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Title
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Alcune riflessioni sulle storie di famiglia in eta contemporanea
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Creator
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Giovanni Montroni
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Date Issued
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1986-10-01
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Is Part Of
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Studi Storici
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volume
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27
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issue
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4
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page start
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901
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page end
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913
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Publisher
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Fondazione Istituto Gramsci
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Language
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ita
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Format
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pdf
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Relation
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Io, Pierre Rivière, avendo sgozzato mia madre, mia sorella e mio fratello... Un caso di parricidio del XIX secolo, Italy, Einaudi, 1976
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Rights
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Studi Storici © 1986 Fondazione Istituto Gramsci
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Source
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https://web.archive.org/web/20230921151440/https://www.jstor.org/stable/20565735?searchText=Foucault&searchUri=%2Faction%2FdoBasicSearch%3FQuery%3DFoucault&efqs=eyJsYV9zdHIiOlsiYVhSaCJdfQ%3D%3D&sd=1975&ed=2000&pagemark=eyJwYWdlIjo3LCJzdGFydHMiOnsiSlNUT1JCYXNpYyI6MTUwfX0%3D&groupefq=WyJjb250cmlidXRlZF90ZXh0Iiwic2VhcmNoX2NoYXB0ZXIiLCJjb250cmlidXRlZF9hdWRpbyIsInJlc2VhcmNoX3JlcG9ydCIsInNlYXJjaF9hcnRpY2xlIiwicmV2aWV3IiwibXBfcmVzZWFyY2hfcmVwb3J0X3BhcnQiXQ%3D%3D&ab_segments=0%2Fbasic_search_gsv2%2Fcontrol&refreqid=fastly-default%3Aa3d3de9a38443275aa1ce03da49d0ec3
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Subject
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apparatus (dispositif)
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institutions
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pastoral power
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power-knowledge
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practices
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extracted text
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ALCUNE RIFLESSIONI SULLE STORIE DI FAMIGLIA IN ETÀ CONTEMPORANEA
Giovanni Montroni
1 . All’era di diciotto anni, il conte Monaldo Leopardi di Recanati entra in possesso del patrimonio paterno e assume, grazie a questo, la direzione di un ampio aggregato domestico. Parecchi anni dopo, nella propria Autobiografia^ il conte Monaldo avrebbe, un po’ nostalgicamente, rammentato quel piccolo universo:
[...] voglio ricordare tutti quelli che componevano la famiglia quando ne assunsi il regime. Mia Madre, il canonico Carlo mio prozio, Luigi, Pietro, Ettore, Ernesto, miei zii fratelli di mio padre, Vito fratello mio, e Ferdinanda mia sorella già uscita dal Monastero [...]. Inoltre stavano in casa e ad una mensa con noi, il mio istitutore D. Giuseppe Torres, il mio buon Ferri Cappellano, D. Vincenzo Diotallevi pedante, e il canonico Pascal francese emigrato che i miei congiunti avevano raccolto per carità. Con tutta questa gente io vissi sempre in pace perfettissima, e non sognai di ascriverlo a merito di quelli o mio, supponendo che in veruna famiglia si potesse vivere diversamente1.
Monaldo coltiverà per tutta la vita il mito della solidarietà, della continuità, dell’affetto domestico, che corrispondeva all’esterno delle mura di casa alla necessità di esibire un decoro proporzionato allo status ed alle responsabilità di cui, nella comunità, la famiglia era investita. Malauguratamente per lui, dal giorno in cui aveva assunto la direzione della casa, il quadro di solidale convivenza e di «raziocinio ordinato»2, che era una delle sue maggiori aspirazioni, si sarebbe lentamente sbiadito.
Con il proprio testamento, Monaldo istituisce un fedecommesso, ma, in maniera solo apparentemente contraddittoria, attribuisce la primogenitura a Pier-francesco, il piu giovane dei figli, e stabilisce che la moglie rimanga per tutta la vita «amministratrice libera, assoluta e dispotica» dell’intero patrimonio, nonostante la maggiore età di Pierfrancesco3. Nei dettami testamentari si può facilmente notare come il rispetto di una norma familiare — l’istituzione del fedecommesso — faccia da pendant alla necessità di manipolare la regola per pro-
1 M. Leopardi, Autobiografia, in Autobiografia e Dialoghetti, Bologna, 1972, pp. 88-89.
2 Lettera di Monaldo Leopardi al figlio Giacomo del 27 dicembre 1822, in G. Leopardi, Epistolario, a cura di F. Moroncini, Firenze, II, 1935, p. 213.
3 II testamento di Monaldo Leopardi è pubblicato nel volume di C. Antona-Traversi, Documenti
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gettare degli equilibri piu duraturi. Contemporaneamente, inoltre, è possibile inferire che, se esistono delle gerarchie familiari, queste non sono «indiscutibili» e tanto meno «fondate sui dati “naturali” della età e del sesso», come ritiene Franca Olivetti-Manoukian4; i gradi anche qui si guadagnano sul campo.
Un gruppo familiare è un particolare universo sociale composto da una serie di unità; però proprio questo suo carattere ambivalente solleva i primi problemi. Rimane infatti da chiarire preliminarmente se sia giusto sottolineare i margini di autonomia individuale, mirando ad analizzare le unità particolari separatamente, per poi definire il tutto, l’universo familiare, quasi come la somma di una serie di biografie. O, al contrario, se non sia piu utile partire dagli elementi generali della famiglia, ricostruendone la struttura interna e la specifica capacità di omologare i singoli individui rendendoli isomorfi al suo particolare universo.
La vicenda dei Leopardi, che si sta cercando di ricostruire, suggerisce a questo proposito, se non una risposta univoca, una serie di indicazioni su cui, anche in considerazione della crescente attenzione che trovano le storie di famiglia, sembra utile soffermarsi. Si cercherà di riassumere alcune perplessità, come alcune convinzioni, lentamente emerse nel corso della ricerca e di una piu continua frequentazione della produzione storiografica sulle storie di famiglia, che riguardano specificamente i principi e le tecniche che regolano le pratiche dell’elaborazione scientifica in quel particolare settore.
2 . Cominciamo col definire quali possono esser il senso e le prospettive delle storie di famiglia. Precisiamo che queste non hanno mai avuto nella storiografia italiana dignità di tema di ricerca autonomo e specifico. Perfino la «nuova storia» — quella delle «Annales» per intendersi — che pure indiscutibilmente contribuito al rinnovamento di ampi settori degli studi storici, ha portato a sottovalutare, come notava recentemente Furio Diaz, «l’individuo stesso nella vicenda storica»5. Fin qui si è guardato alla famiglia come ad un’area in cui si incrociano problemi spesso distanti tra loro: dalla partecipazione alla vita politica ai meccanismi successori, dalla scelta del coniuge ai modelli educativi; dal ruolo dell’istituto dotale ai modelli di conduzione aziendale. La famiglia finiva per fornire i margini entro cui questi temi venivano analizzati, ma rimaneva di fatto ininfluente sui risultati dell’analisi. È però lecito domandarsi se non sia forse più utile guardare alla famiglia con prospettive diverse, assumendo come punti di partenza due aspetti che meritano più ampio rilievo. Il primo è che la famiglia può essere legittimamente considerata per molti versi come una metafora della società, e come tale può rappresentare un laboratorio di analisi privilegiato per lo studio della società stessa. Il secondo riguarda il carattere olistico
e notizie intorno alla famiglia Leopardi per servire alla compiuta biografia del Poeta, Firenze, 1888, pp. 185-221.
4 F. Olivetti Manoukian, Morte e vita familiare in quattro romanzi di fine ottocento, in/vincoli familiari in Italia dal secolo XI al secolo XX, a cura di A. Manoukian, Bologna, 1983, p. 358.
5 Biografia e storiografia, a cura di A. Riosa, Milano, 1983, p. 25.
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della famiglia, che impone uno studio del gruppo domestico come totalità organizzata. È vero che Karl Popper, proprio nella critica dell’olismo, avverte: «se desideriamo studiare qualcosa, siamo costretti a coglierne alcuni aspetti. Non ci è possibile osservare e descrivere un pezzo intero del mondo, un pezzo intero della natura, anzi nemmeno il minimo pezzo intero, poiché la descrizione è sempre necessariamente selettiva»6. Ma qui non si tratta di un pezzo qualsiasi del mondo; si tratta di una rete di relazioni, di un’area culturale con forti denominatori comuni — impossibile studiare le mentalità di Monaldo, Carlo, Paolina e Giacomo Leopardi senza segnalarne le influenze reciproche — di un groviglio di affetti, interessi, patrimoni in cui è impossibile isolare i singoli elementi senza correre il rischio di rincorrere delle ombre senza significato.
Scegliere di concentrare la propria attenzione su di una famiglia significa prima di tutto selezionare un frammento piccolissimo della società e poi puntare ad ingrandirne sistematicamente, come al microscopio, l’immagine per studiarne da vicino gli elementi costitutivi.
3. In Italia le storie di famiglia non hanno puntato fin qui ad approfondire tutte le generali motivazioni, fino alle più intime, di quelle che oggi si usa definire, con una espressione forse poco felice, strategie familiari. I pochi lavori di cui disponiamo per l’età contemporanea sono nati quasi sempre in maniera occasionale, sollecitati dal ritrovamento di un archivio privato o di un documento contabile, importanti non tanto perché utili alla ricostruzione della vicenda del gruppo in esame, ma perché sembravano suggerire conclusioni generali relative ad un contesto economico più ampio7. In certi casi, si pensi al lavoro di Guido Pescosolido sulla famiglia Borghese, l’andamento delle vicende economiche di una singola famiglia è stato utilizzato per ottenere indicazioni su congiunture e trends economici di breve e medio periodo8. Più spesso la ricostruzione delle vicende di alcune delle più note famiglie di imprenditori italiani ha rappresentato un autout per tentare delle risposte a molti degli interrogativi posti dallo sviluppo dell’industria nel nostro paese: a partire dai tempi e dai modi in cui si snodano le singole vicende delle imprese fino ad arrivare agli universi culturali dei gruppi imprenditoriali9. È del tutto naturale dunque, che questi lavori, anche se non indifferenti alle suggestioni provenienti dalla vita domestica delle famiglie studiate, come i contributi di Fabio Levi, Roberto Romano, Simone Candela, abbiano puntato al solo registro delle vicende economiche10.
6 K.R. Popper, Miseria dello storicismo, Milano, 1978, p. 77.
7 Cfr. G. Biagioli, Patrimoni e congiuntura: crescita, crisi e ripresa di una famiglia nobile toscana, in Aa. Vv., Ricerche di storia moderna, II, Aziende e patrimoni di grandi famiglie (secoli XV-XIX), Pisa, 1979; R. Romano, I Caprotti. L'avventura economica e umana di una dinastia industriale della Brianza, Milano, 1980.
8 G. Pescosolido, Terra e nobiltà. I Borghese. Secoli XVIII e XIX, Roma, 1979.
9 Cfr. F. Levi, L'idea del buon padre. Il lento declino di un'industria familiare, Torino, 1984; R. Romano, I Crespi. Origini fortuna e tramonto di una dinastia lombarda, Milano, 1985.
10 F. Levi, L'idea del buon padre, cit.
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È anche necessario sottolineare che uno degli aspetti piu delicati per qualunque lavoro che riguarda oggetti assai circoscritti ed individuali è il trasferimento dei risultati della ricerca in ambiti piu generali. Su questo piano mi pare che le risposte siano state fin qui particolarmente deludenti. Schematizzando in maniera forse un po’ rozza ma inevitabile, si può dire che in larga misura le singole storie di famiglia hanno costituito un’area di indagine particolare, utile per tentare delle generalizzazioni piu ampie. E questo spiega anche perché le vicende economiche — che sono un terreno di piu immediata comparazione — abbiano trovato lo spazio piu ampio. In altri casi le singole vicende familiari sono servite ad illustrare e documentare una regolarità generale già sufficientemente nota, ma non altrettanto sufficientemente dimostrata. È questo un procedimento che tende insomma a subordinare le storie di famiglia alla storia della famiglia, come è accaduto assai spesso nella storiografia anglossassone — si vedano ad esempio i lavori di Stone e Slater11 — e in una produzione italiana di impianto storico-sociologico — si vedano i lavori di Barbagli e Dau Novèlli12. In generale si può senz’altro affermare che la relazione tra le storie di famiglia e gli universi sociali in cui si collocano è stata fin qui arbitraria, indimostrata e indimostrabile.
In altri casi l’impostazione è stata diversa. Tra le singole storie di famiglia ed i contesti più generali non viene indicata alcuna relazione esplicita, ma la vicenda particolare pretende di parlare immediatamente dell’universo sociale in cui si inserisce. Nel lavoro di Fabio Levi, ad esempio, l’obiettivo dichiarato è quello di ricostruire, oltre i Mazzonis, «un settore significativo dell’industria torinese, una parte non indifferente della classe dirigente cittadina e, in definitiva, una componente essenziale della cultura piemontese a cavallo tra 800 e 900»13. Ma un gruppo familiare non può rappresentare immediatamente l’universo sociale di cui partecipa; lo può fare mediatamente, fornendo i materiali per costruire un modello della famiglia e/o della società.
Un modello storiografico, come qualunque altro modello, è una rappresentazione formalizzata, una configurazione semplificata degli aspetti centrali di una specifica situazione; non può dunque essere che un modello analogico, risultato di una pratica rivolta a rendere equivalenti fenomeni e processi particolari. Condizione indispensabile di questa pratica è la capacità di approfondire la conoscenza dei fenomeni fino al punto di cogliere il nesso unitario che percorre situazioni apparentemente diverse14. Che vuol dire che questo procedimento deve fondarsi su una dicotomia concreto (famiglia)/astratto (modello). Il passaggio dal concreto (le storie di famiglia) all’astratto (il modello analogi-
11 L. Stone, The Family. Sex and Marriage in England, 1500-1800, London, 1977; M. Slater, Family Life in thè Seventeenth Century. The Verneys of Claydon House, London, 1984.
12 M. Barbagli, Sotto lo stesso tetto. Mutamenti della famiglia in Italia dal XV al XX secolo, Bologna, 1984; C. Dau Novelli, Modelli di comportamento e ruoli familiari, in Borghesi ed'imprenditori a Milano dall'unità alla prima guerra mondiale, a cura di G. Fiocca, Bari, 1984, pp. 215-289.
13 F. Levi, L'idea del buon padre, cit., p. 13.
14 Sulla teoria dei modelli cfr. A. Bruschi, La teoria dei modelli nelle scienze sociali, Bologna, 1971.
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co) presuppone, come è evidente, una selezione ed una manipolazione del materiale documentario.
Questo metodo di lavoro, nonostante le riserve o addirittura le opposizioni che l’uso dei modelli ha sempre suscitato tra gli storici, sembra il piu fecondo per una serie di motivi di ordine diverso e che qui è possibile solo assai schematicamente indicare. Il modello consente «di chiamare in causa, al di fuori dell’ambiente sociale assunto — a partire dal quale esso è stato insomma creato — altri ambienti sociali della stessa natura, attraverso il tempo e lo spazio»15; solo il ricorso al modello consente, nei confronti delle vicende di particolari famiglie, un approccio nomologico che superi il carattere unico e irripetibile di ogni singolo fatto sociale.
Poiché la storia di famiglia è strettamente legata ad una vicenda concreta e la conoscenza che se ne può avere rimane per molti versi «indiretta, indiziaria, congetturale»16, è solo attraverso la costruzione di un modello che il passaggio dal frammento all’universo sociale perde il suo carattere stocastico per ottenerne uno piu marcatamente scientifico.
Le storie di famiglia hanno un carattere empirico, ma devono misurarsi con un mondo sistemico, con forti correlazioni tra i singoli elementi; solo la costruzione di un modello garantisce loro gli strumenti organizzativi e sintattici indispensabili per una conoscenza reale.
In mancanza di un modello, troppo spesso delle teorie o degli schemi concettuali ipotetici finiscono con l’essere adoperati come modelli: lo schema della nuclearizzazione della famiglia diviene cosi il modello della nuclearizzazione; la teoria della persistenza dei caratteri deiVancien regime nell’Europa del Novecento di Mayer diviene un modello di analisi della società. E con quali risultati è sotto gli occhi di tutti.
La possibilità di costruire un modello è subordinata alla capacità di decodificare delle specifiche realtà sociali. Ma decodificare significa individuare dei meccanismi, dei funzionamenti, dei regolamenti impliciti o espliciti, delle gerarchie di valori; tutte cose non sempre di comprensione immediata. Al tempo stesso il carattere olistico, già sottolineato, della famiglia rende impossibile nella ricerca ogni scorciatoia. Il tentativo compiuto da Marzio Barbagli, ad esempio, di ricostruire i rapporti di potere e di autorità all’interno della famiglia utilizzando come indicatore le forme allocutive usate nella corrispondenza è per molti versi interessante, ma certamente incapace di cogliere gli elementi sostanziali nelle relazioni padre-figlio17. Su questo libro il dibattito è stato piuttosto intenso e non è quindi il caso di ricordare la serie di riserve che ha sollevato o di aggiungerne altre; si vuole solo sottolineare come il ricorso alle sole forme allocutive ha condotto Barbagli ad alcune conclusioni che appaiono infondate ad un esame piu attento. Il caso della famiglia Leopardi, cui nel libro è
15 F. Braudel, Storia e scienze sociali. La «lunga durata», in Scritti sulla storia, Milano, 1973, p. 76.
16 C. Ginzburg, Miti, emblemi e spie. Morfologia e storia, Torino, 1986, p. 171.
17 M. Barbagli, Sotto lo stesso tetto, cit.
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dedicato un capitolo, è a questo proposito assai significativo. Per Barbagli il 1828 segna tra Monaldo Leopardi ed il figlio Giacomo, per la morte dell’altro figlio Luigi, una nuova intimità tra padre e figlio che si manifesta nel passaggio dalla forma allocutiva «Carissimo signor padre» a quella di «Carissimo papà». Chi conosce però le vicende di Giacomo Leopardi non può ignorare che proprio in quegli anni ed in particolare nei primi anni Trenta la distanza tra questi e suo padre, come testimonia l’epistolario leopardiano specie in occasione della pubblicazione del libello di Monaldo Dialoghetti sulle materie correnti nell'anno 1831, è ormai enorme.
4. Prima di costruire qualsiasi modello, prima di individuare qualunque analogia con altre situazioni, sia pure con un meccanismo che in retorica definiremmo di passaggio dal particolare al particolare, è indispensabile che nella ricostruzione delle vicende familiari venga introdotto il piu alto numero di elementi possibili. Ma per questo bisogna disporre di una fonte adeguata.
È indiscutibile che, nei casi in cui non sia disponibile un archivio privato o un’altra fonte eccezionale, qualunque storia di famiglia non può venir fuori senza il ricorso ai protocolli notarili. Di questa fonte si è sempre ripetuto che è preziosa ma faticosa; sono più volte state richiamate le varie possibili utilizzazioni di ricerca. È però singolare come la storiografia italiana non si sia mai interrogata sui caratteri sommersi e sul modo specifico in cui il notarile risponde alle domande poste dallo storico. Mi pare che, sia pure limitatamente alle sole storie di famiglia in età contemporanea, l’utilizzazione di questa fonte sollevi una serie di problemi specifici che non è possibile ignorare.
Un carattere per cosi dire strutturale del contratto notarile è che la scelta economico-familiare e l’atto notarile non sono necessariamente in una successione cronologica semplice. Prendiamo ad esempio il testamento; scritto in una data viene inserito nel protocollo in un’altra; spesso riassume una serie di trasferimenti di ricchezza avvenuti precedentemente, poi impone una divisione del patrimonio che non si sa se e quando avverrà.
In più la portata pratica di qualunque atto è tutta da verificare ed è per molti versi solamente ipotetica. Nel 1796, ad esempio, Monaldo Leopardi, intenzionato a sposare la figlia del marchese Zambeccari, stipula un contratto nunziale per mezzo del notaio Aldini di Bologna. Il matrimonio però non venne mai celebrato.
Non mancano poi i protocolli notarili con atti più o meno bugiardi o con dichiarazioni false. Facciamo un esempio di origine letteraria:
Ora il marchese [di Villardita] innamorato della ragazza [Chiara Uzeda di Francalanza] — scrive De Roberto ne I Viceré — prometteva non solo di prenderla senza dote, ma di prestarsi anche ad una piccola commedia. Se, fermo proposito della madre era che la sostanza della famiglia non fosse intaccata dalle femmine, il suo orgoglio di principessa di Francalanza non poteva consentire che la gente vantasse la generosità del genero nel prendere Chiara senza un baiocco, quasi togliendola all’ospizio delle trovatelle. Pertan-
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to nei capitoli matrimoniali ella aveva costituito alla figlia una rendita di dugent’onze annue; cosi diceva Patto registrato dal notaio Rubino e cosi sapevano tutti, ma poi il marchese le aveva rilasciato un’àpoca, accusando ricevuta dell’intero capitale di quattromila onze, delle quali non aveva visto neppure tre denari18.
Ma è probabile che, in maniera diversa, i casi di questa specie non siano stati pochi. Come non devono essere state rare le occasioni in cui le parti si accordavano per dire il falso alla presenza del notaio o quelle in cui, per contratti di compravendita di immobili, i prezzi venivano piu o meno sensibilmente ritoccati.
Un altro esempio. Pierre Rivière, il giovane parricida studiato dal gruppo di Foucault, cosi scrive nella memoria allegata agli atti del processo: «nel contratto di matrimonio era detto che mia madre aveva un buon mobilio. Ma è solo un’abitudine di mettere questo nei contratti, lei non ne aveva [...]»19. Siamo nella Francia del XIX secolo; ma anche in Italia permangono nei contratti notarili formule abitualmente ripetute per particolari atti e per particolari gruppi sociali. Il notaio è il garante della validità degli atti stipulati alla sua presenza, ma è, al tempo stesso, all’interno della comunità, colui che legittima in vario modo lo status dei singoli gruppi familiari. Perché la legittimazione sia completa non devono mancare nei contratti tutti gli elementi propri di quello status: il mobilio, come nel caso riportato, la dote, il corredo, le particolari apposizioni e/o predicati d’onore che precedono i nomi dei contraenti, ecc.
Sugli atti relativi a prestiti di denaro è legittimo sollevare numerose riserve. È sintomatico che per questi atti i notai utilizzino stabilmente questa formula: il signor Bianchi dichiara di aver ricevuto dal signor Rossi 1.000 lire; il signor Bianchi si impegna inoltre a restituire la somma ricevuta entro due anni, con l’interesse, ad esempio, del 6%. Il notaio quindi non ha visto il denaro passare dalle mani di Rossi a quelle di Bianchi, come accade per altri tipi di contratti. È doveroso domandarsi se, in questi casi, la cifra riportata nell’atto notarile non sia maggiore di quella realmente prestata: l’interesse sarebbe in questo caso non del 6%, ma del 10 o del 15%; le differenze potrebbero essere non del tutto irrilevanti20.
Fermo restando che anche le bugie, se se ne comprendono le motivazioni più profonde, possono fornire indicazioni degne della massima considerazione, vanno segnalati altri aspetti più intimamente legati al sistema di informazioni che i protocolli notarili forniscono. È necessario partire col dire che i notai danno indicazioni che non sono sempre facilmente decifrabili. Facciamo un esempio. Con l’entrata in vigore del codice Pisanelli e con l’abolizione dell’obbligatorietà della dote i protocolli registrano una progressiva e consistente diminuzione dei contratti dotali. Però non è facile dire che cosa questo signifi-
18 F. De Roberto, I Viceré, Milano, 1976, p. 70.
19 Io, Pierre Rivière, avendo sgozzato mia madre, mia sorella e mio fratello ... Un caso di parricidio nel XIX secolo, a cura di M. Foucault, Torino, 1976, p. 56.
20 Queste considerazioni sono state suggerite da Nicola Ostuni nel corso di una discussione.
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chi. Significa che la donna si è ulteriormente impoverita? Che è aumentata la sua subordinazione nei confronti del marito? Oppure, al contrario, che il matrimonio va perdendo il suo carattere di accordo tra famiglie per diventare un fatto piu intimo, piu legato alle esigenze dei nubendi? Che in questa nuova configurazione del matrimonio continua un trasferimento di ricchezza dai genitori della sposa alla nuova coppia, ma il trasferimento segue canali piu privati, meno formalizzati rispetto alla forma specifica dell’istituto dotale? È necessario però aggiungere che la diminuzione dei contratti dotali è piu apparente che reale perché molte delle doti non erano, prima del codice Pisanelli, che delle anticipazioni sulla quota di legittima e, in certi casi, all’impegno di versamento della dote non faceva seguito un pagamento reale.
Nello studio dei protocolli notarili troppo spesso si trascura un aspetto assai significativo: il notaio non si limita semplicemente a scrivere l’atto; con ogni probabilità questi suggerisce al proprio cliente modelli generali e clausole specifiche. Se è vero che il notaio regola e tutela le assimmetrie sociali, è anche vero che finisce per dare ai contratti una logica ed una prospettiva che non necessariamente appartengono all’universo mentale dei contraenti. Alcune clausole vessatorie presenti nei contratti probabilmente appartengono agli schemi sociali del notaio piu che a quelli del suo cliente.
I protocolli notarili determinano inoltre una sorta di aberrazione nella formazione dell’immagine della famiglia. Il primo elemento di distorsione è legato al fatto che l’atto notarile registra esclusivamente azioni economiche e anche nei casi in cui l’azione ha una natura più ampia, come per i contratti dotali o per i testamenti, il protocollo inerisce esclusivamente agli aspetti economici. L’immagine della famiglia che ne viene fuori, schiacciata sulle vicende economiche e patrimoniali, rischia di essere assai spesso una caricatura.
Un altro limite, direttamente connesso con il precedente, è legato alla relazione matrimonio-patrimonio, che segna nel notarile la formazione di ogni nuovo nucleo familiare. È evidente infatti che il notarile registra il capitolo matrimoniale solo quando la nuova unione implica un trasferimento di ricchezza, per quanto esiguo possa essere, dalle famiglie dei genitóri a quella degli sposi; ma è altrettanto evidente che il notarile in questo modo finisce da un lato per selezionare, tra i matrimoni, solo i casi in cui questi abbiano un nesso con i patrimoni e dall’altro tenda surrettiziamente ad enfatizzare questo nesso. Il caso dei matrimoni tra cugini, ad esempio, assai frequente tra i ceti proprietari ottocenteschi, comunemente attribuiti dagli storici esclusivamente a calcoli patrimoniali nella scelta del coniuge, sono molto spesso legati, in una società frequentemente povera di relazioni extrafamiliari, al consolidarsi di una vita affettiva tra consanguinei e ad una serie di considerazioni di opportunità che trovano la loro giustificazione non tanto sul piano strettemente economico, ma nel modo specifico in cui singole aree sociali manipolano e per questo progettano la propria famiglia.
A questo proposito vorrei ricordare che Carlo Leopardi, fratello di Giacomo, si innamorò prima di Manetta Antici, sua cugina germana; ma la cosa non eb-
31.26.158.ITh onThu,21Sep2023 15:13:41 +00:00
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be seguito perché le famiglie non presero in considerazione questo matrimonio ed i due giovani non avevano possibilità di incontrarsi: Carlo era a Recanati, Marietta a Roma. Carlo poi si innamorò di un’altra cugina germana, Paolina Mazzagalli, che sposò nonostante la durissima opposizione che incontrò nella propria famiglia. Questo matrimonio costò a Carlo Leopardi, alla morte del padre, l’esclusione dalla primogenitura a vantaggio del fratello più giovane Pierfrancesco. Non ho dubbi che ricostruendo le vicende della famiglia Leopardi, se avessimo potuto disporre dei soli protocolli notarili, avremmo certamente legato il matrimonio tra Carlo Leopardi e Paolina Mazzagalli alle consuete alleanze familiari ed alle solite considerazioni patrimoniali. E del resto sul piano economico il legame con la cugina assicurò a Carlo una posizione assai fortunata, che questi seppe consolidare con un inserimento nella pubblica amministrazione ed una attività di strozzinaggio che gli procurò, anche dopo la morte, l’odio dei recanatesi.
5. La ricostruzione storica non può essere diretta e immediata: «le società umane non sono trasparenti a se stesse; quando spiegano e si spiegano ciò che loro accade, di solito non lo fanno direttamente»21. È evidente dunque che il progresso della ricerca storica è legato alla capacità di «produrre un sistema di domande inedito da rivolgere ai fatti, ai dati, ai documenti»22. Questo è ormai nella coscienza di tutti. Spesso però si sottovaluta come la fonte interrogata suggerisce frequentemente la risposta, sempre ne condiziona la natura. Utilizzando dei documenti non basta domandarsi da quali funzionari siano stati redatti, con quali normative e con quali fini; non basta neanche chiedersi quali siano le possibili lacune o i probabili errori. Tutto questo è importante, ma insufficiente; quello che è determinante è la capacità di verificare se il materiale, le fonti, i fatti siano complessivamente in grado di dare risposte congruenti con le domande e più ancora poter prevedere in anticipo il modo specifico in cui le risposte saranno deformate.
La necessità di incrociare le fonti è divenuta oramai quasi un luogo comune; ma a ben vedere, se non si analizzano preliminarmente i sistemi di risposte che queste forniscono, l’incrocio, e sarebbe meglio dire la sovrapposizione, serve solo, nel migliore dei casi, ad aumentare i dati disponibili. Assai recentemente si è più volte sottolineata l’opportunità di incrociare i dati provenienti dai protocolli notarili con quelli provenienti dalle dichiarazioni di successione. Si tratta però di due fonti che invece di correggersi accentuano reciprocamente gli errori e le distorsioni.
La soluzione dunque è quella di ricorrere all’incrocio di fonti che garantiscono realmente sistemi diversi di risposte e, nel caso particolare delle storie di fami-
21 P. Veyne, La storia concettualizzante, in Fare storia. Temi e metodi della nuova storiografia, a cura di J. Le Goff e P. Nora, Torino, 1981, p. 30.
22 S. Veca, Storia e modelli: l’approccio epistemologico, in II mondo contemporaneo. Gli strumenti della ricerca, II, Firenze, 1983, pp. 1369-1380.
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glia, di uscire dalle angustie di una ricostruzione esclusivamente economica delle vicende del gruppo esaminato. Al tempo stesso proprio il ricorso programmato e contemporaneo a fonti che aprono verso prospettive diverse può suggerire nuovi sistemi di domande e quindi nuove concettualizzazioni.
Il caso della famiglia Leopardi è, a questo proposito, particolarmente felice perché alle indicazioni provenienti dal notarile e dalle carte di amministrazione del patrimonio è possibile aggiungere un materiale enorme con un carattere piu personale e talvolta più intimo: le lettere di Giacomo, di Paolina, di Monaldo, di Adelaide Antici; VAutobiografia di Monaldo; alcuni spunti autobiografici contenuti nello Zibaldone; le memorie di alcune persone a vario titolo legate ai Leopardi (Teresa Teja, Antonio Ranieri). Ma, si badi bene, non si vuol sostenere che queste fonti siano obiettivamente superiori a quelle con un carattere più marcatamente economico-patrimoniale; non esistono fonti di prima o seconda categoria. Le fonti letterarie, le corrispondenze familiari o comunque con un carattere confidenziale (come quelle di Paolina Leopardi con Vittoria Lazzari o con le sorelle Brighenti), le autobiografie suggeriscono come già si diceva per il notarile, dei sistemi di risposte a loro modo prevedibili e distorti. Se però se ne comprendono i tratti costitutivi, in sincronia con il sistema generale di scrittura e di lettura dell’epoca23, queste si trasformano in documenti felicemente complementari a quelli più tradizionalmente economici. Se VAutobiografia di Monaldo Leopardi, come ogni autobiografia, «evidenzia vasti problemi come quelli della memoria, della costruzione della personalità e dell’autoanalisi»24, le lettere dei fratelli Leopardi indirizzano verso altri temi non meno vasti: i moduli educativi, le relazioni domestiche, i livelli culturali, i miti personali e familiari, le aspirazioni individuali. Tutte tessere, come si vede, senza le quali una storia di famiglia è destituita di gran parte delle sue motivazioni25.
6. Se solo si frequenta un minimo la narrativa ottocentesca iniziano a nascere una infinità di suggestioni di domande di fronte alle quali le possibilità offerte dal notarile si mostrano ben povera cosa.
Quasi nulla sappiamo dalla vita delle donne, sia pure senza uscire al di fuori delle élites e delle borghesie patrimoniali. Di una vita appartata, angusta, vagamente claustrofobica, che nelle sue proiezioni verso l’esterno sembra scandita dalle ricorrenze del calendario, onorato nel più rispettoso ossequio delle tradizioni locali. Le maggiori festività sono infatti una rara occasione di incontri ancora a mezza strada tra i modelli più popolari e gli scintillii delle aristocrazie, a cui nel secondo Ottocento si cercò di dare una fisionomia più autenticamente borghese. «Venne il carnovale — scrive in un suo romanzo la Marchesa
23 Ph. Lejeune, Il patto autobiografico, Bologna, 1986, p. 6.
24 Ivi, p. 5.
25 Per una storia di famiglia più aperta a suggestioni extraeconomiche cfr. F. Anzelotti, Il segreto di Svevo, Pordenone, 1985.
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Colombi — quel carnovalino di provincia pettegolo e pretenzioso dove della menoma festicciola si discorre, prima e dopo fino alla nausea; dove si fanno i piu minuti inventari! degli abbigliamenti e si veste sempre troppo in gala»26; e vengono immediatamente in mente le lettere di Paolina Leopardi, le sue insistenti richieste alle amiche di informazioni sui festeggiamenti delle piu importanti ricorrenze, il carnevale prima di tutte.
Durante le festività la chiesa stessa diviene luogo di incontro e, per i giovani, un terreno franco per lanciarsi messaggi, tessere trame sentimentali, su cui costruire i primi accordi, non di rado dei matrimoni.
Un’altra parte della famiglia, o piu precisamente dell’aggregato domestico, sistematicamente in ombra, è quella costituita dai domestici o servi, o famigli ecc., come si era soliti chiamarli. Ed ovviamente il modo in cui venivano definiti non è privo di significato; in casa Leopardi si era sempre usata l’espressione famigli27; anche se questi vestivano le livree a cui Adelaide Amici, tra mille economie, non volle mai rinunziare. E del resto quando Giacomo Leopardi va a Bologna la madre gli raccomanda di passare a trovare una loro ex domestica che viveva in quella città. E Giacomo dopo una prima visita diviene poi praticamente di casa nella famiglia di questa. Quando poi muore un domestico degli Amici, che i Leopardi avevano avuto modo di conoscere, vi è tra Giacomo ed i fratelli una serie di lettere con parole di dolore e di affetto per lo scomparso.
Anche qui la pratica quotidiana del rapporto sfugge completamente, pure a voler limitare l’indagine al solo versante del «padrone». «La sala da pranzo — scriveva Neera — aveva nel mezzo una grande tavola massiccia apparecchiata ed una piu piccola da un lato essa pure ricoperta da una candida tovaglia dove la nonna apparecchiava lei stessa le porzioni per la servitù in ragione dell’età e dei bisogni di ciascuno, avanzo questo degli antichi rapporti coi domestici i quali sentivano del padrone la soggezione e la protezione insieme»28. Ma è solo un piccolo squarcio letterario. Certo i domestici compaiono in numerosi contratti notarili; assai spesso nei testamenti vi sono legati a loro nome. Ma se il legato sia per il testatore una forma di retribuzione ritardata, un regalo, una sorta di legittima per un familiare acquisito non è facile dire.
Su tutti questi temi, ma anche sugli universi mentali, psicologici dei gruppi patrimoniali ottocenteschi, tutte, o quasi, le informazioni di cui disponiamo hanno una origine letteraria. La scarsa disponibilità, però, della storiografia italiana verso un uso rigoroso e sistematico delle fonti letterarie, con alcune particolari eccezioni — gli scritti autobiografici di De Sanctis ad esempio — ha portato paradossalmente alla trascuranza di molti dei temi cui fin qui si è fatto riferimento.
26 Marchesa Colombi, Un matrimonio in provincia, Torino, 1973, p. 65.
27 G. Larigaldie e C. Antona-Traversi, Note biografiche sopra la contessa Adelaide Antici Leopardi, Recanati, 1915, p. 44.
28 Neera, Una giovinezza del secolo XIX, Milano, s.d., p. 26.
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7. Dopo quanto detto non può meravigliare se nelle relazioni tra rapporti di autorità, affetti e scelte economiche all’interno della famiglia si siano consolidate delle immagini che andrebbero quanto meno verificate. Si ripete assai spesso che la famiglia «nei suoi rapporti quotidiani non è luogo di comunicazione spontanea e di reciproco supporto ai bisogni dei singoli ma un’organizzazione economica con una ben articolata definizione dell’attività e una regolamentazione dei ruoli e dei compiti specifici»29. Si aggiunge inoltre che i sentimenti andavano repressi o almeno non dovevano influenzare le scelte importanti della famiglia. I sentimenti possono essere accettati «solo se rientrano in quei binari oggettivi precostituiti che l’assetto familiare riconosce e consolida perché ne predispone soggetti ed oggetti, intensità, forme di espressione»30. Ma questa è certamente l’immagine che della famiglia accredita il notarile, e sulla quale è legittimo conservare più di una perplessità, anche perché su questi temi i lavori disponibili per l’età contemporanea sono quasi inesistenti.
Proviamo a porre la questione in termini diversi. È possibile dire, parafrasando M. Bloch e L. Febvre, che le famiglie sono soprattutto delle coscienze e che ove manca la mentalità di gruppo queste sono poco più che delle finzioni? È possibile dire che la tradizione, il mito della famiglia funzionano come strumenti di omologazione dei vari membri all’interno del gruppo domestico molto più di quanto funzioni nella stessa direzione la forza coercitiva delle gerarchie? Giacomo e Carlo Leopardi entrano in contrasto con il padre perché, contrariamente agli altri fratelli, non ne condividono i miti, le aspirazioni; disprezzano Recanati che per il padre è tutto l’universo. Il nonno di Giacomo Leopardi aveva ottenuto primogenitura e fedecommesso non in virtù di una imposizione paterna, ma in grazia di una libera scelta dei fratelli. La primogenitura di Pierfrancesco, figlio di Monaldo Leopardi, verrà invece contestata da Carlo proprio perché il mito della famiglia ai suoi occhi non funziona più e non vi è forza che possa imporglierlo.
Il problema insomma mi pare sia in questi termini. O ci limitiamo a studiare come singole questioni vengano affrontate da una famiglia: ed avremo lavori sulla costituzione di un patrimonio, sui modelli successori e dotali, sulle attività creditizie e cosi via; tutti marcati più o meno profondamente dai caratteri specifici della fonte notarile e impermeabili a suggestioni di natura e origine diverse. O, al contrario, cerchiamo realmente di introdurci in certi aggregati domestici, mirando a ricostruire le trame più nascoste, gli universi più profondi, per poi risalire fino agli aspetti, per gli storici più abituali, della vita economica e politica.
Adorno, commentando l’osservazione di Proust che le fotografie dei nonni di un duca e di un ebreo del medio ceto si assomigliano talmente che nessuno pensa più alla gerarchia sociale, notava come «dietro l’unità dell’epoca spariscono oggettivamente tutte le differenze che costituiscono la fortuna, e la stes-
29 F. Olivetti Manoukian, Morte e vita familiare, cit., p. 358.
30 Ibidem.
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sa sostanza morale, dell’esistenza individuale»31. Solo uno studio della famiglia come qui si è proposto permette di cogliere i modi specifici in cui i gruppi sociali pensavano e progettavano la propria esistenza. Certo vi possono essere scarti profondi tra le configurazioni e gli equilibri che caratterizzano i singoli gruppi familiari, ma è pur vero che una migliore comprensione di tali equilibri e di tali configurazioni, che rappresentano la gamma delle opzioni possibili in un dato universo sociale, arricchiscono enormemente la conoscenza che di questo possiamo avere per altra via.
31 T.W. Adorno, Minima moralia. Meditazioni sulla vita offesa, Torino, 1983, p. 18.