L'utopia settecentesca

Item

Title
L'utopia settecentesca
Creator
Francesca Rigotti
Date Issued
1979-07-01
Is Part Of
Studi Storici
volume
20
issue
3
page start
647
page end
655
Publisher
Fondazione Istituto Gramsci
Language
ita
Format
pdf
Relation
Le parole e le cose: un'archeologia delle scienze umane, Italy, Rizzoli Ed., 1967
Rights
Studi Storici © 1979 Fondazione Istituto Gramsci
Source
https://web.archive.org/web/20230921152704/https://www.jstor.org/stable/20564636?searchText=Foucault&searchUri=%2Faction%2FdoBasicSearch%3FQuery%3DFoucault&efqs=eyJsYV9zdHIiOlsiYVhSaCJdfQ%3D%3D&sd=1975&ed=2000&pagemark=eyJwYWdlIjoxMiwic3RhcnRzIjp7IkpTVE9SQmFzaWMiOjI3NX19&groupefq=WyJjb250cmlidXRlZF90ZXh0Iiwic2VhcmNoX2NoYXB0ZXIiLCJjb250cmlidXRlZF9hdWRpbyIsInJlc2VhcmNoX3JlcG9ydCIsInNlYXJjaF9hcnRpY2xlIiwicmV2aWV3IiwibXBfcmVzZWFyY2hfcmVwb3J0X3BhcnQiXQ%3D%3D&ab_segments=0%2Fbasic_search_gsv2%2Fcontrol&refreqid=fastly-default%3A5c8970f25c75e82a89f0c4262de63f2f
Subject
power-knowledge
apparatus (dispositif)
discipline
utopias
extracted text
L’UTOPIA SETTECENTESCA
Francesca Fagotti
La casa editrice Einaudi sta per proporre al pubblico italiano due opere dello storico e filosofo polacco Bronislaw Baczko: il ricco e prezioso volume sulle utopie del XVIII secolo in Francia (Lumières de l’utopie, Paris, Payot, 1978, pp. 416 !), e un lungo saggio sull’immaginazione sociale, inedito, che costituirà una delle voci dell’Enciclopedia Einaudi.
A render conto dei lavori di Baczko ha già provveduto alcuni anni fa Furio Diaz, il quale, in una recensione comparsa sulla « Rivista storica italiana »2, faceva il punto sul volume che lo studioso polacco ha dedicato al pensiero di Rousseau3. Vale comunque la pena di ricordare che Baczko apparteneva ad un gruppo di docenti dell’Università di Varsavia (insieme a Kolakowski, Pomian, Szacki, Walicki), storici delle idee (vedremo però come Baczko si sia lentamente allontanato da queste posizioni storiografiche per approdare allo studio delle mentalità collettive), impegnati nella lotta politica antinazista, che condivisero dapprima le speranze di rinnovamento politico e in seguito le delusioni dello stalinismo. Nel 1968 la maggior parte dei membri di questo gruppo « contestatario », che aveva costituito l’ala radicale del movimento antistalinista, perse la libertà di insegnamento e di pubblicazione. Lo stesso Baczko percorse questo itinerario, conclusosi per lui con l’espatrio4. Nel gruppo polacco, all’omo-
1 La cui pubblicazione in traduzione italiana è prevista per l’ottobre 1979.
2 Furio Diaz, Le stanchezze di Clio. Appunti su metodi e problemi della recente storiografia della fine dell’Ancien régime in Francia, «Rivista storica italiana», 1972, n. 3, pp. 683-745. Ora ripubblicato in M. Cedronio, F. Diaz, C. Russo, Storiografia francese di ieri e di oggi, Napoli, 1977, pp. 73-162. Per un panorama della recente storiografìa polacca (in particolare la scuola di Lvov-Varsavia) si veda invece, di Rosanna Albertini, Metodologia della ricerca storica, «Critica marxista», 1976, n. 2, pp. 86-101, soprattutto le pp. 91-92.
3 Bronislaw Baczko, Rousseau. Samotnosc i Wspolnota, Varsavia, PWN, 1964; ed. tedesca, Wien, Europa-Verlag, 1972; ed. francese Paris-La Haye, Mouton, 1974. Se ne veda anche il c.r. di R. C. Fernades in « Annales E.S.C. », 1971, pp. 387-398.
4 Nato a Varsavia nel 1924, di formazione filosofica, Bronislaw Baczko è stato direttore del Dipartimento di storia della filosofia moderna dell’Accademia polacca delle scienze dal 1955 al 1968 e professore all’Istituto di filosofia e di sociologia della stessa accademia. Destituito dall’incarico universitario e privato della facoltà di pubblicare, si è trasferito all’estero. Ha insegnato dapprima in Francia, alla



648 Francesca Rigotti
geneità dell’azione politica corrispondeva una sostanziale omogeneità nel campo della ricerca, che si può riassumere e sintetizzare nell’esame delle « utopie irrealizzabili »: le loro opere « presentano tutte certi tipi di questa ricerca di una umanità persa in un mondo razionalizzato, pur riconoscendo il carattere disperato di questo sforzo »5.
In questo, Baczko non si discosta dalla linea dei suoi antichi compagni: anzi, sotto questo aspetto il recente Lumières de Vutopie si inserisce naturalmente e senza salti nel filone del Rousseau: come i conflitti e le tensioni che nascono dall’impossibilità di conciliare ideali e realtà non sono solo una caratteristica di Rousseau, ma riflettono una condizione umana universale, così l’aspirazione e la tensione ad una società diversa non sono caratteristica esclusiva degli utopisti del XVIII secolo ma rivestono una portata anche in questo caso universale, pur nel rispetto della specificità della collocazione storica.
Nessun secolo sembra così poter fare a meno delle sue utopie, anche se esse possono apparire da epoca a epoca tanto diverse da sembrare non paragonabili: per rendersene conto basta accostare le utopie del XVIII secolo che dipingevano società felici e libere comunità di eguali, con le utopie del nostro secolo, che immaginano società più spaventose e disumane delle attuali, società nelle quali gli aspetti negativi del presente sono accentuati fino all’esasperazione.
Diaz ha creduto di cogliere, nel tipo di approccio usato da Baczko, un allontanamento dalle particolarità diacroniche che finisce col falsare la prospettiva storica: « inflessioni, tensioni, antinomie della personalità umana che sembrano assurgere a valori esemplari, di modello, rischiano di aver
Facoltà di lettere dell’Università di Clermont-Ferrand, dal 1969 al 1974, e successivamente alla Facoltà di lettere dell’Università di Ginevra, dove è attualmente professore di storia delle mentalità. La sua produzione comprende, oltre ai già citati Rousseau. Solitude et communauté e Lumières de l’utopie, i volumi:
Idee politiche e sociali della Società Democratica polacca (1832-1864), Varsavia 1956;
La filosofia dell"illuminismo in Francia, Varsavia 1960;
Duomo e le sue visioni del mondo, Varsavia 1964;
Gli almanacchi popolari (1730-1800), Varsavia 1975 (in polacco); Weltanshauung, Metaphysik, Entfremdung, Francoforte 1969 (in tedesco); edizioni critiche delle opere di Rousseau e di dom Deschamps in polacco; numerosi articoli e interventi in volumi collettanei, in polacco; saggi e interventi, dedicati soprattutto all’illuminismo, comparsi in francese sulle riviste « Annales E.S.C. », « Diogene », Daedalus », « Revue des Sciences humaines », « Dix-huitième siècle », « Tijdschrift voor de Studie van de Verlichting », « Annales de la Société Jean-Jacques Rousseau », « Cahiers Vilfredo Pareto », « Annali dell’Istituto Giangiacomo Feltrinelli » ecc.
5 R. C. Fernandes, Le « Rousseau » de Baczko, cit., p. 388. Fernandes presenta inoltre una bibliografia delle principali opere degli storici del gruppo (p. 387, n. 1), molte delle quali dedicate proprio alla/e utopie, e a cui Baczko dichiara esplicitamente di essersi ispirato (oltre a Kolakowski, Pomian, Szaki e Walicki, si citano Garewicz e Skarga). Per una disamina dell’attività di questo gruppo di storici e filosofi polacchi, si vedano anche R. C. Fernandes, The antinomies of freedom. On thè Warsaw Circle of Intellectual History, tesi, Columbia University 1976 (non pubblicata) e Tadeusz M. Jaroszenski, The development of philosophical studies in thè thirty years of people's Poland, « Dialectics and Humanism », n. 3, 1974.



649 L'utopia settecentesca
poco da attingere alle specifiche vicende storiche, poco da ricavare dal mutamento che queste comportano » 6.
Eppure Baczko ha lucidamente presente il problema del rapporto tra sincronia e diacronia e della sintesi che lo storico ne deve praticare. Anzi, la questione è stata da lui affrontata in toni espliciti in un saggio metodologico del 1969, in cui si insiste sul valore e sull’importanza della partecipazione personale dello storico alle vicende da lui ricostruite.
Le trasformazioni interne possono essere seguite con facilità mettendo a confronto il recente volume sulle Utopie dei lumi con alcuni saggi elaborati in anni precedenti sul medesimo tema e che, visti a posteriori, sembrano diventare, da studi autonomi quali erano all’origine, lavori preparatori rispetto all’opera conclusiva7.
Era soprattutto l’esame dell’utopia come discorso filosofico-metafisico che improntava i primi saggi citati di Baczko, quale si incarnava, per fare un esempio significativo, ne Le vrai systèrne ou le mot de Lénigme métaphysique et morale di dom Deschamps, il cui modello di società ideale era, tra tutti quelli del XVIII secolo, il più radicalmente opposto all’insieme del sistema sociale esistente. È all’idea-immagine di una società utopica (egualitaria e di perfetta comunione e « trasparenza », al punto di non aver bisogno delle città, della famiglia, dei libri, al limite neppure del linguaggio) che in queste pagine si guarda, quale è stata progettata e quale è uscita dalla mente di un singolo pensatore. Qui l’aspetto « sociologico » è più proposto allo studio che di fatto esaminato: si dice che le utopie riflettono dei modi collettivi di pensare, di credere e di immaginare; si insiste sul fatto che le utopie vanno lette come luogo di esercizio dell’immaginazione sociale in quanto fornitrici di idee di libertà, di felicità e di giustizia8, ma si rimane poi ancorati all’utopia che è frutto di una produzione individuale, è opera di questo o di quel pensatore.
In saggi ancora successivi, l’interesse dell’autore si apre su altri piani del linguaggio utopico: allo studio dei pensatori utopisti si aggiunge quello delle feste (che in utopia non sono di rottura con la vita quotidiana, secondo l’uso tradizionale, bensì di rappresentazione dell’essenza della vita quotidiana stessa), e del mesmerismo (fenomeno di esaltazione collettiva che nell’incontro con l’utopia produce la convinzione che l’uomo possa governare il mondo spirituale ed il proprio avvenire nell’attesa di un
6 F. Diaz, Le stanchezze di Clio, cit., p. 732.
7 SÌ fa riferimento in particolare a: Le mot de l’énigme métaphysique et morale ou dom Deschamps, « Cahiers Vilfredo Pareto », 1968, voi. 15, pp. 5-49; Lumières et utopie. Prohlèmes de recherche, « Annales E.S.C. », 1971, n. 2, pp. 355-386; Utopie et histoire chez dom Deschamps. Uutopie de dom Deschamps et les para-digmes du discours utopique, in Dom Deschamps et sa métaphysique. Religion et contestation au XVIII* siede, a cura di Jacques d’Hondt, Paris, Puf, 1974. Ma si vedano anche Uutopie et les fétes, « Tijdschrift voor de Studie van de Verlichting », 1973, n. 3-4, pp. 20-54; Les discours et les messages de dom Deschamps, « Dix-huitième siede », 1973, n. 5, pp. 250-270; Uenigme des lumières, « Annales E.S.C. », 1973, n. 6, pp. 1515-1520.
8 B. Baczko, Utopie et histoire chez dom Deschamps, cit., p. 130.



650 Francesca Rigori
prossimo rinnovamento). Lentamente, la ricostruzione del fenomeno utopico nel XVIII secolo diventa deliberatamente discontinua, proprio per permettere di cogliere al di là delle cesure — con un procedimento solo apparentemente contraddittorio — la permanenza delle mentalità dell’epoca. Ma è solo col volume del 1978 che il ventaglio degli interessi di Baczko si allarga fino a coprire, se non tutti, almeno molti più piani del linguaggio utopico: si recupera cosi ancora l’aspetto politico e filosofico (con l’esame delle Considérations sur le gouvernement de Pologne di Rousseau e del Vrai système di dom Deschamps, capp. II e III), e quello storico (con l’accostamento dell’utopia della storia-progresso in Mercier, Condorcet, nell’abate di Saint-Pierre, cap. IV), ma si guarda anche a campi tradizionalmente meno esplorati: le feste, l’architettura, il calendario rivoluzionario. Nel caso di questi ultimi aspetti, il limite cronologico sotto il quale vengono esaminati si sposta in avanti fino a investire il periodo rivoluzionario, allorché le utopie, iscrivendosi nelle mentalità e nelle ideologie, diventano le idee-forza che mobilitano le energie collettive9. E se alcuni aspetti vengono trascurati (tra i grandi assenti, che l’autore dichiara di non aver potuto studiare, il tema dell’educazione, quello delle scienze, quello dei linguaggi immaginari e della linguistica visionaria, per non parlare del sistema carcerario e della sessualità), ciò accade perché non si è avuto il tempo e lo spazio per esaminarli, non perché non se ne riconosca la fondamentale importanza.
In un saggio del ’74 Baczko aveva messo in rilievo l’aspetto utopistico presente in Marx, chiedendosi se, avvicinandolo a dom Deschamps, non sarebbe forse possibile rischiarare la sua idea-immagine di una società che sarebbe la vera fine del conflitto tra l’uomo e la natura e tra uomo e uomo 10. In queste pagine invece si mettono in rilievo gli aspetti di continuità e di rottura tra le utopie dei lumi e il socialismo scientifico in un’altalena perfettamente combinata dove ad ogni eredità corrisponde specularmente una trasformazione, benché risulti chiaramente che, pur con tutte le modifiche del caso, la visione globale della comunità del futuro incide fortemente sul discorso politico di Marx-Engels, i quali erano senza altro disposti a riconoscere alle utopie la manifestazione dei sentimenti profondi delle masse oppresse.
In un altro caso (le « frontiere »), l’utopia, per definizione rappresentazione totalizzante e distruttiva dell’alterità sociale, viene classificata ancora una volta da Baczko come luogo privilegiato dell’immaginazione sociale, che costruisce la rappresentazione utopica servendosi delle immagini del quotidiano e traducendola in una forma specifica (il viaggio immaginario piuttosto che un progetto di legislazione) e in un linguaggio particolare (politico, architettonico, pedagogico...). Caratteristica del discorso utopico detto,
9 B. Baczko, Lumières de Lutopie, cit., p. 8.
10 B. Baczko, Utopie et histoire, cit., p. 144. Ma, aggiunge l’autore, « il ne faut pas oublier que, chez Marx, le discours utopique est subordonné à celui qui véhicule le projet révolutionnaire ainsi qu’au discours historique proprement dit».



651 L'utopia settecentesca
quello che noi ora possiamo studiare, è di essere il prodotto di una cultura savante, delle élites. Non se ne trova traccia nella letteratura per il popolo, anche se si può ipotizzare l’esistenza di una forma di utopia popolare, che non arriva a tradursi in forma discorsiva elaborata (presente per esempio nei sogni di uno Stato senza imposte nelle rivolte contadine del XVII secolo).
Tuttavia, le analisi che abbiamo definito « innovatrici » all’interno del discorso sull’utopia di Baczko (le feste, il calendario rivoluzionario, l’architettura) offrono, più dell’analisi politico-filosofica classica, uno spaccato della partecipazione popolare alla coralità del sogno utopico. Se infatti chi pensava l’organizzazione delle feste, la riforma del calendario, l’edificazione di monumenti che facessero presenti i mutamenti apportati dalla Rivoluzione, erano pur sempre membri delVintelligencija, chi fruiva del prodotto, o forse lo subiva, erano ampi strati della popolazione francese, soprattutto, ma non esclusivamente, parigina.
È il caso della riforma del sistema metrico e del calendario, quest’ultima più astratta e più ideologicamente carica della prima, in quanto mentre con la diffusione del sistema metrico decimale si introduceva un canone di universalità laddove esisteva una profonda diversità nei pesi e nelle misure, con la creazione del calendario rivoluzionario si sostituiva una nuova divisione del tempo ad un’altra che già era di per sé universale dal momento che veniva utilizzata dall’intero mondo cristiano. In questo senso la riforma del calendario era investita di una forte carica utopica, in quanto doveva marcare una profonda rottura con la storia quale si era fatta fino a quel momento, e sottolineare l’irreversibilità di questa rottura. Ed è anche il caso delle feste, che sono anzi il luogo privilegiato di iniziazione delle masse al simbolismo rivoluzionario, mentre forniscono un supporto simbolico al potere che cerca di imporsi e di trovare una propria configurazione percepibile anche visivamente. La festa letta attraverso gli archetipi dell’utopia diventa cosi un modello di sociabilità, si oppone alla festa che già esiste (e che anzi ha un peso più che rilevante nella società di ancien ré girne) e diventa la prefigurazione di una società altra, presente, se non nella realtà, nel sogno e nell’immaginazione 11. Così, nelle pagine dedicate alla ricostruzione delle giornate di festeggiamento, Baczko scioglie e riannoda continuamente i fili che legano fra di loro festa, rivoluzione e utopia, insistendo sull’immagine che tutte e tre rappresentano di un «mondo alla rovescia» («monde à l’envers »). L’utopia, come la festa e la rivoluzione, introduce il clima di un nuovo universo sociale, perché opera in uno spazio e in un tempo estranei e diversi rispetto al campo della vita quotidiana e della storia. La stessa
11 La bibliografia sulle feste nel XVIII secolo si è arricchita ultimamente di nuovi titoli; segnaliamo solo i volumi più recenti in proposito: Mona Ozouf, La féte révolutionnaire. 1789-1799, Paris, 1976 e Michel Vovelle, Les métamorphoses de la féte en Provence de 1750 à 1820, Paris, 1976. F. Mastropasqua, Le feste della Rivoluzione Francese 1790-1794, Milano 1976. Cfr. anche B. Baczko, Lumières de Luto pie, cit., pp. 236-237.



652 Francesca Rigotti
alterità rispetto alla storia Baczko la riscontra nell’immaginazione delle città utopiche, che è uno dei due poli sotto cui viene visto l’urbanesimo immaginario, l’altro polo consistendo nei progetti architettonici di ristrutturazione di Parigi, la città rivoluzionaria per eccellenza.
La città utopica (Séveriade, Leliopolis, Selenopolis, Lunol...) corrisponde all’esigenza di trasparenza, di armonia, di classificazione, che regola la vita della società che essa ospita nelle sue strade e nelle sue abitazioni. Ma l’altro aspetto di tale esigenza, più concreto, sta nel desiderio di veder mutare la città francese del XVII e XVIII secolo. Non si spiega altrimenti la richiesta di pulizia, di acqua corrente, di verde, di aria salubre, di strade ampie e luminose che pervade, come illustra Baczko, le pagine degli utopisti. Le strade diritte e spaziose che sfociano su vaste piazze, seguendo un ordine e un’armonia perfetti, programmate secondo un criterio di distribuzione e di classificazione analogo a quello che il secolo cercava di imporre all’intero campo dei fenomeni naturali e sociali12, simboleggiano la spazializzazione di un intero sistema di valori sociali, etici ed estetici. Sono città limpide e sane, sotto i due aspetti morale e fisico. Ma per ottenere questo risultato occorre, come si è detto, che la città non abbia storia; non storia passata, per il retaggio di ricordi e di influssi negativi che porta con sé, e per le sovrapposizioni e le incrostazioni determinate dal caso o da decisioni prese senza direttive; ma nemmeno storia futura: come la società, cosi la città utopica si riproduce rimanendo identica a se stessa. Crescite demografiche e urbanistiche non sono previste in un tipo di realtà che rispecchia la perfezione. E la perfezione non può diventare « più perfetta » di quanto già sia.
Ed è sempre nella dimensione utopica che Baczko affronta il secondo polo dell’urbanesimo immaginario, cioè l’attività degli architetti visionari del XVIII secolo (Boullée e Ledoux soprattutto), non in quella della storia dell’arte e dell’architettura, benché si tratti di personaggi che esercitano una professione specifica come architetti13.
Eppure, l’architettura rivoluzionaria è « un capitolo della storia dell’utopia nell’illuminismo », nella misura in cui i maestri di quest’arte si orientano verso orizzonti utopici. L’architettura rivoluzionaria deve essere utile, funzionale, nel duplice intento di costruire edifici convenienti alle loro funzioni, e di trasmettere un messaggio etico. Quale costruzione migliore, per trasmettere tali caratteristiche, dei monumenti e degli edifici pubblici? Attraverso di essi è infatti facile comunicare una forte carica simbolica
12 Cfr. Michel Foucault, Les mots et les choses, Paris, Gallimard, 1966, cap. V (Classer), pp. 137-176.
13 È soprattutto, se non esclusivamente, come protagonisti della storia dell’arte e dell’architettura che questi autori sono infatti studiati, sebbene l’affrontarli dal punto di vista della storia delle idee o della storia sociale possa — come dimostra il lavoro compiuto su di essi da Baczko — portare nuovi e importanti contributi. In italiano — ma si tratta di traduzioni dal tedesco — si vedano, su E. L. Boullée, i recenti: Klaus Lankheit, Il tempio della ragione, Milano, 1977, e Adolf Max Vogt, Il cenotafio a Newton, di Boullée, Milano, 1977.



653 Lf utopia settecentesca
che esalta i grandi valori e le grandi virtù attraverso un gioco di rappresentazioni.
Come nel caso della festa, dove il rapporto con l’utopia era di continua mutua intersezione (« utopia della festa » e « festa in utopia »), anche per l’architettura non si tratta di sovrapposizione, ma di gioco di reciproci scambi con l’utopia:
Les idées et les images utopiques ne se surajoutent pas à Yarchitecture révolutionnaire dans un discours second. Le discours sur l’architecture, les commentaires aux projets et les développements esthétiques abondent, certes, en images utopiques ou en allu-sions à l’utopie. Cependant la dimension utopique de cette architecture ne se situe pas uniquement ni mème principalement à ce niveau. L’aspiration vers une société autre, dans laquelle cette architecture exercerait pleinement sa fonctionnalité [...] est inhérente au « discours architectural » lui-méme. L’aspiration à l’utopie habite et anime les projets eux-mème, est énoncée dans leur langage spécifique, celui de Yordonnance des masses. C’est en renouvelant l’imaginaire en architecture et dans son langage propre que les architectes visionnaires s’orientent dans une direction où leurs visions devaient nécessairement encontrer les images et les réves d’une société autre14.
Sogni ancora una volta di città trasparenti e luminose, regni della virtù trionfante, luoghi educativi che introducono ai valori morali della vita collettiva, ma sogni in gran parte non realizzati, se si pensa che all’enfasi della immaginazione facevano riscontro le difficoltà materiali dell’organizzazione, cosi che monumenti e decorazioni, pensati in marmo e in bronzo perenni, erano poi eseguiti con materiali effimeri e facilmente deteriorabili, gesso, tela, pittura... Partito dal paradigma classico del viaggio immaginario, Bronislaw Baczko è approdato dunque a istituire confronti con altre sezioni dell’immaginario sociale, la cui caratteristica comune sta però pur sempre nella distanza presa dalla società (e dalle sue raffigurazioni) stabilita, nell’esigenza di rottura con il presente e nell’aspirazione ad una società altra.
In merito agli studi di Baczko sull’utopia sono state avanzate osservazioni critiche analoghe a quelle espresse nei confronti del suo volume su Rousseau. Nel saggio introduttivo ad una recente antologia del pensiero utopista nel secolo dei lumi15, Sergio Bartolommei dedica alcune pagine ad una breve rassegna storiografica degli studi sull’utopia. Soffermandosi ad analizzare i lavori di Baczko 16, Bartolommei osserva, in sintonia con Diaz, che « la concezione globalistico-sistematica dell’utopia, l’interesse per la rilevazione di un senso storico-esistenziale complessivo del testo utopico »17 finiscono per portare ad un prevalere del complessivo sullo spe-
14 B. Baczko, Lumières de l’utopie, cit., p. 347.
15 Illuminismo e utopia. Temi e progetti utopici nella cultura francese (1676-1788), a cura di Sergio Bartolommei, Milano, 1978.
16 Le osservazioni del curatore non sono dirette, per owii motivi cronologici, al volume del 1978, ma al saggio comparso sulle « Annales » nel 1971 (B. Baczko, Lumières et utopie, cit.).
17 Illuminismo e utopia, cit., p. 17.



654 Francesca Rigotti
cifico: si assisterebbe cosi ad una perdita di specificità del fenomeno storico, ad una atemporalità degli eventi, dovuta allo sguardo contemporaneo e quasi ammiccante dell’osservatore. Quasi che la « simpatia » dello storico dell’utopia con l’oggetto del suo studio ne costituisse una connotazione negativa e determinasse una scarsa garanzia di scientificità. Si assisterebbe addirittura ad uno « scivolamento soggettivistico » laddove l’autore « sembra individuare in un’astratta e immobile "sensibilità collettiva” il supporto [...] di ogni rappresentazione utopica»18. In realtà, come già si è detto, la partecipazione soggettiva dell’autore ad ogni progetto sociale alternativo soggiacente all’utopia non toglie nulla alla ricostruzione storica e neppure configura l’utopia settecentesca come concetto indeterminato e atemporale. Anzi, ricondurre nel suo secolo éclairé ogni pensatore utopista esaminato è compito che Baczko si propone costantemente di realizzare e che di fatto realizza. L’operazione è esplicitamente condotta sull’abate di Saint-Pierre, per esempio, che alcuni hanno voluto assimilare agli utopisti di un secolo dopo, su Saint Simon e Comte o, ancor piu dichiaratamente, su dom Deschamps, ben collocato, suo malgrado, in quel secolo che egli tanto criticava, considerandolo solo mi-éclairé, e che pure era il suo.
Di tutt’altra natura sono dunque le osservazioni imputabili agli studi di Baczko: in particolare, si nota uno scarto relativamente alle premesse/pro-messe metodologiche introduttive e conclusive, ed il modo in cui la ricerca è condotta. Si è accennato all’inizio ad uno spostamento di interesse, dichiarato dallo stesso Baczko, dal campo della history of ideas a quello della histoire des mentalités. Ebbene, caricati di queste aspettative, si inizia la lettura pensando di trovarsi di fronte ad una analisi delle mentalità collettive, e se ne esce, si suggestionati e arricchiti dal bagaglio di nuove acquisizioni ed approcci, ma sempre con l’impressione di avere invece avvicinato un saggio di storia delle idee.
Le punte emergenti che vengono prese in considerazione sono per la maggior parte immagini librarie e dotte della forma, aspetto, linguaggio, concetto utopico. L’immaginazione collettiva che ci si aspettava di vedere esaminata rimane a valle, insieme con gli aspetti quantitativi e « sociologici », benché tanto caratteristici della storia delle mentalità. A risaltare è sempre quasi esclusivamente un « crinale » di concetti. Ci si chiede cosi — anche se il fatto di stimolare questi interrogativi è senz’altro un pregio del volume e ne testimonia l’interesse — al di là delle « forme » utopiche (siano esse letterarie e figurative), chi fossero questi utopisti o « visionari », in che cosa si differenziassero dai philosophes (probabilmente in nulla, giacché i due ruoli o le due forme di pensiero spesso coincidevano, anche se la storiografia ha diligentemente provveduto a farne due entità distinte 19), quali interessi o repulsioni provocassero nel pubblico che li leggeva, da chi era costituito questo pubblico.
i8 Ibid.
19 Questa impostazione è particolarmente accentuata da Charles Rìhs, che nel suo



655 L'utopia settecentesca
L’assenza di una qualsiasi risposta a questo tipo di interrogativi contribuisce a quella classificazione del saggio all’interno di una storia delle idee di stampo classico, in cui le idee-forza sono esaminate con cura in una prospettiva interdisciplinare molto ricca, ma dove l’aggancio con la realtà politica e sociale rimane vago e poco delineato. Quest’ultima osservazione trova giustificazione nell’assenza di un qualsiasi rapporto tra le utopie e le riforme. Perché, se il secolo è « caldo » di utopie, lo è anche di progetti di riforme, realizzati o meno. E allora, ci si chiede, qual è il rapporto tra riforma e utopia, esiste anche in questo caso (probabilmente sì) un gioco di interazioni e di rimandi reciproci? Non basta infatti definire la prima come uno sforzo di modificare e la seconda come un’aspirazione a rovesciare completamente la realtà politico-sociale esistente. In particolare, la distinzione non può non essere effettuata nel caso della Rivoluzione, durante la quale utopie e proposte di riforma sociale convivono assieme con confini talvolta assai labili, ma che è interessante conoscere e indispensabile tracciare. È in questo caso, o in quello forse ancor più clamoroso di una assenza di periodizzazione interna al secolo, che si può scorgere una certa disomogeneità o peggio una indeterminatezza di contorni che vanno a tutto discapito della chiarezza della ricostruzione del quadro di insieme. Insomma, se l’analisi dell’utopia del secolo dei lumi compiuta da Baczko è di una ricchezza e soprattutto di una vivacità senza precedenti rispetto ai risultati raggiunti in questo campo di studi, si riceve da queste pagine l’impressione che il problema politico, che era poi quello che scatenava l’immaginazione utopica, sia sottovalutato.
L’attenzione prestata alFalterità, alla società altra, porta a dimenticare la realtà e la società presente, talché si ha l’impressione che non solo gli utopisti, ma anche le utopie, nascano dal nulla, o meglio da un generico senso di insoddisfazione. Ma dire che utopia e scontento del reale viaggiano insieme come compagni inseparabili non aggiunge molto di più alla nostra conoscenza, laddove invece un aggancio diretto con la situazione politica — e qui si fa più viva l’esigenza, già espressa, di una periodizzazione del troppo unitario Settecento, troppo spesso tenuto malamente assieme dalla metafora dei lumi, — permetterebbe una comprensione più profonda di questi sogni e vagheggiamenti degli uomini del XVIII secolo, che talvolta ci sembrano fatti su misura per noi e talaltra ci paiono incomprensibili e incredibilmente lontani dal nostro modo di pensare.
Les Philosophes utopistes. Le mythe de la cité communautaire en France au XVIII* siècle, Paris, 1970, sottolinea il contrasto tra philosophes e utopisti riconducendolo all’estrazione nobiUare-borghese dei primi e alla nascita popolare dei secondi; tali origini li avrebbero portati a immaginare rispettivamente progetti di riforma e di razionalizzazione della società, e vagheggiamenti di trasformazioni radicali in senso comunitario.