Un patrizio fiorentino e il suo mondo, Bernardo Davanzati

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Title
Un patrizio fiorentino e il suo mondo, Bernardo Davanzati
Creator
Leandro Perini
Date Issued
1976-04-01
Is Part Of
Studi Storici
volume
17
issue
2
page start
161
page end
170
Publisher
Fondazione Istituto Gramsci
Language
ita
Format
pdf
Relation
Le parole e le cose: un'archeologia delle scienze umane, Italy, Rizzoli Ed., 1967
Rights
Studi Storici © 1976 Fondazione Istituto Gramsci
Source
https://web.archive.org/web/20230921150236/https://www.jstor.org/stable/20564426?searchText=Foucault&searchUri=%2Faction%2FdoBasicSearch%3FQuery%3DFoucault&efqs=eyJsYV9zdHIiOlsiYVhSaCJdfQ%3D%3D&sd=1975&ed=2000&pagemark=eyJwYWdlIjo3LCJzdGFydHMiOnsiSlNUT1JCYXNpYyI6MTUwfX0%3D&groupefq=WyJjb250cmlidXRlZF90ZXh0Iiwic2VhcmNoX2NoYXB0ZXIiLCJjb250cmlidXRlZF9hdWRpbyIsInJlc2VhcmNoX3JlcG9ydCIsInNlYXJjaF9hcnRpY2xlIiwicmV2aWV3IiwibXBfcmVzZWFyY2hfcmVwb3J0X3BhcnQiXQ%3D%3D&ab_segments=0%2Fbasic_search_gsv2%2Fcontrol&refreqid=fastly-default%3Aa3d3de9a38443275aa1ce03da49d0ec3
Subject
individuals and individualization
subject
archeology
archive
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UN PATRIZIO FIORENTINO E IL SUO MONDO:
BERNARDO DAVANZATI
Leandro Perini
L’argomento che mi propongo di trattare succintamente è la figura di Bernardo di Antonfrancesco Davanzati (1529-1606) in quanto rappresentante di quella parte del patriziato mercantile fiorentino che aderì, pur non ricoprendo pubblici uffici, alla politica di Cosimo, di Francesco e di Ferdinando de’ Medici. Soggiungo, però, che lo stato attuale degli studi sul Davanzati — soprattutto per quanto concerne la sua attività mercantile — è fermo alle poche note che il suo biografo seicentesco Francesco Rondinelli e il suo editore ottocentesco Enrico Bindi gli hanno dedicato, talché la nostra esposizione resulterà manchevole e lacunosa in molti tratti h Nuovo interesse sembra essersi acceso di recente intorno alla figura del Davanzati: prima storici della letteratura come E. Bonora2, poi filosofi come M. Foucault e storici economici come P. Vilar3 hanno posto in rilievo aspetti diversi dell’attività letteraria del fiorentino. La prospettiva che qui è stata scelta differisce in parte da quella degli studiosi summenzionati in quanto mira, essenzialmente, a ristabilire la connessione che la figura del Davanzati ha con le vicende storico-generali dell’epoca sua.
Due mi sono parse le date significative della pur scarna biografia del Davanzati: l’ingresso nella società colta fiorentina — società di gentiluomini — avvenuta nel 1547 attraverso la cooptazione nell’Accademia Fiorentina 4 e l’insediamento, nel 1576, nel palazzo Davizzi che il Da-
1 Sul Davanzati è da vedere l’edizione delle opere curata da E. Bindi, 2 voli., Firenze, 1853, che contiene alle pp. V-LX il più recente profilo biografico del nostro. 2 E. Bonora, Retorica e invenzione. Studi sulla letteratura italiana del Rinascimento, Milano, 1970, pp. 211-253 (si tratta del saggio Bernardo Davanzati dal volgarizzamento di Tacito allo «Scisma d'Inghilterra», del 1960).
3 M. Foucault, Le parole e le cose. Un'archeologia delle scienze umane, Milano, 1970 3, pp. 190-191; P. Vilar, Oro e moneta nella storia. 1450-1920, Bari, 1971, pp. 13-14; 253-55; e, dello stesso Vilar, l’articolo Les mots et les choses dans la pensée économique, in polemica col Foucault, ora riprodotto in Aujourd'hui l'hi-stoire, Paris, 1974, pp. 162-179.
4 C. Di Filippo Bareggi, In nota alla politica culturale di Cosimo I: L'Accademia fiorentina, in « Quaderni storici », a. Vili, fase. Il, maggio-agosto 1973, pp. 527574 e qui in particolare alla p. 550. Un contributo importante alla conoscenza dell’Accademia Fiorentina è venuto di recente da uno studioso francese, M. Plai-sance, Une première affirmation de la politiche culturelle de Cóme ler: la transfor-mation de l'Académie des «Humidi» en Académie fiorentine (1540-1542), in Les



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vanzati aveva acquistato da Zanobi di Leonardo Bartolini5. In tutti e due i casi sembra potersi riconoscere, nelle vicende del nostro, un ritmo indotto dalle « onde lunghe » del tempo, la pressione di una cronologia più larga che non quella strettamente privata e particolare: vogliamo alludere ai tempi del concilio di Trento, anzitutto in quella connessione che Carlo Dionisotti ha enunciato a proposito della genesi dell’ideale accademico che si precisa e s’impone, intorno al 1540, alla cultura italiana 6 e al ritmo dei movimenti dei prezzi che F. Braudel e P. Vilar ci hanno fatto conoscere7.
Un desiderio di « disciplina » e di « sicurezza » sembra potersi ricavare da questi due momenti della biografia del Davanzati. Disciplina, certo, originariamente solo letteraria, perché a scopi letterari era stata destinata l’attività dell’Accademia Fiorentina8. Ma, col volger del tempo, questo primitivo bisogno di disciplina letteraria si dovette tramutare nel Davanzati — cosi come nell’Accademia Fiorentina — in un esercizio di controllo della propria ed altrui « ortodossia », non solo linguistica. E questo è quanto si può in prima istanza congetturare se si valutano, non solo dal punto di vista delle curiosità letterarie, quelle note intorno alle eresie, quegli appunti sui concili contenuti nel ms. Moreni 102, il cosiddetto Zibaldone degli studi del Davanzati9.
A premere su questa trasformazione non deve essere stata estranea quella inquietudine religiosa che, seppur con diverse sfumature e accentuazioni, percorse, a metà del Cinquecento, tutta la società fiorentina, ma in particolare quello strato sociale cui apparteneva il Davanzati e in mezzo al quale si reclutavano i membri dell’Accademia.
Adi 6 ottobre 1551, o quivi intorno, si scoperse una setta di uomini che, sotto specie di santità, interpretavon le Scritture a loro modo et il santo significato loro storpiavano, pubblicando che solo bisognava credere in Dio, nel resto non credere in alcuna cosa, né pure nella Chiesa insegnavano. Erano mescolati Artigiani e nobili, e d’ordine del Duca ne furono catturati 35...10.
écrivains et le pouvoir en Italie à l’époque de la Renaissance (Première sèrie), Paris, Université de la Sorbonne nouvelle, 1973, pp. 361-438.
5 Cfr. M. Bucci-R. Bencini, Palazzi di Firenze. Quartiere di S. Maria Novella, Firenze, 1973, p. 7.
6 C. Dionisotti, Geografia e storia della letteratura italiana, Torino, 1967, pp. 190 sgg.
7 F. Braudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, Torino, 1965 2, pp. 534 sgg.; Storia economica Cambridge, IV: L’espansione economica dell’Europa nel Cinque e Seicento, a cura di E. E. Rich e C. H. Wilson. Ed. it. a c. di V. Castronovo, Torino, 1975, pp. 436-562; P. Vilar, Oro e moneta nella storia, cit.; Idem, Sviluppo economico e analisi storica, Bari, 1970, pp. 97 sgg.
8 « Interpretando, componendo, e da ogni altra Lingua ogni bella Scienza in questa nostra riducendo »: con queste parole viene annunciato, nei Capitoli del 1542, il programma dell’Accademia. Cfr. A. L. De Gaetano, Giambattista Gelli and tbe Fiorentine Academy. Tbe Rebellion against Latin in Biblioteca dell’« Archivium Romanicum », s. I, voi. 119, Firenze, 1976, p. 108.
9 Un saggio di questo Zibaldone del Davanzati ha dato per la prima volta E. Bindi nel secondo volume delle opere (pp. 565-602).
10 Firenze, Biblioteca Marucelliana, Ms. B. III. 54, f. 191 r.



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Cosi si legge nella cronaca manoscritta di Antonio da San Gallo, che integra, quanto alle notizie circa la provenienza sociale degli aderenti alle dottrine eretiche l’importante documentazione raccolta da A. D’Ad-dario nei suoi Aspetti della Controriforma a Firenze. Anche se vi è qualche incertezza sulla data, il fatto riferito dalla cronaca dovrebbe potersi rapportare alla scoperta della « conventicola » di Bartolommeo Pan-ciatichi, grande mercante e membro dell’Accademia Fiorentina u, di poco precedente al costituto bolognese di Don Pietro Manelfi12.
Ad un’analoga evoluzione sembra essere stata soggetta anche l’Accademia Fiorentina, a proposito della quale varrà la pena di fare qualche osservazione. È nota la polemica che ha opposto il Toffanin al von Albertini circa la continuità o meno tra gli Orti Oricellari e l’Accademia Fiorentina, risolta persuasivamente dal von Albertini nel senso che mentre per i primi si trattò di una libera e spontanea riunione di intellettuali intorno ad un cittadino per discutere di letteratura e di politica, per la seconda si trattò di un’« accademia di Stato » composta di letterati per dibattere problemi letterari e filosofici13. A mio parere, tuttavia, nessuno dei due studiosi ha posto mente ad un precedente che riunisce in sé molti degli elementi di cui consta l’Accademia Fiorentina. È l’antica Accademia Sacra Fiorentina, attiva tra il 1515 e il 1519, sulla quale si è soffermato P. O. Kristeller, avvalendosi anche delle ricerche di E. Garin14. Osserviamone la composizione: patrizi fiorentini, rappresentanti di ordini religiosi, autorità ecclesiastiche, ruotanti tutti intorno alla famiglia Medici. L’attività consta della recitazione di poesie, della lettura di Dante e di altri poeti antichi. Colpisce, però, anche un’altra attività collaterale: per conto dell’Accademia Sacra, Maestro Antonio da Cortona, domenicano di S. Maria Novella, si adopera alla revisione e correzione della Città di vita di Matteo Palmieri, il « poema eretico » 15. Osserviamo ora la composizione dell’Accademia Fiorentina: patrizi fiorentini, rappresentanti di ordini religiosi, autorità ecclesiastiche (accresciute nel numero a partire dal 1565) 16 sotto la direzione di Cosimo de’ Medici. Non si legge piu solo Dante: il Petrarca viene progressivamente alla ribalta. Manca, a
11 Su Bartolomeo Panciatichi si veda L. Passerini, Genealogia e stòria della famiglia Panciatichi, Firenze, 1858, pp. 68-72, e qui, in particolare alla p. 71.
12 Cfr. C. Ginzburg, I costituiti di Don Pietro Manelfi, Firenze-Chicago, 1970, pp. 31 sgg. Il Panciatichi vi è ricordato a p. 39. Poiché il cronista Antonio da San Gallo mostra qualche incertezza sulla data della scoperta della « conventicola » del Panciatichi, ma tuttavia indica chiaramente il mese di ottobre del 1551, non sembrerà del tutto destituito di fondamento congetturare che sia stata proprio la delazione del Manelfi avvenuta il 17 di ottobre a mettere in moto in Toscana il meccanismo repressivo.
13 R. von Albertini, Firenze dalla repubblica al principato. Storia e coscienza politica, prefazione di F. Chabod, Torino, 1970, pp. 289-291.
14 P. O. Kristeller, Studies in Renaissance Thougbt and Letters, Roma, 1956, pp. 286-336.
15 Ibid. p. 328.
16 A. L. De Gaetano, Giambattista Getti, cit., p. 133.



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prima vista, quell’attività collaterale che abbiam visto caratterizzare la Sacra Accademia; ma questo è vero, almeno a quanto se ne sa, fino al 1573 quando l’Accademia Fiorentina, nel corso della cosiddetta « rassettatura » del Boccaccio, viene a caratterizzarsi come un organo di censura preventiva 17.
Non si vuol qui negare l’esistenza, tra i membri dell’Accademia Fiorentina, di uomini macchiati dall’eresia (Bartolommeo Panciatichi che abbiamo già ricordato, Pietro Carnesecchi, Piero Gelido, Francesco Vinta, G. B. Gelli), ma bisognerà pur ammettere che quella confusione di interessi ecclesiastici e statali, venutasi progressivamente ad instaurare in Toscana e accentuatasi con la conclusione del Tridentino 18 si riverberò negativamente sugli studi e sulla creazione artistica che ne vennero impacciati e limitati. Né da questi effetti si sottrasse l’Accademia Fiorentina e i suoi accademici: Cosimo Battoli fu costretto a citare copertamente il Machiavelli19, sulle opere del Varchi sono apposte le glosse déll’in-quisitore20, Giambattista Gelli è costretto da 'Lodovico Beccadelli a correggere i suoi Capricci del Bottaio21, Marcello Adriani, con molta probabilità, censura l’opera del padre Giovan Battista, l’Istoria de’ suoi tempi, per ottenerne la licenza di stampa daU’inquisitore22.
Abbiam detto del desiderio di « disciplina » del Davanzati, ma anche desiderio di « sicurezza » come ci testimonia l’acquisto del palazzo Davizzi, per dar saldo assetto alle sue ricchezze, man mano accumulatesi fin dalle sue giovanili operazioni bancarie a Lione, nel mezzo di « tempeste monetarie » e in singolare sintonia col progressivo ritiro dei fiorentini dai mercati lionesi23. La completa mancanza di documentazione sui suoi negozi bancari non ci consente per ora di estendere anche alle terre dèi Davanzati quella sintonia che l’acquisto del palazzo sembra avere con le tendenze generali che gli storici dell’economia hanno ormai accertato con sicurezza per l’Italia: cioè la progressiva « terrierizzazione » dei patrimoni monetari provenienti da attività commerciali e bancarie24. Resta
17 Sulla « rassettatura » del Decamerone si veda V. Branca, Linee di una storia della critica al « Decamerone » con bibliografia boccaccesca completamente aggiornata, (Biblioteca della «Rassegna», XXIII), Milano-Genova-Roma-Napoli, 1939, pp. 20 sgg.; al quale va aggiunto ora A. L. De Gaetano, Giambattista Gelli, cit., pp. 133-134.
18 F. Ruffini, Relazioni tra Stato e Chiesa. Lineamenti storici e sistematici a cura di F. Margiotta Broglio, premessa di A. C. Jemolo, Bologna, 1974, pp. 227 sgg.
19 R. von Albertini, Firenze dalla repubblica al principato, cit., p. 291.
20 B. Nardi, Studi su Pietro Pomponazzi, Firenze, 1965, p. 382.
21 A. L. De Gaetano, Giambattista Gelli, cit., pp. 237-287; pp. 399 sgg.
22 Risulta dalla tesi di laurea del dott. L. Sechini, da me diretti e discussa presso la Facoltà di Lettere e Filosofia di Firenze nell’anno accademico 1973-74, che il manoscritto dell’opera dell’Adriani esistente presso la Biblioteca nazionale centrale di Firenze, il Palatino 1186, ha subito, forse ad opera del figlio, numerose correzioni, attenuazioni e una lunghissima censura o — autocensura? — nel libro XVI, allorché l’Adriani parla del concilio di Trento.
23 Cfr. R. Gascon, Grand commerce et vie urbaine au XVI siede. Lyon et ses mar-chands (environs de 1520-environs de 1580), II, Paris, 1971, p. 918.
24 Cfr. È. Sereni, Agricoltura e mondo rurale, in Storia d’Italia, I, I caratteri originali, Torino, 1972, pp. 205 sgg.



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il fatto, tuttavia, che il Davanzati appare, nel 1575, nelle partite della Decima Granducale, come comproprietario di terre « lavorative e vignate »25. Si tratterà di stabilire a quando risale l’acquisto: è un problema che attende la soluzione.
Uomo di accademie — quella fiorentina prima e quella degli Alterati più tardi: è in questo rapporto che il Davanzati scrive le cose sue più importanti: VOrazione in morte del Granduca Cosimo primo, la Lezione delle monete, il Volgarizzamento di Cornelio Tacito. Uomo di molte, ma selezionate letture: i testi di Machiavelli e di Guicciardini non sono mai citati. Come il granduca Ferdinando teneva in un camerino segreto della Libreria di S. Lorenzo i libri del Machiavelli e qui nel 1593 li vide il Campanella26, cosi anche il Davanzati preferì occultare il Segretario fiorentino ai suoi lettori, benché nelVOrazione attribuisse al Granduca Cosimo il desiderio di avere un’edizione del Machiavelli. Erasmo gli è noto per i suoi Adagia e per gli Apophthegmata che però cita due sole volte nel corso di tutta la sua produzione letteraria27. Tra gli storici cita il Giovio28, Bernardo Rucellai29. Dante, Petrarca, Boccaccio, Sacchetti sono tra i più citati per la letteratura volgare. Tra i filologi cita Filippo Beroaldo, l’Alciato, Joachim Périon, Justus Lipsius; contemporaneo di Pietro Vettori, pur non essendone scolaro, resulta avere una certa dimestichezza col metodo filologico degli umanisti per quella attenzione che presta alla « lezione » dei codici, come si evince dallo Zibaldone dei suoi studi e dalle postille a Tacito. Qualche altra lettura congetturale — come per esempio quella del De trinitatis erroribus di Michele Ser-veto cui rinviano gli editori ottocenteschi della sua Lezione delle monete (il celebre passo in cui la circolazione monetaria è assimilata alla circolazione del sangue nel corpo umano)30 dovrà essere lasciata cadere, anche se l’analogia tra il moto sanguigno e il movimento del denaro presenta un qualche motivo di interesse.
Alla passata libertà della Toscana non fece mai cenno. Men che mai rimpiange la Firenze repubblicana. Quando nél? Orazione in morte del Granduca Cosimo primo dovrà caratterizzare il passato di Firenze, lo farà ricordandone l’indipendenza, le tradizioni di cultura, la ricchezza bancaria, ma non le istituzioni repubblicane, pur mettendo in risalto le novità, rispetto al passato, del reggimento politico granducale:
città dominante, non soggett’a potenza forestiera, colonia, e imitatrice di Roma, doma-
25 A. S. F., Decima Granducale n. 2691 (Arroti dell’anno 1576), f. 197.
26 T. Campanella, Opuscoli inediti, a cura di L. Firpo, Firenze, 1951, p. 53.
27 Si tratta delVAdagio Sub omni lapide scorpius dormit (Adagiorum Chil. I, cent. I, prov. XXXIV) deWApoftegma Tbrasca. II (Apophthegmatum lib. Vili). Ma, nello Scisma dTnghilterra i giudizi su Erasmo sono duri e negativi.
28 B. Davanzati, Il primo libro degl"Annali di Gaio Cornelio Tacito, in Le opere, cit., I, p. 197.
29 Ibidem.
30 B. Davanzati, Le opere, cit., II, p. 449. Anche T. Campanella si serve di questo paragone nella Monarchia delle nazioni; cfr. R. De Mattei, La politica di Campanella, Roma, 1927, p. 123.



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trice di popoli, centro d’Italia, fior d’ingegni, onor delle lettere, maestra dell’arti, specchio di civiltà, arca di danari, stupore d’edifici, bellezza del mondo31.
L'Orazione è lo scritto che, se presenta parti di maniera in cui il Davan-vati riproduce, tra l’altro, elementi della scenografia dei funerali del Granduca32, fornisce anche spunti per giudicare le linee generali dèlie sue concezioni politiche. « Religione, Giustizia e Pace », come si legge nell’Orazione, riassumono per il Davanzali le caratteristiche del governo cosimiano33, con una particolare accentuazione, però, della sua politica estera. Davanzali pone in rilievo l’attiva partecipazione di Cosimo alla politica antiprotestante:
Tutti i pontefici sempre obbedì, e difesegli dalla pestilenza degli eretici, di che non è paese piu netto del suo. Contr’a’ luterani e protestanti mandò gente nella Magna a Carlo V. Contr’a’ gli Ugonotti, danari piu volte al re di Francia34.
Altrettanto fa per la politica mediterranea antiturca:
Contr’a’ Turchi piu volte prestò galee al papa; e voi sentiste con quanta ferocia combatteron quelle dodici nella giornata grande. In Transilvania, al Sighetto, alle Gerbe, a Port’Ercole, a Piombino, in Corsica, a Malta hanno quei barbari vedute l’insegne ed assaggiate le destre fiorentine, e gusterannole quantunque volte oseranno accostarsi a’ liti di Toscana e di Liguria, a’ quali egli ha fondato e posto l’antemurale di quegli onorati campioni che portano il sangue di Cristo per insegna35.
Come si vede, gli orientamenti del Davanzali si muovono in uno con quella « militarizzazione » della Chiesa post-tridentina, alla quale coraggiosamente fa cenno R. De Maio ^ e con l’occultamento degli ideali pacifisti d’Erasmo che, in Toscana, si era manifestato con la pubblicazione, da parte dei Giunti nel 1575, della edizione censurata degli Adagia.
Vale forse la pena di ricordare che non tutto il patriziato fiorentino condivideva questo orientamento del Davanzali. Si ricorderà che Filippo Sassetti aveva, nel 1577, proposto a Cosimo una politica di « coesistenza pacifica » con i Levantini, per favorire il commercio estero della Toscana. Nei Ragionamento sopra il commercio tra i Toscani e i levantini — uno scritto importante anche se caduto in oblio — il Sassetti proponeva di
31 B. Davanzali, Orazione in morte del Granduca Cosimo primo, in Le opere, II, p. 460.
32 Cfr. G. De Ricci, Cronaca (1532-1606), a cura di G. Sapori, Milano-Napoli, 1972, pp. 94 sgg.
33 B. Davanzali, Orazione, cit., p. 466.
34 B. Davanzali, Orazione, cit., p. 472.
35 Ibid. p. 472. La « giornata grande » è la battaglia di Lepanto; gli « onorati campioni che portano il sangue di Cristo per insegna » sono i cavalieri di S. Stefano. Sugli echi letterari della battaglia di Lepanto in ambiente veneziano si veda C. Dionlsotti, Geografia e storia, cit., pp. 163-182.
36 R. De Maio, Riforme e miti nella Chiesa del Cinquecento, Napoli, 1973, pp. 27-28.
37 Cfr. D. Cantimori, Umanesimo e religione nel ' Rinascimento, Torino, 1975, pp. 47-48.



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aprire il porto di Livorno ai fiorenti scambi col Levante, istituendovi una specie di « fondaco dei Turchi » (sull’esempio di quanto aveva visto ad Anversa per i mercanti tedeschi e inglesi) con l’obiettivo di sviluppare la produzione laniera toscana38.
Davanzati, invece, in quanto rappresentante del capitale bancario e della piccola produzione agricola, poco si cura di questo aspetto dello sviluppo delle forze produttive e subordina la politica economica alla crociata antiturca.
Connesso con questa indifferenza per il lavoro produttivo è l’aperto, completo disprezzo del Davanzati verso la plebe: « e son come gentuccia plebea, che quanto più è vile e lontana dal principe, più son vili e ignobili l’opere sue »39.
In questa implicita esaltazione della nobiltà, le opinioni del Davanzati non sono molto lontane da quelle del suo contemporaneo Vincenzo Borghini che nelle sue ricerche filosofiche-filologiche-araldiche sulla nobiltà, pur fra tanta profusione di dottrina, finisce per esaltare il parassitismo40.
Per la politica ecclesiastica il Davanzati sembra sempre avere avuto un interesse istintivo. Ai gesuiti egli tributa un elogio incondizionato:
Ma il grande Iddio, perché il seme d’Abel ucciso da Caino continovasse, cioè la professione della vita perfetta, da Lutero bestemmiata, da Arrigo estinta, spirò Fanno 1540 Ignazio Loiola con pochi compagni a nuovo ordine di religione, che aggiunse alli tre boti, il quarto di andare, quando i superiori comandino, per tutto il mondo, eziandio accattando, a sparger la fede cattolica, né fatica né stento né martirio ricusando, e chiamaronsi la Compagnia di Gesù. Maravigliosa cosa è a dire, in quanto breve tempo sia in ogni terra uscito il suono di questi uomini d’Iddio: e quanto abbino fatto in prò della vera fede di Cristo con la santità, con la dottrina, con l’industria e col sangue41.
Ai deliberati del concilio di Trento circa l’obbligo di residenza dei curati nelle loro chiese, il Davanzati dedica una postilla nel suo volgarizzamento di Tacito e sembra voler ricondurre questa decisione alla tradizione di riforma del pensiero medievale, qui rappresentato da Dante:
Perciò ha confermato santamente il Concilio di Trento le residenze de’ curati alle lor chiese. Di sopra nel 3 lib. s’è detto de flamini. In su l’altare consagrato ad Augusto in Aragona essendo nata una palma, gli Aragonesi gli mandarono ambasciatori a rallegrarsi di questo segnale che le sue vittorie erano eterne. Questo segnale, dis-s’egli, di quanto voi mi siate divoti; poiché nel mio altare, per non veder mai
38 Cfr. F. Sassetti, Lettere edite e inedite, raccolte e annotate da E. Marcucci, Firenze, 1855, pp. 101-116.
39 B. Davanzati, Toscana coltivazione delle viti e degli arbori, in Le opere, II, p. 490.
40 Non possono essere nobili coloro che si guadagnano la vita (giuristi, filosofi, medici, maestri di scuola, le arti minori, i contadini); lo sono, invece, i religiosi, i cavalieri, i mercanti di Calimala e il Cambio; cfr. V. Borghini, Storia della nobiltà fiorentina. Discorsi inediti o rari a cura di J. R. Woodhouse, Pisa, 1974, pp. 3-64. Cenni sulla trattatistica nobiliare si trovano in H. Kamen, Il secolo di ferro, 15501660, Bari, 1975, pp. 163-166.
41 B. Davanzati, Dello scisma dTnghilterra in Le opere, cit., II, p. 382.



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fuoco né cenere, nasce la palma. Le mura che solieno esser badia, Fatte sono spelonche; e le cocolle Sacca son piene di farina ria.
E il nostro Poeta piacevole primo, e sommo in piacevolezza:
Non che tovaglia, e non v’è pur altare42.
Il problema della « manomorta » ecclesiastica, della sua genesi e delle sue conseguenze è l’argomento di una interessantissima postilla del Davanzali agli annali di Tacito, in parte censurata nella edizione giuntina. Sono note le vicende della controversia tra la repubblica fiorentina e i pontefici circa la giurisdizione dei beni ecclesiastici: dalla provvisione del 1407 che vietava qualunque acquisto di beni immobili da parte degli ecclesiastici fino al concordato del 1516 con Leone X che consen-sentiva a che i beni di nuovo acquisto degli enti ecclesiastici, quelli patrimoniali delle persone ecclesiastiche e i beni donati fittiziamente da non più di cinquanta anni ad istituti religiosi fossero sottoposti, entro certi limiti, agli oneri reali43. Il D’Addario ci ha poi messo di recente a disposizione i discordi pareri della Pratica Segreta e del Senato sui provvedimenti previsti da Ferdinando I per contenere la manomorta ecclesiastica44. La riflessione del Davanzati in questa postilla muove dalla constatazione dello sperpero e della vita dissoluta della nobiltà che ritiene cause della espansione della proprietà ecclesiastica e della genesi della mendicità:
Interesse pubblico è che niuno disperda le sue facoltà, ma le conservi a’ suoi per mantenere le famiglie nobili e gli uomini buoni, e questi fanno la republica felice. Awengaché colui che di ricco e nobile cade in necessità, che legge non teme; non si voglia dichinare a fare ignobili esercizi per campare, ma diasi a rubare, giocare, tradire, spiare, falso testimoniare, Ruffian, baratto e simili lordure-, e questi fanno la republica infelice. Quindi sono le tante leggi suntuarie che ogni di si fanno e ninna se n’osserva [...] la nostra città ha trovato al nuovo lusso strabbocchevole entratoci: pretto veleno alla vita di lei, fondata nella parsimonia e industria; a lei più che mai necessarie ora, che non più che il quarto de’ beni stabili rimane a’ privati laici, come mostra il catasto, e camminasi oltre, e nutrisconsi i mendicanti45.
È un quadro di desolazione quello che si intravede dietro le brevi osservazioni del nostro patrizio sulla società toscana dell’epoca sua e che ricordano, nella loro concisione, taluni disegni del periodo fiorentino del pittore Jacques Callot. Ma il Davanzati, al quale non manca il gusto
42 B. Davanzati, Il primo libro degl’Annali di Gaio Cornelio Tacito, in Le opere, cit., I, p. 189. L’editore avverte in nota che questa postilla fu tolta dall’edizione giuntina.
43 Cfr. F. Ruffini, Relazioni tra Stato e Chiesa, cit., pp. 226-227.
44 Cfr. A. D’Addario, Aspetti della Controriforma a Firenze, Roma, 1972, pp. 535-539.
45 B. Davanzati, Il primo libro degl’Annali, cit., pp. 91-92. Un profilo del problema della mendicità in Europa è quello delineato da J.P. Gutton, La socie té et les pau-vres en Europe (XVI -XVIII siècles), Paris, 1974.



169 Un patrizio fiorentino: Bernardo Davanzati
della riflessione storico-politica, prosegue la sua postilla ponendo in risalto la connessione tra lo sviluppo della proprietà fondiaria ecclesiastica in Germania e in Inghilterra e la genesi della riforma protestante e di quella anglicana46: «Quindi nacque la legge agraria, e gli scismi in Germania e in Inghilterra » 47.
Nella sua postilla, dunque, il Davanzati, che è al corrente delle discussioni svoltesi a Firenze tra il 1592 e il 1594, sembra sottoporre all’attenzione della nobiltà e dei governanti toscani i pericoli rappresentati dallo sviluppo abnorme della proprietà ecclesiastica, ma si appélla, tuttavia, timidamente solo alla « parsimonia e industria », incapace com’è, anche per via di quell’ideale di nobiltà che non può dedicarsi — pena la perdita dei suoi connotati più essenziali — al conseguimento del guadagno (ideale che abbiamo accennato essere caratteristico di V. Bor-ghini), di additare al suo ceto una strada diversa dalla pura e semplice percezione di rendite, come invece stava avvenendo in altre società europee.
Non vorremmo deviare dall’argomento, ma ci pare che la questione della manomorta ci faccia intravedere un’aspetto di quella che è stata chiamata la « reazione signorile ». Anche qui la connessione della storia della Chiesa con lo sviluppo e l’arresto dei modi di produzione appare assai chiara.
Non staremo qui a trattare la novità e la profondità del pensiero economico contenuto nella Lezione delle monete, alle quali Pierre Vilar ha dedicato un interessante capitolo nel suo volume Oro e moneta48. Ci limiteremo ad aggiungere che nelle postille a Tacito lo svilimento delle monete è considerato, a somiglianza della Lezione delle monete, per le sue conseguenze negative sulle entrate dei principi e sui « livelli, lasci, censi e crediti de’ privati »49, in una parola sulla rendita fondiaria.
La Toscana coltivazione delle viti e degli arbori del Davanzati, pur essendo talvolta ricordata nei trattati di storia del pensiero economico, non mi pare sia stata convenientemente valutata nel suo contesto storico. Lo scritto si riallaccia, certamente, a quella fioritura di scritti agronomici del XVI-XVII secolo che di recente O. Brunner ha illustrato50 e tuttavia essa presenta caratteristiche particolari che saranno da porre in relazione con la evoluzione delle campagne toscane dell’epoca. Lo scritto si riferisce anzitutto alla viticoltura e, in secondo luogo, all’olivicoltura, ma, anziché proporre investimenti produttivi, si limita a razionalizzare
46 Anche nello Scisma ^Inghilterra il Davanzati indugierà, a più riprese, sulle conseguenze economiche della Riforma anglicana, cioè sul furto e la vendita dei beni ecclesiastici perpetrato e attuata da Enrico Vili.
47 B. Davanzati, Il primo libro degl"Annali, cit., p. 92. L’editore avverte che una parte di questa postilla, che comprende anche questa riflessione, è stata tolta dall’edizione giuntina.
48 Cfr. P. Vilar, Oro e moneta nella storia cit., pp. 253-255.
49 B. Davanzati, Il primo libro degl'Annali, cit., p. 11.
50 Cfr. O. Brunner, Vita nobiliare e cultura europea, Bologna, 1972, pp. 255 sgg.



170 Leandro Perini
la tradizione. E dunque l’aspetto mercantile è assente51. La Toscana coltivazione, inoltre, pur essendo indirizzata — a quanto sembra — a piccoli proprietari che si occupino personalmente dei lavori, non pare suggerire alcuna prospettiva di profitto, ma anzi oscillare tra una prospettiva di autoconsumo ed una prospettiva estetizzante, quasi si trattasse del giardinaggio nobiliare.
L’ampliamento del mercato mondiale conseguente alle grandi scoperte geografiche suggerisce al Davanzati un’amara riflessione di filosofia della storia. La storia gli appare come una vicenda ciclica, un eterno ritorno di tutte le cose che ricorda molto le dottrine averroistiche, fatte proprie, tra gli amici e concittadini del Davanzati, da Benedetto Varchi52, un ciclo che riproduce continuamente le sue contraddizioni:
Contano gli scrittori del Mondo Nuovo come nella costa a mezzo dì dell’isola Spa-gnuola viveano gli uomini in questo vero secolo d’oro. Non v’era mio né tuo, cagione di tutti i mali; non fossi, non mura o siepe gli divideva; la terra era comune come l’acqua e il sole, e ogni cosa (di si poco eran contenti) loro avanzava; e amando il giusto per natura, e gl’ingiuriosi come i canibali odiando, né leggi né giudici cono-sceano né signorie. Quinci si può argumentare vedendo i paesi rozi e salvatichi, per la venuta de’ forestieri, perdere la loro beata semplicitade, e acquistare lumi e splendori di nuove arti, scienze e costumi, ma con essi misera servitù, guerre, diso-lazioni e ritornare la primaia salvaticbeza dopo lungo giro di secoli53.
Dunque ciclicità delle vicende umane, idea di un progresso contraddittorio, che tuttavia il Davanzati non ritiene eterno, ché in lui affiora — siamo quasi al volger del secolo (1596) — l’idea della fine del mondo:
Che se il mondo durasse tanto, tutta la terra participerebbe egualmente di tutte le umane oscurità, e di tutti gli splendori a vicenda, come delle tenebre e della luce del sole54.
Questo è, nella sua sconsolata e contenuta disperazione, il mondo del patrizio fiorentino Bernardo Davanzati.
51 Cfr. G. Giorgetti, Contadini e proprietari nellTtalia moderna, Torino, 1974, pp. 282 sgg.
52 B. Nardi, Studi su Pietro Pomponazzi, cit., p. 325.
53 B. Davanzati, Il primo libro degl’Annali, cit., pp. 126-127.
54 Ibid.; il corsivo è nostro. Testimonianza importante sulla diffusione dell’idea della fine del mondo è l’interessantissimo scritto di losephi Acostae, ex Societate lesu, De temporibus novissimis. Libri quatuor, Romae, Ex Typographia lacobi Tornerii M. D. XC., soprattutto alle pp. 4-34. Ringrazio Adriano Prosperi che me ne ha suggerito la lettura.