurre il tempo e le strategie familiari e individuali non hanno tuttavia sviluppato fino in fondo la logica del loro approccio, ma hanno cercato troppo in fretta di individuare categorie generali, di mostrare nel gran numero di pratiche diverse similitudini atte a costituire una tipologia, o di mettere in evidenza un determinato fattore, salvo poi concludere, davanti al vasto numero di casi e di pratiche adottate, sull’impossibilità di penetrare a fondo la mentalità dei diversi gruppi contadini7. L’insuccesso dipende forse dal fatto che gli studiosi hanno voluto analizzare queste strategie come se si trattasse di strutture, allorché queste non possono essere comprese se non in termini di giochi, come partite da seguire mossa per mossa, seguendo il cammino di ogni pedina e i cambiamenti prodotti a ogni passo nell’assetto dell’intera scacchiera.
Ho quindi cercato di portare alle estreme conseguenze la logica del gioco, all’interno di un approccio che tiene conto dei tempi individuali e familiari nei loro rapporti con le altre casate del villaggio e con la società che li ingloba. Per fare questo, invece di limitarmi all’esame dei testamenti o dei contratti di matrimonio, ho cercato di rimettere insieme, almeno per alcune famiglie, tutti gli atti notarili, in modo da leggere il singolo documento come parte di una strategia globale che va ricostruita, inscrivendolo in una fase particolare del ciclo familiare, nelle traiettorie sociali dei membri della famiglia e nelle trasformazioni degli altri gruppi familiari. I contratti di matrimonio, per esempio, non sono mai presi isolatamente, ma sempre collocati nel contesto di tutti gli altri atti notarili
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e confrontati con i testamenti dei genitori, che sono l’espressione culminante di una vita all’insegna della strategia. Con questo approccio, la diversificazione riscontrata nei villaggi alpini ha assunto un senso e la tipologia geografica si è rivelata essere una tipologia temporale. Resta da vedere, ovviamente, se il caso delle montagne si può generalizzare e se dappertutto le regole di devoluzione dei beni rappresentano, nonostante le apparenti contraddizioni, fasi successive di uno stesso processo e non categorie autonome8.
Di fatto, seguendo le strategie individuali e familiari si scopre che i modelli contraddittori che emergono dagli archivi possono essere inquadrati come altrettante tappe di avvicinamento a un modello preferenziale - quello in cui l’impresa viene lasciata a un figlio, dopo aver provvisto di dote gli altri (maschi e femmine) e averli sistemati altrove. Tuttavia, le incognite di natura biologica ed economica provenienti dal contesto sociale rendono difficile il raggiungimento di questo modello. Le disposizioni concrete che emergono dagli archivi notarili, consentono di quantificare materialmente e nella loro rispettiva distribuzione, il numero dei capifamiglia che riescono a portare avanti fino in fondo le loro strategie di riproduzione e quello di quanti invece sono costretti a fermarsi a metà strada.
Ecco quindi le tappe principali di questo cammino, e la logica che guida le diverse scelte dei padri di famiglia. Una variabile determinante è la differenza di età tra il padre al momento della sua morte e i figli (fermo restando, ovviamente, che è essenziale anche il numero di questi) in quanto rivela, almeno in parte, l’abilità della famiglia nell’accumulare capitale.
Generalmente, se il padre vive a lungo e i figli sono grandi al momento della sua morte, gli sarà più facile - a meno che non abbia dovuto affrontare eccessive difficoltà economiche - predisporre la sua successione secondo il modello ottimale, nominando un erede che prenderà in mano la gestione della casa ed escludendo gli altri figli dopo averli muniti di una dote in denaro. A partire da questa soluzione ideale, le prassi ricoprono tutto l’arco delle scelte possibili.
Ecco quindi, per quanto si riesce a ricostruire in base alla variabile dell’età, la serie delle possibili disposizioni date dai capifamiglia. Va da sé che entità del patrimonio, numero di figli, congiuntura economica e configurazione della parentela sono tutti fattori che possono ritardare o accelerare lo svolgimento di tale sequenza.
Prima figura: se uno dei coniugi muore senza fare testamento e senza figli i beni ritornano alla sua famiglia e la vedova ritorna alla sua. Tuttavia, il gran numero di testamenti mostra che non è questo il sistema normalmente adottato dalla popolazione, e che
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invece il congiunto tende a lasciare le sue ultime volontà che impediscono l’appropriazione dei beni da parte della famiglia d’origine, almeno fino alla morte del coniuge sopravvissuto, e lasciando a quest’ultimo una parte o, in assenza di parenti stretti, tutto quanto il patrimonio.
Seconda figura: se il padre muore quando i figli sono ancora giovani e senza aver avuto il tempo di dettare le sue ultime volontà, viene applicata la norma romana dell’uguaglianza ab intestato, in base alla quale i beni vengono divisi equamente tra tutti i figli, maschi e femmine. Ma tale tendenza a tutelare il lignaggio viene ostacolata dal fatto che anche la famiglia materna è coinvolta nella gestione del patrimonio dei figli: il più delle volte, un parente prossimo della madre - il padre o il fratello - viene incaricato dell’amministrazione dei beni degli orfani fino a che non abbiano compiuto i 14 anni, oppure vengono nominati al suo posto dei curatori.
Se invece il padre ha avuto il tempo di fare testamento, anch’egli si adegua a questa norma nominando come eredi tutti i suoi figli, maschi e femmine, compresi quelli postumi, e incaricando la sua «amata sposa» di amministrare i beni e di allevare i figli fino all’età della curatela. Predispone per lei un’abitazione e un vitalizio per la vecchiaia, sia che rimanga nella casa di famiglia sia che si trasferisca altrove. Quanto ai figli, non potendo prevedere quanti di loro arriveranno all’età adulta, con la divisione del patrimonio in parti uguali il padre adotta il sistema più sicuro per garantirne la perpetuazione.
Le figure successive consistono nella sistemazione e nella susseguente assegnazione di una dote a tutti i figli, scegliendone infine uno solo come erede; nelle fasi intermedie vengono nominati eredi tutti i figli non sistemati, oppure solamente i maschi, che si assumono l’incarico di provvedere alla dote delle sorelle. Va comunque notato che la logica alla base della devoluzione dei beni resta quella di una divisione relativamente equa: l’assenza di doti irrisorie se confrontate con quelle degli altri fratelli, e, nei casi in cui il padre si è arricchito ulteriormente, la frequente aggiunta di legati ai figli già provvisti di dote, attestano questo desiderio di suddividere il patrimonio il più equamente possibile. Di fatto, per il padre, la sistemazione dei figli da vivo è una scommessa sul futuro, che riposa su molte incognite e che coinvolge, con esse, tutta la parentela.
In questa prospettiva, piuttosto che proporre una tipologia che non dia conto della diversità e che trascuri il fattore temporale, mi sembra più pertinente definire un modello preferenziale. In effetti, che senso ha istituire un modello di devoluzione dei beni se questo viene realizzato solo raramente e anzi maschera i comportamenti
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reali delle comunità contadine? E non ci si accosta di più alle dinamiche sociali se, invece di definire una norma o uno schema dalle troppe eccezioni, si cerca di individuare le disposizioni più adottate a seconda dei gruppi sociali, di coglierne il grado di incompiutezza in funzione delle costrizioni sociali (che ne ostacolano il più delle volte l’attuazione), e infine di comprendere come la norma si inserisca in queste scelte?
2. Famiglia, parentela e trasmissione dei beni
Le consuetudini ereditarie regolano le spartizioni all’interno della famiglia nucleare. Ma in questo modo non si restringe forse il quadro reale delle pratiche? Nella prima parte abbiamo accennato al ruolo che hanno gli altri parenti all’interno delle strategie familiari nell’accelerare le varie sequenze. Ma non si rischia allora, adottando il quadro della famiglia ristretta come unico contesto delle pratiche di trasmissione dei beni, di sposare il punto di vista dello Stato o della Chiesa che hanno imposto questo modello come base per il censimento dei corpi, delle anime e dei beni? Non si rischia di scambiare per comportamenti reali quello che è invece il proposito delle istituzioni di controllare la riproduzione delle famiglie?9
Gli studi recenti hanno insistito sull’inadeguatezza di questo quadro familiare10 anche se, nel loro sforzo di imporlo, Stato e Chiesa hanno trovato nei capifamiglia un alleato deciso11. Tuttavia, se quello della parentela sembra essere un contesto che consente di capire meglio i sistemi di trasmissione dei beni, soprattutto nel caso delle famiglie più abbienti dei villaggi alpini del Delfinato, rimane da vedere se tutte le famiglie delle alte valli sono inserite in parentele più vaste; ci chiediamo, in definitiva, se la parentela sia un bene ripartito in modo eguale. Per valutarne la funzione, abbiamo visto come la famiglia assuma le veci del padre e della madre dei figli rimasti orfani, e quindi in un momento in cui per questi è vitale la solidarietà familiare12. La presente ricerca, che è stata condotta sulla base dei rendiconti delle «assemblee di parenti, vicini e amici» riuniti per decidere le sorti degli orfani, fa emergere un divario netto tra le famiglie abbienti e quelle più modeste. Le prime trovano senza troppa fatica tutori e curatori, e molti parenti partecipano a queste assemblee, che arrivano a riunire anche una ventina di persone. Ma soprattutto, all’interessamento dei compaesani si aggiunge quello non meno prezioso dei parenti emigrati, che offrono agli orfani contratti di apprendistato e impieghi in pianura.
Nelle altre famiglie invece, la mobilitazione intorno agli orfani è molto più ridotta. Quando ci sono difficoltà per la successione,
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nelle assemblee dei «parenti, vicini e amici» non sempre si riescono a trovare tutori e curatori, e comunque i parenti che intervengono sono pochi. Nella migliore delle ipotesi, soltanto gli zii, i fratelli e i cognati si occupano degli orfani. D’altra parte è proprio da loro che ci si attende sostegno, e in occasione di queste riunioni la loro assenza è esplicitamente rilevata. A volte intervengono anche i cugini, ma quasi mai in maniera regolare, e il loro disinteressamento non viene stigmatizzato. Quando i parenti «non si degnano di comparire» il notaio scrive nel rendiconto che gli assenti verranno perseguiti per legge, ma le riunioni successive, qualora vengano ripetute, non sono per questo più affollate. Di fatto, il numero di presenti alle assemblee è inversamente proporzionale alla necessità del bambino di avere sostegno dalla famiglia. Così, ad esempio, l’assemblea dei parenti della fu Madeleine Finet ha messo insieme solo due familiari oltre ai tre tutori; «non essendo che due, essi [i familiari] non possono né decidere né deliberare e hanno protestato contro gli altri familiari citati e non comparsi»13. In ottobre gli intervenuti sono sette, oltre a due dei tre tutori; ciononostante, il processo verbale «protesta» nominativamente contro tre parenti che «non si sono degnati di comparire». Esposti dai tutori i problemi relativi alla successione, i parenti non hanno voluto prendere decisioni, lasciandole «alla discrezione» degli amministratori; questi ultimi hanno tenuto a che il notaio mettesse per iscritto la non disponibilità dei familiari ad assumersi le loro responsabilità 14. I poveri sono quindi due volte poveri, in quanto alla mancanza di denaro si aggiunge l’indifferenza dei familiari15.
Questa analisi mostra che il contesto della devoluzione dei beni cambia a seconda dei ceti sociali. Per quelli abbienti, è costituito dai parenti residenti nel villaggio ma anche da quelli emigrati. Le famiglie nucleari appaiono come le maglie di una struttura sociale molto più ampia: sono interdipendenti e si appoggiano le une alle altre per consolidare o sviluppare la loro posizione sociale. L’analisi della collocazione sociale di questi lignaggi contadini vede nella analogia dei comportamenti la volontà comune di insediarsi in tutti quei luoghi dai quali possono proteggere il loro potere locale su persone e mercati. Ma la capacità di essere presente nei vari luoghi di potere sociale ed economico non dipende soltanto dal potenziale demografico che il clan può mobilitare, ma anche dalla posizione sociale, dal prestigio e dai beni che è riuscito ad accumulare in precedenza16. Invece, chi ha un accesso limitato ai mercati e alle cariche politiche elabora delle strategie - volontarie o imposte -finalizzate a diversificare le fonti di reddito della famiglia.
Così, anche se per motivi diversi, tutti i gruppi della comunità contadina cercano di costituire, o comunque vengono coinvolti in
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«coalizioni di mestiere». Ovviamente le strategie attuabili dai piccoli proprietari saranno più diversificate di quelle dei manovali, e meno di quelle dei notai o dei mercanti. Queste «coalizioni di mestiere» si sviluppano in due direzioni: all’interno delle famiglie e nell’ambito del clan. Nelle famiglie, ogni individuo esercita parecchi mestieri. Ecco alcune serie possibili: venditore ambulante/ fattorino/contadino o agricoltore/tessitore per i più poveri; agricol-tore/redditiere/venditore ambulante per i più agiati; uomo di legge/ notaio/mercante per le élite. Il nucleo familiare si spartisce questa pluriattività imposta dalla classe egemone, che gestisce il mercato del lavoro per i meno abbienti. A seconda delle congiunture economiche e demografiche, i ruoli si ridistribuiscono all’interno della famiglia (a volte sono le donne a tessere e a volte gli uomini, i figli emigrano più spesso dei padri ecc.). Queste strategie, che modificano i ruoli familiari si riflettono anche sulla trasmissione dei beni, come vedremo nella terza parte.
L’altro contesto in cui si sviluppa questa sorta di coalizioni riguarda i ceti abbienti nella loro volontà di conservare il controllo sulle persone e sui mercati del villaggio attraverso il presidio delle diverse zone geografiche e sociali. Il fatto che la parentela miri ad occupare un certo numero di posizioni che favoriscano le attività dell’intero gruppo familiare ha un’influenza diretta sulle carriere che i padri scelgono per i loro figli. Effettivamente, alcuni mestieri hanno bisogno, per potersi sviluppare, di avere sbocchi in altre sfere, di essere presenti in altri luoghi geografici o istituzionali, e sulla base di queste esigenze i padri orientano le loro scelte per i figli. Così i mercanti cercano di piazzare alcuni figli nella giustizia (come giudici o avvocati), nel notariato, nelle parrocchie del villaggio o di altre città per ampliare la rete commerciale17. Tutte le élite dell’area alpina praticano tale diversificazione. Queste «coalizioni di mestiere» sono, a mio parere, un elemento essenziale della società dell’Ancien Régime, in quanto permettono di addentrarsi nei sistemi - e nelle incognite - di un’economia nella quale il pubblico e il privato sono legati indissolubilmente, e offrono quindi una risposta che si adatta alle strutture dell’economia. Così facendo, essi indicano come modello ideale l’inserimento in una parentela ampia, protettrice dei singoli individui, aggressiva e vincolante sul piano sociale, e dimostrano chiaramente che lo spazio di devoluzione dei beni imposto dallo Stato e dalla Chiesa non risponde ai desideri e, il più delle volte, nemmeno alle prassi di trasmissione da una generazione all’altra.
Quest’intreccio di destini individuali, familiari e parentelari è un dato di fatto nelle élite piccole e grandi, anche se avviene in maniera diversa a seconda dello status e dell’origine geografica e so-
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ciale della famiglia. Per condurre a termine i loro affari, i più ricchi fondano delle imprese commerciali sostenute da sistemi bancari familiari, in cui vengono investiti i patrimoni di più famiglie. Jean Giraud, ad esempio, si trova a gestire nel 1675 più di 8.668 livres affidategli dallo zio Paul Giraud oltre a più di 2.000 livres di suo padre. Amministra inoltre i soldi della sorella vedova e quelli dei nipoti, dei quali è tutore. Infine, anticipa al cognato, Jean Monnet, le 1.000 livres da investire nella loro impresa commerciale. Jean tiene il conto esatto del denaro dei vari membri della famiglia che ha in gestione (doti, vitalizi, diritti di sopravvivenza, affidamenti) e, quando è possibile calcolarlo, egli mostra che il tasso d’interesse è del 5%18. Inoltre vengono prese delle disposizioni per impedire ai familiari di ritirare a loro discrezione i fondi investiti in comune: così, ad esempio, la vedova di Jacques Bérard deve aspettare sette anni prima di poter recuperare i suoi beni investiti negli affari del marito19.
Le famiglie più modeste, o quelle che non hanno potuto portare a termine i loro piani, lasciano i loro averi indivisi tra gli eredi, creando un paesaggio fondiario dove i terreni più piccoli sono proprietà comune di diversi gruppi familiari. Così, avviene che i fratelli possiedano terre e pascoli congiuntamente ad altri fratelli e cugini, che i mariti «dividano» dei beni fondiari con le mogli, le sorelle con i fratelli e le altre sorelle, gli zii con i nipoti ecc.: a ogni momento, un individuo può essere membro di due o tre gruppi diversi con cui si spartisce delle terre, accanto a quelle che già possiede in proprio. I registri notarili indicano con testamenti o dichiarazioni la forza di questi vincoli scritti che attraversano le genera-20 ziom .
Se dunque per i ceti abbienti la storia della singola famiglia delle élite va pensata nel contesto più ampio della parentela in pari tempo presente e emigrata, la storia delle famiglie più modeste va inquadrata in quella che David Siddle chiama la gens21: la famiglia isolata non dà che informazioni parziali, tranne nel caso di quelle che non hanno nulla da trasmettere.
3. Individui, ruoli familiari e divisione del patrimonio
I rapporti all’interno della famiglia e il modo in cui i genitori intendono organizzare la loro successione si inseriscono quindi nella sfera più ampia della parentela, e questa è più o meno presente a seconda del ceto sociale e della storia demografica di ogni famiglia. Ma ogni famiglia possiede anche delle dinamiche proprie, che nascono dalle identità polimorfe dei suoi membri, o che gli
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vengono imposte dai bisogni della parentela, dalle esigenze dello Stato e dalle congiunture demografiche, economiche, e politiche, che le condizionano e al limite possono anche sovvertirle. Tutti questi meccanismi si riflettono a loro volta nelle modalità con cui i genitori tentano di organizzare la trasmissione del loro patrimonio.
Sottolineiamo innanzitutto che l’ineguaglianza può nascondersi anche dietro l’apparente somiglianza delle pratiche. In teoria, nell’Alto Delfinato i genitori cercano di dividere i loro beni tra tutti i figli in parti il più possibile uguali, e lo dimostra la volontà di inserire nei testamenti delle integrazioni per i figli già provvisti di dote, qualora la situazione economica sia sufficientemente favorevole. L’uguaglianza si deduce anche dal pari valore monetario delle parti assegnate a ciascuno. Tuttavia, questa omogeneizzazione attraverso il valore commerciale nasconde delle ineguaglianze, forse volute, che emergeranno in futuro. Infatti, se anche il prezzo è lo stesso, ogni componente del patrimonio può rappresentare una maggiore o minore fonte di ricchezza a lungo termine - e di ciò i genitori sono perfettamente consapevoli. In altre parole, può esservi disparità in ciò che viene lasciato malgrado il valore uguale attribuito a ogni parte. Il che deve indurci ad analizzare la trasmissione degli averi dal punto di vista dei beni effettivamente trasmessi, e non del loro valore.
Qui, ancora una volta, troviamo nelle comunità di villaggio comportamenti differenziati a seconda delle attività familiari. Prendiamo il rapporto tra terre, pascoli e crediti. Presso le «élites» il grosso della ricchezza viene dal controllo dei mercati attraverso titoli di credito, che rappresentano quasi i nove decimi dei patrimoni22. Il figlio a cui il padre decide di trasmettere la sua impresa erediterà anche il sistema di relazioni commerciali e parte dei titoli che ne costituiscono la quota più significativa. I fratelli che sono parroci o avvocati ereditano anch’essi (se il padre è riuscito a portare a termine le sue strategie di devoluzione dei beni) una parte dei titoli. Tuttavia, gli sviluppi della congiuntura pesano a tal punto sul destino di ciascuno23 e altrettanto i rapporti di affari costringono i fratelli a gestire insieme questo patrimonio, che rimane difficile pensare in termini di equità. In compenso, le femmine non ereditano la gestione dell’impresa commerciale e ricevono la dote prevalentemente in denaro; ma possono averla anche in terre e pascoli, o in titoli, se il padre non è riuscito ad arricchirsi quanto avrebbe voluto. Tuttavia, le figlie che ricevono titoli in eredità, non li gestiscono personalmente: li lasciano in mano al fratello commerciante che versa alla sorella gli interessi, come fa Jean Giraud, oppure vengono amministrati dai mariti in società con i cognati, come avviene per le sorelle di Jean Giraud.
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Invece, i patrimoni delle famiglie che vivono del lavoro ricevuto dai più abbienti, hanno una struttura radicalmente diversa, essendo costituiti essenzialmente di terre coltivabili e di qualche pascolo. Prendiamo, ad esempio, la famiglia Pellissier, originaria della Savoia, venuta a La Grave per prendere in affitto i terreni di certi mercanti troppo occupati nell’attività commerciale per avere il tempo di occuparsene personalmente. Alla fine del XVII secolo la famiglia appare ben impiantata e alcuni membri cominciano ad accostarsi alla mercatura trasportando la balla per un venditore ambulante del villaggio. Jean Pellissier appartiene a questa fitta schiera di piccolissimi proprietari, poiché nel 1671 paga 6 livres di tributo, cioè i tre quarti dell’imposta media a ruolo. Ha un figlio e due figlie, che alla sua morte si dividono un’eredità del valore di 758 livres, comprendente i beni del padre, quelli della madre, e i lasciti ricevuti da altri parenti. Possiedono una casa da alpeggio stimata 24 livres, una casa in paese del valore di 150 livres, una vecchia mula, terre per un valore di 519 livres e pascoli per 135 livres. Quest’esempio di successione mostra bene la differenza che sussiste tra i due gruppi in cui è divisa la popolazione del villaggio, i commercianti e gli altri. Oltre alla notevole disparità nel valore delle case, la grossa differenza emerge dal rapporto tra terre e pascoli. Mentre i venditori ambulanti ne possiedono in quantità più o meno equivalente, i Pellissier hanno quattro volte più terre che pascoli: prima di tutto infatti, va assicurata la sussistenza della famiglia. Le parti, come valore monetario, sono pressoché uguali per ogni figlio: 267 livres per Frangoise, 274 per Marguerite e 310 per Louis; ma entrando nel dettaglio, la divisione si rivela essere tut-t’altro che equa, poiché tutto ciò che ha a che fare col bestiame viene lasciato al figlio, al quale rimangono la casa d’alpeggio, la mula e il doppio dei pascoli lasciati alle sorelle. Al figlio, in sostanza, vengono lasciati i beni che possono farlo entrare nel ciclo commerciale. Alle figlie invece, rimangono la casa in paese e a ciascuna un baule di legno dolce del valore di due livres. Notiamo inoltre che, per il momento, i Pellissier non posseggono bestiame proprio, e gli unici animali di cui si occupano sono quelli affidatigli dai più ricchi. Infine, va detto che Jean appartiene alla clientela di Pierre Pie - uno tra i più ricchi abitanti del paese, di quelli che pagano fino a otto volte l’imposta media a ruolo: Jean è in debito con lui di 100 livres e Pie utilizza nel villaggio il lavoro della sua famiglia24.
Inquadrare la questione non solo dal punto di vista dei beni trasmessi ma anche sul piano dei mercati in cui questi beni entrano porta a considerare un secondo gruppo di meccanismi che le famiglie possono controllare fino a un certo punto: quello delle evolu-
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zioni economiche dei vari mercati. A questo punto bisognerebbe riflettere sul modo in cui i genitori inseriscono nei loro calcoli i presentimenti delle evoluzioni di questi mercati, e sui sistemi che adottano per prevenire i rischi e le casualità. In altre parole, in che modo le famiglie tengono conto nelle loro disposizioni per la successione della parte di rischio che circonda ogni decisione?
Se queste logiche intuitive sono difficili da mettere in evidenza, varie disposizioni testamentarie provano il desiderio da parte degli autori di parare i colpi della malasorte. Innanzitutto va considerato il lungo lasso di tempo in cui si colloca la trasmissione: ogni volta che si ammala, o che deve partire per un lungo viaggio, il padre redige un testamento, salvo poi rifarne un altro qualche anno più tardi, modificando quello precedente con un gran numero di codicilli e tenendo conto ogni volta dei cambiamenti avvenuti nella composizione della famiglia o della parentela in senso lato. In queste strategie elaborate passo a passo, sulla scia di ogni cambiamento, i contratti di matrimonio appaiono come una tappa «morbida» dove si cerca di negoziare e combinare varie alternative possibili per l’avvenire della famiglia. Sono atti dai quali emerge con chiarezza come la famiglia tenti di gestire il caso.
Ecco, ad esempio, un contratto di matrimonio che mostra come un genitore cerchi di prevedere varie alternative per il futuro, immaginando scenari diversi per adattare l’avvenire della sua famiglia alle incognite del destino. In quel contratto Io zio assegna a uno dei nipoti un lotto di terre messe da parte per uno dei suoi figli, che sono invece tutti morti. Confrontando questo contratto di matrimonio con altri atti e con l’ultimo testamento, si scopre che, contrariamente a quanto viene qui affermato, lo zio vive in un’altra frazione dove ha la sua attività e la sua abitazione. Invece, la finzione contenuta nell’atto gli permette di assicurare eventualmente a sé e/o alla moglie una pensione per la vecchiaia, un’assicurazione contro le malattie che potrebbero tenerlo lontano dalla sua attività, e per il presente gli garantisce il lavoro di un fattore sulle terre destinate alla sua progenie che non ha l’agio di coltivare. Del resto, la pensione richiesta è più vicina a una mezzadria che a una pensione vera e propria, poiché non vi è inclusa né la legna per il riscaldamento, né l’occasionale pezzo di carne. Da ultimo, il testamento dello zio mostra che egli non ha mai vissuto a casa del nipote e che non ci andrà nemmeno la moglie, poiché alla fine l’erede designato è un altro nipote; questo si stabilirà nella casa dove lo zio è sempre vissuto e si prenderà cura della zia rimasta vedova 25.
D’altra parte, più il padre muore giovane, più numerosi sono i testamenti redatti che comportano clausole evolutive. Alcuni geni-
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tori nominano eventuali eredi alternativi, rimpiazzando quello prescelto con un fratello o una sorella, o addirittura con un (o una) nipote. Così, ad esempio, fa Agathe Guerre che prevede nel suo testamento l’eventualità che suo figlio «assente dalla provincia o dal regno per attendere ai suoi affari non venga sul posto per godere o disporre dei suddetti beni», e nomina la nipote come erede sostitutiva26. In quest’ultimo caso, il nipote che eredita dallo zio vedrà cambiare la sua posizione nell’ambito della sua stessa famiglia. Noè Gourand, per esempio, che ha ricevuto un’eredità dallo zio, riceve dal padre una dote pari a quella delle sorelle, e viene escluso dagli affari della famiglia. Altri ancora scrivono dei testamenti a doppia entrata a seconda che la morte li colga nel luogo della loro attività commerciale o nel paese, come fa Hugues Gasques, fu Pierre, mercante di Auris à Moulin nel Borbonese nel 1682. Se morirà a Auris, sarà il suo erede Jean-Antoine ad occuparsi della successione, mentre se dovesse morire a Moulin, suo cognato Nicolas d’Heu, già trasferitosi in città, si assumerà il carico della famiglia, avrà la tutela dei bambini e si preoccuperà che il figlio maggiore, cioè l’erede, risarcisca i fratelli e le sorelle più giovani e si prenda cura della zia27.
Mentre tentano di inquadrare il destino nella logica dei loro disegni, allo stesso tempo le famiglie cercano di adattarsi ai cambiamenti che percepiscono. Come abbiamo sottolineato nella prima parte, le difficoltà economiche le inducono ad allontanare il più possibile il momento in cui sistemeranno i figli; le tappe successive della devoluzione dei beni vengono considerevolmente rallentate e alla fine restano incompiute, sconvolgendo così tutte le regole. Terre e titoli restano sempre più spesso indivisi tra i figli e l’allontanamento dell’età del matrimonio è una prassi diffusa. Questi provvedimenti, che modificano profondamente i rapporti all’interno della famiglia, influiscono senza dubbio sulle ideologie sottese alle varie posizioni, creando conflitti tra gli interessi individuali28. In effetti, il possesso comune di terre coltivate impone la solidarietà o la definizione precisa dei diritti e dei doveri di ciascuno, in modo da ridurre gli spazi di conflitto.
Ma la duttilità non è assoluta. In particolare, anche quando il padre si è assunto il rischio, volontariamente o per le pressioni di un figlio impaziente, di assegnare a questo una dote quando è ancora in vita, le congiunture possono sconvolgere completamente le sue disposizioni. Una volta fissato nel contratto, infatti, l’ammontare della dote non può più essere toccato, e rappresenta così un elemento di rigidità molto forte. Per superarla, il padre ha due strade da seguire: o non ne fissa la somma, ed è ciò che avviene in particolare quando si tratta di figli maschi (questo non vale solo
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per l’Oisans, e Maurice Garden constata la stessa usanza anche a Lione29), oppure fìssa una cifra minima, salvo poi incrementarla con legati se si sarà arricchito ulteriormente. Nel XIX secolo, in seguito alla ripetute crisi che hanno profondamente trasformato l’economia dei villaggi, molte famiglie si sono trovate, alla morte del padre, nella situazione paradossale di avere delle figlie con una dote e dei figli maschi che hanno ereditato solo debiti. La fissità della dote si è rivelata un vantaggio per le femmine e ha trasformato le «escluse» in «privilegiate». Il curato del villaggio di Cla-vans constata con preoccupazione che la crisi economica ha completamente snaturato molte successioni e che le figlie con dote sono divenute de facto le uniche eredi del padre, poiché gli eredi designati hanno ricevuto solo debiti. Egli si chiede come sia possibile far sì che anche le figlie partecipino al passivo del lascito30.
In realtà, già a partire dalla metà del XVIII secolo, i capifamiglia si mostrano prudenti31: si assumono sempre di meno il rischio di far sposare i figli in vita32 e si guardano bene dall’assegnare loro una dote in percentuale sui loro averi anziché una somma fissata.
Le evoluzioni demografiche, così come l’impatto dell’allungamento della vita nel XVIII secolo33, soprattutto in quelle società dove il potere si trasmette al momento della morte, creano altre tensioni tra le diverse generazioni. L’allontanamento dell’età del matrimonio, l’aumento del numero di scapoli, la necessità per i genitori di pensare alla loro vecchiaia, insomma tutte le risposte ai cambiamenti della struttura demografica generano nuovi conflitti nel cuore delle famiglie, e nuove negoziazioni tra le generazioni, che si traducono nell’impazienza dei figli che a trent’anni vengono considerati ancora minori. Eric Wolf e John Cole hanno mostrato che nei villaggi di Tret e Saint-Félix in Tirolo, più grande è la differenza di età tra il padre e il primogenito, maggiori sono le probabilità che questo ha di ereditare realmente, e, al contrario, se la differenza di età è esigua, aumentano le probabilità che l’erede designato non sia poi quello effettivo, bensì un fratello più giovane; il figlio maggiore, infatti, ha già lasciato la casa paterna. Dietro a questa pratica, gli autori vedono la necessità dei figli di rendersi indipendenti da un padre che vuole invece preservare la sua autorità fino alla morte34.
L’allungarsi della vita dei genitori porta altri cambiamenti, giacché questi ultimi devono premunirsi di fronte all’incipiente possibilità di non poter più lavorare. Di fatto, l’avvenire dei vecchi è da mettere in parallelo con quello degli orfani: si incontrano gli stessi ostacoli economici, lo stesso obbligo, per chi rimane al paese, di prestare la sua forza lavoro, o altrimenti i mezzi per comprare quella altrui35. Quando la vecchiaia o la malattia cominciano a farsi
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sentire, i genitori dividono i loro averi o li cedono in cambio di un vitalizio. Madeleine Caraud, vedova di un ricco mercante del Vil-lard d’Arène, dà in affitto alle sue due figlie, per sei anni, «tutti i suoi fondi»; in cambio loro si impegnano a pagare i tributi, a mantenere la madre e a curarla in caso di malattia36. Come soluzione intermedia, le più anziane vendono un po’ alla volta le loro terre. Il vitalizio che i figli versano alla madre «non è sufficiente per nutrirla e per alleviare la sue malattie e la vecchiaia» cosicché lei decide di dar via un appezzamento di terra che aveva tenuto da parte e aveva promesso al nipote; infatti, fa scrivere nell’atto di vendita, «visto che il detto Gonnet non le dà alcun sostegno, è ben contenta di vendere e di revocare la suddetta donazione». Decide così di cedere questa terra al genero e di utilizzare il denaro per «dare conforto alla sua miseria nella vecchiaia e nella malattia»37.
Come avviene per gli orfani, il dovere di curare i propri parenti malati, di mantenere i genitori anziani non più in grado di lavorare rientra in un insieme di regole severe di reciprocità o di mercato: tutto ha un prezzo e tutto si paga, e i contratti elencano gli obblighi di ciascuno. Il fatto di non riconoscere finanziariamente il tempo e il denaro spesi per curare un parente esige una riparazione: così un nipote, di fronte all’«ingratitudine» di una zia, che non ha tenuto conto nel suo testamento delle «preoccupazioni e delle spese sostenute durante la sua malattia», è pronto a citarla davanti al giudice di Oisans38. Una madre offre un legato alla figlia e al genero che si sono preoccupati «di curare i suoi fondi nella sua presente malattia e hanno sostenuto tutte le suddette spese»39. Una nonna aggiunge una postilla per lasciare alla nipote «oltre a ciò di cui sopra, tutti i suoi ornamenti femminili di cui sarà in possesso al momento della sua morte, considerando le affettuose attenzioni che ha ricevuto e riceve da lei giornalmente nella sua vecchiaia e nell’attuale stato di necessità»40. Una sorella dona un terreno a un’altra sorella perché «costei l’ha servita durante la sua malattia e la serve ancora quotidianamente, non potendola ricompensare delle sue premure in denaro, dal momento che non ne ha affatto»41. Le comunità alpine non rappresentano un caso particolare, ma in tutta Europa i genitori anziani organizzano la devoluzione dei loro beni in base alla pianificazione della loro vecchiaia42.
L’analisi delle pratiche delle famiglie dei mercanti migranti permette così di mostrare che, come le famiglie nucleari e quelle allargate sono, in luoghi diversi, due tappe di uno stesso sviluppo familiare, anche modelli di devoluzione dei beni apparentemente contraddittori sono, in certi casi, due fasi di uno stesso processo. La grande varietà di tipologie traduce allora, più che strutture familiari distinte, le congiunture economiche e demografiche che queste at-
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traversano. Si può arrivare a tali conclusioni solo se gli atti notarili vengono presi come parte di una strategia globale da analizzare in dettaglio. Di qui sorge la difficoltà di trattare questi documenti quantitativamente, per categorie, dal momento che altri possono modificarne il contenuto lungo il corso del ciclo familiare e mano a mano che si definiscono gli itinerari di ciascun membro della famiglia. Tali atti, che rappresentano altrettante tappe di queste strategie familiari in perpetua ricomposizione, rivelano come le famiglie cerchino di prevedere e di garantire un futuro incerto.
Il problema che abbiamo posto si inquadra, inoltre, in una fitta rete di dinamiche concorrenti che lo rendono molto difficile da affrontare. La volontà delle famiglie di far parte di parentele più larghe si oppone a quella dello Stato e della Chiesa, che cercano di promuovere l’autorità del padre e di imporre la famiglia ristretta al posto delle coalizioni familiari. E una lotta lenta, con esiti diversi a seconda del contesto sociale. Un’analisi impostata in chiave strutturale rende difficile cogliere queste evoluzioni, poiché adotta il punto di vista dello Stato e della Chiesa e non permette di differenziare socialmente i contesti pertinenti. Vedere allora come si formano e si sviluppano queste aggregazioni familiari a seconda delle epoche e del luogo in cui hanno attecchito, come le famiglie occupino queste «coalizioni di mestiere», è essenziale per capire come cambiano le divisioni di potere, di beni e di ruoli all’interno delle famiglie.
Senza dimenticare, infine, le dinamiche economiche e demografiche che investono le famiglie e aumentano le difficoltà, stravolgendo le previsioni e mandando a monte tutte le strategie, anche le più prudenti.
Laurence Fontaine
Centre de Recherches Historiques
Laboratoire C.N.R.S. - E.H.E.S.S. - U.M.R.C.
Note al testo
1 M. Foucault, Histoire de la sexualité, voi. 1: La volonté de savoir, Paris 1976.
2 D.W. Sabean ha tentato un approccio in questo senso analizzando i conflitti nell’ambito della famiglia: Property, Production and Family in Neckarhausen, 1700-1870, Cambridge 1990.
3 J.W. Cole e E.R. Wolf, The Hidden Frontier, Ecology and Ethnicity in an Alpine Valley, New York 1973; trad. it. La Frontiera nascosta. Ecologia e etnicità tra Trentino e Sudti-rolo, Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina, San Michele all’Adige, 1993.
4 F. Le Play, L’Organisation de la famille selon le vrai modèle signalé par l’histoire de toutes les races et de de tous les temps, Paris 1871; J. Yver, Egalité entre héritiers et exclusion des enfants dotés. Essai de géographie coutumière, Paris 1966; E. Le Roy Ladurie, Structures fami-liales et coutumes d’héritage en France au XVIe siècle: système de la coutume, in «Annales ESC», n. 4-5, 1972, pp. 825-846, ripreso in Le territoire de Thistorien, Paris 1973, pp. 222251.
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5 «Etudes Rurales», Le droit et les paysans, n. 103-104, 1986. In particolare, L. Assier-Andrieu, Coutume savante et droit rustique. Sur la légalité paysanne, pp. 105-137 (120-123).
6 «Etudes Rurales», La terre: succession et héritage, n. 110-111-112, 1988: vedi in particolare la sintesi di T. Barthelemy, Les modes de transmission du patrimoine. Synthèse des tra-vaux effectués depuis quinze ans par les ethnologues de la France, pp. 195-212 (200-201) e, nello stesso numero, la bibliografìa compilata da Marie-Christine Zelem, pp. 325-357. G. Augus-tins riprende i temi del dibattito seguendo i lavori che segnano il cammino della discussione: Division égalitaire des patrimoines et institution de l’héritier, in «Archives Européennes de Sociologie», t. XX, n. 1, 1979, pp. 127-141. Confronta anche la sua sintesi: G. Augustins, Comment se perpétuer? Devenir les lignées et destins des patrimoines dans les sociétés paysannes, Société d’ethnologie, Nanterre 1988.
7 L.K. Berkner, Inberitance, Land Tenure and Peasant Family Structure: A German Re-gional Comparison, in J. Goody, J. Thirsk e E.P. Thompson (a cura di), Family and Inberi-tance. Rural Society in Western Europe 1200-1700, London 1976, pp. 71-96. Per l’età contemporanea, J. Cole e E. Wolf hanno distinto tre livelli di comportamento: l’ideologia del villaggio che fornisce la norma a livello locale, l’ideologia nazionale che si traduce nelle leggi e nelle pratiche effettive, che fanno giocare i primi due livelli in funzione dei vincoli ecologici ed economici: The Hidden Frontier cit., pp. 173-205.
8 Nel suo studio su tre villaggi della regione di Cambridge, Margaret Spufford suggerisce una conclusione simile, mostrando come tra il XVI e il XVIII secolo la spinta demografica e le difficoltà economiche abbiano accentuato le disparità tra i gruppi delle comunità rurali e confuso i sistemi di devoluzione dei beni. In questi villaggi, l’erede nominato deve risarcire gli altri fratelli; se è riuscito ad accumulare delle rendite, dovrà utilizzarle a questo scopo; ma qualora la congiuntura non glielo permette, si vedrà costretto a detrarre il risarcimento dalla proprietà che ha ereditato. Solo i grandi proprietari hanno potuto mantenere l’usanza di designare un erede principale, mentre ai più modesti è toccato di dividere il loro patrimonio. H che equivale a mostrare che la pratica di un erede unico e la divisione dei beni tra i figli forse non sono altro che due fasi di una stessa strategia. A questa prospettiva dinamica possono anche ricollegarsi i lavori di D. Sabean che constata, nel Wùrttenberg del XVII secolo, un cambiamento radicale nei sistemi di devoluzione dei beni adottati dalle generazioni di prima e dopo la guerra dei Trent’anni. M. Spufford, Contrasting Communities. Englisb Villagers in thè Sixteenth and Seventeenth Centuries, Cambridge 1974, pp. 85-92; 104119; 159-167. Le sue analisi vengono riprese in Peasant Inberitance Customs and Land Distri-bution in Cambridgeshire from thè Sixteenth to thè Eighteenth Centuries nel volume a cura di J. Goody, J. Thirsk e E.P. Thompson, Family and Inberitance cit., pp. 156-176. D. Sabean, Aspects of Kinship Behaviour and Property in Rural Western Europe before 1800, sempre in J. Goody, J. Thirsk e E.P. Thompson, Family and Inberitance cit., pp. 96-111.
9 M. Foucault, Histoire de la sexualité cit.; Histoire des pères et de la paternité, sotto la direzione di J. Delumeau e D. Roche, Paris 1990.
10 H. Neveux, Individu, famille et communauté à Villiers-le-Bel (1573-1587) (d’après les Testaments), 114e Congrès national des Sociétés savantes, Paris 1989, Histoire moderne et con-temporaine, Paris 1990, pp. 405-419; DJ. Siddle, Articuling thè Grid of Inberitance: The Ac-cumulation and Tranmission of Wealth in Peasant Savoy 1561-1792, in «Itinera», 5/6, 1986, pp. 123-180.
11 D.W. Sabean, Property, Production and Family cit. Cfr. anche la discussione di G. Levi, L'eredità Immateriale. Carriera di un esorcista nel Piemonte del Seicento, Torino 1985, cap. 2.
12 L. Fontaine, Solidarités familiales et logiques migratories en pays de montagne à l’é-poque moderne, in «Annales ESC», n. 6, 1990, pp. 1433-1450.
13 A.D. Hautes Alpes, 1E 4839, giugno 1684.
14 A.D. Hautes Alpes, 1E 4389, 8 ottobre 1684. La stessa assenza dei familiari e di due zii è specificamente menzionata il 13, 24 e 25 gennaio 1685.
15 L. Fontaine, Solidarités familiales cit.
16 Hugues Neveux mostra che vi sono lignaggi contadini molto potenti anche nell’He de France, dove si accaparrano concessioni e cariche ufficiali in tutta la regione: Pouvoirs informels et réseux familiaux dans les campagnes européennes au XVIe siècle, in «Actes de la Recherche en Sciences Sociales», n. 96-97, 1993, pp. 67-69.
17 I sistemi di pagamento - e tutto quel che ruota intorno all’attività - creano anch’essi dei mestieri collegati che si impongono al clan familiare. Ad esempio, quello del panettiere.
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Ulrich Pfìster ha mostrato che, nella regione intorno a Zurigo, venditori ambulanti e panettieri appartengono alle stesse comunità montane (Die Zùrcher fabriques, Protoindustrielles Wa-chstum vom 16 zum 18 Jahrhundert, Zùrich 1992). Nella Castiglia dei secoli XV1U e XIX lo stesso fenomeno si verifica con gli alvergnati: R. Douroux, Les boutiquiers cantaliens de Nou-velle-Castille au XIXe siècle, in «Mélanges de la Casa de Velasquez», 1985, t. XXI, pp. 281307.
18 A.D. Isère, 1J 1102.
19 A.D. Rhone, serie B, 8 maggio 1690. Renato Pasta mostra che, alla fine del XVII secolo, Balthazar Bouchard, libraio dell’Alto Delfinato stabilitosi a Torino, può diseredare quasi del tutto la sua giovane moglie qualora lei si debba risposare, proteggendo così il patrimonio dalla dispersione: Colloque Négoce et libraires, Lion 1993.
20 David Siddle ha analizzato molto bene le implicazioni di questo sistema da lui definito un sistema di flexible «impartible partibility» (Siddle, Articuling thè Grid of Inbéritance cit.).
21 David Siddle definisce la gens come «thè widest set of kinsmen linked by family name and marriage, who can, in certains circonstances, recognise a level of involvment in thè affairs of any individuai family menage or lignage. So that individuai family menage under a chef is “nested” within a lineage (or lignage) which itself is nested within a gens», op. cit.
22 L. Fontaine, Histoire du colportage en Europe, Paris 1993, cap. 5.
23 R. Ago, Ecclesiastical careers and thè destiny of cadets, in «Continuity and Change», 7,
3, 1992, pp. 271-282, mostra che nelle famiglie nobili, i cadetti che intraprendono la carriera ecclesiastica, contribuiscono con le loro rendite alla conservazione del patrimonio fondiario più dei primogeniti che lo hanno ereditato.
24 A.D. Hautes Alpes, 1E 7241, 4 aprile 1680.
25 A.D. Isère, 3E 898, 27 agosto 1754.
26 A.D. Hautes Alpes, 1E 4839, 5 marzo 1686.
27 A.D. Isère, 4E24 SU. Nella Savoia, la prassi delle sostituzioni testamentarie non è una prerogativa della nobiltà e tutti gli strati della popolazione la adottano fin dal XHI secolo, anche se le finalità perseguite sono diverse: B. Coutin, L’évolution de la transmission des biens en Savoie sous le régime Sarde (1814-1860), in «La Revue Savoisienne», 121, 1981, pp. 34-45.
28 N. Castan, La criminalité familiale dans le ressort du Parlement de Toulouse (16901730), in Crimes et criminalité en France sous FAncien Ré^zwe,«Cahiers des Annales», Paris 1971. N. e Y. Castan, Ordre et désordre en Languedoc (XVIP-XVIIP siècles), Paris 1981. Gli autori riportano alcuni esempi di educazione dei figli, e mostrano come i genitori li allevino in maniera diversa a seconda della loro condizione iniziale e del posto che dovranno occupare successivamente nella famiglia. P. Bourdieu, Les stratégies matrimoniales dans le système de reproduction, in «Annales ESC», t. 27, n. 4-5, 1972, pp. 1105-1125; De la règie aux stratégies, in «Terrain, Carnets du patrimoine éthnologiques», n. 4, 1985, pp. 93-100; Le sens pratique, Paris 1980. Cole e Wolf, The Hidden Frontier cit. Sabean, Property, Production and Family cit.
29 M. Garden, Lyon et le lyonnaise au XVIIP siècle, Paris 1970.
30 A.D. Isère, 27 J.
31 L’interrogativo se vi sia stata crescita o stagnazione demografica nelle Alpi del XVm secolo resta ancora aperto per via delle difficoltà create dalla mancanza di dati sicuri prima del XIX secolo. Il caso dell’Oisans conferma l’intuizione di R. Blanchard il quale suggerisce che la forte spinta demografica dei primi dell’Ottocento non sarebbe altro che un movimento di recupero dopo le crisi di mortalità degli anni ’90 e i prelievi dovuti alle guerre napoleoniche: Les Alpes Occidentales, t. 7, Grenoble 1956, p. 530.
32 P.P. Viazzo e D. Albera, Population, Resources and Homeostatic Regulation in thè Alps: thè Role of Nuptiality, in «Itinera», 5/6, 1986, pp. 182-231, suggeriscono che il matrimonio tardivo e l’alto tasso di celibato osservato nelle Alpi a partire dal XIX secolo sono forse all’epoca una creazione recente (pp. 188-190).
33 J. Dupàquier, La Population fran^aise aux XVIP et XVIIP siècles, Paris 1979.
34 The Hidden Frontier cit., pp. 182-187.
35 L. Fontaine, Solidarités familiales cit.
36 A.D. Hautes Alpes, 1E 7214, 17 giugno 1679; allo scadere del tempo, le figlie restituiranno i capitali, li reintegreranno a loro spese, mentre la madre promette loro 600 lire che gli serviranno come dote.
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37 A.D. Hautes Alpes, 1E 4839, 25 maggio 1690.
38 A.D. Hautes Alpes, 1E 7214, 27 luglio 1679.
39 A.D. Hautes Alpes, 1E 6 settembre 1680.
40 A.D. Hautes Alpes, 1E 7215, 8 novembre 1684.
41 A.D. Hautes Alpes, 1E 4839, 23 novembre 1686.
42 D.G. Troyansky, Old Age in thè Old Regime: Image and Experience in Eighteenth Cen-tury France, New York 1899, cap. 6, porta numerosi esempi di questi contratti che organizzano la devoluzione dei beni e programmano allo stesso tempo il ritiro dall’attività dei genitori, elencando le responsabilità di ciascuno.