DAL DIVERSO ALL'UNIFORME: LE PRATICHE DESCRITTIVE NELLA STATISTICA DIPARTIMENTALE NAPOLEONICA

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Title
DAL DIVERSO ALL'UNIFORME: LE PRATICHE DESCRITTIVE NELLA STATISTICA DIPARTIMENTALE NAPOLEONICA
Creator
Marie Noëlle Bourguet
Paola Pescarmona
Date Issued
1984-04-01
Is Part Of
Quaderni Storici
volume
19
issue
55 (1)
page start
193
page end
230
Publisher
Società editrice Il Mulino S.p.A.
Language
ita
Format
pdf
Relation
Le parole e le cose: un'archeologia delle scienze umane, Italy, Rizzoli Ed., 1967
Nascita della clinica, Italy, Einaudi, 1969
Rights
Quaderni storici © 1984 Società editrice Il Mulino S.p.A.
Source
https://web.archive.org/web/20230921081535/https://www.jstor.org/stable/43777228?searchText=Foucault&searchUri=%2Faction%2FdoBasicSearch%3FQuery%3DFoucault&efqs=eyJsYV9zdHIiOlsiYVhSaCJdfQ%3D%3D&sd=1975&ed=2000&pagemark=eyJwYWdlIjoyNSwic3RhcnRzIjp7IkpTVE9SQmFzaWMiOjYwMH19&groupefq=WyJjb250cmlidXRlZF90ZXh0Iiwic2VhcmNoX2NoYXB0ZXIiLCJjb250cmlidXRlZF9hdWRpbyIsInJlc2VhcmNoX3JlcG9ydCIsInNlYXJjaF9hcnRpY2xlIiwicmV2aWV3IiwibXBfcmVzZWFyY2hfcmVwb3J0X3BhcnQiXQ%3D%3D&ab_segments=0%2Fbasic_search_gsv2%2Fcontrol&refreqid=fastly-default%3A6e74b23a9b179f25f848a50e74b391d4
Subject
exclusion (of individuals and groups)
archeology
archive
discursive practice
extracted text
DAL DIVERSO ALL’UNIFORME: LE PRATICHE DESCRITTIVE NELLA STATISTICA DIPARTIMENTALE NAPOLEONICA
1. PREMESSA
Nel fiorile dell’anno IX, una fiera dichiarazione invita alla lettura del primo fascicolo delle Annales de Statistique:
Si nous lisons avec empressement les voyages des Cook, des Lapeyrouse, des Vaillant, qui nous promènent dans des contrées agrestes et sauvages où vègétent des peuples barbares, liron-nous avec moins d’intérét l’ouvrage destiné à nous faire connaitre le pays le plus beau le plus curieux de l'univers; le pays des découvertes des arts et de l’industrie, habité par un peuple aimable et poli, autant que brave et éclaire; notre pays enfin? \
Nel progetto così definito di una descrizione statistica della Francia, si enuncia un triplice intento: redigere l’inventario «des ressources, des institutions, des usages et des moeurs», tracciare lo stato del paese alla fine della Rivoluzione. Un progetto scientifico: fondare una scienza esatta, con una pertinenza e suoi metodi propri — «La statistique est l’exposé méthodique et positif des objets qui composent la richesse et la force d’un Etat; c’est le tableau physique de l’Etat». Una volontà politica infine: forgiare l’unità e l’identità della nazione, esaltare il patriottismo dei francesi, offrendo loro «le riche tableau de la puissance nationale»2. Dell’inventario della Francia che intraprende, al principio del Consolato, l’amministrazione napoleonica intende
Traduzione dal francese di Paola Pescarmona.
Il presente saggio è ricavato, con riduzioni, dall'introduzione e dal cap. VI, dalla thèse sostenuta all’Université de Paris I Pantheon-Sorbonne con il titolo: Dechiffrer la France. La statistique départementale à l’epoque napoleonienne, pp. 872, dattiloscritto, Paris, 1983.
QUADERNI STORICI 55/ a. XIX, n. 1, aprile 1984



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fare sia lo strumento necessario al suo governo, che la genesi di una scienza della società e il fondamento dell’idea nazionale: è, esplicitamente, voler tentare l’incastro della politica, della scienza e dell’ideologia.
Questa ambizione, pur così pomposamente dichiarata, non ha, sino ad ora, sufficientemente attirato l’attenzione. Chi si è interessato alla statistica napoleonica, gli storici, senza considerare il suo progetto multiplo, l’ha sempre giudicata in nome dell’uno o dell’altro dei suoi aspetti, documentario, dotto o politico. Gli uni hanno fatto, dei dati ricavati dall’amministrazione prefettizia, un uso documentario, cercandovi in primo luogo la materia per tracciare un quadro della Francia che servisse come bilancio della Rivoluzione e fornisse un indice di base per tutta la storia con temporanea: questi sono gli storici della Rivoluzione e dell'Impero, autori di monografie dipartimentali o regionali da una parte, specialisti di storia economica, demografica o sociale dall’altra. Gli altri, storici delle idee e delle scienze, hanno fatto della statistica un uso genealogico: curiosi di risalire attraverso essa alle origini delle scienze sociali, hanno letto nel suo progetto, nei suoi metodi, le premesse e gli inizi tentennanti di una scienza della società. Tuttavia né l’una né l’altra lettura si è avveduta del forte investimento ideologico dell’inchiesta, se non per scorgervi una componente deplorevole, un residuo, causa dei limiti del progetto e del suo insuccesso finale.
Alla prima corrente, quella dell’approccio documentario, appartengono, come è noto, una serie di opere consacrate agli inizi di questo secolo alla «storia amministrativa» dei diversi dipartimenti e tutto un insieme di ricerche sui primi prefetti e sul sistema amministrativo napoleonico, intraprese sotto la direzione di J. Tulard. Tutti questi lavori hanno una caratteristica comune: fondano l’essenziale della loro documentazione su fonti amministrative ed in particolare sui rapporti e sui quadri statistici dei prefetti e ricostituiscono la vita di un dipartimento dal punto di vista degli uffici della prefettura. Non senza sottolineare una serie di reticenze nei confronti del loro materiale: come si può fare a meno, in effetti, di non essere sospettosi di fronte alle affermazioni perentorie di quei funzionari che non esitano talvolta ad enumerare, quasi uno alla volta, i polli, i montoni o le allodole del loro dipartimento; di fronte ai pregiudizi ed alle adulazioni che costellano le loro descrizioni? «Ufficiale non è sinonimo di esatto», avverte P. Viard prima di utilizzare la memoria statistica della Cote d’Or; e J. Tulard si mostra ancora


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più severo: «I rapporti dei prefetti non citano se non ciò che piace loro menzionare e le statistiche trasmesse a Parigi risultano per lo più false o approssimative»3. A questo scopo nessuno può pensare di fare affidamento su questi documenti senza sottoporli ad una critica esterna che li confronti ad altre fonti (racconti di viaggiatori, ulteriori inchieste, fonti economiche e demografiche classiche, etc...) e di una critica interna che si impegni a denunciare i pregiudizi dei loro autori, le loro falsificazioni, deliberate o meno. Su scala nazionale e per ricerche più specializzate, gli storici della Rivoluzione e dell’Impero hanno anche cercato di sfruttare parte del materiale affrettatamente accumulato durante quegli anni di inquietudine4. Tutte queste ricerche, avendo per oggetto la ricostruzione, più fedele possibile, di una immagine «reale» della Francia, della sua situazione politica ed economica, della sua struttura demografica o sociale, adottano lo stesso tipo di approccio nei confronti delle statistiche del periodo rivoluzionario e napoleonico: prima di tutto cercano di valutare il grado di affidabilità ed il contenuto di informazione oggettiva di quelle liste, quadri o descrizioni. Tutto considerato — conclude J. N. Biraben dopo Pesame delle statistiche della popolazione — le osservazioni sistematiche di quest'epoca sono generalmente buone ed utilizzabili anche nei dettagli, a condizione di non pretendere una precisione che non possono avere e di criticarle prima di interpretarle»5. Cercare nelle statistiche il quadro di ciò che è stato: la storia, in questo caso, fa ancora della Statistique un puro e semplice documento e misura e giudica solo con questo metro il lavoro degli statistici dell’anno IX. Altro è il procedere degli storici della scienza, delle idee e delle istituzioni, che trattano meno del contenuto oggettivo e del valore documentario della Statistique di quanto non facciano per la sua forma, i suoi metodi e i suoi procedimenti. L’approccio è questa volta genealogico: si propone di fare la storia di una disciplina in formazione. A. de Saint-Léger, P. G. Marietti, O. Festy, M. Reinhard, B. Gille hanno tracciato la storia politica, istituzionale ed anche intellettuale di quel tentativo enciclopedico e sistematico che è stata la prima Statistique générale della Francia. P. Lazarsfeld ha intrav-visto in questo sforzo di indagine sociale gli esordi della sociologia empirica... Tali letture sottolineano naturalmente l’aspetto precursore della statistica, e per meglio segnare le tappe e gli sviluppi, ne mettono in rilievo le innovazioni, anche quelle fallite o poco utili: comparsa di nuovi oggetti degni d’attenzione (criminalità, igiene, opinioni), messa a punto di protocolli di inchiesta e



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di analisi (questionari, tavole, grafici), discussione sui metodi per il censimento della popolazione ecc. Tracciare la storia della statistica napoleonica equivale dunque, in questo caso, a risalire alle origini delle scienze sociali contemporanee — sociologia, demografia, antropologia — abbozzarne il loro sviluppo lineare, cumulativo. Anche se corrisponde ai desideri dei teorici della statistica napoleonica, convinti di aver posato, nel 1800, la prima pietra di un tipo di conoscenza rigorosa della società, è tuttavia recepire qui un solo aspetto della loro impresa e giudicarla retrospettivamente, in nome dei criteri attuali, presi a prestito dalle discipline costituite.
Da questo punto di vista, l’approccio documentario, sia esso locale o tematico e l’approccio genealogico, possono considerarsi allo stesso livello: il primo, spingendo la statistica a monte — la realtà descritta — è alla ricerca della sola materialità di un determinato contenuto; il secondo, guardando a valle, riduce la Statistique ad una tappa nella storia di una scienza. Né l’uno né l’altro fanno di essa l’oggetto proprio di un’indagine.
Nel 1953, O. Festy aveva già tentato un altro approccio, denunciando la tendenza a fare del materiale statistico un uso troppo fattuale e positivistico: «Non dobbiamo qui valutare la natura e la validità delle informazioni che sono contenute nei resoconti deH’inchiesta [...] ma giudicare i piani dei Ministri dell’Interno e i sistemi adottati per la realizzazione dell’intera opera»6. Tutto questo invita a far ritorno al documento e a considerare la statistica per se stessa e nel suo insieme. Come scrive R. Chartier: «I discorsi passati non sono lo stadio infantile delle scoperte del nostro presente, ma devono essere decifrati all’interno della loro organizzazione, nel loro enunciato, nella loro funzione specifica»7.
Decisamente storicista, un tale approccio, senza privilegiare né l’uno né l’altro di questi aspetti — la realtà che essa specchia né la scienza che essa prefigura — considera la Statistique come un tutto, un sistema di pensiero e di descrizione che deve essere compreso nella sua logica propria, anche nei suoi errori fattuali, nelle sue debolezze concettuali, nelle sue storture ideologiche; e infine anche negli «sviluppi inutili» che l’ostacolano, di solito tenuti in considerazione, poiché non sono nient’altro che «il punto di vista abituale dell’uomo di quei tempi»8. Tutto ciò è da tener presente, dal momento che lo scopo è quello di comprendere l’immagine che una società forma di se stessa: a quali condizioni si costituisce come oggetto osservabile? Come pensare il



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rapporto tra la realtà osservata e gli strumenti di osservazione e di descrizione?9 Si tratta, in breve, tramite lo studio delle rappresentazioni e delle pratiche descrittive, di rispondere alla seguente duplice domanda: che cosa volevano e che cosa potevano vedere della Francia i ministri e gli statistici, gli amministratori e i notabili che, verso il 1800, si erano prefissi il compito di osservare, descrivere e censire il paese intero, dipartimento per dipartimento?
In questo percorso di ricerca, che sfugge al campo della storia documentaristica classica come a quello della storia delle idee, qualche lavoro recente ha posto dei punti di riferimento, rinnovando con la sua problematica l'approccio e la lettura delle statistiche napoleoniche 10.
Centrato sulle descrizioni e sulle statistiche agricole, lo studio di J. Mulliez, ad esempio, insegna brillantemente che occorre, per leggere gli agronomi e gli statistici della fine del XVIII secolo, porsi preliminarmente nella loro ottica, vedere come loro hanno visto, per decifrare il loro sistema di percezione11. Attraverso il codice descrittivo appare tutto un sistema di pensiero, e tutto un immaginario, se si preferisce, ma non meno reale e concreto poiché è proprio in nome dei loro a priori, che notabili ed amministratori hanno perseguito il progetto di dissodare lande e pascoli, hanno dettato legge e condotto la lotta contro le pratiche tradizionali dei contadini. La loro griglia era tanto descrittiva quanto prescrittiva.
Così, attraverso lo studio delle categorie della descrizione, si trova il collegamento fra l'immagine e la società che l’ha prodotta e che per mezzo di essa si rappresenta: relazione complessa, la cui analisi esige un approccio multiplo e comprensivo che integri fattori cognitivi a quelli sociali e ai rapporti di potere.
2. LE PRATICHE DESCRITTIVE
Qualsiasi descrizione del mondo naturale e sociale, implica una suddivisione del reale, un sistema di categorie, di griglie di classificazione e di rappresentazione. Esplorare l’attrezzatura mentale con cui prefetti ed inquirenti si accinsero a descrivere i dipartimenti, portare alla luce i codici dell’osservazione e della comprensione, costituisce, di là dalle teorie e dalle dichiarazioni ufficiali, un passo avanti nell’analisi delle mentalità e delle rappresentazioni12. In particolare lo studio delle pratiche descrittive



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in questo corpo di notabili e di funzionari, alle prese con un compito concreto di inchiesta e di analisi, costituisce un modo indiretto di considerare la portata dello sconvolgimento rivoluzionario: poiché se la statistica napoleonica si colloca all'interno di una lunga tradizione amministrativa ed epistemologica, i suoi questionari si modellano invece su una nuova griglia di divisione e di classificazione emersa dalle trasformazioni rivoluzionarie. Non vi è rivoluzione politica che non tenti di definire e significare la sua rottura con il passato attraverso uno sconvolgimento dei quadri e delle divisioni consuete dello spazio sociale B. È quello che hanno fatto, nel 1789, i Costituenti, sostituendo alle divisioni regionali e provinciali tradizionali la scacchiera dei dipartimenti e sostituendo la stabile gerarchia degli ordini e degli stati deH’Ancien Régime con una nazione di cittadini, formata da individui liberi ed uguali di diritto. Dieci anni dopo, l’inchiesta napoleonica costituisce il primo tentativo di applicare sistematicamente alla diversità dei popoli e delle regioni questa griglia nuova ed imi-forme. È questa anche l’occasione di verificarne l’efficacia: la trasformazione rivoluzionaria ha realmente rovesciato le rappresentazioni, inaugurando una nuova visione della società; in quale misura ha essa, di fatto, soppresso e modificato, o forse al contrario arricchito o riattivato i vecchi codici di percezione e le pratiche descrittive tradizionali?
Tradizione e modernità di un questionario. Unitamente alla Rivoluzione e alla dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, è nata una nuova definizione di società: con l’abolizione dell’Ancien Régime, al fine di creare una nazione di cittadini liberi ed eguali di diritto, i Costituenti sono passati da un sistema fondato sulla gerarchia, sulla subordinazione e la supremazia dell’organismo sociale sui membri che lo compongono, ad un sistema fondato, tutto all’opposto, sull’uguaglianza degli individui. In questa società senza spessore ed atomizzata, nulla ormai regola le funzioni se non il libero esercizio dei diritti da parte dei cittadini, essenzialmente il diritto di proprietà. La società civile nata dalla Rivoluzione è un’aggregazione di individui senza altro legame fra loro che il gioco dei loro interessi privati. È il passaggio da una società olistica e gerarchizzata, che definiva l’ordine antico, ad una società egualitaria ed individualista di tipo moderno 14.
Così s’instaura un cambiamento fondamentale di categorie e di sistemi di rappresentazione della società. «Nous naviguons sur



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une còte inconnue, au milieu des ténèbres et de la tempète... C’est une carte qu'il faut étudier, dans le perii», gridava allora Chateaubriand15. È questo sconvolgimento che, attraverso i testi dell'inchiesta napoleonica, merita qui di essere analizzato. In che modo la statistica si piega al nuovo sistema di categorie che inquadrano ormai la società? E soprattutto, quali nuove prospettive sono indotte dal cambiamento del sistema di percezione sociale: perché se le nuove concezioni sulla società proibiscono allo Stato di gettare su di essa certi sguardi — che frugano particolarmente i dominii «privati» della famiglia e della proprietà — questo non provoca, di riflesso, domande nuove e nuove curiosità?
Uno dei teorici dell'epoca napoleonica, D. F. Donnant, indica quale funzione della statistica descrittiva, quello di «déssequer le corps social»16, cioè enumerare e classificare gli individui che lo compongono, secondo l'età, il sesso, lo stato civile, la professione, la residenza. In seguito a tale conoscenza del numero e della condizione dei cittadini essa sarà «la Science des forces réelles et des moyens de puissance de l'Etat» 17. Tutto il secondo capitolo del questionario predisposto dal ministro dell'interno Chaptal è, di fatto, consacrato ad un inventario ordinato della popolazione: un primo gruppo di tabelle riguarda l’analisi demografica, classificando gli individui secondo la loro «specie» (sesso e stato civile), la loro età e la loro densità sulla superficie del territorio; le tabelle seguenti affrontano invece la descrizione sociale, suddividendo la popolazione in classes d’individus. In conformità alle istituzioni della Francia post-rivoluzionaria, il parametro preso in considerazione per la costituzione di questa nomenclatura è la proprietà: Chaptal spiega anche come ima delle sue prime preoccupazioni sia quella di stabilire, prima di tutto, il conto esatto dei proprietari18. La preoccupazione è ovvia, poiché la proprietà, come già aveva dichiarato Boissy d'Anglas nell'anno III è ormai il fondamento della nazione:
Nous devons ótre gouvernés par les milleurs [. . .] Or, vous ne trouverez de pareils hommes que parmi ceux qui possèdent une propriété [.. .] et qui doivent à cette propriété et à l'aisance qu'elle donne l'éducation qui les a rendus propres à discuter avec sagacité et justesse, les avantages et les inconvénientes des lois qui fixent le sort de la patrie 19.
Agli occhi dello Stato, la proprietà è dunque il criterio di ciò che può essere misurato e rientrare nella sua contabilità. Si costi-



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tuisce qui, in una certa misura, una categoria nuova, che trasferisce il campo d'inchiesta amministrativa dalla vecchia cellula fiscale (l'unità collettiva del fuoco) verso un'unità più parcellare: l'individuo proprietario. Se questo spostamento, dal fuoco alle persone, è chiaro nella sua formulazione giuridica, rischia tuttavia di scontrarsi fortemente con le percezioni sociali correnti, tanto che il ministro ritiene utile commentare e precisare la sua definizione20.
Posta questa definizione, e a partire da essa, ne consegue logicamente la costruzione di tutta la griglia sociale. Ai proprietari si oppongono quelli che non possiedono nulla e che si distinguono fra loro sulla base dell'origine del reddito-rendita, stipendio o salario: «Parmi ceux qui ne possèdent aucun bien-fonds, il y a trois classes d’hommes. Ou ils vivent uniquement de leurs rentes; ou ils sont soldés par l'Etat d'une manière quelcon-que; ou enfin, ils vivent d’un travail mécanique ou industriel». Unendo a questa circolare «la nomenclatura dei mestieri, delle arti e delle professioni», che gli era stata comunicata dal servizio delle patenti, il ministro chiese di redigere una lista completa di tali diverse attività. Notiamo come si trovino di passaggio, in questa classe di uomini, i lavoratori manuali e quelli intellettuali: «Il est bien clair», sostiene Chaptal, «qu'on doit comprendre ici les médicins, les hommes de lettres, les hommes de loi, etc». Formano infine una «classe a parte» tutti coloro che non hanno né proprietà, né rendita, né professione indipendente: i manovali e gli uomini di fatica, a fianco dei mendicanti e dei vagabondi21.
Così, a partire dal campione giuridico della proprietà, si trova sistematicamente elaborata la griglia di classificazione delle persone e proposta una nuova suddivisione della società. Senza dubbio, nel dettaglio, la nomenclatura redatta non è assolutamente chiusa, finita: la lista delle professioni, in particolare, potrà essere completata, affinata se ce ne sarà bisogno, per rendere meglio conto delle situazioni locali: «S’il y en a quelques-uns d'omis, il faudra y suppléer»22. Chiedere agli inquirenti di aggiustare e completare le liste proposte, è riconoscere resistenza di una realtà diversa, locale, non riconducibile alle categorie omogenee di una contabilità nazionale; è dunque, anche se provvisoriamente, un passo indietro rispetto al progetto iniziale di una classificazione esaustiva. Ma ciò fondamentalmente non cambia il principio posto all'inizio: il criterio socio-professionale rimane, agli occhi dello Stato, ciò che definisce resistenza delle persone.


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Ciò soprattutto che delimita rigorosamente i confini dello sguardo che l'autorità può esercitare sui cittadini, per la via indiretta dell'inchiesta statistica: la «dissezione» del corpo sociale dovrà fermarsi alla numerazione degli uomini, alla loro classificazione professionale.
Tutto qui? Idealmente sì, il resto, che dipende dalla «libertà» di ciascuno e dunque dalla sua vita privata, rimane inaccessibile allo sguardo dello Stato. Ma in realtà, certe domande del ministro, i commenti che richiede agli inquirenti, destinati a precisare ed approfondire, a far conoscere meglio lo stato della società, spingono l’inchiesta ad una deviazione.
«Le nombre et la division des hommes étant connus, vous devez vous attacher à découvrir leurs moeurs, leurs habitudes, leurs moyens d’existence»3. Paragonata alle pratiche descrittive anteriori degli amministratori dell’Ancien Régime, e anche della Rivoluzione, la domanda a prima vista può sembrare tradizionale: richiama immediatamente la formula del questionario indirizzato agli intendenti, nel 1697: «Hommes: leur naturel vif ou pesant, laborieux ou paresseux, leurs inclinations, leurs coutu-mes»; o più recente ancora, quella di una circolare rivoluzionaria del 1792, che riguarda la costituzione fisica e il carattere morale degli abitanti: «Sont-ils spirituels ou inaptes, légers ou réfléchis, gais ou tristes, vifs ou lents, laborieux ou paresseux, aptes aux arts?»24.
Ma la somiglianza non deve affatto nascondere la differenza di prospettive e soprattutto la risonanza tutta nuova che viene ad assumere questo tipo di domanda nel contesto post-rivoluzionario. Notiamo, prima di tutto, che la domanda di Chaptal abbandona ogni riferimento al naturel o al caractère collettivo dei popoli, nozione che rinvia ad uno stato di fatto immemorabile, immutabile, o anche ad una inneità supposta: il ministro non parla che di usanze e di modi di vivere, abitudini acquisite dunque, storicamente determinate e di conseguenza reversibili, modificabili; in particolare, egli insiste sulla varietà sociale, locale e temporale di questi modi di vita: «On devra donner des détails historiques sur les moeurs, les habitudes, les coutumes civiles et religieuses [...] Il serait important d'avoir un tableau bien exact de la manière de vivre en 1789, en distinguant ce qui se pratique dans les différentes classes de la société, dans les villes et dans les villages, etc.». Sottolinea infine l'orientamento decisamente dinamico del suo questionario, dando ad esso, come quadro cronologico, il decennio rivoluzionario: «Le sort de la


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nation en général est amélioré, et les usages sont changés [...] On ne peut donner trop d’attention [...] à rechercher les causes des différences qui pourront se faire remarquer entre 1789 et Fan IX»25. Chaptal, in breve, tratta di storia e di fatti sociali, non di natura né di specie umana.
Se la domanda di Chaptal è moderna, per la sua prospettiva storicista, non ne consegue che l'oggetto che essa propone agli inquirenti lo sia: poiché oltre ai cambiamenti sopraggiunti all'interno della società, presi nel loro insieme — «examiner le degré d’influence qu’à eu la Révolution sur (les) diverses parties de l’organisation sociale» —, il ministro invita ad affrontare il campo della vita privata e domestica dei cittadini. In materia di proprietà e di economia domestica, innanzi tutto:
On piacerà dans le mémoire toutes les observations qui peuvent faire connaìtre les causes des changements qui sont survenus, soit dans le nombre des propriétaires, soit dans celui des rentiers. On examinera les effets de la division des propriétés sur les moeurs et sur l’agriculture [. . .] On ne manquera pas non plus d’indiquer les causes qui ont porté vers tei métier, qui ont détourné de tei autre, etc.
In materia di abitudini private, Chaptal chiede di moltiplicare i dettagli sulla «vita domestica» dei cittadini, di cercare i cambiamenti sopraggiunti nella vita delle famiglie, di informarsi su un eventuale rallentamento dei legami fra coniugi, di osservare la natura delle relazioni fra genitori e figli: «On ne peut entrer dans trop de détails à cet égard sur les coutumes civiles et religieuses, sur les moeurs privées, etc.»26. Alcuni questionari si mostrano ancora più espliciti:
Donnez-moi beaucoup de renseignements sur la vie privée des individus des différentes classes, sur leurs dépenses, leurs goùts, leurs habitudes, leurs occupa-tions, leurs travaux, leurs jeux, leur nourriture, leur manière de se loger, de se vétir, les pratiques usitées aux naissances, aux mariages, aux morts et en m’indiquant les différences qui se remarquent dans les diverses cantons et les variations successives survenues depuis quelques années
domanda il ministro al prefetto della Lys, 1'8 Pluvioso dell’anno XI 27.
Senza dubbio si tratta qui, prima di tutto, di ima sorta di controllo, la cui necessità è riconosciuta e deriva dallo sconvolgimento rivoluzionario e dalla volontà di conoscere e di misurare i cambiamenti sopravvenuti. Significa, tuttavia, attribuire all'os-


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servazione amministrativa un campo che, all’interno delle sue categorie e delle sue colonne, il questionario statistico propriamente detto non tratta, o appena. All’interno del quadro della popolazione che dovrebbero compilare gli inquirenti, una sola voce è consacrata alla famiglia come unità sociale, posto il problema della sua dimensione, in rapporto con il numero dei fuochi: «On doit entendre par feu tout ménage vivant séparé-ment; ainsi une maison peut comprendre plusieurs feux»28. Ma non sono chieste che cifre medie, senza che sia ravvisato il problema della struttura del gruppo familiare, né della sua variazione secondo le classi sociali. Anche il terzo capitolo della circolare di Chaptal, che prolunga la tabella demografica e la nomenclatura socio-professionale con un’analisi dello «stato dei cittadini», passa sotto silenzio la famiglia per non trattare degli individui «se non in relazione alle istituzioni sociali», cioè precisamente in tutti i settori dove la loro vita si sottrae al cerchio ristretto e privato della vita familiare per cadere nella sfera pubblica: la scuola, la prigione, l’ospizio, il tribunale, il mercato... Si domanda di contare i crimini e i processi, di calcolare il costo dei generi di prima necessità, di descrivere la situazione dell’istruzione pubblica, quella delle prigioni e degli ospedali. Da questo lato, d’altronde, il ministro non nasconde che egli spera di accedere indirettamente «(aux) moeurs, (aux) habitudes, (aux) moyens d’existence» dei cittadini:
Si vous avez le prix de toutes les choses nécessaires à la vie, le prix des journées de travail, vous pourrez apprécier l’aisance des citoyens; votre opinion se fortifiera par des renseignements précis sur les hospices; et si vous connaissez le degré d'instruction, si vous avez le nombre des crimes et leur nature, si vous savez combien il y a de procès, etc. etc., vous pourrez facilment connaitre le degré de moralité et le degré de bonheur de vos administrés ®.
Tutto si svolge dunque come se, privatizzata e rigettata nell’ombra attraverso le nuove definizioni dell’individuo e della società — definizioni uscite dalla Rivoluzione e di cui il Codice civile dovrà presto forgiare il sistema —, la famiglia costituisca ima sorta di punto cieco dell’inchiesta amministrativa, essendo nello stesso tempo il suo oggetto obbligato, perché luogo di tutti gli interrogativi sulla società. «Ceci tenant à la véritable connais-sance de l’homme ne peut étre trop développé», spiega Chaptal. «Dites-moi, par exemple, si les lieux de rassemblement tels que café, taverne, sont augmentés ou diminués; les mèmes habitants les fréquentent-ils? Les réunions de famille sont-elles plus ou


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moins intimes, plus ou moins fréquentes, plus ou moins nom-breuses, etc.?»30. Nel silenzio e nelle domande indirette della circolare del Germinale, come nelle domande più dirette delle note che lo accompagnano, poi in quelle delle circolari complementari indirizzate successivamente ai prefetti, l'inchiesta statistica di Chaptal è significativa del procedere a tastoni che prelude all'emergere di un nuovo punto di vista sulla società e alla ricerca di indici e di criteri che permettano di conoscerne e giudicarne il funzionamento.
Così, liberata dal questionario parigino, appare la doppia posta dell'inchiesta dei prefetti: ad un primo livello, quello della nomenclatura, si tratta della messa in opera di ima griglia sociale fondata su criteri giuridici nuovi ed inoltre uniformemente applicabili al paese intero; in seguito, nato da queste nuove definizioni, si pone il problema dell'osservazione e della descrizione sociale, dello sguardo che lo Stato può, attraverso l'intermediario rappresentato dagli inquirenti, esercitare sui suoi amministrati.
Nominare, classificare, descrivere. Ai diversi oggetti del questionario statistico — vale a dire prima di tutto definire una classificazione sociale a partire dal criterio giuridico della proprietà, stabilire poi una nomenclatura esaustiva, omogenea, applicabile alla Francia intera, infine descrivere e marcare le suddivisioni dello spazio sociale, rendere trasparente la sua organizzazione — le risposte degli amministratori o dei loro assistenti, soddisfano in maniera variabile; rivelatrice, sovente, delle attese e delle difficoltà di una tale impresa.
Nominare, soprattutto, è importante: «L'essenziale è di rendere corrette le designazioni», sosteneva Confucio; di dare a ciascuna cosa il nome che le compete. Solo allora si può contare, classificare, amministrare... Perché contare, dal momento che non esistono categorie? In che modo amministrare, senza uno strumento comune e intangibile di misura e di comunicazione? «Le designazioni dominano i comportamenti, perché il nome suscita il reale»31. Ogni impresa di dominazione passa, necessariamente, attraverso lo strumento del linguaggio: ciò che fu vero all'epoca della feudalità cinese, vale anche per la Francia napoleonica. L'istituzione di un potere politico e la sua legittimità, vanno di pari passo con l'adozione di un linguaggio omogeneo32. Ora, è ai prefetti dell'anno Vili, che spetta questo potere e questo compito essenziale: costruire e sistemare la griglia delle nuove categorie sociali.


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La prima difficoltà incontrata è quella dell'uso di una terminologia sociale è professionale uniforme... e francese. Già la fauna e flora locali si lasciano difficilmente piegare al dominio di un'unica classificazione: si assicura che, nei Bassi Pirenei, cresce una specie di quercia — «tauzy» — sconosciuta alla botanica linneana33! A maggior ragione, la diversità degli uomini sembra sfidare tutto il progetto di nomenclatura nazionale: è prima di tutto sull'eterogeneità locale che insistono gli inquirenti, sottolineando le difficoltà o l'impossibilità di ogni traduzione, in termini «parigini». Nella sezione del suo rapporto dedicata alle arti meccaniche del dipartimento dell’Aveyron, Monteil intraprende una lunga descrizione alfabetica dei mestieri, ma si vede obbligato a moltiplicare gli avvertimenti: nella rubrica «boisseliers», per esempio, aggiunge: «Si vous voulez acheter dans ce départe-ment une souricière, ime cage, une crible, ne demandez point un boisselier, on ne vous entendrait pas, mais bien un «curbellier» (criblier), car c’est seulement sous ce nom que sont connus dans l’Aveyron les ouvriers de ce genre»34.
Tra i mestieri deH’agricoltura, lo stesso ricorso a designazioni locali e dialettizzate, si fa sentire, in particolare nelle regioni dell’ovest e del sud, facendo risaltare il pregiudizio implicitamente «nordista» della classificazione proposta. Poiché non si parla affatto di «cultivateurs» proprietari nel mezzogiorno, ma di «mé-nagers»; e in Vandea di «cabaniers». Allo stesso modo, la categoria degli affittuari, se conviene alle pianure della regione parigina, — i due terzi delle aziende agricole — si applica poco ai paesi di piccola coltivazione dove, sotto forma e nomi molto diversi, domina la mezzadria: «petits héritages que l’on nomme méta-yers», nelle Lande; «colonage» nell'Aude, il Cantal, la Vienne o la Charente; «borderage» nell’Haute-Vienne; «domaine» in Ardèche; «grange» nella Savoia35... È in più, sempre all’interno di queste categorie locali, è opportuno introdurre delle sfumature: Dieu-donné spiega che i «cultivateurs» nel nord potevano essere affittuari o proprietari, e che tra questi ultimi si potevano distinguere i «férmiers», alla testa di una vasta coltivazione, dai «ménagers» che non disponevano che di una piccola terra. Nel dipartimento delle Deux-Sèvres, bisogna distinguere, a seconda della grandezza delle loro coltivazioni, fra «métayers» (che dispongono di un aratro) e «bordiers» (che coltivano a braccia); fra mezzadri e piccoli fattori nell’Ile-et-Villaine; nel dipartimento del Var, Fau-chet ha dovuto introdurre, all’interno della classificazione ufficiale, una nuova categoria, quella dei «paysans de la montagne»,


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gente povera ma indipendente, che si trovano in una posizione intermedia tra i ricchi ménagers e i contadini proletarizzati; nel Finistère, infine, il sistema enfiteutico obbliga a menzionare «une classe de propriétaires qui est inconnue dans les autres départe-ments de la République, si on en excepte ceux des Cotés-du-Nord et du Morbihan»36.
Si potrebbero moltiplicare gli esempi, ma si ricorda solamente ciò che traduce questo ricorso inevitabile ai termini locali: il rinvio, insomma, alla grande diversità delle situazioni regionali, al carattere ancora chiuso ed arcaico dell’economia. Gli inquirenti di allora, ne erano coscienti: Monteil conclude il suo lungo commento sui mestieri dell’Aveyron con un’analisi sul ritardo economico della regione, sul suo isolamento, sull’ignoranza delle tecniche moderne e sull’insufficiente divisione del lavoro: tutte cose a cui si potrebbe in parte rimediare con un sistematico «tour de France» di operai ed artigiani. Aggiunge ancora: «Il le faudrait pour les arts, il ne le faudrait pas pour les moeurs»37. L’inadeguatezza della griglia corrisponde in pieno ad una differenza di situazioni e di evoluzioni economiche; a suo modo, essa è già una prima misura della varietà, al livello di un campione lessicale.
Il secondo tipo di distorsione che gli inquirenti sono inclini a introdurre nella loro pratica del questionario, va al di là del registro della terminologia professionale, per toccare i codici della percezione sociale. Si tratta questa volta di leggere, all’interno dell’utilizzazione esitante di nuove categorie, il difficile passaggio dall’immagine di una società gerarchica e statutaria, quella degli ordini e degli stati dell’Ancien Regime, alla sua descrizione in termini moderni, a partire da criteri puramente giuridici e professionali.
Dopo aver evocato l’antica società feudale, gli inquirenti del dipartimento di Genova, iniziano la descrizione della sua nuova organizzazione: «Toutes ces distinctions ayant disparu par la nature du gouvernement actuel, les notables actuels sont ceux levétus de quelque caractère public et ceux qui par leur fortune font partie de la liste départementale des six cents ou sont admis sur la liste des collèges électoraux»38. Al ventaglio gerarchico della vecchia società, si oppone dunque la struttura moderna, dicotomica e censitaria, che distingue le élites, definite in base alla loro fortuna e/o professione (proprietari e funzionari), dal popolo, definito, in negativo, in base all’assenza o all’insufficienza della sua fortuna. In breve questa classificazione dicotomica significa il trionfo dello spirito borghese. Bisogna d’altronde se-


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gnalare che, nel loro insieme, gli autori di memorie dipartimentali adottano molto naturalmente questa concezione dualista della società, andando in questo anche più lontano nell’affermazione dei valori nuovi di quanto il ministro non chieda loro, anche se essi scelgono, per esprimerla, formule accuratamente arcaiche, come Massol, descrivendo la «ligne de démarcation très figée» che a Lavaur, separa i «plébéiéns» dalla «caste» dominante39.
Tuttavia, ciò non accade senza qualche spostamento o distorsione che, rivelando la permanenza di schemi mentali più tradizionali, possono anche finire per stravolgere il senso stesso della nuova classificazione. Una esemplare illustrazione di un tale stravolgimento di senso, è offerta dalla descrizione fatta dal prefetto Fauchet dei suoi amministrati del Var: dopo aver, in un primo tempo, diviso la popolazione in proprietari e non proprietari, conformemente alle nuove categorie, prosegue in seguito nel soddisfare il desiderio di Chaptal, descrivendo i costumi e i modi di vita delle diverse categorie sociali, prima quelle delle élites, poi quelle di «ce qu’on appelle ici le peuple». Ma nel frattempo, si è spostata la cesura; quella che separa le élites dal popolo, per far cadere dalla parte di quest’ultimo i ricchi «ménagers»: classificati in partenza fra i proprietari, i quali si trovano mescolati, nel commento descrittivo, ai contadini della montagna, ai contadini salariati, gli artigiani. Né la proprietà dunque, né la funzione, sono sufficienti, in questo caso, a sanzionare l’appartenenza all’élite: bisogna ancora che questa proprietà sia socialmente riconosciuta, «qualificata» in qualche modo, dalla cultura e dall’educazione, dalla partecipazione alla vita pubblica, da un modo di vita. A questo titolo, e benché proprietario, il «ménager» ignorante ed illetterato, non è un cittadino completo, così come non lo è, nel villaggio, un artigiano anche se ricco. Appare qui un tratto di mentalità specifica, di cui il prefetto dà un esempio illuminante, quello della doppia tariffa praticata dagli albergatori locali, a seconda che servano un «borghese» o un lavoratore, anche se quest’ultimo è agiato ed indipendente. Dietro l’apparente modernità della classificazione, si rimane ancora vicini, come fa notare M. Agulhon, alla vecchia nozione di «classe-état» e ad una concezione della società «più rivelatrice delle abitudini della gerarchia uscita dall’Ancien Régime, che dello spirito di uguaglianza» che dovrebbe essere stato apportato dal nuovo sistema sociale e dalla terminologia che ad esso corrisponde40. A loro modo, l’incertezza e la confusione delle categorie descrittive, la resistenza tenace delle vecchie strutture di linguaggio, esprimono


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Furto di due tipi di società e la difficile integrazione del mondo provenzale con la nazione.
Sullo stesso modello, troviamo nei rapporti statistici molti esempi dello iato esistente tra la classificazione formale e i codici di percezione, a proposito della barriera che separa le élites dal popolo: al solo criterio giuridico della proprietà, tende sovente a sovrapporsi un criterio sociale e culturale, che rinvia al genere di vita e al tipo di educazione. Nell’Hérault, dopo aver proposto ima divisione tripartita della popolazione del dipartimento in «riches, médiocres et mécaniques», divisione basata su criteri economici, il prefetto ritorna subito ad una dicotomia più pertinente al suo punto di vista, che contrappone le persone istruite al popolo ignorante:
Les deux premières classes, ayant à leur portée les différentes moyens d’education, sont celles aussi où se trouvent l’instruction et la politesse: les hommes de ces deux classes [. . .] se ressemblent dans tous les pays. La troisième classe, privée de cette ressource, se ressent aussi davantage, s’il est permis de le dire, de rinfluence du terroire. Aussi a-t-elle un caractère à elle, qui la distingue des habitants de la plupart des autres départements 41.
E Laboulinière, nella sua descrizione degli abitanti degli Hautes-Pyrénées, privilegia nettamente, allo stesso modo, il criterio culturale:
Ce département présente, comme tous les autres deux classes très distinctcs d'habitants, considérées sous le rapport de leurs habitudes sociales, savoir: celle des gens aisés, qui ont regu de l’education, et celle des individus qui, adonnés dès leur enfance aux travaux manuels, ne participent point aux connaissances et aux lumières. La classe ignorante est ici, comme partout, infinement plus nombreusc [. . .] C’est elle qui à proprement parler compose le corps du peuple 42.
Ci sono quindi due parti alFinterno della società: l'una, composta da individui distinti ed autonomi, resi eguali dall’educazione, costituisce la classe omogenea e realmente nazionale delle «gens aisés»; l’altra, al contrario, posta sotto il segno del «locale», perché composta da persone ignoranti e grossolane, che si portano ancora addosso come una patina il marchio del territorio e l’opacità dei secoli di storia che li hanno plasmati, forma una massa confusa ed eterogenea: «il popolo». Le attese e i presupposti di una tale dicotomia, appaiono con evidenza, non appena si raffronti il commento descrittivo che i prefetti dedicano agli usi e costumi, una volta costruita la tipologia sociale.
Ricordiamo che Chaptal aveva richiesto ai suoi prefetti di


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prolungare le loro statistiche demografiche e sociali con un commento descrittivo, dedicato agli usi e costumi. Egli precisava che Tinchiesta doveva essere condotta fra «les diverses parties de l’organisation sociale». Senza escluderle dunque, e senza ammetterle, designava anche all'osservazione «les différentes classes de la société»: «Je sais», sosteneva, «qu’il existe des limites pour l’observation: mais la carrière qu'elle peut parcourir est vaste». Inoltre, precisando che attendeva dei «détails historiques» e si interessava soprattutto alle «variations survenues dans la vie des citoyens», il ministro sottolineava l'orientamento generale dell'inchiesta, l'accento era posto sulla storia e sul cambiamento43.
Ora, i prefetti, nelle loro risposte, spostano doppiamente questa problematica. Anzitutto perché nel redigere i loro commenti sulla dicotomia popolo/non popolo, dividono la loro memoria descrittiva in due parti, molto ineguali per materia e forma: tacciono quasi del tutto sulle élites, dedicando alla descrizione del popolo la maggior parte del loro rapporto; o anche la sua totalità: «Dans cet article, je ne parlerai que du peuple de nos campagnes», annuncia senza altra giustificazione un inquirente dell'Ariège, al momento di intraprendere l'analisi del carattere e delle usanze locali44. Oltre a questo, nell'adottare, per parlare del popolo, termini quali «caractère», «tempérament», «naturel», spostano le loro descrizioni dal cambiamento verso l'immutabile, dalla storia verso la natura, a spese della prospettiva storica del ministro: piuttosto che soggetto, il popolo è istituito a oggetto di osservazione, poiché sembra innanzi tutto, agli occhi degli inquirenti, un oggetto da amministrare.
Una descrizione ineguale, dunque, chiaramente orientata verso l’intervento amministrativo. Una semplice formula, laconica, del prefetto Allier, è sufficiente a riassumere come la sola relazione di potere fondi e legittimi l’osservazione, nello stesso momento in cui essa traccia il limite fra ciò che è descrivibile e ciò che non lo è: la gente delle campagne non è poi, in tutto e per tutto, «plus laids que ceux des villes»?45
Delle élites, tutto sommato, gli inquirenti non parlano molto, e sempre con preterizioni: ovunque si vada, dai Pirenei alla Bretagna, «les moeurs et le caractère des personnes éclairées ou qui ont reQu de l’éducation [...] sont à peu de chose près les mèmes partout [...] Les moeurs sont les mémes dans toutes les villes, à la différence près qu’y introduisent le commerce et la population». Come la piccola città di Millau che non conosce dall’Ancien Régime una vita «assez policée», allo stesso modo i


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paesi vicini non sembravano popolati «que de Scythes ou de Visigoths» ^ Da lì in poi, si trova dappertutto la stessa descrizione convenzionale di questa urbanità, evocante la bellezza e la virtù delle donne, l'austerità della vita privata, la cortesia un po' annoiata delle riunioni mondane: a Fleurance, piccola cittadina del Gers, troviamo «une société aussi nombreuse qu'agréable, des citoyens vertueux et honnétes»; le città dell'Isle-Jourdain e di Lombez, nello stesso dipartimento, offrono «le spectacle agréable de la propreté, de l'aisance et mème de l'abondance chez les citoyens, de la bonne éducation chez les femmes et de l'union dans tous les coeurs»? Anche a Tarbes e nelle piccole cittadine dei Pirenei «où affluent les étrangers qui fréquentent les eaux thermales, on remarque une urbanité, une politesse aussi parfaite que dans les plus grandes villes: on y trouve de la sociabilité, du liant, etc.». O ancora nell'Ariège: «Le caractère et les usages des habitants de nos petites villes sont à peu près les mèmes que chez les peuples de nos grandes cités, à quelques nuances près»47.
In breve, se non vi è nulla da dire sulle usanze delle élites urbane, è perché esse rientrano nell'ovvio, dal momento che sembrano dappertutto — o più o meno dappertutto48 — uniformemente simili: «Il n'y a réellement plus aujourd'hui qu'un seul esprit de société dans tout l'Empire, parmi les personnes de cette classe» 49.
Di fatto, sono rari i prefetti che gettano sulle élites uno sguardo maggiormente curioso ed inquisitore, fino ad osservare qualche comportamento privato: Verneilh ricorda la reticenza delle borghesi di Chambéry ad allattare i loro figli; Fauchet denuncia le «convenances factices» che conducono i suoi amministrati ad unire spesso un «homme caduc et méme déclinant à une femme dans la piènitude de la vie». E se Monteil, a Rodez, si fa antropologo delle parentele per descrivere la «société de familles» che organizza la città in clan rivali e amministra strettamente le alleanze, i suoi notabili locali sembrano appartenere ancora ad un mondo arcaico dalle usanze straniere ed è ben attento a coniugare al passato le sue osservazioni:
Le ville était divisée en plusieurs parties; chaque famille avait ses alliés et ses ennemis. Un tróne s’élevait au milieu, qui était occupé par l’aìné: les cadets étaient le peuple. Etre né le premier suffisait pour avoir droit à l’existence la plus agréable; les avantages que donnaient ce hasard tenaient lieu d’art ou de profession: on disait, dans cette famille, un tei est avocat, un tei est médicin, un tei est aìné 5°.


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Parlare al presente delle usanze private delle élites, in compenso, non è poi così semplice. Il segretario del prefetto delle Hautes-Pyrénées, Labouliniére, ne ha fatto l’esperienza, quando pensò di raccontare qualche aneddoto sulla vita delle ragazze e delle donne della classe agiata del suo dipartimento: «Presque partout, l’usage et le bon ton veulent qu'une femme jeune, jolie, soit courtisée et qu’elle tienne cercle chez elle; on compte ses attraits on apprécie les qualités qui la distinguent par le nombre des personnes qui sont assidues auprès d’elle. Plus sa cour est nombreuse, mieux elle est choisie, et plus son mérite est grand. C’est le triomphe de la coquetterie». «Alinéa à supprimer, comme n’allant pas au pays», commenta duramente in margine al manoscritto il correttore cui il prefetto ha affidato la rilettura dell’opera, e oppone alle citazioni dell’inquirente gli stereotipi abituali: «Les femmes restent dans leurs ménages et sont général-ment bonnes epouses et bonnes mères. On ne citerait pas dans tout le département plus de trois coquettes courtisées et cinq ou six femmes galantes avec un amant affiché»51.
La risposta velata mostra che il silenzio da parte degli autori di memorie statistiche, è da spiegare a due livelli. Da un lato, e senza alcun dubbio, è in buona fede che questi uomini, essi stessi borghesi ed illuminati, si accontentano di qualche nota allusiva e stereotipata, dal momento che sembra loro ovvio ciò che è così familiare: l’uomo universale, e all’occorrenza l’uomo nazionale, è l’uomo educato, «policé» dalla vita di società, che non merita di essere osservato poiché è simile dappertutto. Ma nello stesso tempo la loro discrezione è talmente determinata e pertinace da costituire anche l’affermazione di un principio: la vita borghese sfugge alla loro indagine molto semplicemente perché non deve essere osservata. Ancora una volta più moderni del loro ministro — nello spingere alla sua logica estrema il sistema sociale nuovo, che privatizza la vita dell’individuo e rigetta nell’ombra le sue attività domestiche (sia che si tratti della famiglia che dell’azienda) — gli inquirenti anticipano, di fatto, con la loro attitudine spontanea, la definizione liberale della società civile: il cittadino, definito attraverso la proprietà, la ragione, l’educazione, è una persona privata, la cui vita sfugge allo sguardo dello Stato e dell’amministrazione.
Punto per punto, lo schema si capovolge nel momento in cui si affronta l’altro versante della descrizione, che tocca la vita e le usanze del popolo. Prima di tutto, non si tratta più qui di una questione di individui, di persone private, né di gente educata


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ma, per riprendere l’espressione del prefetto Fauchet, quasi di una specie sociale: «ce qu’on appelle ici le peuple», un insieme di esseri umani, che non meritano affatto di essere distinti come individui diversi ed autonomi, nemmeno come membri di gruppi nettamente differenziati, ma sono piuttosto esemplari intercambiabili, soggetti di uno stesso modo di essere. Abbandonando, per la loro descrizione, le distinzioni socio-professionali fra artigiani e contadini, coltivatori e giornalieri, sovrapponendo classe e individuo, i prefetti adottano un approccio collettivo, parlano di tipi, usano dei termini generici («les habitants»), dei singolari collettivi («le peuple des campagnes», o «le peuple» semplicemente): «Le caractère distinctif des habitants du Cher est la bonté et la douceur»; «une grande portion de peuple dans le département de l’Aude a conserve [...] un langage propre et des coutumes, qu’on ne retrouve guère ailleurs». Più radicalmente ancora, gli inquirenti ricorrono sovente all’impiego dell’articolo determinato e al pronome personale (egli, il) nella loro accezione generalizzante: nel Finistère, l’«habitant des campagnes est ce qu’il était il y a six siècles»52.
Tutti questi procedimenti stilistici finiscono per dare l’impressione di un mondo conosciuto, senza imprevisti e cambiamenti, un mondo dove tutto procede per grandi categorie. La descrizione, coniugata al presente, istituisce come oggetto una società, globalmente considerata come un insieme di tratti fisici e morali, di caratteri psicologici, di abitudini culturali e di istituzioni immutabili. Questa «illusione culturalista», alla base di tutti gli stereotipi sui caratteri nazionali o etnici, determina il sistema di percezione degli inquirenti napoleonici e le loro definizioni del «popolare»53. Ecco, tipico esempio di questo modo di fare, il ritratto dei suoi amministrati che traccia, nell’anno IX, il prefetto Brun:
Je finirai par crayonner les diverses nuances qui constituent le caractère moral du peuple ariégeois [. . .] L'habitant de l’Ariège est naturellement bon et officieux, mais froid, grave, circonspect; il a moins de vivacité, mois de pétu-lance que dans d’autre départements, mais il garde longtemps le ressentiment; apte à tout, doué d'intelligence, une apathie locale, une indolence naturelle étouffent chez lui ces dons de la nature et ont extrémement borné ses progrès dans les Sciences et les arts; il est sobre et patient, peu sensible aux priva -tions [. . .] Son caractère enfin parait étre la nuance transitoire du caractère national des Francis à celui des habitants de l’Espagne54.
Deviando dalla prospettiva storica del questionario iniziale, le



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risposte trovano qui le categorie tradizionali delle memorie del-l’Ancien Régime, quelle di caractère, di témperament. Questo vocabolario normativo, questa insistenza sulla mancanza di individuazione, suirimmutabile e l'immemorabile, erano assenti, l’abbiamo visto, dalla circolare di Chaptal: essi mostrano come, in quel frattempo, il popolo sia stato di nuovo «naturalizzato» s5. I questionari locali, elaborati in certi dipartimenti secondo le intenzioni dei collaboratori, sottolineano bene questo impercettibile spostamento: il ritorno ad una forma di descrizione emblematica, dove l’epiteto serve a «rilevare l’essenza»56. Una rubrica del Prospectus della Statistique dell’Eure, è intitolata «Tempérament et caractère»: «Quel est en général le tempérament des habi-tants? Est-il particulièrment bilieux, sanguin, phlegmatique ou mélancolique? [...] Quel est en général le caractère des habitants? Est-il gai ou sérieux, vif ou lent? Les habitants sont ils actif et industrieux, sont-ils laborieux, [...] généralement instruits? Ont-ils de l’aptitude aux Sciences et aux arts?». Dieudonné, nel Nord, domanda se «l’habitant est... Généralement laborieux, actif au travail»; Dralet stesso dedica una rubrica del suo Pian détaillé de topographie [...] al «carattere» degli abitanti: «Sont-ils vifs, actifs, industrieux? Quels sont leurs goùts dominants; sont-ils propres à l’étude des Sciences, à la culture des arts; ont-ils l’esprit inventif; sont-ils belliqueux; honorent-ils les talents»?57
Così definito e compreso come un individuo collettivo, una «specie culturale», il popolo diviene l’oggetto di un’osservazione contemporaneamente possibile e necessaria. Possibile, prima di tutto, poiché l’oggetto si offre intero allo sguardo: non soltanto perché le cognizioni di individuo, di interiorità o di sfera privata, non sono, in effetti, pertinenti al suo proposito. Retto totalmente da un ordine esteriore — sia che si tratti di una costrizione collettiva del gruppo o dell'influenza dell’ambiente naturale —, il popolo fa in travvedere questo ordine attraverso i segni del suo corpo, i suoi gesti, i suoi abiti, i suoi modi di fare, le sue abitudini. Persino il linguaggio dei contadini prende «nécessaire-ment la teinte de ceux qui le parlent»; perfino la loro danza, «lourde et sans action», è lo specchio fedele della loro anima. E la loro religione infine, tutta attaccata «à ce qui est extérieur», a delle abitudini bizzarre, a delle pratiche minuziose e senza fondamento, viene a significare che il popolo, incapace di alcuna esperienza né sentimento interiore autentico, è del tutto leggibile nella sua apparenza esterna e nei suoi comportamenti58. Se possibile, l’osservazione del popolo è anche necessaria: perché questa

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pluralità apparente, eccessiva, è il segno stesso del suo arcaismo, il segno del suo ritardo, di ciò che lo mantiene al margine della società moderna, omogenea ed egualitaria, trasparente; essa è ciò che bisogna, dunque, a lungo termine ridurre e, prima, descrivere. Tali sono le premesse che fondano e legittimano l'impresa di osservazione e di descrizione del popolo. Restano da definire nei dettagli i mezzi di cui dispongono gli inquirenti per fare tutto ciò; da recensire i principali schemi concettuali e le categorie descrittive con l’aiuto dei quali essi si sforzano di classificare e pensare questa varietà del popolo che costituisce contemporaneamente la sua essenza e la sua anormalità.
Passione tassonomica e pigrizia del distinguere. «Quoique leurs usages domestiques, leurs pratiques dans les actes publics et privés de la vie soient tellement variés que chaque bourg, chaque village a les siens propres, cependant les différences ne peuvent étre remarquées qu’en entrant dans des détails minu-tieux et fort peu intéressants»59.
Questa risposta di un inquirente bretone illustra la tensione che fa oscillare la descrizione del popolo fra due poli: l’accento è posto prima sulla varietà, varietà così estrema da sfidare qualsiasi sforzo di classificazione; poi sopravviene la tendenza al sistema, alla generalizzazione affrettata una volta abbandonati i dettagli ritenuti insignificanti. Analizzando il funzionamento di questo doppio codice descrittivo, i cui due aspetti sono strettamente mescolati nel discorso dei prefetti, si cercheranno di portare alla luce gli schemi mentali che organizzano il loro sistema di percezione, insistendo sul loro carattere convenzionale e rigido, ma anche sulle differenze di senso e sulle novità che possono emergere nei loro diversi impieghi.
«Le tempérament, le caractère et les moeurs des habitants de Rhin-et-Moselle varient autant que la nature du sol»60. Nelle memorie statistiche, la metafora ippocratica, che fa dell’uomo il riflesso di un ambiente, aria e suolo, è presente ovunque: metafora banale, semplice modo di dire o anche modo di pensare? Come ha dimostrato J. Schlanger, «ci sono dei modi di dire che giocano un ruolo di vettore o di schema per un certo tempo». Prima maniera di pensare e comprendere il mondo, queste forme metaforiche divengono a poco a poco «un modo di dire comodo e comune alle quali non corrisponde necessariamente un modo di pensare»; ma nello stesso momento in cui «la formula appare come sorpassata, essa cessa anche di essere banale» e comincia



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essa stessa a porre un problema. Bisogna tenere presente che sempre la fine di uno stereotipo diviene «un incitamento alla riflessione» 61.
Immagine dominante, pregnante la cultura illuminista la metafora ippocratica risponde bene a questo tipo di analisi: non si tratta certo di redigere un inventario di questa metafora, un repertorio dei suoi usi, tanto essa è onnipresente, ma di redigere una «tabella differenziale» dei suoi impieghi, cercando di distinguere, di discernere il loro ruolo all’interno del ragionamento, sia che l’immagine metaforica si presenti come semplice banalità, sia che possieda funzioni di argomento e serva da punto di partenza per un ragionamento, o infine, sia che essa sembri sorpassata ed inadeguata, al punto di costituire un nuovo problema e suscitare nuove domande. Poiché, in tutto questo, l’immagine documenta la storia degli schemi e dei dispositivi di comprensione: essa rappresenta ciò per cui funziona e si muove concretamente il pensiero.
Nella prima parte del suo questionario, dedicata alla topografia e al clima, Chaptal invita i suoi inquirenti a completare le loro osservazioni metereologiche attraverso uno studio delle malattie locali:
On ferait une chose bien utile, en recherchant et en indiquant dans le mémoire qui doit accompagner ce chapitre, les causes des maladies, les moyens de les diminuer, d’assainir l’air [. . .] Certaines maladies, paraissent propres à toutes les communes et ne vont pas au-delà; autres embrassent un canton plus étendu; quelques-unes sont périodiques dans certains lieux; il faut indiquer toutes les nuances62.
Facendo ciò, il ministro riprende lo schema ippocratico familiare agli uomini dei Lumi, quello che, negli ultimi decenni del secolo, i medici avevano sistematicamente applicato per stabilire la topografia medica del regno; come loro d’altronde, egli orienta l’inchiesta verso la storia delle malattie, la ricerca delle loro cause per rendere possibile l’intervento dei terapeuti e degli amministratori.
Ma questo è lontano dall’essere il solo impiego e la sola funzione della teoria ippocratica. Essa stessa si era imposta, in effetti, come un principio di interpretazione così incontestabile che non solo la varia patologia degli uomini, ma l’intera costituzione fisica e morale sembravano dipendere da ima lettura spaziale: «La topographie d’un pays conduit à connaitre le caractère et les moeurs des peuples qui l’habitent», scrive il prefetto della Cher, citando Volney e le sue Legons d’histoire®. Forti di questo



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assunto, gli inquirenti sono inclini a passare dall'inventario delle malattie richiesto da Chaptal a una descrizione molto più generale dei loro amministrati, e a trattare la specie umana come una specie naturale, variabile come la fauna e la flora secondo il clima e il suolo, la latitudine e l’altitudine: «Il y a des variétés, si je puis m’exprimer ainsi, dans les individus de l’espèce humaine qui habitent le département du Mont-Blanc, comme il y en a dans les végétaux qui couvrent son sol. lei les hommes ont une constitution vigoreuse et forte, tandis que sur d’autre points, ils sont petits, faibles ou languissants», scrive Verneilh-Puyraseau. Dieudonné constata che l’abitante del suo dipartimento «présente généralement un embonpoint qui devient plus sensible ainsi que la hauteur de sa taille, à mesure que l’on s’avance vers le nord [...] comme si la force de la végétation du sol étendait son influence jusque sur l’espèce de l’homme, comme elle l’exerce sur celle des autres animaux et des végétaux»64.
Così lo spazio — che per definizione costituisce il problema di ogni concetto della differenza, nella misura in cui è precisamente ciò che distribuisce, disperde e radica la varietà — diviene, attraverso la griglia ippocratica, il modo di pensare la diversità degli uomini, di ridurla e di ricondurla ad un sistema di coordinate climatiche e di variabili topografiche.
Così intesi, i corpi degli uomini ed il loro temperamento sono descritti attraverso un gioco di opposizioni, una pratica che offre alla lettura il sistema di forze e di influenze che li modellano. Alla descrizione dei meridionali del Var, che hanno «les cheveux chàtains, quelquefois noirs, rarement blonds, la peau brune, le regard vif et pénétrant, la physionomie spirituelle, mais passio-née», si oppone, termine per termine, quella degli abitanti delle estremità settentrionali del paese che hanno, nella Dyle, «les cheveux chàtains ou blonds, assez rarement noirs, la peau bianche, le regard incertain, l’air posé, le maintien réfléchi». Il sistema può complicarsi aH’infinito, a seconda delle sfumature e delle variabili locali: l’altezza dona agli abitanti dell’Isère un «teint moins rembruni que la plupart des peuples qui vivent sous la mème témpérature»; il suolo calcareo e argilloso di una parte del dipartimento dell’Allier produce una «espèce d’hommes [...] en général plus belle et plus forte que dans les autres parties»; l’esposizione ci spiega infine che nel Finistère «l’habitant de l’intérieur des terres a le teint frais, de la docilité dans la démarche, une langue douce et sonore», mentre l’Armoricano «a la voix dure, le regard per^ant et assuré»65.

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Cambiando scala, lo stesso gioco di opposizioni si riproduce in una esplosione di contrasti minuscoli, dove gli osservatori non esitano a rintracciare la varietà dei suoli e dei micro-climi: alla punta di Saint-Mathieu, selvaggia ed arida, «les hommes sont de couleur olivàtre», ma nella penisola di Plougastel, «les femmes sont plus jolies, plus grandes», sbocciate come i fiori e le primizie che crescono in questo clima da sogno. «Observez» fa notare l’inquirente, «que tant de variétés ont lieu dans ime espace d'environ six lieux carrées». Da questo punto di vista, in realtà, la divisione dipartimentale non ha fatto che miniaturizzare l’osservazione, affinare e moltiplicare i contrasti: nello spazio ristretto del dipartimento dell’Aveyron, Monteil afferma che un’autentica frontiera oppone gli abitanti del mezzogiorno, che hanno «les muscles plus saillants et les visages plus bruns», a quelli del nord, che hanno una carnagione più fresca e luminosa, una statura più alta, le membra più carnose; nei Vosgi, gli abitanti della piana sono «moins forts, moins grands et moins bien constitués» che quelli delle montagne; e così, all’infinito, può funzionare un codice interamente tassonomico66. Modo di descrizione differenziale, la griglia ippocratica lascia meno vedere degli oggetti concreti — in questo caso i corpi degli uomini, descritti nella loro varietà particolare — di quanto non serva a redigere un inventario infinitamente frazionato di opposizioni e di similitudini: la varietà non esiste che come sistema di scarti.
Il carattere estremamente stabile, codificato, ripetitivo di queste descrizioni rivela come lo schema ippocratico sia un quadro prestabilito — griglia obbligata, all’interno della quale vengono ad insinuarsi le percezioni e guida così sicura da superare ogni osservazione e, sovente, da supplirla. Il prefetto del Finistère ha appena bisogno di recarsi sul territorio per verificare il tipo di malattie caratteristiche del suo dipartimento, gli è sufficiente sapere che «la constitution atmosphérique [...] est froi-de et humide et par conséquent une des moins favorables à la sante», per concludere: «Ces principes posés, l’expérience d’ac-cord avec la théorie présente à l’observateur les affections sui-vantes»; nell’Isère, «les habitants des montagnes doivent étre et sont effectivement plus industrieux que ceux des plaines»67. Così, il codice funziona in maniera non solo descrittiva ma anche prescrittiva: «Si le climat et la position géographique d’un pays influent sensiblement sur la constitution morale de ses habitants», ribatte il prefetto della Meurthe, «celle des citoyens du département doit offrir une nuance intermédiaire entre le flegme



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allemand et la vivacité fran^aise»; la conclusione, certamente, non si fa attendere: «Tel est aussi le caractère dominant». Lo schema ippocratico come principio di descrizione, è l’unico che renderà possibile la lettura del reale, permettendo di apporvi un ordine sicuro: «Groupez ensemble quatre individus indigènes de la Dombes, de la Bresse, du Revermont et du Bugey: l’homme habitué à observer indiquera facilment la région que chacun d’eux habite»68.
Ma non tutte le risposte si ritrovano sempre nelle domande poste. Tanto banale da sembrare niente più che ima maniera comoda di parlare, stereotipo vuoto di tutto il contenuto descrittivo reale, il codice ippocratico offre, anche in questo un principio euristico, un quadro all’interno del quale possono formularsi nuove domande. Ecco il prefetto Trouvé, in visita al dipartimento dell’Aude, improvvisamente stupito di ciò che scopre: tenuto conto della latitudine temperata alla quale si trova questa regione, la statura degli abitanti «dovrebbe» essere media; ma non è così: i nuovi coscritti sono tutti di statura «très petite et non pas moyenne», fra 1,54 e 1,62 m. In più, le giovani reclute venute dalla montagna, la cui statura in teoria dovrebbe essere più alta, sono fra i ragazzi più bassi e gracili del contingente: «On ne trouve donc pas les effets que l’on devrait attendre de l’analogie de situation», conclude il prefetto. Questo lo induce a ravvisare diverse ipotesi, per rendere conto di questa trasgressione alla regola (degenerazione della specie, dura condizione di vita fra le montagne, cattiva alimentazione, lavoro precoce dei bambini e ritardo nella crescita, etc.) e a farsi qui l’osservatore più attento dei modi di vita locali69. Dal momento che la formula sembra ad un tratto inadeguata e sorpassata, che la griglia sembra perdere il suo senso, nasce allora la domanda antropologica. Per quanto siano significativi i dibattiti sul rispettivo ruolo della storia e dell’ambiente, qualunque sia la risposta adottata è formulata in termini ippocratici. Cambry trova che la varietà dei tipi fisici e morali degli abitanti del Finistère eccede quella dei climi, «ce qui démontre que les institutions civiles, les formes de gouvernement influent sur l’homme au moins autant que sa position sur le globe»; al contrario, nel ripartimento delle Alpes-Maritimes, Fo-déré arriva alla conclusione che secoli di storia non hanno potuto cancellare i tratti originari delle popolazioni indigene, «tant le climat et les lieux [...] exercent una influence marquée [...] au-dessus des institutions»70. Divenuto stereotipo, il codice ippocratico offre il quadro entro il quale si possono formulare delle domande e, in questo senso, permette la riflessione.

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La passione di classificare poteva avere libero sfogo con l’applicazione di una griglia ippocratica alla varietà fisica o morale degli uomini; ma non si spegne nel momento in cui si affronta la descrizione di fatti più strettamente sociali o culturali: modi di abitare, vestire, nutrirsi [...] Così gli abiti: presupposto alFinizio come «à peu prés le mème chez tous les hommes du peuple», l’abito è molto raramente descritto in modo completo, come un oggetto considerato per se stesso. In un gioco di similitudini, interessano solo e captano lo sguardo, le minime variazioni: l’abbigliamento delle contadine dell’Aubrac non ha «rien de particulier, si ce n’est leurs coiffes rondes qui leur descendent de chaque coté comme des pendants de mitre et une longue cape de serge bianche avec une mentonnière». Tanto codificata e ripetitiva la descrizione del corpo, anche quella dei costumi si organizza in una serie di opposizioni e di variazioni, che è determinata dal luogo («chaque pays a ses sabots»), dall’epoca (giorni «ordinari» e giorni di festa), dallo stato sociale (il numero di gilé «proporzionato» all’agiatezza, in Bretagna e in Vandea), dalla professione (il «soprabito» di pelle di montone del pastore, il grembiule di cuoio dell’artigiano), dal sesso (il cappello di feltro nero delle contadine dell’Aude, due volte più largo di quello dei loro compagni), dall’età e lo stato matrimoniale (contrassegnato nell’Aveyron, dal solo colore del vestito: rosso per ragazze, blu per le madri di famiglia, bruno per le donne più anziane)71.
La tassonomia si presenta qui come un inventario delle «idiosincrasie sociali»: essa rivela il modo di essere di una società tradizionale, gerarchizzata, dove la posizione di ciascuno è strettamente definita dall’età, dal sesso, dallo status, e si manifesta allo sguardo per qualche segno, per qualche piccolissimo dettaglio che definisce contemporaneamente il suo posto e la sua appartenenza al gruppo. Questo codice descrittivo, che fa dell’abito l’emblema di un genere di vita e di uno statuto, è dunque anche un sistema di rappresentazione: esso rinvia all’idea che, in una società senza cultura scritta né istruzione come la comunità contadina, dove il gruppo primeggia sull’individuo, il buon andamento della vita collettiva non può essere assicurato che attraverso un sistema molto ben organizzato di attributi e di segni, il cui reticolo rinchiude la vita di ciascuno, anche nei suoi momenti più privati. Il lutto si sottolinea nel Léon con un mantello blu; l’ammontare di una dote dal numero di nastri in fondo al vestito della sposa, nella Savoia. E ciò che è vero per il vestito vale

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anche per tutte le forme di gesti, riti, pratiche, suscettibili di una lettura emblematica: nella Franca-Contea la sistemazione dei mucchi di letame davanti alle scuderie è «un objet de vanité pour les filles de la maison... Le jeune homme qui veut se marier (examine) la forme du tas de fumier avant de demander la fille propriétaire»; nella Savoia, un gesto è sufficiente alla ragazza corteggiata per allontanare il suo pretendente: «Le congé se signifie en levant un tison du feu et en le dressant dans la cheminée» 72.
In questo sistema di rappresentazione, la diversità osservata non può provenire dalla libera scelta degli individui, ma rinvia sempre ad un obbligo collettivo, essa non ha senso se non come variazione regolata, all'interno di un sistema generale di scarti e di similitudini. Ma questo codice, che presuppone ovvio il legame interno deH’indigeno al suo costume, non ha più senso, nel momento in cui la diversità non è o non è più capita dall'osservatore. La descrizione diviene allora un gioco di equivalenze, vuota tassonomia: le Ariégeoises sono acconciate «comme des Savoyardes», il vestito degli artigiani è «una via di mezzo» fra quello dei contadini e quello dei cittadini... In presenza di un fatto culturale di cui non percepisce il senso, l'osservatore può, in cerca di una spiegazione, trincerarsi dietro al luogo comune e allo stereotipo: il blu è il colore preferito dalle donne, nell'Avey-ron, perché pensano che esso «convient mieux à la blancheur de leur teint»73. Ripensare però il rapporto, divenuto enigmatico, degli abitanti di una regione con il loro vestito, può anche condurre ad una riflessione storica o antropologica: per comprendere la diversità dei vestiti nei dipartimenti delle Bouches-du Rhóne, Michel d’Eyguières interroga il passato e schizza un'analisi della genesi dei fatti culturali: osservando che gli abitanti dei dintorni di Tarascon, Salon e Istres si distinguono, per il loro abbigliamento, dal resto del dipartimento, egli commenta: «J’at-tribue l’origine de cette différence de costume à l’ancienne divi-sion ecclésiastique et judiciaire. Ces divisions nécessitant les relations continuelles avec les chefs-lieux, les habitants en pren-nent insensiblement le costume et les moeurs»74. Si è passati qui, dal codice semi-descrittivo e semi-prescrittivo, all’analisi, storica ed antropologica, di ima cultura.
Infine, alla superficie stessa della griglia tassonomica, attraverso cui gli inquirenti colgono l’abbigliamento o i modi di fare del popolo, può emergere la notazione di un tipo di variazione inattesa: quella che in luogo di essere emblema di uno scarto di

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statuto sociale, è il segno di una scelta individuale, libera, dunque arbitraria, la «moda». Variazione senza codice apparente, la moda è la sola forma di differenza che, agli occhi degli osservatori, meriti il nome di «varietà»: «Il n’y a que dans les classes aisées où fon trouve de la variété dans les habillements». Poiché essa sola, sfuggendo alla prescrizione collettiva, deriva dalla libertà dell'individuo o, come si diceva allora, dal suo «capriccio». Ma, come anticipano molto nettamente alcuni degli inquirenti, questa varietà inclassificabile, poiché impensabile nel quadro del gruppo tradizionale, è il segno di un profondo sconvolgimento, di una tendenza che, dietro all’apparenza della più grande e flessibile diversità, condurrà alla generale uniformizzazio-ne: «L’extréme variété des couleurs dont on se sert généralement aujourd’hui fera bientót oublier que le gros bleu a été la couleur favorite dans les environs d’Avesnes, le gris dans les environs de Valenciennes, le bleu céleste dans l’arrondissement d’Haze-brouck». Arrivata dalla città, la moda sconvolge radicalmente, e come non mai, il codice tradizionale dell’abito/abitudine: «Sans doute, on ne sera pas longtemps à voir régner l’uniformité»75. Ecco che partendo ancora dal codice antico, si forma la percezione di questa novità rivoluzionaria: l’avvento della moda e dell’individuo.
Strutturalisti ante-litteram, gli inquirenti napoleonici vengono a conoscenza del mondo contadino attraverso tutta ima serie di variazioni e di sistemi di scarti. Tuttavia, abbiamo anche visto come essi cerchino a queste variazioni delle cause; come le loro tassonomie si scambino per delle griglie esplicative, attribuendo le differenze ad una serie di fattori, sia che si tratti dell’influenza dell’ambiente, del peso della storia o della costrizione esercitata dal gruppo. Comunque, dietro i codici descrittivi, traspare sempre un sistema di rappresentazione e di spiegazione delle forme di vita e di cultura della società contadina tradizionale, le cui idiosincrasie e particolarismi non possono essere compresi se non in rapporto ad un sistema di cause.
In questo modo qualsiasi diversità la cui origine sfugga o sembri irriducibile ad un qualche determinismo diretto costituisce un problema. Questo ostacolo epistemologico appare con evidenza a proposito degli usi e dei costumi: poiché se la loro diversità sembra tanto infinita quanto quella dei corpi e degli abiti, nessuna logica semplice sembra reggere la loro variazione: come descrivere/spiegare le diverse variazioni dei riti, delle credenze, delle leggende che si praticano da un villaggio all’altro? «Il



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n’y a rien de remarquable dans leurs jeux et leurs fétes publi-ques», afferma un inquirente dell'Ardeche; e tenta di giustificare anche la sua affermazione: «On ci te bien quelques pratiques sin-gulières, quelques usages consacrés dans certains villages; mais outre qu'il serait difficile de découvrir à quoi elles se rattachent, elles offrent assez peu d'intérét par elles-mémes. Ce peuple a aussi sa part d’idées et de pratiques supertitieuses, il compose un mélange assez bizarre de choses profanes et de choses sacrées; mais à cet égard, il ressemble à tous les autres et ne diffère ni par le plus ni par le moins»7Ó. I dettagli di cui non ci si può rendere conto divengono sostituibili, intercambiabili, dunque trascurabili: «Ce pays est trop voisin de Pontusval pour qu'il offre dans les moeurs, dans les costumes, dans les usages, des différences qu’on puisse remarquer». È come una soglia limite all'osservazione, dove lo sguardo si perde: da un villaggio all'altro, le differenze sembrano troppo poco sensibili per esigere un linguaggio proprio: per dare un'idea della varietà, una individuazione puntuale e sparsa può essere sufficiente, poiché un dettaglio può qui, d'altronde, sostituirne un altro, simile: «Si dans mes notes, j’avais oublié quelque usage intéressant, il se présentera sans doute dans la suite de mon récit. Passons à Saint Poi de Léon»77. Ma, a forza di giustapporre in questo modo ciò che è quasi simile, senza che alcuna divisione decisiva sembri possibile, ogni volta tutto si contamina: l’inchiesta scivola dall'inventario sistematico del diverso alla compilazione dispersa dell'eguale.
G. Bachelard ha analizzato, a proposito dell'osservazione scientifica, questa «pigrizia del distinguere» che caratterizza il pensiero pre-scientifico: la tendenza al sistema e all’universalismo, la ricerca affrettata del generale, l'applicazione del principio di identità, rendono poco importante entrare nei dettagli ritenuti poco significativi78.
Nelle memorie statistiche, in effetti, si verifica questo slittamento dal particolare verso il generale, dal diverso all'uniforme. Non è indifferente notare, che esso si verifica particolarmente in due ambiti essenziali della descrizione, oggetto di un investimento ideologico marcato da parte dei prefetti e dei notabili illuminati che prendono parte all’inchiesta: le pratiche del popolo in materia economica da una parte, e particolarmente le pratiche agricole; i suoi comportamenti e le sue credenze dall’altra. All’interno della diversità delle tecniche colturali contadine, gli inquirenti, ossessionati dal modello agronomico della rotazione triennale e delle praterie artificiali, non vedono che

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il regno dispotico della routine: «Les coultivateurs de ces monta-gnes ne peuvent se détacher des vieux préjugés, des vieux usages, des anciennes méthodes». Allo stesso modo, le credenze e le consuetudini religiose sono, indistintamente, poste sotto il segno della superstizione, tanto variabile quanto incoerente: «La su-perstition... asservit toutes les àmes et ne se modifie que par les différentes traditions de miracles, de prodiges, de sortilèges, qui se conservent dans les familles»79.
Dopo tutto, d'altronde, routine e superstizione sono sovente associate nelle descrizioni, dal momento che esse non fanno che rinviare ad una stessa causa, negativa: il carattere irragionevole ed irrazionale di questi comportamenti, in breve, all'assenza di ragione. «Tout est immuable, parce que tout se fait sous les auspices de tei ou tei saint», scrive il prefetto Dupin a proposito dell'agricoltura delle Deux-Sèvres... «L'usage de faire bénir les semences et de décorer son champ de rameaux se perpétue, mais celui de chauler le grain que Fon confie à la terre est oublié». In un caso e nell'altro, persiste Videa che il popolo sia incapace di «raisonner la méthode dont la tradition lui est venue de pére en fils», e non sia in grado di accedere ad un'esperienza morale intima e razionale, e resti dunque votato a gesti bizzarri, a devozioni minuziose, all’apparenza della religione80.
Categoria implicita ma onnipresente, la ragione è la norma autentica che regola e struttura tutte queste descrizioni. Si vede bene qui — nei settori particolarmente opachi allo sguardo degli amministratori napoleonici: la religione e l'agricoltura — come gli ostacoli ideologici si sovrappongono agli ostacoli cognitivi e contribuiscono a perpetuare, all'interno delle descrizioni statistiche, schemi di pensiero tradizionali e stereotipati. Nello stesso tempo è perché incapaci di trovare una qualche logica o spiegazione a questi usi e costumi e perché convinti, in ogni caso, del carattere inessenziale — vale a dire irrazionale — di questa varietà, che gli osservatori sussumono sotto termini generici, entro categorie troppo generali per essere false, ma svuotate di significato dalla loro stessa generalità, una eteroclita collezione di abitudini, di superstizioni, di pratiche consuetudinarie. O preferiscono, in fin dei conti, decidersi a non dire niente: «Si quelques nuances particulières se mélent aux traits généraux, il est plus aisé de les apercevoir que de les bien rendre et elles n'offriraient rien d’util ni de certain», scrive Barante; osservato che i suoi amministrati hanno conservato un linguaggio e delle abitudini «qu'on ne trouve guère ailleurs», il prefetto riprende subito: «Il



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n'y aurait que de la curiosité à s'occuper de ces différences; et toutes les recherches sur leurs origines n'ont conduit qu'à des conjonctures plus ou moins vraisemblables» 81.
L'analisi che precede è diretta a dimostrare come nelle loro pratiche descrittive i prefetti tendano a deviare a volte in modo impercettibile, a volte in modo esplicito dal questionario iniziale — fondato su definizioni nuove come quella di individuo — tornando ad un sistema di categorie tradizionali che permette loro di descrivere «il popolo» come un essere collettivo, «natura* le», immobile ed irrazionale. Nell'osservazione di questo «popolo», dei suoi modi di vita, i prefetti dell'età napoleonica che restano degli amministratori preoccupati della società futura, cercano un rimedio alla loro inesperienza sociale.
Marie Noelle Bourguet
Università di Reims
NOTE AL TESTO
1 Annales de statistique (d’ora in poi «Ann. stat.»), t. I, Paris, Valade, floréal-prairial an X, introd., p. 46.
2 Per le citazioni cfr. J. Peuchet, Essai dfune statistique générale de la France, Paris, Testu, an IX, p. II; Id., Statistique élémentaire de la France, Paris, Gilbert, 1805, p. 3.
3 P. Viard, L’administration préfectorale dans le département de la Cóte-d’Or sous le Consulat et le Premier Empire, Paris, H. Champion, 1914, p. 4; J. Tulard, La vie quotidienne des Francis sous Napoléon, Paris, Hachette, 1978, p. 65.
4 Alla svolta del secolo, i rapporti dei primi prefetti sull’«esprit publique» dei loro dipartimenti, furono utilizzati da A. Aulard, al fine di tracciare «l’état moral» della Francia nell’anno Vili e IX. In seguito poi, sotto l’egida della commissione per le ricerche e la pubblicazione dei documenti relativi alla vita economica della Rivoluzione Francese, si pose l'attenzione sulle statistiche, soprattutto per i dati economici che esse contenevano: storici come G. Bourgin, P. Caron, Ch. Schmidt, H. Sée, più tardi O. Festy e recentemente S. Chassagne, St. Woolf, D. Woronoff si sono impegnati a ritrovare e rivalutare le inchieste sulla coltivazione del grano, sulle strade, sui canali, sulle miniere e le manifatture. Dopo gli anni cinquanta, i censimenti e le statistiche di popolazione, si trovano sistematicamente analizzate dagli storici (M. Reinhard, J. N. Biraben, J. Cl. Perrot) e anche dagli statistici e dai demografi (A. Armengaud, J. Dupaquier, M. Lévy). Ultimamente, infine, liste di notabili e statistiche morali dellTmpero sono entrate nel campo della storia sociale con i lavori di M. Agulhon, L. Bergeron, J. Toulard.
5 J. N. Biraben, La statistique de population sous le Consulat et l’Empire, in «Revue d’histoire moderne et contemporaine», 17, luglio-sett. 1970, p. 372.



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6 O. Festy, Les essais de statistique économique pendant le Dirèctoire et le Constdat, in «Annales historiques de la Révolution frangaise», aprile-giugno 1953, p. 176.
7 R. Chartier, Les deux France: histoire d'une géographie, in «Cahiers d’histoire», 23 (4), 1978, p. 415.
8 J. Bourdon, La statistique du département de l’Aube par le préfet Bruslé (ans IX-X), in «La Révolution frangaise», 63, 1912, pp. 103-130.
9 Si vedano a questo proposito le riflessioni di M. Agulhon, Les sources statistiques de l’histoire de notables au début du XlXe siècle dans les archives d’un département: le Var, in «Actes du 84e congrés nat. des sociétés savantes», Dijon, 1959, Sect. Hist. mod. et contemp., Paris, Impr. nat. 1960, pp. 453-469; e i suoi commenti alle memorie statistiche del prefetto Fauchet in La vie sociale en Provence intérieure au lendemain de la Révolution, Paris, Clavreuil, 1971, passim.
10 Per altri ambiti ed altri periodi, s’impone qui il riferimento ai primi lavori di M. Foucault (in modo particolare Les mots et les choses. Une archéologie des Sciences humaines, Paris, Gallimard, 1966; e Mais sance de la clinique. Une archéologie du regard médical, Paris, PUF, 1972). Bisogna però citare anche due studi recenti, molto differenti per tono, oggetto, e metodo, ma sia l’uno che l'altro molto suggestivi. Lavorando sulle inchieste condotte nella prima metà del XIX secolo da medici ed osservatori sociali, collaboratori degli «Annales d’hygiène publique», B. P. Lecuyer s’interroga meno sull’esattezza dei dati raccolti che sullo «stato del sapere demografico» e inizia ad analizzare i fattori sociologici ed ideologici che presiedono alla sua trasformazione, dall'igiene alla ricerca sociale (Médicins et observateurs sociaux: les «Annales d’hygiène publique et médicine légale» (1820-1850), in «Pour une histoire de la statistique», t. I, Paris, INSEE, 1977, pp. 445-476; e dello stesso autore Démographie, statistique et hygiène publique sous la monarchie censitaire: quelques travaux du groupe des «Annales d’hygiène publique et de médicine légale», in «Annales de démographie histori-que», 1977, pp. 215-245). Da parte sua, decifrando gli schemi descrittivi in uso nei «livres d’habits» del XVI secolo, D. Defert mostra, con estrema minuzia, come influisce la distanza tra percezione e descrizione, al punto che non esiste osservazione che non sia in qualche modo prescritta e strutturata attraverso i codici descrittivi in uso (Un genre iconographique profane au XVle siècle: les livres d’habits. Essai d’ethno-iconographie, in «Actes du colloque de l’Association frangaise des anthropologues», Sèvres, nov. 1981, Atelier «Histoire de l’anthropo-logie», in corso di preparazione presso Klincksieck).
11 Questi osservatori, ossessionati dal problema del grano e avendo di fronte un unico modello, ostinati nel creare ovunque campi di grano e praterie artificiali, hanno inquadrato l’intera Francia attraverso la sola ottica del maggese e della rotazione regolare. Da una griglia descrittiva adattata alle pianure cerealicole del nord e dell'est, hanno tratto un principio di descrizione che li ha indotti a non vedere, altrove, nei sistemi agrari fondati sull'erba e sull'allevamento, altro che terreni incolti, lande, terre abbandonate a pratiche arcaiche: «Queste sono, insiste J. Mulliez, le regioni agricole considerate barbare dagli agronomi seguiti spesso dagli storici, che apparirebbero invece ad una attenta lettura delle memorie statistiche, come quelle meglio coltivate, dove la tecnica agricola è incontestabil-



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mente più elaborata che nei paesi a grano con la rotazione obbligatoria. Cfr. J. Mulliez, Du blé, 'mal nécessaire': refléxion sur les progrès de l’agricolture de 1750 à 1850, in «Revue d’histoire moderne et contemporaine», 26, genn.-marzo 1979, p. 30.
12 Sulla necessità di mettere in relazione i sistemi di classificazione, di percezione e di rappresentazione del mondo sociale con l’organizzazione sociale che li produce, si veda l’articolo di E. Durkheim, M. Mauss, De quelques formes primitives de classijication, in «L’année sociologique», t. 6, 1901-1902, pp. 1-72; P. Bourdieu, Champ du pouvoir, champ intellectuel et habitus de classe, Scolies, I, 1971, pp. 7-26; Id., Un classe objet, in «Actes de la recherche en Sciences sociales» 17-18, 1977, pp. 2-5; E. Cassirer, Le Langage et la construction du monde des objets, in «Journal de psychologie normale et pathologique», t. 30, 1933, pp. 18-44.
13 M. Halbwachs, La morphologie sociale, Paris, A. Colin, 1938, p. 36: «Allora si rinnovano le forme, si obbligano i gruppi ad entrare nei nuovi quadri spaziali».
14 Si vedano, sulla genesi della nozione moderna di individuo i lavori di L. Dumont, The modem conception of thè individuai, in «Contribution to Indian Sociology», t. 8, ott. 1965 (versione francese: La conception moderne de Vin-dividu. Note sur sa genèse, en relation avec les conceptions de la politique et de TEtat à partir du 13è siècle, in «Esprit», febbraio 1978, pp. 18-54); Id., Homo hierarchicus. Le sistème des castes et ses implications, Paris, Gallimard, 1966; Id., Homo aequalis. Genèse et épanouissement de l’idéologie économique, Paris, Gallimard, 1977.
15 F. A. De Chateaubriand, Essai historique, philosophique et moral sur les Révolutions anciennes et modemes, Londres, Colburn, 1820, p. 34.
16 D. F. Donnant, Théorie élémentaire de la statistique, Paris, Orbé, 1805, p. 34.
17 J. Peuchet e P. G. Chanlaire, Description topographique et statistique . . ., Paris, Chanlaire, impr. De Courcier, 1810, t. I; Discours préliminaire.
18 «Le ministre repète que son intention est de connaitre le nombre des propriétaires, à quelque titre que ce soit, qui existent en France . . . En un mot, il faudra faire connaitre et la propriété et les propriétaires». Cfr. J. A. Chaptal, Notes et modèles de tableaux joints à la circulaire du 19 germinai an IX, cap. 2, «Population», tavole n. 1, 2 e 3, in «Ann. stat.», t. I, pp. 148-156. Queste note sono riprese quasi testualmente nella circolare del 9 fruttidoro deH’anno IX, «Note sur les tableaux statistiques».
19 Boissy D'Anglas, Discours préliminaire au projet de constitution de l’an III, Paris, Impr. National, an III, pp. 27-28.
20 Per i proprietari spiega, «on doit comprendre tous ceux à qui appartien une portion quelconque du territoire frangais, à la ville ou à la campagne. On doit observer que, par propriétaires chefs de famille, on entend tous ceux qui possèdent de leur chef, de leur propre droit ou de celui de la femme avec laquelle ils vivent, cette portion quelconque du territoire; ainsi sous ce rapport, un enfant mineur et qui à recueilli un héritage, est véritablement propriétaire». Cfr. «Ann. stat.»; t. I, p. 155.
21 Ibid., p. 156.
22 Ibid., pp. 191-192, note relative alla rubrica «état des arts, métiers et professions».



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23 Ibid., p. 134.
24 A proposito del questionario di Beauvillier si veda il «Mémoire adressé à tous les intendants par M. le due de Beauvillier, pour y répondre article par article et servir d'instruction à Monseigneur le due de Bourgogne (1697)»; pubblicata da E. Esmonin, Les memoires des intendants pour Vinstruction du due de Bourgogne (1698), Paris, Bibliothèque Nationale, 1975. La circolare rivoluzionaria citata è «Question sur lesquelles les communes de la République sont priées de fournir des Solutions au ministère de rintérieur», s.d. (fine 1792). L'inchiesta, che comprende più di 200 domande, è stata lasciata senza risposta dalla maggior parte dei comuni; si veda anche, presso le Archives Nationales (d'ora in poi AN) alla collocazione F 20 233, la risposta di Valenciennes (datata germinale dell'anno IV), riguardo la domanda sul carattere morale: «doux, paisible, humain, peu spirituel»; gli abitanti sono «un peu insouciants, plus gais que tristes», non hanno «point trop de vivacité», sono «laborieux en général» e dotati di «beaucoup d’aptitude pour les arts».
25 «Ann. stat.», t. I, pp. 151, 161, 163-164.
26 Ibid., pp. 161, 156, 192, 164; e AN, F 20 2, lettere al prefetto del Rhin-et-Moselle, II germinale dell’anno XI.
27 AN, F 20 2, questions . . . au préfect de la Lys, 8 pluvioso dell’anno XI, n° 49.
23 «Ann. stat.», t. I, p. 154. Il problema non è affrontato che dal punto di vista demografico, a proposito dell'evoluzione della popolazione dal 1789: «Il faut savoir . . . à quel àge on se marie, et à quel àge on se mariait; si les familles sont plus ou moins nombreuses, etc.» (ibid., p. 152).
29 Ibid., p. 135.
30 AN, F 20 2, lettera citata al prefetto della Lys.
31 La citazione è tratta da M. Granet, La pensée chinoise, Paris, Albin Michel, 1934, pp. 445-448.
32 A proposito dei rapporti fra linguaggio e legittimità della dominazione, e la genesi della statistica amministrativa, si vedano le analisi di R. Laufer-C. Paradeise e Le prince bureaucrate, Paris, Flammarion, 1982.
33 E. G. R. de Serviez, Statistique di département des Basses-Pyrénées . . ., Paris, Impr. des sourds-muets, an X, p. 31.
34 A. A. Monteil, Description du département de VAveyron . . . Paris, Fuchs, an X, 2 voi., t. 2 p. 69.
35 «Ménager»: Archives Departementales (d'ora in poi AD) Bouches-du-Rhóne, M 12 5, Questionnaire aux maires, an XI, réponse du maire d’Orgon; «cabanier»: P. L. C. Labrettoniere, Statistique du département de la Vandée, an IX, Paris, impr. des Sourds-muets, p. 65; «fermage»: V. Chevard, Maire de Chartres, Histoire de Chartres et de l’ancien pays chartrain, avec une description statistique du département d'Eure-et-Loir, Durand-le-Tellier, an X, t. 2, p. 52; «métayrie»: AN, F 20 203, Landes, Mémoire statistique pour Pan XII et l’an XIII, an XII ms.; «colonage»: C. I. Barante, Essai sur le département de l'Aude, adressé au ministre de rinterieur .. ., Carcassonne, G. Gareng, brumaire an XI, p. 180; AN F 20 171, Pallis, Description du département du Cantal sous les rapports topographiques, agricoles et commerciaux, 30 frimaire an XI, ms.; C. Cochon De Lapparent, Déscription général du département de la Vienne . . ., Paris, Le Clére, an X, p. 67;

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Marie Nòelle Bourguet
G. Delaistre, Statistique du département de la Charente. . ., an X, p. 24; «borderage»: L. Texier-Olivier, Statistique général de la France, publiée par ordre de S. M. FEmpereur et Roi, département de la Haute-Vienne. . . Paris, Testu, 1808, p. 84 «domaine»: AD Ardeche, Sèrie K, ms. non coté, (Laroque), Mémoire statistique du département de FArdeche, s.d. (1808), p. 129; «grange»: J. J. Verneilh-Puyraseau, Statistique générale de la France publiée par ordre de S. M. FEmpereur et Roi; département du Mont-Blanc, . . . Paris, Testu, 1807, pp. 413-414.
36 C. Dieudonné, Statistique du département du Nord . . ., Douai, Marlier, an XII, 1904, t. I, pp. 517-518; C. F. E. Dupin, Mémoire statistique du département des Deux-Sèvres, adressé au ministre de FInterieur, d’apres ses instructions . . ., Paris, Impr. de la République, an XII, p. 184; N. Y. Borie, Statistique du département de Fllle-et-Vilaine . . ., Paris, Impr. des sourds-muets, an IX, p. 33; J. J. A. Fauchet, Statistique générale de la France . . . département du Var, Paris, Testu, 1805, pp. 183-184; (citato da M. Agulhon, La vie sociale en Provence intérieure au lendemain de la Révolution, Paris, 1970, passim; alla collocazione AN F 20 267 si trovano solo le bozze incomplete delle memorie di Fauchet, da p. 1 a p. 128; alla collocazione AN F 20 187 si trovano invece le Mémoire sur la statistique du département du Ministère, 12 frimaire an XI). A proposito dell’inadeguatezza della griglia di lettura e delle categorie «agronomiche» applicate dagli inquirenti napoleonici a tutto il territorio nazionale, si veda l’opera di J. Mulliez, op. cit., pp. 1-47.
37 A. A. Monteil, op. cit., t. 2, p. 207.
38 AN F 20 191 Notices sur la statistique du département de Gènes . . . par Joseph Dattili, . . . ms., 22 octob. 1809.
39 AN F 20 264, Statistique du département du Tarn, par Massol, . . . an XII, ms., p. 299.
40 J. J. A. Fauchet, op. cit., p. 143 e ss. (per quanto riguarda la nuova nomenclatura) e pp. 183 e ss. (per l’analisi in termini sociali). Si veda anche il commento al testo di Fauchet di M. Agulhon, op. cit., pp. 193-202, 247-256. 264-266.
41 AN F 20 196, Mémoire statistique du département de FHerault, ms. prairial an XIII, p. 205.
42 AN F 20 242, P. Laboulinière, Mémoire statistique du département des Hautes-Pyrenées, bozze di stampa, p. 152.
43 AN F 20 2, lettera al prefetto del Rhin-et-Moselle, II germinai an XI.
44 Bibliotheque Municipale de Chaumont (Haute-Marne), P. Dardenne, Essai sur la statistique du département de FAriège . . ., ms. 299 à 231 ms., 1805, t. 2, p. 19.
45 J. A. Huguet, Tableau de situation du département de FAllier, . . . Paris, Impr. des sourds-muets, an X, p. 62.
46 P. Laboulinière, op. cit., p. 153; N. Y. Borie, op. cit., p. 8; A. A. Monteil, op. cit., t. I, p. 167.
47 Balguerie, Tableau statistique du département du Gers, . . . Paris, Impr. des sourd-muets, an X, pp. 24 e ss.; P. Laboulinière, op. cit., p. 153; P. Dardenne, op. cit., t. 2, p. 19.
48 Se le usanze dei cittadini sembrano essere ancora troppo segnate dal marchio della località, al punto da non meritare di essere distinte da quelle del popolo delle campagne, è segno di arcaismo e di isolamento: nella Creuse, dove

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Dal diverso all’uniforme
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anche la classe agiata della popolazione ignora tutto dello splendore della vita in società, «on ne peut déterminer de démarcation frappante entre les moeurs et les habitudes des citadins et des cultivateurs» (AN F 20 179, Description abrégé du département de la Creuse, par Vertadier, 26 fructidor an VII, ms.).
49 P. Labouliniere, op. cit., p. 153.
50 J. J. Verneilh-Puyraseau, op. cit., p. 276 e ss. (il prefetto cita l’opera di J. Daquin, Topographie médicale de Chambéry et ses environs, Chambéry, 1787); J. J. A. Fauchet, op. cit., p. 104; A. A. Monteil, op. cit., t. I, p. 101.
51 P Labouliniere, op. cit., p. 154.
52 J. B. L. Lucay, Description de département du Cher . . . Paris, Paris, Impr. des sourd-muets, an X, pp. 71-72; AN F 20 167 (Aude) rapporto del prefetto, 17 germinale dell’anno XI; AN F 20 187, Mémoire sur la statistique du département du Finistère, ms., frimaire an XI.
53 A proposito di questa illusione culturalista, si veda M. Auge, L’ethnologie des sorts, in «Annales ESC», n° I, 1979, p. 79.
54 AN F 20 163, Brun, Notices sur le département de l’Ariège, ... 23 frimaire an XI, pp. 11-12.
55 Questa assenza di individuazione, che gli inquirenti attribuiscono al popolo delle campagne, si ritrova nelle descrizioni contemporanee di viaggiatori extraeuropei. Si veda ad es. la descrizione che Humboldt dà degli Chaymas: indiani d’America e contadini francesi non sono percepiti come individui differenziati, ma come membri tutti simili di un gruppo; cfr. A. De Humboldt, Voyage aux régions equinoxials fait en 1799, 1800, 1802, 1803 et 1804, Paris, F. Schoell, 1816 t. 3, p. 284.
56 J. Bollack, Empédocle, Introduction à l’ancienne physique, Paris, ed. de Minuit, 1965, t. I, p. 302: «L’epiteto, rivelando nella maniera più concisa la costituzione particolare, si presta mirabilmente alla classificazione del naturalista».
57 Statistique de l’Eure, Prospectus. Prémière serie de questions, Evreux, impr. de J. J. L. Ancelle, an IX; Ad Nord, M 641 (I) 44, Questions supplétives sur Vagricolture, l’industrie, le commerce et les habitudes des habitants du département, prairial an IX, question n° I; C. Dralet, Pian détaillé de topographie ... 20 messidor an Vili; Paris, impr. de Mme Huzard, an IX, I, 3, p. 16.
58 A proposito del linguaggio del popolo, si veda: Annuaire de la préfecture du Jura. . . Lons-le-Saunier, C. A. Delhorne, an XII p. 64 AN F 20 169 (Bouches-du-Rhóne), Extrait des séances de la Société de médicine de Marseille (30 thermidor an Vili): rapporto de Vidal et Fodéré sur la 'Topographie' de Raimond, art. 8; a proposito della religione: Massol, op. cit., p. 51 AD Alpes-Maritimes T 39, Fodéré, Statistique du département des Alpes-Maritimes, an XI, ms.; sulla danza: Dalphonse, Statistique général de la France. Département de VIndre . . . Paris, an XII, p. 109.
59 J. B. Huet De Coetlizan, Statistique du département de Loire-Inférieure, an X, p. 8, Impr. des sourd-muets.
60 O. Boucqueau, Statistique générale de la France, Mémoire statistique du département de Rhin-et-Moselle, . . . Paris, Impr. de la République, an XII, p. 60.
61 J. Schlanger, L'enjeu et le débat, Paris, Denoel-Gonthier, 1979, pp. 15-21.
62 «Ann. stat.», t. I, pp. 146-147.



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63 J. B. L. Lucay, op. cit., p. 70.
64 J. J. Verneilh-Puyraseau, op. cit., p. 275; C. Dieudonne, op. cit., t. I, p. 72. Su questo codice di descrizione «topografista ed aerista», usato nella Statistique si veda: M. N. Bourguet, Race et folklore. L’image officielle de la France en 1800, in «Annales ESC», 4, 1976, pp. 802-823.
65 J. J. A. Fauchet, Déscription abrégé du département du Var, Paris, Impr. des sourds-muets, an IX, p. 33; Doulcet De Pontecoulant, Essai sur la statistique général du département de la Dyle ... in «Folklore Braban^on», (186), 1970, p. 180; F.M. Perrin-Dulac, Déscription général du département de ITsère, Grenoble, 1806, t. I, p. 208; Lafitte reprint., Marseille, 1980, con una introduzione di P. Hamon. J. A. Huguet, op. cit., p. 7; J. Cambry, Voyage dans le Finistère ou état de ce département en 1794 et 1795, Paris, libr. du Cercle social, an VII, t. 2, p. 12.
66 J. Cambry, op. cit., t. 2, p. 210 e ss.; A. A. Monteil, op. cit., t. I, p. 218; Z. H Desgouttes, Tableau statistique du département des Vosges . . . an IX, Paris, Impr. des Sourds-muets, an X, p. 108.
67 AN F 20 187, Mémoire sur la statistique du département du Finistère, 12 frimaire an XI; F.M. Perrin-Dulac, op. cit., t. 2, p. 273.
68 J. J. Marquis, Mémoire statistique du départment de la Meurthe . . ., Paris, Impr. Impériale, an XIII, p. 133; G. Bossi, Statistique général de la France . . . département de l’Aine, Paris, Testu, 1908, p. 290.
69 AN F 20 137, Trouvé, Mémoire statistique du département de l’Aude, bozze di stampa dell'ed. Testu, p. 125 e ss.
70 J. Cambry, op. cit., t. I, p. 50; AD Alpes-Maritimes, T 39; Fodere, op. cit., p. 23 e ss.
71 J. E. Michel D'Eyguiéres, Statistique du départment des Bouches-du-Rhó-ne, an XI, s.e., 1802, p. 155; A. A. Monteil, op. cit., t. I, pp. 25, 120; t. 2, pp. 12, 137; Trouvé, op. cit., p. 160; P. L. C. Labrettonière, op. cit., p. 65; AN F 20 187, Mémoire sur la statistique du département du Finistère, 12 frimaire an XI.
72 J. Cambry, op. cit., t. 2, p. 203; J. J. Verneilh-Puyraseau, op. cit., p. 289-293; J. Debry, Statistique général de la France. .. Département du Doubs, Paris, an XII, p. 76.
73 AN F 20 163, lettera dell'ingegnere Mercadier sui costumi dell’Ariége, 31 agosto 1806; A. A. Monteil, op. cit., t. I, p. 25.
74 J. E. Michel D’Eyguiéres, op. cit., p. 157.
75 C. Dieudonné, op. cit., t. I, p. 75; P. Laboulinière, op. cit., p. 166.
76 AD Ardèche, Biblio n° 670-671, Annuaire statistique du département de l’Ardèche, an XI, Privas, F. Agard, p. 107.
77 J. Cambry, op. cit., t. I, p. 217 e ss.
78 G. Bachelard, La formation de l'esprit scientifique, Paris, Vrin, 1967, in particolare le pp. 16, 57, 64, 86.
79 F. Bonnaire, Statistique du département des Hautes-Alpes, Paris, Impr. des sourd-muets, an IX, p. 41.
80 C. F. E. Dupin, op. cit., p. 266; AD Ardèche, senza collocazione, Mémoire statistique du département de l’Ardèche, ms. 1808, p. 120.
81 AN F 20 167, rapporto del 17 germinale dell’anno XI.