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Title
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Miseria sessuale e prostituzione
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Creator
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Giorgio Gattei
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Date Issued
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1980-01-01
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Is Part Of
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Studi Storici
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volume
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21
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issue
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1
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page start
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193
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page end
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197
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Publisher
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Fondazione Istituto Gramsci
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Language
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ita
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Format
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pdf
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Relation
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La volontà di sapere, Italy, Feltrinelli, 1968
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Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Italy, Einaudi, 1976
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Rights
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Studi Storici © 1980 Fondazione Istituto Gramsci
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Source
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https://web.archive.org/web/20230921121915/https://www.jstor.org/stable/20564676?searchText=Foucault&searchUri=%2Faction%2FdoBasicSearch%3FQuery%3DFoucault&efqs=eyJsYV9zdHIiOlsiYVhSaCJdfQ%3D%3D&sd=1975&ed=1999&pagemark=eyJwYWdlIjoyLCJzdGFydHMiOnsiSlNUT1JCYXNpYyI6MjV9fQ%3D%3D&groupefq=WyJjb250cmlidXRlZF90ZXh0Iiwic2VhcmNoX2NoYXB0ZXIiLCJjb250cmlidXRlZF9hdWRpbyIsInJlc2VhcmNoX3JlcG9ydCIsInNlYXJjaF9hcnRpY2xlIiwicmV2aWV3IiwibXBfcmVzZWFyY2hfcmVwb3J0X3BhcnQiXQ%3D%3D&ab_segments=0%2Fbasic_search_gsv2%2Fcontrol&refreqid=fastly-default%3A12b8a2e252483282e9fd201749114023
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Subject
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surveillance
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disicpline
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power-knowledge
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apparatus (dispositif)
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sexuality
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history and historiography
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institutions
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non-discursive practices
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extracted text
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MISERIA SESSUALE E PROSTITUZIONE
Giorgio Gattei
Nella prefazione al volume1 Fautore osserva, con qualche ironia, che, mentre gli studi storici medievali e moderni hanno da tempo rivolto l’attenzione al fenomeno prostituzionale, i cultori della storia contemporanea se ne tengono ancora diligentemente lontani, come se « il piu vecchio mestiere del mondo fosse anche l’unico a sfuggire alla storia » (p. 7).
Perfino un investigatore così attento come Michel Foucault, descrivendo nella Volontà di sapere (Milano, 1978, p. 92) il cristallizzarsi del « dispositivo storico della sessualità » proprio del XIX secolo, individua solo quattro grandi insiemi strategici « che sviluppano dispositivi specifici di sapere e di potere » (e sono: l’isterizzazione del corpo della donna, la pedagogizzazione del sesso del bambino, la socializzazione delle condotte procreatrici e la psichiatrizzazione del piacere perverso), dimenticando quella regolamentazione del meretricio, che pure risulta allo studio un connotato fondamentale di quel medesimo dispositivo. A sua discolpa si può rilevare come egli ruoti l’intero ragionamento attorno alla particolare .valorizzazione della famiglia a luogo assente d’erotismo, rispetto al quale la prostituzione si presenta come radicale opposizione-negazione; tuttavia è altrettanto vero che l’interdizione della sessualità dalla cellula familiare aveva successo proprio perché contemporaneamente era stato assicurato al desiderio l’apposito spazio regolamentato delle condotte sessuali venali. Non che Foucault non lo sappia: in Sorvegliare e punire (Torino, 1976, pp. 307-308) aveva pure osservato, a proposito della amministrazione degli illegalismi, che « l’organizzazione delle reti della prostituzione nel secolo XIX è a questo proposito caratteristica: i controlli di polizia e di salute sulle prostitute, il loro regolare passaggio nelle prigioni, l’organizzazione su grande scala delle case chiuse, l’accurata gerarchia che era mantenuta nell’ambito della prostituzione, il suo inquadramento a mezzo di delinquenti-informatori, tutto ciò permetteva di canalizzare e recuperare attraverso una serie di intermediari gli enormi profitti sul piacere sessuale, che una quotidiana moralizzazione, sempre piu insistente, votava ad una
1 Alain Corbin, Les filles de noce. Misère sexuelle et prostitution (19e et 20e siècles), Collection historique dirigée par Maurice Agulhon et Paul Lemerle, Aubier Montaigne, Paris, 1978, pp. 571.
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semiclandestinità e rendeva naturalmente più costosa ». Tuttavia alla intuizione era ancora mancato il seguito di uno studio approfondito (come quello che stiamo commentando, condotto sulle fonti più diverse, dagli schedari di polizia alla stampa periodica alla letteratura romanzesca, così da abbinare indagine quantitativa e descrizione qualitativa) che affrontasse il fenomeno della prostituzione quale argomento in sé, al di fuori d’ogni considerazione cautelativa d’ordine demografico o venereologico.
Il periodo considerato da Corbin muove dai primi decenni dell’Ottocento; col che ovviamente non si vuole intendere che prima di quel secolo siano mancati interventi tesi a controllare la pratica della prostituzione, ma che soltanto a quel tempo si costituisce un « progetto regolamentare » organico, in grado di coprire l’intera carriera della « donna pubblica » attraverso le quattro istituzioni « chiuse » del bordello, dell’ospedale, della prigione e del ricovero, tra le quali la prostituta avrebbe circolato dentro una speciale vettura, anch’essa chiusa, la cui entrata in servizio precede addirittura quella del « cellulare » cosi ben descritto da M. Foucault in Sorvegliare e punire (idem, pp. 289-291). Cosi è solo dalla « profonda ristrutturazione che interessa tutto il campo sociale del XIX secolo che la prostituzione esce organizzata come un servizio pubblico, per rispondere alle nuove esigenze dello Stato moderno in via di formazione in Francia e in Europa» (J. Belladona, Prostituzione, Roma, 1979, p. 51).
La motivazione politico-culturale che muove l’intervento dei « regolamen-taristi » — come troviamo esposta nel classico De la prostitution dans la ville de Paris (1836) di Parent-Duchatelet che Corbin considera alle pp. 13-16 — parte dal convincimento che la prostituzione non possa comunque essere eliminata, rappresentando per la struttura urbana (alla maniera delle fogne o dei depositi d’immondizia) una valvola di sfogo degli eccessi sessuali necessaria al mantenimento dell’ordine pubblico e della tranquillità familiare. Senza la presenza delle puttane, era l’esplicito parere di Parent-Duchatelet, « gli uomini con delle voglie pervertirebbero le vostre figlie e le vostre domestiche e (...) porterebbero il disordine nelle vostre case ». Purtuttavia questa tollerata presenza del vizio non poteva che costituire una minaccia sempre incombente sui codici morali, laboriosi e familistici, riconosciuti dalla borghesia, costretta a misurarsi con il comportamento assolutamente antitetico (almeno rispetto ai due valori-chiave della sessualità e della venalità) di questo peuple à part di sesso femminile che, se pur rappresentava appena una minoranza delle cosiddette « classi viziose » (in cui si confondevano, in quegli anni pre-1848, sia le « classi pericolose » della malavita che l’inquietante emergenza delle «classi laboriose»; cfr. L. Chevalier, Classi lavoratrici e classi pericolose. Parigi nella rivoluzione industriale, Bari, 1976), poteva costituire « nondimeno una pericolosissima e potentissima molla di questa popolazione che è tutta passionale » (Fré-gier, Des classes dangereuses de la popolation dans les grandes villes, 1840). Da ciò l’urgenza di un inquadramento autoritario di questo commercio sessuale entro un proprio ambito urbano territorialmente delimitato e ri-
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gorosamente chiuso, invisibile ai bambini, alle ragazze e alle donne oneste ma perfettamente trasparente allo sguardo dell’amministrazione (e in cui « l’accumulo di sapere permettesse all’amministrazione di esercitare piu facilmente il suo potere », p. 34) ottenuto a partire dal generale enfermement delle prostitute nelle « case ». Così quelle donne, « sottomesse » al regolamento, sarebbero diventate vere « cose dell’amministrazione » (p. 42), vincolate alla schedatura nel registro di polizia (che non equivaleva certamente al riconoscimento di una professionalità, non potendo la prostituzione considerarsi come tale, bensì ad una sorta d’ordinazione, per alcuni autori assimilabile alla carriera militare — da cui la relativa arbitrarietà dei provvedimenti amministrativi che la regolamentavano) e alla visita sanitaria obbligatoria (ma le due misure si riverberavano, perché se la schedatura era quasi sempre volontaria, procedeva però d’ufficio, oltre che nel caso di donne ritenute manifestamente dedite alla prostituzione, nel caso delle portatrici di malattie veneree, indipendentemente dal fatto che esercitassero o meno il meretricio)2.
Nell’insieme questo sistema regolamentato, che « consacrava la mano dello Stato sulla prostituzione, la semilegalizzazione di una istituzione ufficiale che metteva fuori legge tutte le forme non dichiarate e selvagge della prostituzione e imponeva rituali che sarebbero stati osservati soltanto da una minoranza di donne », si iscriveva esattamente « nella traiettoria di una nuova strategia del potere, delle tecniche e dei metotdi di segnalazione, di controllo e di penalizzazione degli individui e di una ristrutturazione di tutta l’economia delle illegalità che, per la nuova società capitalista, non si trattava più di sopprimere, quanto piuttosto di gestire a livello di funzionamento e dell’investimento che ne faceva la gente » (Belladona, pp. 59-60). Se trascuriamo il tentativo, per altro interessantissimo, compiuto da Corbin di delineare una « antropologia sociale » della prostituta patentata (pp. 7283), che fa giustizia di molte dicerie sul suo conto (essa era in media di discendenza perfettamente legittima, si reclutava in tutte le classi sociali, perdeva la verginità sui 16 anni, contraeva la sifilide a 19, si iscriveva nello schedario da maggiorenne e ancora nubile, aveva ovviamente bassa fecondità ma spesso portava a termine l’eventuale gravidanza); se trascuriamo altresì le documentate « topografie e tipologie » del bordello (pp. 84-128), dell’ospedale celtico (pp. 131-152) e della prigione (pp. 152-166); arriviamo finalmente all’argomento che si può dire centrale, e anche più interessante, delle Filles de noce, ossia alla dimostrazione di come questa pur
2 Così « dietro denuncia di una persona qualsiasi sconosciuta dalla questura, dietro rapporto di un questurino e perfino, come spesso è avvenuto, dietro una lettera anonima, una donna di qualsiasi ceto od età, una giovane onesta, una fanciulla, può essere arrestata, tradotta all’ufficio sanitario, sottoposta alla più degradante delle umiliazioni che si possa infliggere a chi ha senso del pudore: la visita; e finalmente iscritta d’ufficio, cioè registrata, costretta, suo malgrado, ad abbracciare la professione di prostituta patentata » (Discipline governative che regolano e sanzionano la prostituzione quali sono in Italia, Roma, 1881).
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efficente macchina amministrativa sia andata in pezzi alla fine del XIX secolo, sotto la pressione di nuovi comportamenti prostituzionali.
Intanto da un lato i documenti testimoniano una progressiva chiusura delle « case chiuse » (a Parigi da 200 nel 1840 a 47 nel 1903), oppure una loro trasformazione in quei « templi della deboscia » che saranno i luoghi celebri della depravazione erotica delle minoranze privilegiate (come le « case » parigine Chabanais o One-Two-Two; cfr. Petite histoire des maisons closes, in «Le Crapouillot », 1977, n. 42). Dall’altro, e parallelamente, si affermava invece una prostituzione peripatetica, che s’impadroniva dei nuovi spazi urbani aperti dalla « haussmannizzazione » della città ed esercitava nelle istituzioni « libere » e discrete delle « case d’appuntamento » e degli « alberghi a ore ». Questi nuovi comportamenti venali, vero trionfo dell’illegalismo sessuale diffuso, non potevano che atterrire la coscienza borghese, in primo luogo perché si sottraevano ad ogni controllo amministrativo e sanitario, ma ancor più perché, uscendo dai ghetti, le prostitute perdevano il loro carattere discriminato e, confondendosi con le donne oneste, davano l’impressione di una diffusione generale del vizio (ma è pur vero che le statistiche si spingevano fino a stimare attorno a 100.000 il loro numero a Parigi dopo il 1890; pp. 193-194). Saranno perciò questi gli anni delle ossessioni mediche sul flagello della sifilide (pp. 386-405), delle campagne giornalistiche contro la « tratta delle bianche » (pp. 405436), ma pure dell’accentuazione della congiuntura poliziesca repressiva (pp. 158-161).
Ora, secondo Corbin, simili nuove condotte prostituzionali venivano a rispondere ad una precisa esigenza erotica dei clienti, e cioè di ottenere dalla prostituta, oltre all’imprestito dei genitali, anche un « simulacro di seduzione » (pp. 258, 285). Rispetto alla sottomissione forzata cui l’iscritta era costretta nei bordelli (veri « serragli concentrazionari »), la prostituta che adescava sul marciapiede od esercitava in case d’appuntamento aveva guadagnato il diritto di rifiutarsi ad un rapporto sessuale non desiderato, costringendo il cliente ad accattivarsene il consenso prima ancora di mettere mano alla borsa e facendolo illudere di doverla « sedurre » (in ciò sta tutto il « pittoresco » delle contrattazioni sul marciapiede).
Una « sessualità venale penetrata dalle nuove condotte della seduzione » (p. 273) era cosi la conseguenza visibile della nuova domanda amorosa espressa dai milieux urbani, le cui frustrazioni non potevano più appagarsi dello sfogo puramente genitale garantito dalla casa chiusa. Oltre a soddisfare la consueta esigenza sessuale dei settori celibi della popolazione, la prostituzione peripatetica veniva infatti a raccogliere la domanda d’amore dei maschi coniugati piccolo-borghesi (e proletari, man mano che procedeva la loro integrazione sul modello d’intimità familiare dominante; cfr. pp. 278-285): la progressiva sublimazione della sessualità matrimoniale e la sua rigida finalizzazione a scopi di riproduzione (secondo un autore dell’epoca, la durata media del coito coniugale s’era ridotta alla fine del secolo al tempo di cottura di un uovo alla coque, ossia a tre-
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quattro minuti appena) (p. 289) lasciavano scoperto l’intero campo del godimento erotico, che la prostituta veniva invece ad occupare, sia pure garantendolo nella forma allucinata dello scambio mercantile.
E qui ci fermiamo, anche se Corbin prosegue la sua analisi fino al 1914 (con una appendice che arriva al 1975), mostrando la faticosa affermazione di una nuova strategia di controllo delle condotte sessuali venali che prolungava la marginalizzazione e l’esclusione, giustificate nei termini di una profilassi igienico-sanitaria, all’intero campo della prostituzione, « aperta » o « chiusa » che fosse (pp. 314-379 e 453-480). Il senso complessivo della trasformazione descritta è ben sintetizzato dall’autore in apertura del volume: daWenfertnement alla «sorveglianza delle condotte»: « tra la fine del Secondo Impero e la prima guerra mondiale avviene la transizione dalle procedure che affondano le loro radici almeno nel secolo dei Lumi alle tecniche che inaugurano il nostro secolo XX » (p. 8).