Le famiglie di Gheel: Utopia, tradizione e storia nel trattamento della follia

Item

Title
Le famiglie di Gheel: Utopia, tradizione e storia nel trattamento della follia
Creator
Renzo Villa
Date Issued
1980-07-01
Is Part Of
Studi Storici
volume
21
issue
3
page start
503
page end
526
Publisher
Fondazione Istituto Gramsci
Language
ita
Format
pdf
Relation
Storia della follia nell'età classica, Italy, Rizzoli, 1963
Rights
Studi Storici © 1980 Fondazione Istituto Gramsci
Source
https://web.archive.org/web/20230921155701/https://www.jstor.org/stable/20564726?searchText=Foucault&searchUri=%2Faction%2FdoBasicSearch%3FQuery%3DFoucault&efqs=eyJsYV9zdHIiOlsiYVhSaCJdfQ%3D%3D&sd=1975&ed=2000&pagemark=eyJwYWdlIjoxMywic3RhcnRzIjp7IkpTVE9SQmFzaWMiOjMwMH19&groupefq=WyJjb250cmlidXRlZF90ZXh0Iiwic2VhcmNoX2NoYXB0ZXIiLCJjb250cmlidXRlZF9hdWRpbyIsInJlc2VhcmNoX3JlcG9ydCIsInNlYXJjaF9hcnRpY2xlIiwicmV2aWV3IiwibXBfcmVzZWFyY2hfcmVwb3J0X3BhcnQiXQ%3D%3D&ab_segments=0%2Fbasic_search_gsv2%2Fcontrol&refreqid=fastly-default%3A35dfae6fafad77079616b4d41533150b
Subject
confinement
surveillance
discipline
normalization
pathological
biopower
exclusion (of individuals and groups)
moral systems
extracted text
LE FAMIGLIE DI GHEEL: UTOPIA, TRADIZIONE E STORIA (NEL TRATTAMENTO DELLA FOLLIA
Renzo Villa
Nel 1803 il prefetto del dipartimento della Dyle, Louis-Gustave Doulcet de Pontécoulant \ avendo constatato le condizioni di abbrutimento e segregazione in cui versavano i folli nella capitale del dipartimento, Bruxelles, decise di inviarli a Gheel2. Entra così nella storia amministrativa e statale del Belgio, e nella storia della psichiatria, questo piccolo e per più versi straordinario paese. Quasi ignorato o rapidamente ricordato nelle storie ufficiali e anche in quelle che hanno sviluppato una analisi critica della tradizione psichiatrica3, Gheel rappresenta a tutt’oggi l’esempio più importante — per quantità di assistiti e durata temporale del fenomeno, quasi un millennio — anche se non unico4 di assistenza non istituzionalizzata di folli.
Queste note si propongono di tracciare una rapida analisi dei problemi che Gheel pone, informando sulla sua storia soprattutto in rapporto al giudizio che di tale esperienza si sviluppò nella psichiatria ottocentesca.
1 . Gheel5 è un agglomerato di borghi nella piatta pianura ad est di Ant-werpen, la Kempen-land6. Oggi (come del resto da sempre) deve la
1 Deputato della Convenzione, girondino, inviato come prefetto in Belgio da Bo-naparte nel 1800, Pontécoulant (Caen 1764-Paris 1853) fu poi senatore dal 1805. Modesto politico, moderato, fu tuttavia un corretto amministratore.
2 In due diverse tornate, il 30 termidoro XII (18 agosto 1803) e FU vendemmiaio XII (4 ottobre 1803) giungono un centinaio di malati: l’esempio sarà rapidamente seguito da altre cita belghe. Cfr. A. Henne, A. Wanter, Histoire de la ville de Bruxelles, Bruxelles, 1845, t. Ili, pp. 542-543.
3 Due esempi di tale sottoestimazione: in G. Zilboorg, G. W. Henry, Storia della psichiatria, Milano, 19732, un breve cenno a p. 516; M. Foucault, Storia della follia nella età classica, Milano, 19762, che ogni tanto accenna a Gheel, quando la inserisce nel rapporto folle-natura (pp. 374-375), dà informazioni dubbie e di seconda mano. Né altrove si trova di meglio.
4 È il caso di Lierneux, in Belgio, di Iwakura, in Giappone e sotto certi aspetti di Saragozza e alcune esperienze inglesi dell’800, i cottage-asylums.
5 In fiammingo Geel, ma tutte le trascrizioni fonetiche adottano Gheel.
6 Cittadina oggi di 30.000 abitanti su 10.859 ettari, si presentava nell’Ottocento molto più isolata, essendo il paese più vicino, Herentals, ad una quindicina di chilometri, più piccola (fra gli 8.000 e i 10.000 abitanti nell’arco del secolo) e



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sua notorietà al fatto che presso molte famiglie vengono ospitati uno o più folli, secondo modalità che vedremo. Anche se da circa un decennio è fatta oggetto di analisi da parte di una équipe di psichiatri, antropologi, sociologi e storici7, la sua tradizione, la complessità e varietà di elementi che essa pone in luce sono ancora poco studiati e la quasi totalità degli scritti ad essa dedicati non varca i confini, anche linguistici, del Belgio fiammingo8. Ciò non può che stupire: Gheel è infatti, sotto un certo aspetto, un « fossile vivente », uno spezzone ancora vivo di una tradizione di trattamento della follia che fu per secoli Tunica, o quasi, nell’Occidente9. È un reperto archeologico — per una archeologia della devianza — ma non solo: la sua esistenza è stata, per la psichiatria, la prova delle possibilità offerte da una assistenza e da un « trattamento » che negano uno dei dogmi classici della disciplina, almeno fino alla sua crisi recente, e cioè la pericolosità del folle.
Per questo, verificare la lettura che dell’esperienza di Gheel è stata fatta nell’età classica della disciplina psichiatrica, l’Ottocento appunto, può risultare alla fine un’operazione interessante. Poiché la pratica dell’assistenza familiare è molto più radicale della « liberazione dei folli » (questo luogo ormai tipico ed abusato delle storie disciplinari, critiche e non) e dello stesso no-restraint; mette in crisi e in discussione tutto l’atteggiamento che la società borghese ha avuto, e in gran parte ha ancora, verso la follia. Inoltre il fatto che la pratica di Gheel abbia subito mutamenti strutturali molto ridotti negli ultimi due secoli (al di là di miglioramenti abbastanza ovvi) e probabilmente anche nell’arco di un periodo più lungo, frammentata. Le frazioni (Aart, Hadschot, Kivermont, Millegen, Laar, Winkelom, Stelen, Liessel, Bel, Hazenhout, Zammel, Oosterlo, Poyel, Larum, Elsum, Rauwel-koven, Holven) non erano, come oggi, strettamente collegate, ma piuttosto distanti fra loro, da due a quattro chilometri. Il centro principale, Gheel appunto, era costituito da una strada su cui si affacciavano le case, delimitata dalle due cattedrali di St. Amands e St. Dymphna.
7 II Gheel Family Care Research Project è diretto da Leo Srole dell’Università di Columbia. Un primo gruppo di risultati di ricerca nel volume collettivo: Geel. Van Gisteren tot Morgne, Gheel, Lions Mol-Gheel, 1976. Un altro documento di questo crescente interesse è l’eccellente film Geel di Vincent Blanchet e André Van In. Documentario girato nel corso di sedici mesi di permanenza (nel 1978), testimonia in quasi due ore di proiezione i legami privilegiati che si formano all’interno di quattro nuclei famigliari che accolgono folli, sottolineando la ricchezza e la semplicità dei rapporti interpersonali. Purtroppo questo documento di notevole interesse è stato proiettato per poche settimane nel marzo 1980 in un cinema parigino, oltre che in circuiti alternativi belgi.
8 Oltre ai volumi citati in nota, si tenga presente l’annuario pubblicato nel 1961: « Jaarboek van de Vrijheid en het Land van Gheel », i numerosi studi sull’arte, la tradizione e la geografia locale, e la presenza di una Associazione degli storici di Gheel.
9 Poiché l’assistenza ai malati mentali posti in famiglia resta per tutto il medio evo e gli inizi dell’età moderna l’unica forma possibile e conosciuta di terapia. Tutto il tema è ancora da trattare in forma organica o anche attraverso studi dettagliati.



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sottolinea come anche in questo caso lo studio della follia, della devianza e della marginalità non possa essere articolato seguendo soltanto tempi storici ad esse esterni ma abbia anche suoi tempi di evoluzione. E in questo caso si tratta di tempi lunghi.
Prima di procedere ad una sommaria descrizione del trattamento, della realtà e della lettura di Gheel nell’Ottocento, è tuttavia necessario cercare le origini di questa tradizione. Essa risale al culto di una vergine e martire, Dymphna10. Il primo testo a cui è possibile fare riferimento è una vita della santa, scritta da un Pietro canonico di St. Uberto a Cambray nella seconda metà del XIII secolo e, a suo dire, raccolto dalla tradizione orale11. Il racconto si riferisce alle vicende della figlia di un re irlandese 12 che, profondamente addolorato per la morte della moglie bellissima, dà ordine di ricercare nel reame un’altra donna pari a lei per bellezza, da sposare. Ma la risposta è che nessuna è bella come sua figlia Dymphna 13 ed egli vuole sposarla. Convertita segretamente
10 Molte sono, evidentemente, le trascrizioni del nome; ho conservato la forma piu comune, adottata dai Bollandisti.
11 II manoscritto è pubblicato in Acta Sanctorum Maii, collecta, digesta, illustrata a Godefrido Henschenio et Daniele Papebrochio, Venezia, 1738, t. Ili, pp. 477-497. A questa edizione, quella classica dei Bollandisti, si fa tuttora riferimento: ritengo una analisi più specifica della tradizione, dei diversi manoscritti, delle vare fonti latine nel quadro interpretativo cui accenno più avanti, un compito di notevole interesse cui tenterò di adeguarmi. Ma anche a proposito di questi aspetti, come di altri, il tempo necessario per un compiuto svolgimento è notevole: ho allora preferito informare subito il lettore italiano di alcuni modesti risultati di lavoro, rinviando ad un eventuale ulteriore scritto analisi più dettagliate. Il testo afferma: « Cum ergo vilescere faciat sicut scitis materiam nobilem sermo vilis; dilectionem vestram deprecor obnixius, quatenus opus istud venerabilis Patris nostri Guidonis Cameracensium Pontificis aspectui presentetis; ut in eco quodcumque perspexerit incompositum sive rude, quod forsitan auditori possit facete ridiculum, aut legenti, diligenter eliminet; sicque sarmentis sterilibus amputatis uberius fructum ferat; ne dum per publicos aspectus transierit, temerarius appaream et insulsus » (p. 479). Secondo i Bollandisti editori del testo, il vescovo cui si fa riferimento può essere Guido de Collemendio, vescovo di Cambray (ove si trova la chiesa di St. Uberto) dal 1296 al 1302, o Guiardo detto anche Guido de Lauduno, vescovo dal 1238 al 1247.
12 « Quidam fuit in Hibernia Rex gentilis »: non si tratta di un riferimento di tipo geografico; piuttosto l’Hibernia rappresenta un mondo pensato come ancora pagano, marginale rispetto alla cristianità, una terra ai bordi. Una discussione delle possibili radici storiche in Irlanda si trova nelle pagine appassionate ma carenti dal punto di vista del metodo critico agiografico di J. O’Hanlon, Lives of thè Irish saints with special festivals and thè commemoration of holy persons compiled from calendars, martirologies, and various sources, relating to thè ancient Church history of Ireland, Dublin, Duffy and sons, s.d. (circa 1875), voi. V, pp. 284-374. L’autore ha raccolto qui il maggior numero di notizie sull’agiografia posteriore al XIII secolo che si presenta come molto abbondante ma poco variata. Sempre nella tradizione agiografica pre-critica si può vedere F. Henckenkamp, Die beilige Dymphna, Halle, 1887.
13 Secondo O’Hanlon, op. cit., p. 294 il nome irlandese Damhnait o Devnet sarebbe stato latinizzato in Dympna e poi Dymphna. Ma O’Hanlon ha confuso Dymphna



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al cattolicesimo dal suo confessore, Gerebern14, essa, dopo quaranta giorni di pressione paterna, fugge con il sacerdote, attraversa il mare, e giunge nelle Fiandre. Qui, all’interno, edifica un romitaggio: ma il padre la ricerca, la trova e dopo un concitato dialogo, uccide Gerebern e di sua mano decapita la figlia. Questo, in sintesi, il racconto che pone una serie di problemi storici e strutturali15. L’esegesi cattolica ha collocato anche questa vita fra le tante agiografie prive o quasi di fondamento storico, sottolineandone il carattere leggendario e mitico, oltre la stretta parentela con modelli di fiaba, come Pelle d'asino, e qui si ferma16.
Il problema non è tanto quello di chiedersi a quando risalga la tradizione, questione certamente di difficile risoluzione 17, quanto piuttosto di spiegare come mai questa storia sia stata, fin da origini altomedioevali e comunque dal XIII secolo, connessa alla follia 18. Dymphna ne era la con S. Damhnat, cosi come faranno più recentemente altri autori: si veda su questo aspetto critico P. Grosjean S.J., Hagiographica celtica, in « Analecta Bollandiana », 1937, 55, 3-4, p. 291, che dimostra la differenza fra le due. Dunque la tradizione di Dymphna dovrebbe circoscriversi al solo Belgio.
14 Alcune ipotesi sull’origine sassone del nome in Aa.Ss., cit., p. 479. Ma si vedano piuttosto i rigorosi saggi che toccano la questione dell’agiografia di Dymphna in L. Gougaud O.S.B., Les Saints irlandais hors d’Irlande, Louvain, Bibliothéque de la Revue d’histoire ecclésiastique, 1936; e L. Van Der Essen, Etude critique sur les Vitae des Saints mérovingiens de Vancienne Belgique: Recueil de travaux publiés par les membres des Conférences d’Histoire et de Philologie, Louvain-Paris, 1907.
15 Insufficientemente affrontati nell’ultimo lavoro sulla tradizione di Dymphna; M. De Bont, De H. Dimpna, in Geel. Van Gisteren tot Morgen, cit., pp. 467-476. Non ho potuto invece consultare un testo recente sulla vita di Dymphna, e cioè A. Verne, Fugitive Saint, Franworth (Bolton), The Catholic Printing Co, 1961, che non parrebbe tuttavia contenere elementi nuovi. Va semmai ricordato che il culto della santa è ancora oggi molto diffuso fuori dal Belgio, soprattutto negli Stati Uniti, per opera degli emigrati. Centinaia di lettere giungono tuttora ai canonici di St. Dymphna per messe e voti di guarigione dalla follia.
16 Accenni in questa direzione, ormai pacificamente accolti, negli scritti di H. De-lehaye S.J., Les origines des cultes des martyrs, Bruxelles, 1934.
17 Esistono, presso la cattedrale di St. Dymphna a Gheel, la cui costruzione ebbe probabile inizio nel XII secolo e terminò nel 1340 e che, date le difficoltà di costruzione e comunque la singolarità di un simile edificio per un piccolo paese, conferma la antichità della tradizione, due interessanti reperti. Il primo consiste nei frammenti di due sarcofaghi di età tardo romana in cui, secondo la tradizione, furono raccolte le spoglie dei santi. È, questa del ritrovamento dei sarcofaghi, una tradizione agiografica abbastanza comune. Il secondo reperto è un quadrato di stoffa rossa con un occhiello in un angolo e nell’altro la scritta Dymphna in caratteri carolingi. Questa stoffa veniva messa al collo dei folli mentre il sacerdote li esorcizzava. Il riferimento è evidentemente al sangue salvifico della vergine decollata. Al di là di una più approfondita analisi nulla vieterebbe di far risalire almeno al X secolo l’origine della tradizione.
18 La connessione con la follia, oltre che per la tradizione, il testo di Pietro di Cambray, le decorazioni della cattedrale, è ulteriormente confermata da un documento del 1286 che regola la presenza di un piccolo nucleo di frati e suore



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protettrice: a lei andavano in pellegrinaggio folli da tutte le Fiandre e anche da più lontano19, e di qui discende Fuso di accogliere prima presso la chiesa20, poi nelle case private, i pellegrini e poi coloro che, non miracolati (quasi tutti evidentemente), chiedevano di restare nel paese. Il racconto può essere avvicinato ad altri modelli per il contenuto (appunto Pelle d'asino), o essere letto negli elementi strutturali che lo compongono che possono essere riallacciati a tutto l’insieme dei racconti fiabeschi. La sventura, il distacco, il rifugio, la morte. Il martirio, anzi, funziona più come necessario sbocco religioso che come fatale e necessitata conclusione del racconto. Il ruolo tradizionale della fata è quasi trasformato e possiamo dire conservato in vitro nella silenziosa figura di Ge-rebern, che accompagna senza agire con funzione risolutrice, come è necessario in un racconto agiografico che riduce e riplasma, conservandone la struttura, la fiaba21. Il fatto che di struttura fiabesca si tratti non ci dice però ancora nulla per quanto riguarda le connessioni con la follia. Le interpretazioni sono a questo punto assai povere. Una si rifà al fatto che essendo Dymphna morta a causa del padre reso folle e/o . indemoniato, il suo martirio salva e guarisce appunto gli indemoniati22; l’altra sottolinea come l’orgoglio e l’impudicizia siano i peccati all’origine
a Gheel, per l’assistenza agli infermi folli provenienti da oltre il circondario: « ideoque, ut in hospitali de Ghele, quod ad laudem gloriosae Virginis Mariae et beatae Dymphnae, devotione ac munificentia nobilis viri Domini Henrici de Berthaut Militis, Domini de Ghele, ac aliorum Christi fidelium dignoscitur institutum, ut Domino in suis pauperibus sub unitate et obedientia regulari serviatur, consueta virorum Ecclesiasticorum et Religionis expertorum prudentia sic ordinando dispo-suimus ». Il testo, firmato Guilielmus de Hannonia Cameracensis Episcopus, si trova nel primo dei grandi in folio manoscritti: « Archieven der Kerk van S. Dympna tot Gheel » che raccoglie documenti dal 1270 al 1646. Seguo la trascrizione riportata in P.D. Kuyl, Gheel vermaerd door den eerdienst der Heilige Dimphna, Antwerpen, Drukkery, 1863, nella seconda parte, degli annessi (Bylagen), p. 22. Certo Dymphna non è la sola santa protettrice dei folli, né l’unica uccisa in seguito a desideri incestuosi. Ma la connessione rimane.
19 Sui pellegrinaggi a Gheel cfr. il recente K. Kóster, Religiose Medaillen und Wallfahrts-Devotionalien in der flamischen Buchmalerei des 15 und frùhen 16 Jahrhunderts, in Buch und Welt, Wiesbaden, Harrassovitz, 1965, pp. 459-504, che analizza appunto i libri d’ore e il tema del pellegrinaggio a Diiren, Grammont e Gheel.
20 II rituale fino al ’700 (cfr. De Bont, op. cit.) era il seguente: per nove giorni i malati assistevano alle funzioni religiose, ospitati presso un edificio adiacente la cattedrale, il nono giorno vi era la processione e i riti di esorcismo. Ogni malato passava sotto l’arco su cui erano depositate, in un’arca, le spoglie della santa: questo rituale ricorda l’uso di passare attraverso una fessura (di un albero ad esempio) per lasciarvi il male, rituale ampiamente conosciuto dagli antropologi. Nell’Ottocento i riti furono molto semplificati e nel 1960 l’ormai quasi folkloristica processione dei folli fu sospesa dalla Chiesa.
21 L’ovvio riferimento per una prima analisi in questa direzione è ai classici lavori di Propp.
22 È quella che accompagna tutta la tradizione agiografica, dagli Aa. Ss. in avanti.



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del comportamento paterno e della follia23. Ma queste interpretazioni si rifanno soprattutto, anzi esclusivamente, alla tradizione religiosa ed iconografica, piu tarda e comunque incapsulata dalla dottrina della chiesa, quindi ovvie e non tali da giustificare la scelta di quella, e non di altre, strutture fiabesche. La storia presenta, di per sé, una continuità di simboli sessuali che si rifanno e si coagulano intorno al nucleo centrale, costituito dal tabu dell’incesto. La spada del padre che uccide, il sangue che restituisce l’impuro alla comunità, il confessore asessuato che accompagna la vergine, l’attraversame.nto del mare, i quaranta giorni di reclusione prima della fuga. Tutti questi elementi si connettono intorno ad un duplice tentativo: il tentativo di incesto e il tentativo di fuga risolutiva: per entrambi la conclusione è la sconfitta e la morte. Il tentativo e la sconfitta segnano una colpa: ed è forse nella dinamica, nel rapporto tra incesto e colpa che va colto il nucleo originario da cui, per prevedibili sovrapposizioni ha origine quella sedimentazione dell’inconscio24 che poi elegge una struttura, una storia, a paradigma. Una formazione mitologica e paradigmatica dunque. Una colpa da cui non solo il folle deve mondarsi, ma l’intera comunità che in qualche modo ne è ancora partecipe. La follia non è qualcosa di totalmente estraneo, da rigettare; ha una radice piu profonda che appartiene a tutta la comunità. In qualche modo la comunità se ne fa carico25. È certo,
23 Cfr. A. C. Van der Cruyssen, Gheel, De Kolonie der Krankzinnigen, Antwerpen, Dovreese, s.d., che si ispira all’iconografia della santa come è rappresentata nella cattedrale di Gheel, in statue e dipinti del XVI e XVII secolo.
24 Di per sé il termine non indica niente: ma è il luogo, ancora ignoto, che fornisce significato ad una struttura e la rende mito.
25 II problema si presenta subito come estremamente complesso. Il tema dell’incesto è presente, oltre che nella tradizione religiosa, in quella agiografica in particolare. Esistono dunque due problemi: quello dell’interpretazione del fenomeno della tradizione della proibizione in un’epoca di transizione con l’alto medioevo, e quello dell’interpretazione della fabula agiografica con fonte antropologico-culturale. Per quanto riguarda il primo aspetto, è noto che la pratica e la proibizione dell’incesto padre-figlia sono presenti nella storia come nella tradizione occidentale (il tema può essere verificato in: S. Thompson, Motif-Index of Folk-Literature, Bloomington, Indiana, Indiana University Press, 1955, 6 voli.): hanno dunque una radice diffusa. Il secondo aspetto, cui qui non accenno neppure (un primo approccio, soprattutto bibliografico e sull’inquadramento metodologico generale in S. Boesch Gajano, Agiografia al tome dio e vai e, Bologna, 1976) suggerisce comunque una relazione fra comportamenti vietati e follia come devianza. Resta il nodo della colpa, purificazione e responsabilità collettiva. Troppo poco è stato studiato il problema dal punto di vista della società occidentale e della tradizione per potersi muovere con sicurezza (cfr. per un approccio molto discutibile, tutto giocato al di fuori della storia, F. Ceccarelli, Il tabù dell'incesto, Torino, 1978): resta il fatto che di colpevolizzazione si tratta e che in qualche modo essa ricade, proprio perché peccato « sociale », sulla comunità. Non voglio con questo affermare che i folli furono accolti a Gheel per questa dinamica, ma resto perplesso di fronte all’equazione: tradizione agiografica = occasionali miracoli = tradizione del pellegrinaggio e ruolo protettivo della santa. Se il motivo dell’accoglienza familiare è



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comunque, che da questo culto e dall’assenza di strutture tradizionali ha origine, a Gheel, la pratica di accogliere e nutrire i folli26.
Fino alle soglie del XIX secolo, a quella data del 1803 da cui eravamo partiti, due essenzialmente sono le serie di fonti cui fare riferimento. La prima è quella dei documenti su Gheel, la seconda quella miracolistica: non abbiamo infatti letture e testimonianze valide e significative della pratica stessa. Nel primo caso si tratta o di documenti ecclesiastici che, testimoniando della affluenza a Gheel27, applicano benefici particolari alla comunità religiosa, o di documenti civili che le attribuiscono particolari rendite28, o benefici, o lasciti. La lettura di questi documenti29 fornisce, nel complesso, il quadro di una situazione empirico-economico (ma occorrerebbe analizzare anche altre situazioni consimili) deve esistere tuttavia un nesso fra la tradizione della guarigione dei folli e la scelta della colpa del’incesto come colpa specifica.
26 Appunto nourricière è definita la famiglia che ospita il malato che è definito solo come nourricier comunemente e non in altri termini.
27 È il caso (un esempio fra i tanti, sostanzialmente simili) di una lettera del 1412 del papa Giovanni XXIII: «Cupientes igitur ut Capella S. Dympne Virginis et Martiris in parochia de Gheele, Cameracensis Diocesis situata, ad quam ob reverentiam Dei et B. Dimpne diversis anni temporibus Christifidelium concurrit multitudo non modica ipsaque S. Dympna sepissime ab utriusque sexus fidelibus invocatur et celeri remedio adjuventur et presertim demonibus vexati, quorum quam plures ad ipsam capellam confluunt et liberantur ipseque vexati, presertim pauperes non habentes unde vivere infirmitate durante quemadmodum intelleximus, nutriuntur, ad que continuanda Christifidelium elemosine, cum ipsa Capella paucis fructibus et proventibus gaudeat, sunt quamplurinum opportune »... ecc. in Kuyl, op. cit., Bylagen, p. 34.
23 Particolarmente interessante è una lettera di Carlo V, datata Bruxelles, 26 dicembre 1549, che merita di essere riportata nel passo principale: « Comme da la part de notre ami et leal chevalier conseiller et chambellan, Messire Jean, seigneur de Merode, Leefdale, Gheele et Westerloo, nous ait esté remonstré que feu Henry Berthout, en son vivant seigneur du dit Gheele auroit cy-devant a la louenge de la gloriese vierge Marie et Sainte Dympne fondé et institué certain hospital illec erige et confirmé Fan mil deux cens quatre vingts et six par feu Guillaume de Haynnau lors eslev et confirmé evesque de Cambray pour y demeurer trois freres et chincq seurs religieuses, lesquelles estoyent tenues traitter et garder les povres et malades du dit Gheele et d’autres lieux circonvoisins comme appert plus aplain par les lettres d’erection sur ce despeschécés, toutefois comme les biens appartenans au dit hospital pour sur iceulx entretenir les dits religieux ensemble les povers et malades soyent depuis tellement perduz et obscurcis, tant au moyen des guerres que autrement (si qu’il fait a presumer) par succession de temps que la reste qu’on trouve appartenir au dit hospital ne sauroit porter au plus hault que environ cent et dix florins par an, Fon n’auroit de long temps observé en icelly hospital aucune forme de religion et si n’auroyent les povres malades este traictez ne receuz selon Finstitution, fondation et erection du dit hospital, qui tourne en préjudice des manans et povres de la dite franchise de Gheele estans en grant nombre et ou souventiffois regne la peste ». Cfr. Kuyl, op. cit., pp. 343-344.
29 Come già ricordato, la fonte principale è data dai volumi degli Archivi della chiesa di St. Dymphna. Il primo volume raccoglie documenti dal 1270 al 1646; il secondo documenti minori e un calendario delle attività per lo stesso periodo;



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difficile, prevalentemente centrata sull’attività religiosa che è l’unica a controllare e probabilmente spesso a remunerare direttamente i contadini che albergano i folli, dato che l’« ospedale » è sempre stato un annesso piuttosto piccolo e il numero dei religiosi molto ridotto.
Chi veniva a Gheel, e di cosa soffriva? Una analisi precisa e compiuta delle fonti, che pure ci forniscono alcune, anche se labili e limitate, osservazioni, non sembra essere ancora stata fatta30. Certamente, dalla raccolta dei miracoli e da altri documenti, risulta che tutte le classi sociali erano proporzionalmente rappresentate; mentre coloro che erano albergati erano probabilmente, anche per le condizioni del ricovero, appartenenti a famiglie povere, pur se non del tutto prive di risorse.
2 . Il quadro che invece possiamo ricavare per quanto riguarda la situazione nel corso dell’800 è molto meno lacunoso e, sotto diversi aspetti, perfino dettagliato. Cercherò di riassumerlo nei suoi aspetti più significativi, interpretandolo anche alla luce della situazione attuale che ci offre numerosi stimoli e argomenti di riflessione.
Una certa regolamentazione del trattamento familiare si era avuta già prima del 1800: un’ordinanza del 1676, ad esempio, si dimostra preoccupata di evitare eventuali pericoli31, altre, nel 1747 e 1754, ordinano la registrazione dei folli32 : è ancora assente, tuttavia, un intervento
il terzo si riferisce al periodo 1538-1628; il quarto dal 1559 al 1644; il quinto dal 1646 al 1656; il sesto dal 1665 al 1689; il settimo dal 1709 al 1729; l’ottavo dal 1730 al 1739 e appendici successive; il nono documenta la Confraternita di St. Dymphna dal 1636 al 1699; il decimo raccoglie la documentazione relativa ai canonici della cattedrale.
30 Si sono occupati del tema: P. Maison-F. Meens, Notes sur le Gheel ancien, in Congrès International de Vassistence des aliénés et spécialement de leur assistance familiale, Antwerpen, 1903 (testo molto sintetico e relativamente superficiale); H. M. Koyen, Gezinsverpleging van Geesteszieken te Geel tot Einde XVIII eeuw, in « Jaarboek van de Vrijheid en het Land van Geel », 1973, 12 (soprattutto sugli aspetti amministrativi); K. Veraghtert, De Overheid en de Geelse Gezinsverpleging, 1660-1860, in « Annalen van de Belgische Vereniging voor Hospitaalgeschiedenis », 1969, 7, 115-127 (il testo è ripreso integralmente nel più avanti citato De Krankzinni-genverpleging te Geel e si limita comunque agli aspetti relativi ai regolamenti); M. H. Koyen-M. De Bont, Geel door heen de Eenwen Heen, Gheel, 1975 (lavoro riassuntivo e complessivo, poco problematico dal punto di vista della storia della follia).
31 Essa afferma che il borgomastro e gli scabini « ordinano che tutti coloro che albergano folli o scemi (crancksinnighen ofte sotten) li legheranno piedi e mani in modo che non possano nuocere ad alcuno, sotto pena di responsabilità di colpe o pericoli » e inoltre « gli impediranno di entrare nella chiesa di St. Amandt sotto pena di una ammenda di 6 fiorini ». Il testo del 16 febbraio 1976 è riportato in K. Veraghtert, De Krankzinnigenverpleging te Geel (1795-1860), in «Jaarboek van de Vrijheid en het Land van Geel», 1972, 11, pp. 4-148, p. 131.
32 Stabilisce inoltre una sorta di coprifuoco dalle 16 alle 8 dal 1 ottobre a Pasqua. Queste ordinanze sono di difficile interpretazione: segnavano limiti a causa di comportamenti negativi o rappresentavano un aspetto cautelativo? In mancanza di testimonianze è difficile dirlo. Entrambe si trovano in appendice al lavoro di Karel Veraghtert, De Krankzinnigenverplaging..., cit.



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medico ed amministrativo vero e proprio. Questo tipo di preoccupazione si afferma relativamente tardi, in sintonia con tutta l’attività di regolamentazione, in Belgio, della follia e delle strutture di reclusione, ad opera soprattutto di Guislain e di Ducpétiaux. Ma Gheel è un caso anomalo, valutato in modo ambiguo, contradditorio e imbarazzato, come vedremo piu avanti.
Antecedente ad una sistemazione statale della tradizione di Gheel e piuttosto nella direzione di una regolamentazione tendente ad adeguare e riattualizzare le ordinanze di mezzo secolo prima, è il testo emanato dalla Prefettura di Anversa 1’11 febbraio 1811. Esso si compone di quindici articoli e di un preambolo assai significativo, che afferma: « Considerando che da un tempo immemorabile, gli individui affetti da demenza sono stati ricevuti a Gheel, sia negli ospizi sia presso i privati di questa città. Che è acquisito che Faria pura, le acque salubri del suo territorio, l’esperienza acquisita dagli abitanti per le cure che questo genere di malattia esige, contribuiscono a ristabilire la ragione degli individui che ne sono privi o a rendere meno dolorosa la loro esistenza. Che tuttavia fino ad ora nessuna sorveglianza diretta è stata esercitata né sui pensionati né su coloro che li ricevono, e che c’è da credere che alcuni di questi abusino della tolleranza troppo estesa che gli sarebbe accordata »33, si stabilisce la presenza di un medico, di un registro presso il commissariato di polizia e di una commissione (formata dal sindaco, dal medico, dal curato, dal commissario di polizia e dal membro anziano della Commissione amministrativa degli ospizi) con compiti di sorveglianza. Il medico verrà pagato trattenendo un decimo della pensione versata dai parenti dei malati e dalle amministrazioni che li inviano a Gheel. Tale tipo di regolamentazione varrà fino al 1838. In questa data gli amministratori di Gheel chiedono al governatore l’invio di medici per cercare di garantire una migliore assistenza e, contemporaneamente, varano un regolamento interno che ha per obiettivo la difesa del folle da possibili soprusi e vieta praticamente l’uso di strumenti di contenzione. Il Belgio, dopo 12 anni dalla legge francese34 e ad essa ispirandosi, vara una regolamentazione generale per quanto riguarda manicomi e aspetti giuridici della follia, il 18 giugno 1850. L’articolo 6 di questa legge stabilisce la promulgazione successiva di regolamenti particolari per Gheel e altre eventuali colonie. Il regolamento è successivamente emanato il 1° maggio 1851. Stabilisce la presenza di una commissione superiore con poteri amministrativi e di una commissione permanente con funzioni prevalentemente mediche e di controllo. Inoltre stabilisce la costruzione di una infermeria e la presenza costante di un medico ispettore. Mentre la costruzione della prima avverrà piuttosto lenta-
33 Cfr. K. Veraghtert, op. cit., p. 133.
34 Una dettagliata ed intelligente analisi della legge francese è ora in R. Castel, L'ordre psychiatricque. L'dge d'or de ralienisi e, Paris, Minuit, 1976 (trad. it., Milano, 1980).

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mente35, la funzione dei secondi (successivamente Parigot, Bulckeens e Peeters) è confermata dai loro rapporti, dalle prime statistiche organiche e dagli scritti in difesa appassionata della colonia. Si può dire che la situazione da allora non sia sensibilmente mutata: Tinfermeria con funzione di filtro e minimo appoggio terapeutico; il medico e soprattutto gli infermieri in funzione di controllo ed eventuale aiuto. In realtà questi elementi amministrativi rapidamente ricordati confermano come nei confronti di Gheel lo Stato abbia agito con estrema cautela, trovando molto più economico e comodo limitare gli interventi e lesinare gli aiuti economici36.
Questa scelta può essere letta su due registri. Il primo è quello che non trovandosi espressa, a Gheel, la funzione repressiva ed esemplare delle istituzioni psichiatriche, non esisteva, né esiste, il problema di renderla funzionale, di piegarla a questo disegno, quindi di intervenire più o meno pesantemente come, di fatto, richiedevano gli psichiatri « ufficiali ». Lo Stato non insegue cioè un disegno di medicalizzazione spinto fino all’eliminazione, economicamente dannosa, dell’esperienza e si limita ad osservarla. Il secondo registro è dato dal fatto che proprio in ragione della sua unicità Gheel può sfuggire al destino di essere inglobata nelle istituzioni totali e, anzi, essa può essere utilizzata per dimostrare la sostanziale inutilità terapeutica del manicomio.
Su Gheel cioè, al di là di una vicenda e di scelte amministrative che tuttavia non possono che essere lette in primo luogo in queste chiavi, si assiste alla massima divaricazione fra discorso dello Stato e discorso dei medici che si erano e si sono invece fusi nel considerare esemplare l’avvenimento della follia: il primo a dimostrazione della totalità del suo intervento, i secondi per trovare uno status e una funzione sociale. L’elemento dissonante costituito da Gheel naturalmente non è in grado di proporsi e affermarsi, né gli stessi estimatori avrebbero i mezzi teorici e critici necessari per rivoltarlo sul paradigma psichiatrico, come dato alternativo. Esso tuttavia persiste e viene lasciato vivere.
In questo quadro l’elemento assolutamente dominante è dunque la famiglia nourricière. Prima della scelta del 1803, gli ospitati venivano condotti alle famiglie — con un minimo controllo delle autorità, ma soprattutto sulla base di un insieme non scritto di regole abbastanza rigide —
35 Nel corso degli anni ’60: Finfermeria è il luogo in cui i pazienti, inviati dai comuni, o dai manicomi o dalle famiglie, restano in osservazione alcuni giorni prima di essere inviati alle famiglie e vengono condotti in casi di particolare gravità o per il rifiuto o per l’impossibilità da parte del nourricière di mantenerlo. Successivamente è chiamata Rijkskolonie. Oggi è il Rijkspsychiatrisch Ziekenhuis Centrum voor Gezinsverpleging.
36 Più che lo Stato, sono i comuni invianti che dovrebbero pagare i contributi per i folli più poveri, che sono la maggior parte. Ma anche in Belgio le lungaggini burocratiche pesano sulla rapidità di questi rimborsi. In ogni caso con il regolamento del 25 gennaio 1874 ogni autorità sui folli è sottratta al comune di Gheel ed è affidata direttamente al governo nazionle.



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direttamente dai religiosi o dalle famiglie dei folli. Queste pagavano una pensione, sostanzialmente a seconda delle proprie possibilità. Dopo di che il folle, affidato alla nuova famiglia, veniva trattato e mantenuto, secondo le testimonianze, come un membro della famiglia, come un bambino senza responsabilità e in condizioni di vita uguali a quelle degli ospitanti. In seguito, i manicomi, i comuni e l’infermeria funzionarono da filtro, respingendo coloro che venivano giudicati incurabili ed evitando gli « incendiari » o casi di intrattabilità (tendenze omicide o suicide) che, comunque, hanno sempre costituito una minoranza e molto spesso, o sempre, la reazione ad un ambiente, a relazioni specifiche. Il folle dunque, accolto nelle famiglie che soprattutto per tradizione propria, ormai secolare, lo accettava, entrava a far parte di questo nuovo nucleo. Sul piano pratico l’ospitalità ha seguito l’evoluzione storica ed economica di Gheel. Ancora nella prima metà dell’Ottocento l’abitazione consisteva in una grande camera, confinante con il granaio e la stalla e all’ospite era riservato un incavo o un piccolo giaciglio. Era abbastanza frequente l’uso di dormire in comune se il malato era in, grado di mantenersi pulito. L’assistenza non aveva limiti di tempo: per la maggioranza il soggiorno era di tutta la vita, al massimo intervallato da peraltro rarissime visite ai parenti. Solo la morte chiudeva e chiude tuttora il rapporto fra il folle e la famiglia nourricière. O la guarigione: evento non del tutto raro, come vedremo.
Molto si è discusso sul rapporto fra la famiglia nourricière e il folle. Che in questo rapporto esistesse ed esista tuttora 37 un movente economico è fuori di dubbio. Il pensionato apportava denaro liquido che contribuiva notevolmente al bilancio della famiglia38 anche se Gheel non ha mai avuto e non ha tuttora un livello di qualità della vita superiore a quello di altri paesi vicini, e anche se è sempre stata costante la lamentela di un troppo basso livello di remunerazione. Un altro aspetto economico è relativo al lavoro del malato, utilizzato dalla famiglia.
Certamente l’aiuto offerto dal malato nell’economia domestica o nel lavoro dei campi è stato, nei limiti del possibile, utilizzato, e tuttavia, sia sulla base dei dati statistici39 che della reale possibilità di un lavoro continuo
37 Sul tema cfr. il cap. 3 di E. Roosens, Geel, een unicum in de Psychiatrie, Antwer-pen, Vitgeverij De Nederlandsche Boek handel, 1977 (trad. francese, Des fous dans la ville?, Paris, Puf, 1979 a cui d’ora innanzi farò riferimento).
38 J Parigot, Thérapeutique naturelle de la folie. L’air libre et le vie de famille dans la commune de Gheel, Bruxelles, Tircher, 1862, riferisce che le pensioni andavano da 200 a 1200 franchi l’anno, e che il capitale circolante per il pensionamento dei folli è di 180.000 franchi. Successivamente vertano stabilite 4 classi di famiglie con diversi livelli di compensi a seconda del grado di comfort offerto.
39 Ecco una statistica, abbastanza attendibile anche se incompleta, compilata da Peeters, medico ispettore (cfr. J. A. Peeters, Gheel et la patronage familial. Lettres médicales, Bruxelles, Manceaux, 1886). In data 1 settembre 1880 sono accolti a Gheel 1642 folli, di cui 806 uomini e 836 donne. 26 uomini e 30 donne in infermeria, gli altri presso le famiglie. Lavorano 548 uomini e 545 donne, i rimanenti



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e produttivo da parte di psicotici e handicappati gravi ^j è difficile affermare che l’uso del folle come forza lavoro a buon mercato sia stata la caratteristica dominante del sistema di Gheel. D’altra parte, poiché paiono da escludere ragioni di ordine religioso e morale41 l’altro elemento che — a fianco dell’utilità economica, innegabile ma parziale —, ha permesso un cosi prolungato fenomeno di pensionamento della follia va probabilmente ricercato in due fattori, entrambi assai marcati. Il primo è dato dalla tradizione, il secondo dall’assenza di una stigmatizzazione negativa, e anzi dall’attribuzione di un carattere positivo, o neutrale, allo status di folle e malato. Le famiglie nourricières — che erano circa un migliaio, la metà di quelle della cittadina — hanno sempre avuto come dato tradizionale quello dell’accoglienza dei folli, tramandandoselo di generazione in generazione. Non solo quindi era (ed è) un aspetto « normale » della vita, conosciuto fin da bambini, ma costituiva anche un punto d’onore per le famiglie mantenere la tradizione. Né Gheel ha una struttura familiare particolare, poiché il modello patriarcale e quello nu-
sono del tutto inabili o rifiutano qualsiasi forma di attività (quindi il 33,5%). A seconda delle diagnosi sono cosi ripartiti:
1 1 A Occupati Lavoro agricolo Lavoro domestico Lavoro manuale
J <D 1 1 1 A l 1 1
Mania e sue varietà 178 212 148 167 101 9 25 99 24
Melanconia 62 110 44 85 26 6 2 56
Deliri 34 62 19 45 11 4 5 19 21
Demenza 141 128 93 74 55 4 32 54
Follia paralitica 30 10 20 6
Idiozia e imbecillità 226 217 182 135
Epilessia 61 56 36 17
Follia isterica 6 4
Stupidità 7 5 6 2
Follia circolare 1
40 Sugli aspetti economici del pensionamento cfr. K. Veraghtert, De Geelse gezinsver-pleging als regionale welvaartsfaktor (1795-1860), in Bijdragen tot de geschiedenis van het alonde hertogdom Brabant, 1971, pp. 3-30. L’autrice sottolinea il fatto che, oltre alla pensione in denaro, vanno calcolati nei benefici economici anche i prodotti specifici acquistati, l’amministrazione e le cure mediche. Le pensioni ammontano a 164 franchi (200 per epilettici, sporchi, e furiosi) nel 1816, 185 nel 1845 e 260 nel 1860 per un totale di capitale versato di 56.833, 172.235 e 208.000 franchi.
41 Tale appare la situazione attuale come l’analizza Roosens, op. cit., né sembra possibile die sia radicalmente modificata nell’ultimo secolo. D’altra parte le testimonianze dell’epoca, anche dei religiosi come Kuyl, op. cit., confermano l’assenza di uno stimolo esclusivamente o anche solo prevalentemente religioso.



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cleare si affiancano ed avvicendano secondo ritmi biologici e non culturali. Il folle non è mai stigmatizzato, i suoi comportamenti, le sue « stranezze » appartengono ad una sfera accettata, che non è portatrice né di valori positivi né di valori negativi. L’intera comunità si fa carico del mantenimento della tradizione, e prima che giuridicamente sarebbe socialmente criticata la famiglia che non ottemperasse al suo dovere di una assistenza continua e responsabile.
E qui tocchiamo il cuore del problema: quale significato ha, che tipo di relazione si instaura, fra il malato e la famiglia che lo ospita? È stato recentemente scritto che la famiglia nourricière e il pensionato stabiliscono una interazione in grado di arricchire i mezzi di espressione del malato, e che dunque vi è una sicura funzione terapeutica, con ruoli precisi in grado di far cooperare attivamente il malato stesso42. Più di cent’anni fa, con parole diverse e più semplici e tuttavia non prive di un significato di rottura, Parigot affermava: « Il folle ha bisogno di tutta la pietà, di tutta la carità di coloro che debbono occupare il posto dei parenti, accettandone obblighi e sacrifici. È indispensabile per giungere a ciò che questa nuova famiglia adotti lo sventurato; essa dovrà qualche volta, attraverso grandi pericoli, cercare di impadronirsi di un ultimo sentimento di socialità per mettersi al riparo da violenze ed incidenti; poi in seguito sviluppare delle simpatie per arrivare infine all’esercizio del pensiero e dell’uso della ragione»43. Di qui il corollario teorico, rifiutato, come vedremo, dagli psichiatri: « Abbiamo per scopo principale quello di mettere in evidenza il grande vantaggio del principio della libertà completa dei folli, questo principio, crediamo, è molto superiore al no restraint »; e ancora: il trattamento a Gheel « è l’affermazione di un diritto che si riconosce al folle di essere trattato come un essere sofferente e che gode di tutta la sua dignità di uomo libero »44.
Il fatto che la famiglia costituisca contemporaneamente sia il centro terapeutico, sia l’unica struttura responsabile del folle, rende la vita a Gheel abbastanza diversa da quello che descrizioni superficiali hanno accreditato. Come al giorno d’oggi non è camminando per il paese che si incontrano i folli, ed esiste una prassi che seleziona l’autonomia del malato, cosi anche nell’Ottocento solo una minoranza poteva, voleva ed era in grado di mantenere una autonomia personale abbastanza sviluppata, e ciò appare ovvio. Non si pensi d’altra parte che la presenza di un folle nella famiglia non ponga gravi e a prima vista irresolubili problemi. Molti malati non sono in grado di mantenere un margine anche minimo di autonomia personale, molti non parlano, molti hanno crisi periodiche.
42 Si veda lo stimolante saggio di F. Cuvelier, La famille nourricière de Gheèl cornine micro-communauté tbérapeutique, in « L’information psychiatrique », voi. 52, 1976, 9, 915-930.
43 Cfr. Parigot, op. cit., p. 13.
44 Cfr. Parigot, op. cit., pp. 22-23.



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Ciò che colpisce è il fatto che, anche ora45, il trattamento medico sia ridotto al minimo e spesso trasgredito dalle stesse famiglie. Questa situazione, come confermano i testi dei medici ispettori, era ancora maggiore nel secolo scorso. Gheel di fatto ha elaborato una propria prassi terapeutica fatta, piu che di lavoro e di « aria libera », di una serie di modalità di comportamento basate sulla consuetudine e sul buon senso. L’integrazione con la nuova famiglia è lenta ed è costituita da un processo di mesi e anni di affiatamento, di pazienza, di graduale avvicinamento ad un equilibrio delicatissimo. Il fatto fondamentale che rende possibile e praticabile questa situazione è la mancanza di stigmatizzazione e di tutti gli elementi che caratterizzano lo status di deviante nelle istituzioni totali o nella società reattiva. Gheel dimostra che è possibile una situazione di equilibrio e convivenza fra normalità e diversità. Il fatto è che il malato, che è pur sempre un diverso, un malato appunto, non diventa un deviante, non ha caratteri negativi imposti dall’esterno. E ciò senza che la distanza fra normalità e diversità sia colmata, senza che si giunga ad un annullamento o addirittura ad un capovolgimento di ruoli. Il diverso, il malato è sempre accolto come tale: esistono spazi che di fatto gli sono preclusi, ad esempio quelli relativi a ruoli di responsabilità, non tutto gli è permesso né concesso; ma vengono eliminati tutti gli aspetti che caratterizzano il vissuto sociale verso la psicopatia e l’oligofrenia ed anzi sono adottati tutti i mezzi, ad esempio il rapporto molto stretto con i bambini, che recuperano elementi di socializzazione. Mentre il diverso diventa deviante nel tessuto sociale « normale » a Gheel può mantenere la propria condizione, senza divenire un caso. Non esisteva e non esiste, cosi, un inasprimento delle regole morali e civili, e in questo senso Gheel non si differenzia da altre strutture sociali; ad esempio per quanto riguarda la sessualità, o i comportamenti violenti. I casi di gravidanze sono sempre stati rarissimi, e l’onanismo viene valutato con molta permissività: regole non scritte differenziano i comportamenti caso per caso, anche quando i problemi sessuali rischierebbero di infrangere l’equilibrio familiare. Quanto alla violenza, se è vero che essa rappresenta un momento comunicativo46, non diviene piu un corollario necessario della follia e della devianza, ed era ed è, fatto assai raro, non superiore, anzi semmai inferiore, a quanto avviene nelle comunità tradizionalmente strutturate.
Tutto ciò riconferma il ruolo fondamentale del contesto, nella produzione come nel mantenersi della follia. Essa non sparisce ih seguito ad una modificazione del contesto: viene però privata di tutti gli elementi che tradizionalmente l’accompagnano e la fanno diventare « esemplare »: l’esclu-
45 Cfr. Roosens, op. cit., riferisce come molto spesso le « pillole » date dagli infermieri siano buttate via, perché rendono il paziente abulico o ne cambiano i ritmi biologici con danno per le famiglie.
46 Mi permetto di rinviare al mio saggio Modelli interpretativi e formazioni discorsive, in R. Villa (a cura di), La violenza interpretata, Bologna, 1979.



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sione in primo luogo. D’altra parte se Gheel rappresenta un unicum nella storia della follia, e se i tentativi di riproporla sono falliti o non sono stati neppure tentati, ciò non deriva da particolari caratteri specifici della popolazione (che anzi, da diversi punti di vista, mantiene aspetti di paternalismo e tradizionalismo 47 che lasciano abbastanza perplessi), quanto dal fatto che nel dato essenziale diversità/devianza la comunità ha imparato a praticare un atteggiamento del tutto opposto rispetto a quello tradizionale. Ciò può non piacere a certa letteratura, che ha esasperato elementi dell’antipsichiatria, enfatizzando il carattere « liberatorio » della follia; cosi come non piace a tutti coloro che vogliono gelosamente conservare la « professionalità » del tecnico. Gheel semplicemente ricorda come non la follia in quanto « star male » sia oggetto di problema sociale, ma la follia come paradigma esemplare del consenso e del controllo sia una invenzione storica e socialmente determinata; riporta la follia ad una dimensione praticabile, in cui anche il ruolo terapeutico potrebbe riprendere una funzione, liberato dalle incrostazioni e dalle cappe di piombo dell’ideologia. D’altra parte, se ci stiamo avviando pur faticosamente verso un nuovo modo, prima di fare psichiatria e poi di porsi nei confronti della devianza, Gheel dimostra che ciò è possibile, pur con tutti i limiti di tale esperienza. Quanto poi in un tessuto sociale non comunitario come l’attuale sia possibile eliminare la stigmatizzazione è problema politico e sociale. Ma Gheel dimostra che discuterne non è, almeno, utopia.
3 . Come è stata letta questa situazione da parte della psichiatria? In linea generale essa ha avuto, nei confronti di Gheel, un atteggiamento di sostanziale silenzio e rifiuto; e le motivazioni, da quanto detto finora, sono abbastanza ovvie, anche se, mi pare, non giustificabili. Cercherò ora di tracciare un quadro della discussione su Gheel nell’Ottocento, che presenta elementi di interesse in sé e che colpisce soprattutto per alcuni elementi strutturali del discorso e del paradigma psichiatrico.
Fra i primi psichiatri « ufficiali » che visitano Gheel, e certamente il piu noto e il cui giudizio farà ancora testo dopo decenni, è Esquirol: la visitò con Voisin il 29 agosto 1821 rimanendoci meno di due giorni. Tanto gli basta per emettere un giudizio solo apparentemente equilibrato45. Egli sottolinea le condizioni in cui i malati abitano, non igieniche e non salutari, l’assenza di un controllo medico, i ferri con cui vengono impediti movimenti e fughe agli agitati. Rimane sostanzialmente male impressionato e a Gheel non dedicherà più attenzione. In effetti il problema non è quello di considerare valida o di parte la testimonianza di Esquirol (il buon Parigot si affannerà a dimostrare che si, i ferri c’erano
47 Cfr. Roosens, op. cit., cap. 6 e 8.
48 Cfr. J.E.D. Esquirol, Notice sur le village de Gheel, in Des maladies mentales, Bruxelles, 1838, voi. Il, pp. 293-300.



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ed erano cosa odiosa, ma il loro uso era ben limitato e comunque vietato dal regolamento del 1838); piuttosto è utile ricordare con quale atteggiamento Esquirol visita Gheel e altri manicomi in Europa. Esquirol, zelante difensore ed allievo del profeta Pinel, sicuro della superiorità amministrativa e morale della Francia, non è uno psichiatra, è un architetto. Per quanto ciò possa apparire paradossale è utile ricordare che il grande sforzo della psichiatria di area francese fra gli anni ’20 e ’40 dell’800 opera non tanto in direzione « teorica » o terapeutica, ma si accentra piuttosto intorno al buon governo della follia e in special modo intorno all’idea dell’« habitat »49. Esquirol, come Guislain in Belgio, ritengono che un « buon » manicomio aiuti il trattamento come l’attività del medico, e alla struttura, conformazione, edificazione dello stabilimento dedicano gran parte dei loro sforzi. Piu che la cura morale è lo spazio ad essere oggetto di investigazione, così come d’altra parte il dibattito sul carcere è incentrato quasi esclusivamente sulle forme di segregazione e studio dello spazio. Di fronte agli spazi della Kempen-land, ai cieli immensi, alla promiscuità non regolata Esquirol, come altri dopo di lui, rifiutano di « vedere ». Lo sforzo di regolare, scandire, ordinare meticolosamente lo spazio segregante qui non ha punti d’appoggio e, dunque, non ha senso una sua diversa lettura. Conoscendo, attraverso le parole stesse degli psichiatri — la cui attività maggiore è in quegli anni viaggiare, misurare, quantificare, soppesare, valutare e soprattutto guardare i contenitori piu che i contenuti ^—, la situazione degli ospedali per folli in Europa, la condizione di Gheel non è certo la peggiore. La sua diversità però non può essere vista: il parametro spaziale e quantitativo rivela tutta la sua miseria e quindi quella diversità va cancellata e dimenticata. Così altri, dopo Esquirol, affermeranno che Gheel sta per morire, è in via di esaurimento. Naturalmente tali profezie saranno puntualmente smentite dalla possibilità, interna alla tradizione, di riprodursi50. La posizione di Esquirol, comunque, rafforzata dalla sua crescente autorità, è netta: nessuna cura senza manicomio, Gheel rappresenta un residuo del passato, va istituzionalizzata e i folli vanno ritirati. Piu possibilista è l’analisi di coloro che debbono tenere presenti gli interessi, soprattutto di carattere economico-amministrativo, dello Stato, data
49 È questo un concetto-chiave. Medici, igienisti, economisti, magistrati, amministratori, si dedicano alla ricerca di quell’« ambiente » che risulti piu « salubre » e « terapeutico ». Questa fase è interessante tanto dal punto di vista teorico perché si costruisce una codificazione abbastanza organica di « habitat » ed igiene, quanto dal punto di vista storico poiché le analisi che si sviluppano in quegli anni sono una ottima fonte per conoscere le condizioni materiali di vita delle classi subalterne urbane e l’ideologia e la pratica filantropica ed igienista. Sul tema ho in corso una ricerca.
50 Anche oggi, cfr. Roosens, op. rii., Gheel appare in pericolo. E forse, infine,
esistono elementi reali per affermarlo. La mobilità della forza lavoro, le nuove
strutture produttive, la meccanizzazione agricola, la circolazione delle persone, e,



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anche l’ampiezza e il vigore della colonia51. Tuttavia quando Guislain pubblica appena ventinovenne il suo trattato, nel 1826K, mantiene la stessa posizione di Esquirol, criticando Gheel in quanto priva di funzione medica: ed è proprio Guislain che ci presenta il ruolo del medico alla ricerca di una funzione e di una conferma, in modo perfino paradossale. Guislain infatti modifica in parte la propria opinione negli anni successivi, ritenendo che Gheel serva essenzialmente per gli incurabili e richiedendo la creazione di una infermeria53. Basta questo fatto, di per sé non particolarmetne significativo come abbiamo visto, a far rientrare Gheel nell’ordine psichiatrico, a soddisfare l’ansia di una presenza medica, che poi non è in grado di influire sulle guarigioni54.
soprattutto, la minor incidenza della tradizione nella vita di famiglia sempre piu nucleare ed autonoma, sono condizioni per una prossima fase critica dell’esperienza plurisecolare.
51 Dai diversi autori, nonché dalla serie J. 37-44 « Krankeinnigen », del Provinciaal Archiev di Antwerpen ricavo i seguenti dati sulle presenze a Gheel:
1857 801
1804 287 1845 931 1858 790
1810 347 1846 954 1859 800
1816 340 1847 987 1866 1035
1820 393 1848 980 1869 1072
1824 416 1849 331 1870 1095
1839 688 1850 912 1871 1127
1840 717 1851 930 1872 1118
1841 740 1852 933 1873 1230
1842 765 1853 951 1879 1383
1843 812 1855 778 1880 1642
1844 868 1856 765 1883 1663
(i dati dal 1866 sono tratti da J.A. Peeters, op. cit.)
È necessario ricordare che nel biennio 1853-1854 un’epidemia di colera si sviluppò nell’area fiamminga colpendo anche Gheel. Nel 1859, 280 famiglie albergano 1 paziente, 297 due, 32 tre e solo 8 ospitano quattro pazienti. Ancora si può osservare che la percentuale dei ricoverati sul totale della popolazione si sviluppa nel modo seguente:
anno 1800 1809 1816 1820 1846 1856
folli ±200 347 340 393 961 765
popolazione + foUi ±5.965 6.825 6.600 7.145 10.183 10.618
% 3,35 5,08 5,15 5,50 9,43 7,20
(cfr. K. Veraghtert, De Krankzinnigenverpleging te Geel, cit., p. 114).
52 Cfr. J. Guislain, Traité sur raliénation mentale et sur les hospices d’aliénés, 2 voli., Amsterdam, 1826.
53 Guislain (cfr. la biografia ancor oggi di riferimento di J. Brierre de Boismont, Joseph Guislain, Paris, Baillère, 1867) è considerato il « padre » della psichiatria in Belgio. Partendo dalle ragioni della terapia non fu mai aperto nei confronti della esperienza di Gheel che probabilmente tentò piu volte di far cessare.
54 Peeters, op. cit., rileva dalle statistiche ufficiali tra il 1853 e il 1870 che i guariti o migliorati, e dimessi, sono a Gheel 724 su 3.021 entrati, dunque il 24%. Nello stesso periodo all’ospedale di Gand la percentuale dei guariti è del 38%: 817 su 2.100 entrati. Tenendo conto che a Gheel si inviano « inguaribili » e che molto alta è la percentuale di oligofrenici, il tasso di dimissioni è notevole. È co-



520 Renzo Villa
Nei rapporti ufficiali55 e negli scritti, oltre che nell’attività, di Ducpétiaux che si dedica con particolare energia e filantropia (nel senso dell’epoca) ai folli, la situazione è vista in modo, come dicevo, piu ambiguo. Si sottolinea, da un lato, la necessità di intervenire dal punto di vista medico ed amministrativo; ma, dall’altro, si riconferma l’unicità e l’economicità di Gheel, la sua pratica insostituibilità per quanto riguarda il trattamento e mantenimento degli incurabili. E in effetti lo Stato opporrà sempre, alla pressione degli psichiatri che vogliono più manicomi e solo manicomi, il fatto che in primo luogo il sistema famigliare è economico e, di fatto, anche terapeutico. Tanto che, alla metà del secolo, il dibattito, vario e a più voci, che andrà sviluppandosi, sarà incentrato proprio sulla possibilità di realizzare « colonie », sul loro significato e i loro spazi.
Nel frattempo molti viaggiatori, psichiatri e no, visitano Gheel, a testimonianza del fatto che il luogo è ben noto, entro e fuori i confini del Belgio. In effetti, nella prima metà ma soprattutto negli anni ’60 e ’70, una vera folla cosmopolita56 percorre le vie della cittadina, e quasi tutti i visitatori si sentono in dovere, dopo, di scrivere qualche nota, comunicazione, articolo: ma si tratta quasi sempre di testi ripetitivi che riportano i medesimi casi, osservazioni, giudizi57. La questione non è tanto, quindi, la puntuale rilettura di queste brevi o lunghe impressioni, ma il recupero degli elementi centrali del dibattito.
munque inutile ricordare che i manicomi non servono a nulla dal punto di vista terapeutico, così come la psichiatria classica, anzi sono dannosi e aggravanti.
55 Si vedano soprattutto: Rapport de la Commission chargée par M. le ministre de proposer un pian pour l’amélioration de la condition des aliénés en Belgique, et la réforme des établissements qui leur soni consacrés, Bruxelles, 1842; e Premier rapport de la Commission supérieure d’inspection des établissements d’aliénés, consti-tuée par arrété royal du 18 novembre 1851, Bruxelles, 1853.
56 Peeters, op. cit. nota per esempio che nel solo anno 1879 sono giunti, tra gli altri visitatori, qualificati ospiti americani (8) e tedeschi (5), un francese e un cubano.
57 Un esempio fra i tanti ci è fornito dal nostro Bonacossa, direttore del manicomio di Torino, nel corso di una peraltro un po’ superficiale visita ai manicomi europei. Dopo alcune osservazioni (non sempre esatte: ad esempio afferma che la cattedrale di Dymphna è dedicata a S. Martino) sugli usi religiosi scrive tra l’altro: « Terminata la novena, esce il mentecatto dal suo provvisorio ritiro, e va ad abitare con quegli che se ne assunse l’incarico. Allora s’egli è tranquillo gode di una intiera libertà, va e viene, e passeggia per il paese come più a lui piace. Se poi tenta di fuggire gli si mettono alle gambe pastoie fatte di grosse catene, ed anellacci di ferro; e nel caso che sia molto agitato e furioso è incatenato al letto od al muro in un qualche angolo della casa. DImpastoiati e di liberi affatto parecchi io ne vidi girare per le vie di Gheel. I paesani accostumati sin dall’infanzia a questo spettacolo, non vi prestano più alcuna attenzione ». G. S. Bonacossa, Sullo stato de’ mentecatti e degli ospedali per i medesimi in varii paesi dell’Europa, Torino, Tip. Favaie, 1840, p. 103. Riferisce poi intieri brani di Esquirol e Guislain e conclude: « Per me due pregevoli cose ravviso in Gheel: il lavoro cioè a cui sono applicati parecchi de’ pazzi, e la libertà di cui i tranquilli possono godere, vivendo in una maniera poco dissimile da quella a cui erano abituati prima di cadere infermi. Essendo perciò i medesimi in condizione assai migliore di coloro che sono chiusi negli stabilimenti, e costretti a menare la loro vita neghittosa affatto entro una ristretta cerchia con pochi ed angusti siti da passeggiare e respirare un’aria salubre. Del resto

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521 Gheel e il trattamento della follia
Nel 1845 Moreau de Tours pubblica un’analisi di Gheel58 accurata e, nel complesso, favorevole, affermando che tanto dal punto di vista economico quanto dal punto di vista terapeutico Gheel rappresenta un dato importante la cui pratica può essere ulteriormente diffusa. Moreau, piu che critico verso i manicomi, è sereno nel giudicare Gheel e si dimostra soprattutto perplesso di fronte alla caduta del postulato essenziale della psichiatria: la pericolosità appunto del folle. D’altra parte egli osserva come un altro dei cardini del discorso psichiatrico, e cioè l’isolamento (rispetto all’ambiente in cui ha origine la follia, non rispetto alla condizione del malato nell’istituzione), possa essere terapeuticamente piu adatto alle condizioni del collocamento in famiglia. In proposito afferma: « Occorre dunque assolutamente rinchiudere i folli per isolarli? Questi termini non sono affatto sinonimi del loro senso grammaticale: lo sono ancor meno nell’accezione scientifica. Isolare un folle significa spezzare completamente le abitudini nel cui ambito è nata la sua follia; significa allontanarlo dalle località, dalle cose e dalle persone che non sono affatto estranee ai disturbi della sua intelligenza... ». In effetti il presupposto dell’isolamento, che ha radici molteplici ma che nel complesso deriva dalla presupposizione del carattere di malattia della follia, appariva, nella pratica psichiatrica, come niente di più che la giustificazione della reclusione. A Gheel Moreau riconosce una realtà profondamente diversa, priva di tutti gli effetti della medicalizzazione, e ne rimane scosso, perplesso di fronte al proprio ruolo, ridiscusso nei fatti. Negli stessi anni il decano della psichiatria francese, Brierre de Boismont, visita Gheel e, sebbene critico, il suo giudizio risulta ancora abbastanza equilibrato59, anche se cade in un grossolano errore, più tardi ammesso: quello cioè di credere che la promiscuità fra folli e sani provochi un aumento della follia fra gli abitanti di Gheel, rispetto alla media del Belgio.
Infine, nel febbraio 1860, si sviluppa, all’interno della Société médico-psychologique, una discussione sul « caso » Gheel, sulla possibilità di riprodurlo, sulla critica ai manicomi. È Ferrus ad affermare: « Credo, da parte mia, che sia impossibile fare qualche cosa di più detestabile.
giustissime estimo le osservazioni di Guislain; dalle quali poi quand’anche si volesse allontanare il pensiero, la privazione di ogni mezzo curativo in quel luogo è a mio avviso per se sola un male cui niuno altro bene può dare compenso » (Bonacossa, op. cit., pp. 106-107). O meravigliosa onestà del buon terapeuta!
58 J. Moreau (de Tours), Lettres médicales sur la colonie d’aliénés de Gheel (Bel-gique), in «Annales médico-psycologiques », 1845, V, pp. 89-112; 264-279. Stranamente R. Castel, L'ordre psychiatrique, Paris, Ed. de Minuit, 1976 (trad. it., Milano, 1980, da cui cito), fa risalire al 1865 questo scritto (cfr. pp. 198-201). Castel individua esattamente il modo del dibattito, e cioè l’insufficienza dell’apparato istituzionale, ma è molto frettoloso nella documentazione.
59 Cfr. Brierre de Boismont, Remarques sur quelques établissements d’aliénés de Belgique, de la Hollande et de rAngleterre, in « Annales d’hygiène publique et de médecine légale », 37, pp. 44-82; e Une visite à la colonie de Gheel en 1846, in « Annales mèdico psychologiques », 1852, IV, pp. 520-546.



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Per gli alienati, trattamento e libertà non possono camminare insieme »é0. Egli mette in rilievo l’assenza di visite regolari, il vitto grossolano, gli « atti immoralissimi », i numerosi illegittimi, e racconta che durante la sua visita in Belgio, avvenuta nel 1849, fu ricevuto dai sovrani belgi e che le calde accoglienze mutarono quando espresse le sue osservazioni su Gheel, ottenendo il rapido voltar di schiena dell’augusta sovrana! Alla risposta, peraltro molto debole e quasi imbarazzata di Moreau, in una successiva seduta, Ferrus rincara la dose: « La restrizione della libertà è malgrado ciò, ai miei occhi, una condizione dell’alienazione mentale: occorre una regola per gli alienati dal punto di vista del loro trattamento; in ragione della loro irresponsabilità occorre una disciplina e una sorveglianza »61. A questo punto si stabilisce la costituzione di una commissione (Ferrus, Michea, Moreau, Mesnet, Falret) che visita Gheel; essa, il 30 dicembre 1861, riferita alla Société (dopo la morte, avvenuta nel frattempo, di Ferrus, sostituito da Trélat e Baillarger). Questo documento 62 è di particolare interesse, per ovvie ragioni.
Dopo una descrizione degli aspetti amministrativi (che ritroveremo molto più dettagliata in Peeters) gli autori osservano che esistono ancora mezzi di contenzione, e aspramente rimproverano questo fatto. Poi però affermano che « 16 malati soltanto su 800 erano trattenuti con mezzi meccanici in ferro »63. Nel complesso « l’impressione è veramente favorevole, ben più favorevole di quanto non si sarebbe potuto supporre »64 sia all’esterno che all’interno delle abitazioni dove il malato è del tutto mescolato alla vita di famiglia. « Quando si penetra più avanti nel loro intimo (dei folli) — prosegue la relazione — rivolgendogli la parola, si constata che la maggior parte di loro ha un delirio già molto avanzato e complesso, che non permette loro di seguire attentamente la serie di questioni che gli si pone, né di armonizzarsi con il mondo esterno che li circonda; ma attraverso la vaghezza delle loro risposte e la confusione delle loro idee, si distingue abitualmente un sentimento di soddisfazione e di tranquillità intima »65. La fiducia nei folli appare « esagerata » *: ma si conferma l’estrema rarità di fatti di violenza (il ricordo dell’uccisione del borgomastro, di decenni prima, è ancora ben vivo, e unico); dei suicidi; delle gravidanze indesiderate, rarissime e da addebitare ad estranei alla comunità: « si arriva dunque a convincersi che se ne sono
60 Cfr. Société médico-psychologique, séance du 27-2-1860, in «Annales médico-psychologiques », 1861, 7, p. 108. '
61 Cfr. Société médico-psychologique, séance du 30-7-1860, in « Annales médico-psychologiques », 1861, 7, p. 111.
62 Cfr. Rapport de M. Jules Falret au nom ■ de la Commission de Gheel, Société médico-psychologique, séance du 30-12-1861, in «Annales médico-psychologiques », 1862, 8, pp. 138-170.
63 Op. cit., p 147.
64 Idem, p. 148.
65 Idem, p. 149.
66 Idem, p. 151 (e non, come in nota a Castel, op. cit., p. 198, la p. 15).



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molto esagerati gli inconvenienti, e che, soprattutto dopo le riforme che hanno avuto luogo negli ultimi anni, i malati si trovano, in generale, nelle migliori condizioni, che non si immaginerebbero a priori »67. Pur sottolineando i limiti della libertà dei folli, questa situazione non può che mettere in crisi gli psichiatri, che la registrano: « Noi non possiamo dimenticare tutto ciò che è stato scritto sul trattamento generale degli alienati, sull’azione lenta e continua delle circostanze esterne che li circondano, l’atmosfera medica che respirano e li avviluppa da tutte le parti; noi non possiamo credere che tutto ciò che costituisce il substrato della nostra scienza moderna sia assolutamente falso » 68. La conclusione è che « Gheel non ha potuto e non potrà perfezionarsi che avvicinandosi ai manicomi chiusi. Questi a loro volta, non potranno migliorare che cambiando con una prudente lentezza, ma con perseveranza, sulla via della libertà » ^
La discussione sul rapporto è anch’essa di notevole interesse: Delasiaure, ad esempio, afferma che « dal punto di vista igienico come da quello terapeutico la colonia di Gheel è inefficace e i manicomi chiusi sono molto più preferibili. Resta la questione della cattività, ma i collegiali, i militari, subiscono bene la vita comune, i folli possono esservi asserviti »70.
Questa posizione (così sincronica con la magistrale ricostruzione foucaul-tiana sull’uso del corpo!) viene rifiutata e il tema vero, quello sulla colonizzazione è affrontato da Brierre de Boismont71. Ed è affrontato, sostanzialmente, in termini economici: la colonizzazione porterebbe notevoli vantaggi per quanto riguarda il sovraffollamento dei manicomi, e si dovrebbe pur sempre, come nella colonia di Fitz-James72, legarla strettamente alla pratica della reclusione istituzionale. Brierre poi deve difendere la pratica psichiatrica rispetto alle critiche di coloro che, paragonando Gheel alla condizione dei manicomi, hanno sottolineato gli abusi, le
67 Idem, p. 153.
68 Idem, p. 159.
69 Idem, p. 165.
70 Société médico-psychologique, séance du 27-1-1862, in «Annales médico-psychologi-ques», 1862, p. 349.
71 Cfr., Brierre de Boismont, Recherches sur la colonisation appliquée au traitement. des aliénés, séance du 24-2-1862, « Annales médico-psychologiques », 1862, 8, pp. 498-522; De la colonisation au traitement des aliénés, in «Annales médico-psychologiques », 1862, 8, pp. 247-253.
72 Questa colonia, situata a circa due chilometri dal manicomio privato di Clermont, era una vasta fattoria di circa 240 ettari con alcune centinaia (306 nel 1861) di malati occupati in ogni lavoro agricolo. Per i suoi caratteri generali, il fatto che i malati lavorano sotto sorveglianza, la produttività della fattoria, si tratta, a tutti gli effetti, di una scelta economica. Dal punto di vista terapeutico è abbastanza ovvio il fatto che per molte malattie mentali l’occupazione dà sollievo. Sull’organizzazione della colonia cfr. G. Labitte, De la colonie, de Fitz-James, succursale de basile privé de Clermont (Oise), considerée au point de vue de son organisation administrative et médicale, Paris, 1861. Rapporto dettagliato soprattutto sull’organizzazione.



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violenze, le pratiche niente affatto terapeutiche di questi73. Brierre non riuscirà Moreau, in un appassionato intervento che testimonia la sua crisi reale di fronte a Gheel, che riafferma non come esperienza di « colonizzazione » ma come diverso — realmente diverso perché legato alla condizione familiare di assistenza — modo di trattare i folli. E non accetta la ripresa del tema in Brierre, che pur Falret aveva scartato, della singolarità del posto e della popolazione: non sono forse i belgi una delle nazioni piu turbolente d’Europa? Ma il suo intervento74 cade nel vuoto. E, in termini radicali, non riprenderà più.
In quegli anni una discussione in termini generali simile a quella della Société médico-psychologique avviene anche altrove, in Inghilterra ed in Italia, per esempio. Da noi è Biffi a sostenere che Gheel può anticipare una « grande riforma » nella cura della follia, a visitarla, a cercare di illustrarne il significato, a richiedere che altre colonie vengano create, su quel modello, nel milanese75. In Inghilterra il dibattito viene legato alla possibilità di ospitare folli presso famiglie pensionanti, pratica già iniziata da Willis ma poco diffusa e in ogni caso limitata alle classi ricche. Su Gheel si scrivono saggi76, e anche negli anni successivi periodici scritti ci informano su di essa77. Ma ormai la questione appare chiusa:
73 L’obiettivo, anche per la notorietà del luogo di pubblicazione è J. Duval, Gheel une colonie d'aliénés, in « Revue des deux mondes », 1857, 12, pp. 138-182. È un articolo documentato, ricco di dettagli (quasi tutti di fonte Parigot e Bulckens) decisamente favorevole anche se non approfondito nella critica ai manicomi, anche per il carattere della rivista. Jules Duval tornerà su Gheel pubblicando due edizioni (la seconda con un bilancio anche bibliografico del dibattito) di un libro giornalisticamente corretto: J. Duval, Gheel, ou une colonie d’aliénés vivant en faville et en liberté, étude sur le meilleur mode d’assistance et de traitement dans les maladies mentales, Paris, Juillaumin, 1860, pp. 214; J. Duval, Charité sociale. Gheel ou..., Paris, Hachette, 1867, pp. VII-440. Un altro tema che qui non affronto per ragioni di spazio è proprio quello della «fortuna» anche letteraria, di Gheel.
74 Cfr. Société médico-psychologique, séance du 28-4-1862, in « Annales médico-psychologiques », pp. 655-665. Jacques Joseph Moreau (de Tours), (1804-1884) si riconferma qui uno dei più intelligenti ed aperti psichiatri dell’Ottocentro. Più che per le posizioni teoriche, prive di particolari originalità, è significativa la sua curiosità intellettuale: va ricordato il fatto che, tra i primissimi, studiò gli effetti delle « droghe » su di sé, discutendone con acume e senza stereotipi in Du haschisch et de Valiénation mentale, del 1845, testo ancora oggi da leggere con interesse.
75 Cfr. Biffi, Della colonizzazione dei pazzi, in «Gazzetta Medica Italiana, Lombardia, Appendice psichiatrica», 4/VIII; 13-X-1862; anche in, Opere, t. Ili, pp. 280-330.
76 Fra gli altri J. Webster, Notes on Belgian lunatic Asylums, including thè insane colony of Gheel, in «The Journal of psychological Medicine», 1857, 10; J. Mundy, The Gheel question, in «Medicai critic and psychological Journal», 1861, 3 e 7; J. Sibbald, Gheel and Cottage-asylums, in «The Journal of Mental Science, 1861, 3.
77 J. Webster, The GheeTs colony, « Journal of mental Science », 1866, 4; H. Tuke, A recent visit to Gheel, «Journal of nervous and mental disease», 1881, 1; anche Krafft Ebing racconta di una sua visita a Gheel nel novembre 1866 in « Allgemeine Zeitschrift fùr Psychiatrie », 1867, 2.



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Gheel rimane un « caso », impossibile da estendere, superfluo da analizzare a fondo. E questo rimane il quadro, fino all’ultimo decennio.
Perché? In primo luogo occorre sottolineare l’ostacolo che blocca ogni analisi ottocentesca sulla soglia del rifiuto o dell’entusiasmo (ma di che tipo? economico e morale) per Gheel. Si tratta dell’ostacolo terapeutico. Noi non troviamo nei testi citati né in altri una analisi « terapeutica » di Gheel, e cioè un’analisi della specificità delle interazioni, delle relazioni interpersonali, dei comportamenti dei folli al di fuori delle istituzioni. I cenni sono sporadici e comunque estremamente superficiali. Pur comprendendo i limiti storici della psichiatria è ad esempio singolare che non venga portata avanti una analisi piu dettagliata dei quadri clinici, dei problemi che pone il pensionamento dei folli in famiglia, di ciò che avviene durante il lavoro quotidiano. Ciò è, di fatto, assai indicativo. La psichiatria, malgrado il suo nome, non si è occupata della follia finché lo sviluppo di altre discipline, la « scoperta dell’inconscio » e le diverse posizioni della filosofia nella crisi culturale del primo Novecento non la obbligano a prendere posizione ed a riconoscere, in modo sempre difficile, contraddittorio e comunque insufficiente, delle dinamiche in quello che dovrebbe costituire il suo oggetto specifico, la follia appunto. Qui siamo ancora nello stadio precedente. Ciò che interessa è il folle: oggetto economico e oggetto sociale, non oggetto di terapia. L’unico che intuisce, senza però entrare nel merito, questo limite della pratica psichiatrica è Moreau. Per gli altri la questione non esiste. Quando infatti tutti gli psichiatri rivendicano la necessità e la positività della medicina rispetto al trattamento « empirico », lo fanno per affermare un loro status, una loro ragion d’essere che verrebbe messa radicalmente in crisi. Tra l’altro, Gheel è un’ottima cartina di tornasole: infatti essa non è concepita, non opera per la follia dei ricchi, e/o per quadri limitati di disturbo mentale e comportamentale, come sarà nel caso della psicoanalisi. Opera per i folli poveri e praticamente per tutti i folli. In effetti non pare che la funzione di filtro dei manicomi che inviavano gli « incurabili » e l’infermeria abbiano selezionato solo cronici ed oligofrenici poiché la tipologia maniacale e gli attuali quadri psicotici, anche gravi, sono sempre stati presenti. La situazione della follia non appare in realtà degna di osservazione terapeutica accurata: che cosa poteva presentare il manicomio, allora? La pratica dei bagni e delle docce con effetti calmanti o di choc, e infatti l’infermeria fu essenzialmente dotata di questi strumenti che spesso erano puri e semplici strumenti di tortura. Nessun trattamento farmacologico, contenzione e isolamento quando lo si riteneva opportuno. Ma soprattutto ordine e disciplina, il tentativo sistematico di rinchiudere il delirio in un universo predisposto ed organizzato meticolosamente. Questa assenza di ordine fa inorridire lo psichiatra, lo spinge al rifiuto. Per altri, i sostenitori, rappresenta la soglia di comprensione. Si vede che la libertà regolata empiricamente non porta danni, che il lavoro e la vita in famiglia possono convivere con l’estra-

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neità del folle. Perché allora spendere tanto nei manicomi? Perché non affidare allo psichiatra un ruolo di guardiano e di medico generico? È ovvio che tale posizione risulterà minoritaria e inascoltata perché destituirebbe la funzione psichiatrica.
Vi è un altro aspetto ancora: Foucault ha affermato che l’immersione della sragione nelle dolci costrizioni della natura costituirebbe la nuova « lettura » delle condizioni di libertà a Gheel. Non ho ritrovato passaggi che testimonino di questa lettura: anzi. La natura di Gheel, il paesaggio piatto e spoglio, i cieli enormi, il silenzio privo di echi di una campagna ancora spesso non coltivata, landa ventosa, è spesso visto dagli psichiatri come nient’affatto terapeutico. Il folle si ritroverebbe ancor più con i propri deliri. E d’altra parte la reclusione in edifici come caserme alle porte delle città non chiude solo il folle, ma lascia fuori tutto ciò che non è ordine « costruito ». L’affermazione di Esquirol che un buon edificio vale come un buon medico significa anche questo: l’estromissione di tutto ciò che non è artificiale. Nella stessa Gheel i folli che possono, e vogliono, percorrere la campagna o che lavorano i campi distanti dalla fattoria sono una minoranza, e in ogni caso la loro condizione di delirio introspettivo non è tale da porli in relazione reattiva con la condizione e l’ambiente naturale. Dunque la relazione folle-natura non appare significativa da alcun punto di vista.
Il paradigma psichiatrico, quale si esprime di fronte a Gheel, appare dunque nella sua funzione unica di apparato di controllo sociale. La reclusione, l’esemplarità del ricovero, l’assenza di comprensione di un oggetto specifico che non sia economico, la precisa ed esclusiva volontà del medico di farsi legittimare dallo Stato si esprimono nella loro brutale nudità. La psichiatria dell’Ottocento fu, in effetti, come disciplina, essenzialmente questo: se essa si presenta agli occhi dello storico come oggetto interessante è perché ha rappresentato una funzione della costruzione dell’ordine sociale, perché dalla sua pratica si può risalire, anche, ad elementi di storia sociale, perché più in generale rappresenta un elemento costitutivo della cultura occidentale. Null’altro: la follia e il dolore dell’uomo le sono costituzionalmente estranei.