Donne e Controriforma a Siena: Autorità e proprietà nella famiglia

Item

Title
Donne e Controriforma a Siena: Autorità e proprietà nella famiglia
Creator
Samuel Cohn Jr.
Date Issued
1989-01-01
Is Part Of
Studi Storici
volume
30
issue
1
page start
203
page end
224
Publisher
Fondazione Istituto Gramsci
Language
ita
Format
pdf
Relation
Storia della follia nell'età classica, Italy, Rizzoli, 1963
Rights
Studi Storici © 1989 Fondazione Istituto Gramsci
Source
https://web.archive.org/web/20230921164733/https://www.jstor.org/stable/20565876?searchText=Foucault&searchUri=%2Faction%2FdoBasicSearch%3FQuery%3DFoucault&efqs=eyJsYV9zdHIiOlsiYVhSaCJdfQ%3D%3D&sd=1975&ed=2000&pagemark=eyJwYWdlIjoxNiwic3RhcnRzIjp7IkpTVE9SQmFzaWMiOjM3NX19&groupefq=WyJzZWFyY2hfY2hhcHRlciIsIm1wX3Jlc2VhcmNoX3JlcG9ydF9wYXJ0IiwiY29udHJpYnV0ZWRfdGV4dCIsInJldmlldyIsInNlYXJjaF9hcnRpY2xlIiwicmVzZWFyY2hfcmVwb3J0IiwiY29udHJpYnV0ZWRfYXVkaW8iXQ%3D%3D&ab_segments=0%2Fbasic_search_gsv2%2Fcontrol&refreqid=fastly-default%3A8891a5c68f4f6c19db8c24e1454420ac
Subject
surveillance
confinement
discipline
exclusion (of individuals and groups)
moral systems
pathological
normalization
biopower
extracted text
DONNE E CONTRORIFORMA A SIENA: AUTORITÀ E PROPRIETÀ NELLA FAMIGLIA
Samuel Cohn jr.
Nell’Europa occidentale il secolo XVI e l’inizio del XVII videro la nascita dello Stato nazionale autoritario e, secondo la storiografia recente, quella della famiglia autoritaria1.
Le ideologie religiose dominanti, il calvinismo e il cattolicesimo della Controriforma, valorizzarono gli atteggiamenti di sottomissione e diedero vita a nuove strutture finalizzate a imporre il conformismo. In tale clima, come è stato posto in rilievo, si rafforzò l’autorità dei mariti e dei padri, riducendo ulteriormente gli spazi che nel tardo Medioevo le mogli e le figlie avevano potuto riservare al loro autonomo potere decisionale. Nell’Europa cattolica, inoltre, la condizione della donna fu probabilmente peggiore che nei paesi protestanti, dal momento che in questi ultimi si cominciava a rimuovere la disparità di diritti, e la figura della moglie come compagna * spirituale e collaboratrice nella vita quotidiana cominciava ad emergere in una nuova forma di convivenza coniugale: il «matrimonio solidale»2.
1 L. Stone, The Family, Sex and Marriage in England, 1500-1800, ed. ridotta, New York, 1978, pp. 145-146 (trad. it., Famiglia, sesso e matrimonio in Inghilterra tra Cinque e Ottocento, Torino, 1983). Ho presentato una versione ridotta di questo saggio alla 100a sessione dell’American Historical Association (28 dicembre 1985) e al Social History Workshop della New York University. Voglio ringraziare i partecipanti per le loro osservazioni critiche, nonché i miei maestri e colleghi, che hanno letto precedenti stesure del lavoro: Rudolph Binion, Gene Black, Morton Keller e David Herlihy. Ho ripreso alcuni dei temi trattati in questo saggio nel mio Death and Property in Siena, 1205-1800: Strategies for thè Afterlife, Baltimore, Johns Hopkins University Press, 1988.
2 È certamente questa l’impressione data da M. Walzer, The Revolution of thè Saints: A Study in thè Origins of Radicai Politics, New York, 1976, pp. 193-196; Lawrence Stone, invece, appare contraddirsi sulla questione della sorte che toccò alle donne sotto i due regimi religiosi del Cinque e del Seicento: in The Crisisofthe Aristocray, 1558-1641, Oxford, 1965, pp. 271-280 (trad. it., La crisi del?aristocrazia. L'Inghilterra da Elisabetta a Cromwell, Torino, 1971), pone in netto contrasto i legami affettivi del matrimonio puritano con i rapporti di tipo patriarcale vigenti fra i pari cattolici o ultra-anglicani, mentre in The Family, Sex and Marriage afferma che l’autorità delle donne andò declinando per tutto il Cinquecento, sia nell’ambito calvinista sia in quello del cattolicesimo controriformista. In questo libro, lo spartiacque cronologico conta più di quello religioso. La transizione dal matrimonio «patriarcale» a quello «solidale» si verificò verso la fine del Seicento, e quindi un secolo dopo (almeno per quanto concerneva la gentry puritana) rispetto all’epoca indicata dallo stesso Stone in The Crisis of thè Aristocray. Nell’ultimo



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Questo studio prende in esame un’area geografica circoscritta - la città di Siena e il suo contado - durante il secolo XVI e l’inizio del XVII. Esso si basa su un tipo di documentazione, i testamenti, che non apparirà certo nuovo a chi s’interessa della prima età moderna, ma che non verrà utilizzato per affrontare i problemi ai quali si cerca di solito una risposta in fonti del genere, e cioè a questioni relative ai mutamenti nella mentalità religiosa o alle strutture di trasmissione della proprietà. Queste filze di formule, di lasciti ordinatamente enumerati e, a volte, di dichiarazioni personali rivolte agli eredi e ai posteri gettano luce, invece, sui rapporti fra mariti e mogli, fra vedove e figli, e aiutano a capire come mutasse la capacità di prendere decisioni da parte di donne appartenenti a gruppi sociali che andavano dall’aristocrazia ai ceti artigiani3.
Per misurare l’impatto della Controriforma sulle donne senesi, prenderò anzitutto in esame, con criteri statistici, i mutamenti che intervennero nelle scelte compiute dalle donne nel disporre delle loro proprietà, in relazione alle clausole per la salvezza dell’anima, ai lasciti pii e caritatevoli, ai doni destinati ad amici, parenti e vicini. In secondo luogo, attraverso i testamenti si potrà gettare uno sguardo sulle decisioni che le donne assumevano nei confronti del proprio corpo, almeno quando erano chiamate a compiere la scelta finale, quella del luogo della sepoltura. Questo saggio, infine, proporrà una lettura qualitativa di testimonianze che non sempre ci si aspetterebbe di trovare fra le elencazioni di lasciti e le formule aride e prosaiche di cui sono fatti i testamenti. Oltre alle disposizioni patrimoniali, agli obblighi e alle prescrizioni, i testamenti della prima età moderna contenevano spesso, infatti, individualistiche espressioni di rispetto e di gratitudine fra coniugi.
Prima di passare all’analisi statistica, dobbiamo però definire la Controriforma, non in relazione al suo messaggio, ma piuttosto in relazione alla sua cronologia, cercando di stabilire quando essa abbia cominciato ad influire sulla vita quotidiana degli individui comuni. Il più lungo concilio della storia europea si concluse nel 1563. L’anno successivo, i canoni e i decreti
libro di Stone, scritto in collaborazione con J.C. Fawtier Stone, A Open Etite? England 1540-1880, Oxford, 1984, p. 12 2, talune affermazioni riconducono il lettore alle cronologie sul matrimonio che apparivano implicite in The Cristi of thè Aristocracy.
3 I criteri a cui mi sono attenuto nella scelta del mio campione sono ampiamente discussi in Death and Property, cit. La maggior parte degli atti è stata rogata da notai della città di Siena, e si riferisce a testatori senesi. Ho raccolto tutti i testamenti che ho trovato nei protocolli di almeno quattro notai diversi, scelti a caso per ciascun decennio, per il periodo anteriore alla riforma degli archivi notarili decretata nel 1585 da Francesco II. Dopo il 1585, il granduca obbligò i notai senesi a redigere e raccogliere in volumi distinti gli atti di natura testamentaria. Per il resto del mio campione, ho scelto da 30 a 40 testamenti per decennio fra gli atti di almeno tre diversi notai della città. I notai urbani, peraltro, non operavano esclusivamente entro i confini di Siena: per tutto il Cinque-Seicento, infatti, il 10% circa dei clienti risiedeva nel contado.



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tridentini vennero ratificati dal sinodo annuale dell’arcidiocesi di Siena4. Poco mutò, tuttavia, per quanto riguardava l’introduzione di istituzioni nuove o di nuove forme di autorità e di controllo. A Siena, come in molte altre città italiane, la Controriforma arrivò invece nel 1575, con la prima ondata di visite apostoliche condotte con metodica compiutezza. Gregorio XIII nominò quell’anno visitatore apostolico di Siena il vescovo di Perugia Francesco Bossi, che insediò nel monastero di San Francesco un tribunale e un apparato di polizia, e cominciò ad esaminare sistematicamente il comportamento di ecclesiastici e fedeli, dai Piccolomini agli ultimi contadini. Il Bossi e i suoi funzionari percorsero la città e il contado ispezionando l’architettura degli edifici ecclesiastici, la manutenzione dei cimiteri, il modo in cui si esponeva l’ostia, le caratteristiche dei dipinti religiosi, il latino dei parroci; interrogarono preti e parrocchiani per indurli a svelare i dettagli più salaci dei comportamenti scandalosi, soprattutto quelli a sfondo sessuale5. Dietro questa visita apostolica, diversamente da quelle medievali (che a Siena sembrano non essere state altro che semplici inventari di beni cultuali) si celavano meccanismi di persuasione e di costrizione. Il tribunale del vescovo Bossi ridusse degli ecclesiastici allo stato laicale, e mandò dei peccatori laici in esilio.
Allo storico è financo data la possibilità di misurare l’efficacia delle condanne, delle prescrizioni e delle raccomandazioni del Bossi. Il 25 gennaio 1598, infatti, un’altra visita, minuziosa e interminabile, fu condotta dal cardinale Francesco Maria Tarugi, riformatore ecclesiastico e, più tardi, arcivescovo di Siena6. Si può tentare un confronto sistematico. Nel corso dei ventitré anni fra una visita e l’altra, la chiesa, il comune e i fedeli avevano trasformato le loro comunità. I confessionali, che nel 1575 mancavano del tutto o non erano costruiti secondo le regole (anche nella cattedrale di Siena), si trovavano ora anche nelle più piccole chiese di campagna; i cimiteri, prima abbandonati ai cani randagi, erano ora recintati secondo le prescrizioni di Carlo Borromeo; i dipinti che il Bossi aveva ritenuto brutti e lascivi (spesso il giudizio era stato semplicemente «troppo scuri») erano stati sostituiti con nuove pale d’altare; i tetti delle chiese che necessitavano di riparazione erano stati riparati (eccezion fatta per le chiese di campagna più gravemente danneggiate durante la guerra con Firenze del 1552-55); l’ostia, che nel 1575 era spesso lasciata, senza protezione né ornamenti, sui davanzali delle chiese parrocchiali, nel 1598 era adeguatamente custodita in tabernacoli muniti di baldacchino, secondo le norme borromeane. Nel 1598 gli interrogatori di sacerdoti e fedeli si rivelarono assai meno dilettevoli di quelli della generazione precedente. Poche erano le situazioni scandalose dal punto di vista sessuale; gli
4 Archivio arcivescovile di Siena (d’ora in poi AAS), Sinodi, n. 3, Ir.
5 AAS, Visite, n. 26.
6 AAS, Visite, n. 27.



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ecclesiastici risiedevano nelle loro parrocchie di campagna, e la maggior parte di essi riuscì a superare le elementari prove dell’esame di latino a cui furono sottoposti.
Per quanto ricca sia la fonte rappresentata da queste visite apostoliche, ai fini di questo saggio lo spazio ci concede due sole osservazioni. Le istruzioni e le condanne del Bossi si dimostrarono efficaci non semplicemente perché imposte con la forza e con l’autorità. Nelle visite del 1575, da una parrocchia all’altra gli artigiani e i contadini espressero il loro risentimento contro i preti assenteisti, che drenavano lontano le decime ma non erano mai presenti per compiere i propri doveri sacerdotali quando i parenti o i vicini erano in punto di morte. Il Bossi e i suoi funzionari ascoltarono con favore le lagnanze dei fedeli. In cima alla lista veniva l’assenteismo. Di conseguenza, il documento che più frequentemente veniva letto di fronte al clero senese adunato per il sinodo annuale era il decreto tridentino sulla residenza dei parroci7. La riforma più riuscita in quegli anni fu forse la rigorosa imposizione della residenza ad un clero parrocchiale che celebrava regolarmente la messa, confessava i penitenti e visitava gli infermi8.
In secondo luogo, il Bossi raccomandò, senza imporla, l’istituzione di confraternite parrocchiali laiche, ma non menzionò neppure le confraternite femminili; né i sinodi dell’arcidiocesi di Siena che si tennero dal 1575 all’inizio del Seicento obbligarono od esortarono le parrocchiane a dar vita o ad aderire a tali associazioni laicali, che prendevano regolarmente parte alle processioni in cui si trasportava e si glorificava l’ostia consacrata. In quel quarto di secolo, tuttavia, era intervenuto un importante mutamento, che andava oltre le prescrizioni del Bossi e della visita apostolica. Nel 1575 le confraternite parrocchiali erano poche, e quelle riservate alle donne erano praticamente inesistenti. Ai primi del Seicento, invece, quasi ogni parrocchia possedeva almeno una confraternita laicale; molte ne possedevano due, e fra coloro che partecipavano a queste forme nuove di spiritualità le donne erano in numero pari a quello degli uomini. Dai documenti del 1575 emerge un’assenza pressoché totale delle donne dalla vita spirituale delle parrocchie. Durante le visite del Tarugi, al contrario, lungo le strade che portavano da una parrocchia all’altra si formavano processioni di fedeli del luogo, che davano il benvenuto al cardinale nelle rispettive comunità con canti, lodi e preghiere. Ad infoltire i ranghi di tali processioni vi erano donne piene di entusiasmo religioso.
Le scelte della pietà femminile. Al di là della collocazione sociale e della distribuzione geografica, la divisione della popolazione in base al sesso si
7 AAS, Visite, n. 3.
8 II tribunale del Bossi esercitò il massimo rigore nei confronti dei nobili e degli ecclesiastici. Nel caso degli scandali di natura sessuale si ebbe una disparità di pena: spesso ci si limitò a una reprimenda nei confronti di contadini e artigiani, mentre condanne più severe vennero inflitte a gentiluomini e gentildonne.



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rivela estremamente importante per chi intenda caratterizzare i primi aderenti alla nuova Controriforma. La crescita del fervore religioso fra le donne fu più sorprendente, e nello stesso tempo più duratura, che non fra l’artigianato urbano o fra i piccoli commercianti, o rispetto a ogni altro gruppo che gli atti notarili ci permettano di individuare9. Ancor più singolare appare questa asserzione se si pensa alle rigorose regole di ascetismo e alla particolare disciplina che i padri della Controriforma, a partire da Carlo Borromeo, imposero alle donne10.
Che cosa offriva alle donne la Controriforma?11 In primo luogo, il numero e la percentuale di donne che facevano testamento induce a pensare che la condizione femminile sia cominciata a cambiare immediatamente dopo le riforme del Bossi. Dalla metà del XV secolo alla fine del XVI meno di un terzo dei testatori erano donne. Nel primo quarto del Seicento, quando si fecero sentire gli effetti delle riforme tridentine, il numero delle donne divenne quasi pari a quello degli uomini. Tale incremento non fu il semplice risultato di una lunga progressione lineare12. Ai primi del Settecento, dopo che l’efficacia delle riforme ebbe raggiunto il culmine, la percentuale di testatrici ridiscese ai livelli del tardo Rinascimento.
Mentre cresceva il numero delle donne che facevano testamento, si ampliavano vistosamente anche la quantità e la varietà dei loro lasciti pii. Dalla metà del Quattrocento alle riforme del Bossi, di rado le donne
9 Nel mio Death and Property, esamino e metto a confronto l’adesione ai modelli devozionali controriformistici da parte dei nobili, dell'artigianato urbano, della popolazione rurale e delle donne. Anche Ph.T. Hoffman, Churth and Community in thè Diotese of Lyon, 1500-1789, New Haven, 1984, pp. 126 e 145, e Id., Wills and Statistits: Tobit Analysis and thè Counter Reformation in Lyon, in «Journal of Interdisciplinary History», XIV, 1984, pp. 813-834, scopre come all’avanguardia della Controriforma si collocassero le donne.
10 Cfr. M. Bendiscioli, Dalla Riforma alla Controriforma, Bologna, 1974, p. 128; R. Mols, Saint Charles Borromee, pionnier de la pastorale moderne, in «Nouvelle revue théologique», LXXIX, 1959, p. 717; M. Zancan, La donna, in Letteratura italiana: le questioni, V, a cura di R. Antonelli e A. Cicchetti, Torino, 1986, p. 811. In chiesa donne e uomini stavano separati, e le donne erano obbligate a tenere il capo velato sia in chiesa sia durante le processioni religiose.
11 Di recente, gli storici hanno cominciato a valutare in termini più favorevoli l’effetto che esercitò sulle donne il clima della Controriforma. Cfr. ad esempio N.Z. Davis, City Women and Religious Change, in Id., Society and Culture in Early Modem Frante, Stanford, 1975, pp. 65-96 (trad. it., Le culture del popolo, Torino, 1980); Ph. T. Hoffman, Wills and Statistits, cit., pp. 813-814; Id., Church and Community, cit.; K. Norberg, Rich and Poor in Grenoble, 1600-1814, Berkeley, 1985; J. Martin, Out of thè Shadow: Heretical and Catholic Women in Renaissance Venite, in «Journal of Family History», I, 1985, pp. 21-34. Questi storici hanno posto a confronto la pietà e la devozione delle donne cattoliche del secondo Cinquecento e del Seicento con quelle degli uomini; oppure hanno paragonato le esperienze di tali donne con quelle delle loro contemporanee di religione protestante. Essi non hanno però indagato i mutamenti nella pietà, nella devozione, nei diritti della donna, nella sua autorità e nei suoi rapporti patrimoniali prima e dopo il Concilio di Trento. In ciò risiede l’originalità del presente articolo.
12 Nella storiografìa francese, la percentuale di donne che fanno da sé testamento è vista in progressione lineare, parallela all’inesorabile sviluppo della modernità (cfr. M. Vovelle, Pie'te' baroque et déthristianisation en Provento au XVIIF siètle. Les attitudes devant la mort d'après les tlauses des testaments, Paris, 1973, p. 320). In Provenza, prima del XVIII secolo, le donne che facevano testamento erano soltanto i due terzi degli uomini.



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destinavano, mediamente, più di un solo legato a fini caritatevoli. Lo stesso valeva per le donazioni a parenti e amici, che non avevano mai superato la media di due per ciascuna testatrice, mentre, nel 1551-75, le donazioni ad amici e parenti da parte degli uomini furono più del triplo di quelle disposte dalle donne (3,55 donazioni per testatore; cfr. tabella). Per le donne, però, le cose cominciarono a cambiare in coincidenza coi primi segnali di penetrazione delle decisioni tridentine nell’ambito locale, dopo le visite apostoliche del 1575-76. Tali mutamenti si riflettono nell’am-pliarsi delle possibilità di scelta documentate dai loro testamenti. Negli anni critici, il numero dei legati non pii da parte delle donne crebbe del 40% circa, e quello dei legati pii del 70%. Questa tendenza, per di più, diversamente da quanto si verificò nel caso degli artigiani e dei bottegai, non andò declinando subito dopo l’iniziale momento di fervore, a tal punto che nel Seicento i legati pii da parte delle donne furono tre volte quelli dell’epoca pretridentina. In termini di valore, la crescita fu sbalorditiva: alla metà del secolo, il valore medio di tali donazioni era salito a venticinque volte il minimo toccato a metà Cinquecento. Anche a prezzi costanti il mutamento appare impressionante: il valore delle donazioni si moltiplicò infatti per un fattore superiore al 1613.
Sull’onda di Trento, per la prima volta i lasciti pii delle donne, nonostante la loro inferiorità finanziaria, giunsero a superare quelli degli uomini. Da queste statistiche risulta chiaramente come le donne fossero all’avanguardia della Controriforma14. Negli anni critici che seguirono le riforme del Bossi, le donne si impegnarono pienamente nelle nuove pratiche devozionali, mentre gli uomini (che controllavano le risorse di gran lunga maggiori) rimanevano tenacemente legati ai vecchi comportamenti. I loro lasciti pii (indipendentemente dalla posizione sociale o dal luogo di residenza) continuarono a decrescere per numero e per valore. La «conversione» degli uomini si verificò almeno una generazione dopo. Perché furono le donne le prime ad essere attratte dalla Controriforma? Non soltanto essa forni loro nuove possibilità di disporre dei propri beni terreni, ma una parte notevole delle nuove istituzioni della devozione riformata tendeva direttamente a promuovere il benessere spirituale e sociale delle donne. Le confraternite religiose femminili e la partecipazione femminile alle associazioni parrocchiali dedite al culto del Santissimo Sacramento crebbero con estrema rapidità15. Le nuove congregazioni per l’assistenza ai poveri venivano soprattutto incontro alle necessità delle donne bisognose: la Congregazione delle derelitte, le Abbandonate, le
13 G. Parenti, Prezzi e mercato dei grano a Siena, 1546-1765, Firenze, 1942, p. 27.
14 Sull’indifferenza da parte degli uomini di Lione nei confronti delle opere di carità incoraggiate dal Concilio di Trento, cfr. Hoffman, Wills and Statistics, cit., p. 830.
15 Cfr. gli elenchi dei membri, ad esempio quelli della confraternita della Santa Trinità, Biblioteca comunale, A.Ili; e le molte compagnie femminili citate negli atti della visita del Tarugi in AAS, Visite, n. 27.



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Convertite, le Fanciulle sperse, le Mulieres de Deox\ L’esistenza di queste nuove istituzioni riflette forse nuovi livelli di disagio sociale vissuti dalle donne del tardo Cinquecento. Con l’affermarsi del modello europeo di matrimonio, erano sempre più numerose le donne che restavano nubili, proprio nel momento in cui i conventi femminili o si popolavano di monache di estrazione aristocratica o diventavano «fatiscenti dispense per i tempi di carestia»17. Un numero crescente di donne rimase dunque privo del sostegno finanziario e della protezione di quegli individui che più beneficiavano sul piano economico delle strutture cinquecentesche di trasmissione della proprietà, e cioè degli uomini. Dalla documentazione in nostro possesso, non è possibile stabilire se la condizione economica e sociale delle donne più povere sia improvvisamente peggiorata proprio nel momento in cui cominciavano a sorgere le nuove istituzioni per l’aiuto e l’assistenza alle donne immiserite e generalmente nubili. È chiaro, tuttavia, che i promotori di queste iniziative controriformistiche dimostravano una maggiore sensibilità per i problemi delle donne meno fortunate18. Con ogni probabilità, si trattava di problemi non nuovi, e che, anzi, avevano assunto rilevanza sociale sin dalla ricomparsa della pressione demografica verso la fine del Quattrocento19. Ci si può chiedere se i poveri abbiano in definitiva beneficiato di queste nuove istituzioni che nascevano allo scopo di rinchiuderli20. Esse, tuttavia, servirono se non altro ad offrire alle donne abbienti la possibilità di nuove scelte caritatevoli, tali, per di più, da fare appello al loro interesse e al loro senso di identificazione.
I corpi dette donne. *L& Controriforma influì sulle scelte che le donne potevano compiere in relazione al proprio corpo, o quanto meno sulla scelta finale, quella della sepoltura. Nel tardo Medioevo e nel primo Rinascimento, le donne decidevano liberamente dove farsi seppellire, mentre la parrocchia e il convento del luogo entravano in concorrenza per ottenere i proventi
16 Per una discussione sulle congregazioni femminili della Controriforma, cfr. S. Cohen, The Convertite and thè Malmaritate: Wbmen’s Institutions, Prostitution, and thè Family in Counter Reformation Florence, Ph.D dissertation, Princeton, 1985.
17 Per la condizione delle monache al tempo della visita di Bossi, cfr. G. Catoni, Interni di conventi senesi del cinquecento, in «Ricerche storiche», 10, 1980, pp. 187-194.
18 F.D. Nardi, Matteo Guerra e la Congregazione dei Sacri Chiodi (secc. XVTXVTI): Aspetti della religiosità senese nell’età della Controriforma, in «Bullettino senese di storia patria» (d’ora in poi BSSP), 91, 1984, pp. 12-148, pp. 36-37; Cohen, The Convertite, cit.
19 A Siena la guerra contro Firenze del 1552-55 accentuò la crisi economica e sociale di metà Cinquecento. Sebbene le disastrose conseguenze di questa guerra prolungata e lo zelo patriottico dei senesi possano aver stimolato l’assistenza caritatevole (cfr. Nardi, Matteo Guerra, cit., pp. 17-18), le nuove istituzioni di recupero dei poveri non ricevettero finanziamenti significativi né riconoscimenti fin dopo tale crisi militare e demografica.
20 Per il carattere repressivo di queste istituzioni, cfr. M. Foucault, Folle et deraison: histoire de la folie à Page classique, Paris, 1961, pp. 54-96 (trad. it., Storia della follia nell’età classica, Milano, s.d.); Norberg, Rich and Poor, cit., p. 297.



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che ne derivavano21. Nei casi in cui è stato possibile accertare le scelte funerarie sia dei mariti che delle mogli, si è osservato che spesso le donne optavano per luoghi diversi dalle cripte o dalle fosse dei coniugi. Durante i primi cinquant’anni del Quattrocento, su sei donne22 che indicavano il posto della propria sepoltura, cinque sceglievano liberamente un luogo distinto da quello dei mariti, dei padri, o del loro lignaggio maschile («in solito tumulo suorum antecessorum si ve precessorum»). Soltanto in sei casi le donne «eleggevano» esplicitamente il sepolcro dei mariti o degli antenati di sesso maschile. Nella seconda metà del secolo, la quota di nuove sepolture scelte dalle donne indipendentemente dai coniugi o dal lignaggio si ridusse di oltre la metà23, e venne ulteriormente diminuendo durante il primo cinquantennio del Cinquecento24. Per la prima volta da quando si conservavano testamenti ricevuti da notai, le prescrizioni dei mariti o dell’ascendenza maschile avevano la meglio sulle decisioni individuali delle donne abbastanza autorevoli o indipendenti da redigere il proprio testamento, un gruppo che, come si è visto, si era peraltro venuto a ridurre nel corso del tardo Rinascimento. Con l’inizio della Controriforma la tendenza si era invertita: la quota di donne che sceglievano una sepoltura indipendentemente dal marito e dal lignaggio arrivò alla metà del totale nella seconda parte del XVI secolo, poi a quasi due terzi nella prima metà del XVII, e infine a quasi tre quarti nel secondo cinquantennio di quel secolo di devozione25.
Questo ritorno ad un’autonoma capacità decisionale non fu poi un semplice ritorno al tardo Medioevo, quando la scelta era limitata alla parrocchia e al convento del luogo. Per infrangere il predominio delle cripte di famiglia, la Controriforma rese possibile scegliere fra alternative del tutto nuove, che si rivelarono particolarmente significative per le donne26. Alla fine del Cinquecento, infatti, fu data loro la scelta fra un numero sempre maggiore di luoghi esclusivamente riservati ad esse, come le cripte funerarie delle confraternite femminili e, ancor più importanti, le nuove congregazioni per donne, quali la congregazione delle Centurate nella chiesa parrocchiale di San Martino, quella del Rosario nel monastero
21 Oltre alle testimonianze rese da questi testamenti, cfr. R. Trexler, Death and Testament in thè Episcopal Constitutions of Florence ( 1327), in Renaissance Studies in Honor ofHansBaron, ed. by A. Molho and J. Tedeschi, Dekalb, III., 1971, pp. 34 sgg.
22 Sul totale di 36 testamenti di donne esaminati.
23 Sul totale di 47 testamenti di donne esaminati.
24 Sul totale di 38 testamenti di donne esaminati.
25 Sui seguenti campioni di numeri di testamenti esaminati: 30, 26, 61, 50.
26 La lotta tra la Chiesa e i lignaggi nobili sugli spazi sacri nelle chiese è di lunga durata nella società occidentale. Cfr. P. Brown, The Cult ofthe Saints: Its rise and Function in Latin Christianity, Chicago, 1981 (trad. il., Il mito dei santi. L'origine e la diffisione di una nuova religiosità,Torino, 1983). Nelle visite del 1575-76, Bossi richiese ai membri di parecchie delle più importanti famiglie senesi di riesumare le ossa dei loro avi da luoghi che, secondo le nuove norme del Concilio tridentino, erano troppo vicini agli altari maggiori e ad altri luoghi sacri.



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di Santo Spirito, o quella della Concezione in San Francesco. In cambio di una quota di poche lire pagata alla congregazione di San Pietro, era concesso alle donne di ogni classe sociale di lasciare le proprie spoglie mortali sotto il pavimento del Duomo, un tempo esclusivamente riservato alla sepoltura degli ecclesiastici e delle élites laiche. Questa congregazione, simile ad altre istituzioni controriformistiche, aveva cripte distinte per sesso. Un tempo riservate ai soli ordini monastici, queste tombe costituivano un’alternativa alle scelte degli uomini, fossero essi esecutori testamentari, eredi universali, mariti o padri, cosi come alle decisioni assunte in passato dagli antenati della linea maschile. Nel primo cinquantennio del Quattrocento due sole donne, entrambe monache, si fecero seppellire con altre donne nelle cripte comuni; nella prima metà del Seicento quasi due terzi delle donne scelsero tale sepoltura, andando contro le scelte dei mariti e le tradizioni del loro lignaggio27.
La gratitudine dei mariti. I testamenti ci permettono anche di andare oltre gli aspetti puramente quantitativi. Non sempre, infatti, il linguaggio di questi documenti, generalmente laconici, era semplicemente formulare. Oltre alle clausole patrimoniali, alle obbligazioni e alle condizioni, uomini e donne trasmettevano spesso brevi espressioni personali di gratitudine e di fiducia nei confronti di servitori, figli, amici, padroni e, il più delle volte, coniugi28. Queste frasi, globalmente considerate, indicano possibili mutamenti nelle relazioni coniugali. Espressioni come quelle che introducevano, nel 1551, la concessione di un usufructus ex patrona alla moglie del macellaio Quiricus olim Pasquini, non erano inconsuete a metà Cinquecento: «In considerazione della bontà, dell’ubbidienza e dei meriti della suddetta signora Battista, qualora essa acconsenta, la lascia usufruttuaria ex patrona di tutti i suoi beni»29.
27 Si può sostenere che i mutamenti statistici discussi fin qui siano il risultato degli scompensi demografici, sociali ed economici causati dalla guerra con Firenze del 1552-53. Lo storico dovrebbe allora spiegare la ragione dello sfasamento di tempo che va dai 25 ai 50 anni. Per riprendere una frase di Robert Lopez, «dubito della paternità dei bambini nati... dopo la morte dei loro padri». In secondo luogo, sebbene l’evento della peste possa aver avuto effetto sui lasciti pii e sulle differenze tra le opere caritatevoli di uomini e donne nel breve termine da un anno al successivo, tuttavia non sembra che a Siena abbiano rappresentato una forza tale da alterare il trend del XVII secolo. Per gli effetti della peste nel breve termine sui testamenti, cfr. A. Pastore, Testamenti in tempo di peste: la pratica notarile a Bologna nel 1630, in «Società e storia», 5, 1982, 16, pp. 263-297.
28 Senza dubbio il notaio era in qualche misura responsabile della formulazione di queste espressioni personali, ma tali annotazioni non erano consuetudinarie; esse non si ripetevano automaticamente né da notaio a notaio né nei testamenti scritti dallo stesso notaio. Inoltre, queste frasi contenevano un certo numero di informazioni variabili, come la durata del tempo in cui moglie e marito «avevano vissuto insieme con amore sincero», o più semplicemente in altri testamenti «per essere insieme habitati». Cfr. Archivio di Stato di Siena, Notarile post-cosimiano (d’ora in poi Not. post-cos.), n. 423, no. 134, 6r, 4.IV.1605; n. 532, 9 r-v, 7. IX. 1601; n. 1786, no. 16, 31r-33r, 12.IV.1644; no. 20, 38r-39v, 27.VIII. 1645.
29 Archivio di Stato di Siena, Notarile antecosimiano (d’ora in poi Not.), n. 2684, no. 64, 12.VIII.1551: «Item attenta bonitate et obbedientia et benemeritis ipsius domine eamdem



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In altri termini, l’apprezzamento del marito per la sua «bonitate et obbedientia et benemeritis» serviva solo a farle avere la parte di eredità che ogni vedova si aspettava, e cioè l’usufrutto della proprietà del coniuge.
Nel gennaio 1576 Andrea di Giovanni, da Ancaiano, esprimeva alla moglie la sua gratitudine, lasciando intravedere uno spirito nuovo nel rapporto coniugale:
[...] conoscendo l’amore et benevolenza inverso di esso portata da donna Margarita d’Andrea detto Bresia da Pietra arata sua dilettissima consorte et quanto si sia affadigata et si affadighi del continuo a servitio di detto Andrea et in mantenerli li suoi beni et essi accrescerli et augumentarli volendola riconoscere et rimeritarla di tante sue fadighe, et acciò che essa dopo la sua morte non sia scacciata dalli infrascripti suoi heredi, onde essa potesse per alcun modo patire di fame la medessima donna Margarita per suo certo sapere et non per forza o per inganno alcuno ma spontaneamente et in ogni miglior modo lassò donna madonna et usufruttuaria et libera et generale amministratrice di tutti li suoi beni [...]30.
Anche se fra i due documenti le condizioni giuridiche vigenti non sono mutate, il passaggio dall’apprezzamento per l’obbedienza alla gratitudine per le fatiche sopportate nella vita matrimoniale e per gli sforzi diretti dalla moglie ad accrescere il patrimonio familiare lascia trasparire una sensibilità non molto lontana da quella che Lawrence Stone ha definito come transizione dal matrimonio «patriarcale» a quello «solidale»31.
Nel Seicento, in regime di diritto statutario32, i testamenti riflettono nell’insieme un effettivo mutamento per quanto attiene alle prerogative e ai diritti patrimoniali trasmessi dai mariti alle mogli. Nel lungo periodo, le ultime volontà dei mariti presentano vari gradi di precisione nel definire i diritti e le divisioni di proprietà fra le vedove e i figli superstiti. In alcuni casi, i mariti redigevano minuziosi inventari per stabilire con esattezza i diritti patrimoniali di ciascuna delle parti. Se necessario, precisavano con
dominam battistam casu quo sibi placuerit reliquit eamdem dominam usufructam et usufructuariam ex patronane [...]».
30 No/. n. 3625,-fase. 1, no. 168, 2.1. 1575. Tali dichiarazioni di rispetto e affetto o gratitudine per le «fadighe et industrie» della propria moglie, si trovano in numerosi documenti della fine del Cinquecento e del Seicento. Per esempio: Noi., n. 3130, 21v-23r, 11.11.1563; n. 2265, llr-12v, 13.IX.1583; No/, post-cosimìano (d’ora in poi No/. posZ-cos.), n. 184, 4r, 24.IX.1594; 23r-25v, 21.VI. 1595; n. 532, 9r-v, 7.IX.1601; n. 423, 6r, 4.IV.1605; n. 1164, no. 31, 35v, 17.VII.1613; n. 971, no. 50, 63v-64v, 20.XII.1610; no. 52, 65v-66r, 24.X.1611; n. 1762, no. 34, 68r-69r, 16.VIII.1641; n. 2479, no. 6, 9r-10r, 13.XII.1664.
31 Stone, The Family, Sex and Marriage, cit., pp. 136-145 e 217-253. Lo storico frettoloso potrebbe supporre che la differenza tra questi due, documenti rifletta differenze tra matrimoni di artigiani e quelli di contadini. La differenza principale, tuttavia, consiste nella loro datazione. Il testamento di Andrea di Giovanni è il primo nel mio campionario a ricordare l’affetto reciproco e le tribolazioni di anni di vita coniugale. Più tardi, soprattutto durante il XVII secolo, tali sentimenti si trovano più spesso tra i ranghi degli artigiani urbani.
32 Durante il periodo del granducato, il solo cambiamento legislativo riguardante i diritti di proprietà delle donne, fu promulgato nel 1620. Cosimo II estese i diritti di successione su parti di eredità ai parenti in linea femminile di coloro che morivano senza un testamento autenticato (L. Cantini, Legislazione Toscana, Firenze, 1800, t. 15, pp. 153-163. Riformati© Rubr. 130 lib. II Statuti Fiorentini de Mulierum Successione ab intestato).



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rigore architettonico i diritti di abitazione nella casa di famiglia e i diritti di passaggio per le varie stanze. L’uso dei pozzi e delle scale veniva accuratamente ripartito fra le vedove e i figli33. In genere, dall’epoca dei primi testamenti ricevuti da notai sino a tutto il Cinquecento, la disposizione più comune era quella per cui il marito lasciava alla moglie la dote e Vusufructus foto tempore vitae del resto del patrimonio, normalmente la parte più consistente dei beni immobili, destinata a passare successivamente agli eredi universali, che erano di solito i figli maschi superstiti. L’usufrutto di queste proprietà, tuttavia, solo di rado veniva concesso senza condizioni. Se la vedova decideva di risposarsi o se si scopriva che non viveva più castamente, essa perdeva ogni diritto su tali proprietà, eccettuata la dote, ma compreso il diritto a continuare a vivere in famiglia insieme coi figli34. I figli maschi, come eredi universali, erano generalmente anche gli esecutori. Oltre a ricevere gran parte del patrimonio, solitamente tutti i beni immobili, essi si assumevano la responsabilità di attuare le disposizioni testamentarie. In tal modo, veniva loro affidato il compito di vigilare sul comportamento delle madri durante la vedovanza, e in particolare sulla loro castità. Erano loro, poi, ad avvantaggiarsi nel modo più diretto e immediato delle infrazioni sessuali delle madri. In tal caso potevano infatti limitare alle vedove il godimento delle proprietà paterne, o impedire loro di sperperare le risorse future, venendo cosi a disporre anticipatamente dell’eredità.
Nella Siena postridentina, l’autorità e i rapporti di proprietà delle vedove, almeno in ambito familiare, mutarono in loro favore. Certo, i mariti non abbandonarono di colpo i tradizionali lasciti alle mogli, ma nelle clausole di usufrutto cominciarono a comparire interessanti segnali di novità. Nel 1590 un uomo originario del contado di Pisa, ma allora residente a Siena, designò come erede universale la moglie a condizione che «rimanesse casta e vedova» («vitam vidualem et honestam servare»), non, però, a tempo indeterminato, ma soltanto per l’anno successivo alla morte del marito35. Tre giorni dopo, il testatore redasse un codicillo in cui chiariva ulteriormente la futura libertà della moglie. Ripeteva infatti che essa sarebbe stata la sua erede universale, e affermava esplicitamente che si sarebbe potuta risposare, «liberandola interamente» da ogni obbligo impostole nel presente testamento, «tranne il divieto per cui dovrà vivere vedova e casta per un anno dopo la morte del testatore»36.
33 Cfr. ad esempio, la complessa divisione della proprietà fra gli eredi nel testamento del dottor Hieronimus degli Alberti, in Noi., n. 2863, fase. I, no. 30, 15.VII.1551.
34 Su queste pratiche, cfr. N. Tamassia, La famiglia italiana nei secoli decimoquinto e decimosesto, Milano, 1910, p. 325.
35 Not. post-cos., n. 170, 34r, 7.VIII.1590: «In omnibus [...] suam heredem universalem instituit [...] dominam Virginam [...] eius uxorem, cum hac tamen conditione [...] quod teneatur ipsa domina Virginia per unum annum post hobitum dicti testatoris vitam vidualem et honestam servare [...]».
36 Not.post-cos., n. 170, 34v, 10.III.1590: «[...] et fecit ac codicillando ad dedit prout infrascripta videlicet quod Domina Virginia lacobi eius uxor heres iam istituta possit se nubere et totaliter



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I mariti, almeno nella seconda metà del Seicento, designarono più spesso le mogli come eredi universali, col diritto di regolare in ultima istanza la trasmissione del patrimonio. A questo diritto si aggiungevano sovente altre prerogative e responsabilità, come quelle di stabilire l’ammontare delle doti per le figlie e di designare i beneficiari di taluni lasciti pii, quali gli incaricati di celebrare le messe per l’anima del marito o le ragazze povere e di «buon costume» destinate a ricevere la dote in dono. Nel Cinquecento i mariti nominarono erede universale la moglie nel 31-37% dei casi in cui essa sopravvisse loro37, e le cifre non mutarono significativamente38 fino alla seconda metà del Seicento, quando la quota di mogli designate come eredi universali dal marito balzò a quasi il 60%39.
Il mutamento appare ancor più sorprendente se si esaminano in concreto le clausole e le condizioni riguardanti le mogli in quanto eredi universali. In precedenza, quando i mariti designavano le mogli, continuavano pur sempre a porre loro le solite condizioni che si ritrovavano nelle altre disposizioni di sapore autoritario contenute nelle formule usuali: se la vedova si fosse risposata o non si fosse mantenuta casta, avrebbe perso eandem liberam fecit non obstante prohibitione facta a prefato testatore in ipso testamento quod ipsa deberet per annum unum vitam vidualem et honestam servare [...]».
Nel 1501-50, 10 su 27 casi; nel 1551-75, 9 su 29; nel 1576-1600, 9 su 27.
38 Per il 1601-50, 12 su 37.
39 19 su 33 casi, che costituiscono un significativo incremento sulle percentuali del Cinquecento. I fattori demografici possono aver influenzato questi incrementi della percentuale di mogli designate come eredi universali, soprattutto in conseguenza della crisi del XVII secolo. Per l’aristocrazia di Siena, cfr. S. Cohn jr.-O. Di Simplicio, Alcuni aspetti della politica matrimoniale della nobiltà senese, 1560-1700 circa, in Forme e tecniche del potere nella città (secoli XIV-XVII), a cura di S. Bertelli, Perugia, 1979-80, pp. 313-330. Dai testamenti è possibile calcolare la percentuale di quegli uomini che lasciarono mogli viventi ma nessun figlio che ereditasse il patrimonio. Questi dati, tuttavia, non sono in rapporto con i cambiamenti nelle percentuali di vedove designate come eredi universali. Nel 1401-1500, il 43,5% dei mariti non lasciò nessun figlio vivente (mentre le vedove erano eredi universali nel 12% dei casi rilevati); nel 1501-1550 la percentuale di figli viventi sali a 54,3, assieme agli incrementi citati sopra sulle vedove come eredi universali. Per il 1551-75, la proporzione di mariti senza figli che gli sopravvivessero cadde a 34,5, ma senza corrispondente crescita nelle vedove designate come eredi universali; nell’ultimo quarto del Cinquecento poi, con molta probabilità in conseguenza della guerra, la quota dei mariti senza figli che gli succedessero balzò al punto più alto, 73,1%, ma ancora senza nessuna corrispondenza con le vedove come eredi. La percentuale di mariti senza figli viventi scese leggermente durante la prima metà del Seicento a 67,6; poi, nella seconda metà del secolo, la percentuale tornò al livello del tardo Rinascimento, 45,5%, proprio nel momento in cui la percentuale di vedove designate come eredi universali dei patrimoni dei propri mariti quasi raddoppiava. Un altro fattore demografico che può aver condizionato questi cambiamenti, fu forse il variare dell’età del matrimonio, soprattutto per le donne. Secondo J. Hajnal, European Marriage Pattems, in Population in History: Essajs in HistoricalDemograpby, ed. by Glass and Eversley, London, 1965, pp. 101-143, l’età del matrimonio per le donne nell’Europa occidentale cominciò ad alzarsi durante il Seicento. Si può supporre che esse ricevessero disposizioni più favorevoli dai propri mariti perché erano divenute loro coetanee. Sfortunatamente le statistiche relative all’età del matrimonio degli uomini e delle donne non sono ancora disponibili per Siena. Herlihy e Klapisch (Les Toscans et leurs familles, Paris, 1978) dimostrano che a Firenze l’età del matrimonio per le donne cominciò a salire già verso la fine del XVI secolo, proprio nel periodo in cui le condizioni patrimoniali per le donne a Siena stavano peggiorando.



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l’eredità. La vedova che nel Cinquecento era designata dal marito come erede universale si trovava dunque nella stessa condizione in cui si sarebbe trovata se il consorte le avesse lasciato soltanto i diritti che la consuetudine riconosceva alle vedove, senza poter esercitare alcun potere discrezionale circa l’amministrazione del patrimonio del defunto. Verso la fine del secolo si era però verificato un mutamento qualitativo: la scomparsa quasi totale dell’imposizione di tali condizioni consuetudinarie alle vedove prescelte come eredi universali.
I testamenti rivelano altre novità che contribuirono ad erodere l’efficacia del diritto statutario. Il numero dei testamenti fatti in comune da marito e moglie, solitamente quando entrambi godevano di buona salute, prima del 1575 appare trascurabile40. Durante tutto il Cinquecento si registra un solo esempio di questi atti a carattere solidale, mentre per la sola seconda metà del Seicento il nostro campione ne comprende nove. I testatori di cui si è accertata la professione erano tutti di modesta estrazione sociale: un ciabattino, un bottaio, un muratore, un setaiolo, tre maestri e un mezzadro. In questi testamenti ciascun coniuge chiedeva all’altro di pregare o di far cantare un certo numero di messe per la sua anima dopo che egli fosse morto. Ciascuno diventava l’esecutore testamentario dell’altro, e manifestava la propria totale fiducia in quella devozione che «tanti anni di matrimonio e di vita in comune autorizzavano ciascuno ad attendersi» dal coniuge. La vedova, poi, era assai più che non la semplice usufruttuaria del patrimonio maritale: in queste manifestazioni di volontà reciproca, essa veniva lasciata libera di goderne il possesso senza restrizioni. I diritti reali dei due coniugi, anzi, erano esattamente identici. Nel 1642, ad esempio, il «provido huomo» Cristofano, originario di Abbadia Isola, piccolo centro vicino a Monteriggioni, ma allora residente a Siena, fece testamento in comune con la moglie, madonna Maria. Cristofano nominava Maria, e Maria Cristofano, quale erede universale dei rispettivi patrimoni, e quindi i coniugi aggiungevano le seguenti parole: «non imponendo peso né aggravio ciascuno di loro all’altro perché ciascuno di loro confida nella buona coscientia dell’altro, che sopraviverà, che sia per farli tutti quei suffraggi possibili per salute dell’anima loro»41. Ancor prima che tali pratiche si diffondessero nella seconda metà del Seicento, tuttavia, vi furono testamenti che esprimevano sentimenti analoghi. Nel 1611, ad esempio, un fornaio del villaggio rurale di Pontremoli, che cuoceva il pane per le locande, affermava di aver scelto la moglie come erede universale per «altre infinite amorevolezze, e buona compagnia fattali», nonché per i servigi che gli aveva reso durante una sua malattia, e iniziava il suo elogio dichiarando che «fra di loro è stato sempre reciproco amore, e benevolenza»42.
40 Solitamente, le mogli trasmettevano ai propri mariti solo un terzo della dote, se nessun figlio sopravviveva al matrimonio (Il constitelo del Comune di Siena dell'anno 1262, a cura di L. Zdekauer, Milano, 1897, II, rubr. XXXIII, p. 214).
41 Noi. post-cos., n. 1762, no. 41, 75r-76r, 4.VI.1642.
42 Noi. post-cos., n. 1051, no. 52, 65v-66r, 24.X.1611: «E perché fra di loro è stato sempre, et è



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A testimoniare i mutamenti nei rispettivi diritti di proprietà di vedove e figli era infine la comparsa di espressioni esortative di tipo nuovo. Alla metà del Seicento i mariti, chiaramente riflettendo le dottrine tridentine sull’importanza della gerarchia e dell’obbedienza, collocavano le mogli al vertice della famiglia e le incitavano ad assumersi la responsabilità di continuare, come sostituti del padre, l’educazione dei figli nel «santo timore di Dio». Nel 1663 il «mezzaiolo» Austino del già Francesco Marianini, che coltivava il podere di San Maffei, di proprietà dell’ordine domenicano, designò la moglie, unitamente al figlio e alla figlia, come eredi universali dei suoi beni43. Decisamente in contrasto con le tipiche disposizioni patrimoniali cinquecentesche per le vedove (la concessione, cioè, del solo usufrutto), il testamento di Austino riconosceva esplicitamente alla moglie il diritto di alienare i beni e di usare la casa a suo piacimento. Anziché fare della moglie, come voleva la consuetudine, la «patrona usufructuaria», il mezzadro la lasciò «padrona assoluta», intendendo con ciò, come egli stesso precisava, che essa poteva fare tutto ciò che voleva dei beni maritali, in quanto era certo che avrebbe reso conto ai figli della sua amministrazione cosi come aveva fatto in passato. A lei, peraltro, egli affidava la responsabilità di educare i figli stessi nel «santo timore di Dio». Ancora una volta, tuttavia, la natura di questa obbligazione era diversissima da quella delle condizioni che i mariti imponevano alle mogli nel XVI secolo. Anziché disporre che fidecommissarii^ altri parenti o, come accadeva il più delle volte in passato, i figli stessi, sorvegliassero come cani da guardia il comportamento della madre, il testamento del contadino secentesco si limitava ad aggiungere: «è tutto perché confida nella sua bontà, et integrità»44. In chiusura, il mezzadro pregava la moglie, «per l’amor di Dio», di dotare «secondo le sue forze» la loro figlia quando avesse raggiunto l’età del matrimonio.
Altri casi di rispetto e affetto da parte dei mariti, anziché di controllo e vigilanza sul comportamento futuro delle vedove, si riscontrano nella
reciproco amore, e benevolenza, et in oltre haver da lei ricevuto buona e fedel servitù, e governo nelli suoi bisogni di malattie, et altre infinite amorevolezze, e buona compagnia fattali». Inoltre cfr. il testamento del sellaio, Not.post-cos.^ n. 184, no. 180,23r-25v, 21.VI.1595.
43 Noi post-cos., n. 2479, no. 1, 2r-3r, 9.X.1663.
44 Ibidem. «In tutti [...] suoi heredi universali institui [...] Francesco e Maria Anna suoi e di detta donna Maddalena figli, volendo anco che la medissima sia coherede delli medessima di dover tenere, e stare con detti suoi figli fino a’ che essa viverà o viveranno respettivamente et educarli nel Santo timore di dio, e tutto perché confida nella sua bontà, et integrità, e lassa la medissima donna e madonna e non solo usufruttaria, ma’ volse ancoraj, che in caso di necessità per souvenire detti suoi figli, o’ altra, possi vendere, o’ impegnare di casa quello che gli piacerà, senza che da nessuno gli possi esser tenuto conto di quello, che essa facesse, che intende, e vuole fino che essa viverà che detti figli stieno appresso la medesima e sia padrona assoluta di fare quel tanto che gli piacerà essendo certo che essa terrà conto di detti suoi figli come ha’ fatto per il passato però glieli raccomanda per l’Amor di Dio, e quando sarà in età nubile detta Maria Anna sua figliola a’ maritarla secondo le sue forse comporteranno». Per altri esempi di richiesta da parte dei mariti di obbedienza dei figli e di eterna «venerazione» delle loro madri, cfr. nota 21.



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seconda metà del Seicento. Nell’agosto 1678 lacomo di Antonio Benvenuti, un fiorentino che da molti anni viveva a Siena come commissario nell’ufficio dell’imposta sul tabacco, lasciava, oltre al suo patrimonio, istruzioni e consigli ai parenti più stretti, la moglie e una nipote ex fratre che abitava con loro da «più e più anni» e che ora considerava «meritanta come propria figlia sua». Il Benvenuti designava la moglie come erede universale e raccomandava «alla carità et amore di detta sua herede» che essa allevasse ed educasse la nipote al servizio di Dio e alla salute della propria anima, e la nutrisse il meglio possibile; era però pronto a precisare che non intendeva imporre all’erede alcun obbligo, ma faceva soltanto appello a quanto era lecito attendersi dalla volontà e dal desiderio di lei. Alla nipote diceva chiaramente che non aveva diritto a pretendere nessun’altra proprietà se non quelle enumerate nel testamento, e che si attendeva vivesse con sua moglie «con obbedienza et amore verso detta sua herede come figlia, servendola et assistendola in tutti i suoi bisogni»45.
In un altro testamento secentesco, il nobile Tullio Ugurgieri, del già nobile Fausto, cosi iniziava il comma relativo alla moglie: «Havendo conosciuto e con esperienza praticato l’amor cordiale che detta donna Giulia sua amatissima consorta ha sempre portato all’istesso testatore [...] et per continuare con l’istesso amore et affetto verso i detti loro carissimi figli [...]», e continuava affidandole i diritti e le responsabilità di «curatrice et amministratrice» dei figli e della casa. Aggiungeva poi che, dal momento che confidava particolarmente nel fatto che la moglie avrebbe ottemperato ai doveri nei confronti dei carissimi figli, e sperava che avrebbe sempre adempiuto con affetto materno l’impegno di educarli, la pregava, per l’amor di Dio, di vivere con loro, di allevarli, nutrirli e vestirli, e di amministrare la casa «per legge divina et humana». Il nobile testatore faceva poi appello «con amor Paterno» al figlio primogenito, il signor Francesco, affinché provvedesse amorevolmente alle necessità degli altri fratelli, ed esprimeva il desiderio che dimostrasse alla madre «la grande obbedienza» che fino ad allora aveva dimostrato al padre. Quest’ultimo, poi, in sorprendente contrasto con le formule cinquecentesche che garantivano ai figli maschi il supremo diritto di proprietà sulla casa di abitazione, obbligava il figlio a lasciare alla madre la casa stessa «in promiscuo uso». Il figlio, inoltre, era tenuto a non esigere alcunché della dote materna, né dei frutti di essa. Se la moglie del testatore avesse preferito non coabitare coi figli, essi avrebbero dovuto assicurarle un reddito annuo di trenta scudi46.
Con la diffusione della cultura tridentina attraverso le parrocchie, i mariti riconobbero alle vedove più spesso che non ai figli maschi superstiti il controllo supremo sull’ordine morale della famiglia. In questo caso, l’esigenza di un’educazione religiosa nel «santo timore di Dio» ebbe la meglio sulle vecchie preoccupazioni per la castità o per il nuovo matrimonio della vedova. Tali preoccupazioni, oltretutto, riguardavano
45 Noi. post-cos., n. 2730, no. 95, 26.VIII. 1678.
46 Noi. post-cos., n. 2730, no. 115, 56r-59r, 4.IV.1680.



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scelte non meramente attinenti alla sfera della morale, ma gravide di conseguenze sulla trasmissione del patrimonio alla progenie del marito e sulla frantumazione della proprietà.
Per meglio comprendere che cosa il Concilio di Trento offerse alle donne, lo storico deve entrare nel campo dei rapporti patrimoniali e studiare il ruolo delle donne nella trasmissione dei beni alla vigilia della Controriforma. Nella Siena del tardo Rinascimento, notai e testatori rinunciarono ai lunghi e dettagliati elenchi di legati a singole persone, spostando invece la loro attenzione sulle obbligazioni patrimoniali degli eredi universali47. Si ebbe una vistosa diminuzione del numero e del valore dei lasciti pii; nel corso del Cinquecento, anzi, crollarono per quantità e consistenza anche le donazioni a parenti che non fossero l’erede universale, come pure i legati ad amici e vicini. Nei testamenti del XVI secolo si provvedeva anzitutto a destinare ai primogeniti maschi i beni immobili, e poi a precostituire nei dettagli le future vicende della primogenitura attraverso la successione di padre in figlio maschio, introducendo disposizioni che scongiurassero in avvenire l’alienazione o la dispersione dei beni aviti del lignaggio.
Non solo da queste preoccupazioni erano assillati uomini e donne di Siena appartenenti a tutti gli strati sociali, dalle famiglie contadine (molte delle quali soltanto all’inizio del Cinquecento avevano per la prima volta acquisito un cognome) fino ai vecchi casati cittadini48, ma anche da quella di trasmettere agli eredi il proprio cognome e il proprio stemma nuovo di zecca. Dopo gli stringati elenchi di lasciti individuali, venivano lunghe clausole che dovevano consentire di proiettare nel futuro l’agognato albero genealogico, prevedendo ogni possibile caso in cui un erede morisse senza lasciare un successore maschio per la generazione seguente. I testatori specificavano nei particolari la destinazione dei beni e le linee parentali a cui essi dovevano spettare nel caso che si verificassero tali vuoti demografici, oppure uno degli eredi violasse le minuziose disposizioni patrimoniali del testatore. A volte, testatori preoccupati di scongiurare l’estinzione del lignaggio, e quindi del cognome di famiglia, introducevano clausole contenenti dettagliate prescrizioni per la scelta dei nuovi eredi, che avrebbero assunto le condizioni del testamento iniziale, lo stemma, la cappella e la sepoltura di famiglia, e, più importante di tutto, il cognome del casato.
In questo mondo di trasmissioni patrimoniali, le donne erano poco più che un ingranaggio in un meccanismo finalizzato a incanalare la proprietà attraverso la linea maschile del casato. Anche potenti nobildonne, come l’«honesta ac nobilissima» domina Camilla, figlia del fu magnate Raynaldo de Tolommeis e vedova di Niccolao de Petrucijs (1560), lasciarono nel loro testamento ben poche decisioni individuali49. Oltre alle lunghe e complesse
47 Questo argomento viene esaminato a lungo nella seconda parte del mio Death and Property, cit.
48 J.P. Cooper, Pattems of Meritante and Settkment by Great Landownes front thè Fifteenth to thè Eighteenth Centuries, in Family and Meritante: Ritrai Sotiety in Western Europe 1200-1800, ed. by J. Goody, J. Thirsk, E.P. Thompson, Cambridge, 1976, pp. 192-327, descrive l’eredità solo per i «grandi proprietari» e non concentra il suo studio sulle possibili trasformazioni di questi modelli nel lungo periodo.
49 Not„ n. 3124, no. 3.



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clausole che trasmettevano la maggior parte dei suoi beni ai futuri eredi maschi e che cercavano di preservare il lignaggio, questa donna straordinariamente ricca e imparentata con due delle più potenti famiglie della Siena del Cinquecento costituì soltanto quattro legati particolari, uno dei quali riguardava la restituzione di un debito.
Ai primi del Seicento le donne nobili furono le prime a spezzare la solidarietà di classe nei confronti delle strategie patrimoniali della linea maschile. Fu cosi che la «nobile et honestissima» signora Erminia Bellanti, moglie di Bernardo Francesconi, designò come eredi universali tutti e otto i suoi figli, «suoi figliuoli, tanto masti, quanto femine, per egual portione». Inoltre, sempre in contrasto con le strategie familiari e patrimoniali tipiche del Cinquecento, la nobile Erminia dichiarava di lasciare la sua eredità ai figli sia perché ne conservassero il possesso sia perché alienassero i beni. Inoltre, essa vietava al marito di acquisire in qualunque misura l’usufrutto dell’eredità stessa, esprimendo invece il desiderio che i figli ne godessero liberamente, pienamente e immediatamente i redditi, i frutti e i proventi, e «specialmente le femmine», in quanto «n’hanno maggior necessità». Il commento finale con cui la signora Erminia concludeva le sue ultime volontà denotava una svolta nella concezione dell’istituto familiare, inteso ora come finalizzato alle preoccupazioni immediate e al benessere dei figli viventi, in contrasto con l’ideologia cinquecentesca del lignaggio e della trasmissione ereditaria del patrimonio attraverso il sangue maschile. Essa dichiarava infatti che «il detto suo Consorte sia per approvare questa sua dispositione e commendarla», in quanto assunta per assicurare «benefitio alla Fameglia»50.
Altre nobildonne, come la «castissima» Elisabetta del fu signor Michelangelo de Ferrandinis, riservarono alle nipoti un trattamento preferenziale rispetto ai nipoti. Essa, infatti, designò come erede universale la nipote sposata, la «castissima» Lisabetta, lasciando ai nipoti maschi soltanto la
50 Noi post-cos^ n. 1164, no. 27, 31r-32r, 13.IX.1612: «In tutti [...] esser volse suoi heredi universali l’infrascritti suoi figliuoli, tanto masti, quanto femine, per equal portione, cioè Filippo. Ferdinando. Petro. Portia. Verginia. Livia. Caterina, et Aurelia: con espressa proibitione e protestatione, ch’in tale sua heredità, al detto Signor Bernardo suo Consorte, e lor padre non s’acquisti ragione alcuna d’usofrutto, o’ d’altro, che per ragione [...] ch’i suoi beni liberamente pienamente et immediatamente tanto per ragione di proprietà e quanto d’usofrutto, e di possesso appartenghino ad essi suoi figliuoli, di maniera che ne anco detto lor Padre n’habbia l’amministratione: e perciò dispose, e volse che l’attioni a lei competenti come sopra sieno a benefitio de medessimi esercitate et intentate dalla sopradetta Signora Margarita sua Madre, o da qualunque pure constituito da lei, facendola esecutrice della presente sua ultima voluntà, di maniera, che l’effetto sia, che i detti suoi figliuoli ne sentine l’utile, e commodo, et a lei appartenga il peso, e l’autorità di fare tutte le riscossioni, e mettere quanto prima insieme, et al netto tutte le sue facultà, acciò che quanto prima li detti sauoi figliuoli possino a goderle e specialmente le femmine, che n’hanno maggior necessità; rendendosi sicura, che il detto suo Consorte sia per approvare questa sua dispositione e commendarla, conoscendo non esser fatta per far’ a lui alcun torto, ma benefitio alla Fameglia, cosi richiedendolo lo stato disagioso di lui [...]». Tale interesse per il benessere della famiglia, cioè per l’immediato futuro dei figli del testatore in contrasto con il lignaggio, è espresso nel testamento del cappellaio Julius del fu Quirichi di Siena (Not., n. 2265, 8v-9v, 16.V.1581).



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biancheria di casa51. Più avanti di tutte, nella sua strategia controriformistica di aiuto ai più deboli, si spinse monna Cassandra del già Francesco Bianchi, umile terziaria dell’ordine domenicano, che nel suo testamento del 1691, reagendo all’ideologia cinquecentesca del sangue e della discendenza per via maschile, nominò eredi universali «tutte le figlie femmine legittime e naturali, tanto nate quanto che avvienisse nascere della detta Chiara Papari (la nipote della testatrice)». In questi termini essa chiariva ulteriormente le sue decisioni circa la futura devoluzione dei propri beni: «[...] e ciascuna di esse figlie equalmente [...] esclusi sempre et in qualsivoglia caso e tempo per maggior cautela [...] li figli maschi mentre però vi siano figlie femmine»52.
Ad essere in gioco, tuttavia, non era soltanto un mutamento delle concezioni relative alla famiglia. I dati statistici ricavati dai testamenti53 dimostrano come l’affermarsi della strategia cinquecentesca mirante alla sopravvivenza del lignaggio abbia sottratto alla Chiesa spazi sacri e ne abbia profondamente intaccato le entrate. Anche in questo caso, riallacciandosi agli anni di santa Caterina e dei riformatori di fine Trecento, gli ideologi della Chiesa controriformistica contrapposero l’attaccamento alla famiglia e ai beni terreni alla più intensa santità della vita spirituale, raggiunta attraverso gli ideali dell’ascesi e, almeno in parte, allentando gli effimeri legami degli affetti familiari54. L’attacco sferrato dalla Chiesa militante contro gli interessi del lignaggio trovò un alleato impensato. Anche le donne erano state vittime delle pratiche tardorinascimentali di trasmissione della proprietà55. In contrasto con i meccanismi di successione per via maschile, a Trento (ancora una volta, senza che vi fosse una precisa intenzione in tal senso) si aprirono per le donne possibilità nuove: partecipazione alla vita spirituale della parrocchia, nuove confraternite femminili, nuove organizzazioni dedite all’assistenza delle donne povere, nuove associazioni per la sepoltura dei cadaveri in cui le donne potevano prendere decisioni indipendentemente dai padri e dai mariti, e autorità in famiglia dopo la morte di questi ultimi. Come dimostra la vita della senese
51 No/, post-cos., n. 2319, no. 114, 8v-10v, 25.Vili. 1662.
52 Not. post-cos., n. 3110, no. 150, 7v-9r, 10.III. 1690: «Tutte le figlie femmine legittime e naturali, tanto nate quanto che avvienisse nascere della detta Chiara Papari [...] e ciascuna di esse figlie equalmente [...] esclusi sempre et in qualsi voglia caso e tempo per maggior cautela, [...] li figli maschi mentre però vi siano figlie femmine».
53 Si veda ancora Death and Property, cit.
54 Cfr., per esempio, C. Borromeo, Ammaestramenti, a cura di P. Pio Mauri, Milano, 19022, p. 25: «Da loro avete la carne ed il sangue per cui siete loro parenti; questo li spinge, questo cercano e di qua proviene tutto il danno. Ma bisogna staccarsene, bisogna licenziarli [...] Con questa divina risposta, dilettissime, dovete dar bando ai parenti, troncare le visite, chiudere i parlatorii, e allontanare da voi tutti questi impedimenti [...]».
55 Alla fine del XVI secolo le donne erano per di più l’obiettivo più esposto delle mire e delle strategie ecclesiastiche. Per le strategie matrimoniali del Cinquecento, le doti, specialmente quelle delle famiglie nobili, possono esser state inflazionate più di ogni altro bene nelle economie europee della prima età moderna (cfr. Cooper, Patterns of Inheritance, cit.; Cohn-Di Simplicio, Politica matrimoniale, cit.). Ciò significava che alle donne nel letto di morte era lasciato



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Passitea Crogi56, tali nuove opportunità non vennero però offerte su un piatto d’argento dai padri conciliari di Trento: furono invece le donne a conquistarsele con la loro iniziativa, durante la crisi delle ideologie che si verificò a fine Cinquecento. In effetti, i testamenti rivelano come le donne comuni, in anticipo di un’intera generazione sui fratelli e i mariti, costituissero l’avanguardia della Controriforma.
Resta però una domanda a cui rispondere: perché i mariti cambiarono mentalità? Perché ridussero le limitazioni che precedentemente erano soliti imporre alle quote di patrimonio che trasmettevano alle mogli? Certo, la Controriforma non aveva trasformato gli uomini in campioni di femminismo, sempre attenti ai diritti e alle esigenze delle mogli . Forse perché le donne godevano nella società senese di una posizione relativamente più forte ed erano maggiormente tutelate da tribunali ecclesiastici a loro volta più sensibili alle violenze quotidianamente commesse contro di loro58, nei testamenti successivi alla visita apostolica del Bossi sono effettivamente più frequenti gli esempi di donne che si lamentano della vita matrimoniale e del comportamento dei mariti. In un testamento del 1580 un uomo legava in usufrutto la sua «botiguccia» nel «terzo» di Camollfa, vicino alla Fonte d’Ovile, per provvedere alle necessità della figlia Laura, sposata con un conciapelli. Egli le concedeva questo sussidio perché, come affermava, Laura era «povera et abbandonata dal marito», e non aveva «donde possa vivere se no con le sue fatighe»59. In un testamento del 1602 monna Silvia già di Pierantonio Ciappettini, moglie di Savino Locci, ringraziava il fratello per tutto ciò che aveva da lui ricevuto «nelle sue adversità»60. «Tra molte altre cortesie et amorevolezze» ricordava «l’essere stata da lui ritenuta più tempo in casa sua et alla sua tavola et in casa sua alimentata et provista d’ogni suo bisognio e non solo in sanità ma in ogni sua occorrenza, e maxime nelle longhe liti havente con Savino suo marito, però per questa e per altre ragionevoli cause l’animo di essa testatrice moventi et in ogni miglior modo per ragioni di legato e prelegato» lasciava al fratello e ai di lui eredi un quarto della sua dote e dei
il controllo dei patrimoni in misura maggiore delle loro madri e delle loro nonne.
56 Cfr. E. Lazzareschi, Una mistica senese: Passitea Crogi, 1564-1615, in BSSP, XXII, 1915, pp. 419-433; XXIII, 1916, pp. 3-46.
57 Un lavoro in corso di stampa di Oscar Di Simplicio mostrerà, attraverso l’esame dettagliato della documentazione della corte ecclesiastica, che gli stupri e la violenza contro la moglie persistettero per tutto il periodo della prima età moderna.
8 F. D. Nardi, Aspetti deità vita dei religiosi a Siena nell’età della Controriforma (1600-1650) (1a parte), in BSSP, 93, 1986, p. 219, ha dimostrato che «le manifestazioni della violenza [sessuale] tollerate in periodi precedenti divennero totalmente inaccettabili» per i controlli più severi e più rigorosi dell’autorità ecclesiastica nel primo Seicento.
59 Not., n. 2742, no. 4, 30.VIII.1580: «Et per la medissima ragione et legato lassò a Laura sua figlia et moglie di Pace Coiaio l’usufrutto d’una sua bottiguccia nel T. di Camollia presso alla fonte d’ovile sotto casa Paliti fincella [...] si possa aitare et sovvenire a suoi bisogni, atteso ch’essa è povara et abbandonata dal marito et non ha donde possa vivere se no con le sue fatiche».
^Not. post-cos., n. 532, 20v-21v, 27.IV.1602.



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suoi beni, «pregandolo che havendo egli con tanta carità sovvenuto alle necessità del corpo suo, anco si compiaccia per l’amor di Dio e per carità sovvenire l’anima di essa testatrice quando all’altra vita sarà passata».
Né la Controriforma aveva fondamentalmente modificato l’usanza che per la maggioranza delle donne costituiva la base del benessere e della sicurezza economica, e cioè la dote. La fruizione di questo plurisecolare istituto poteva però rivelarsi difficile anche per le donne meglio collocate nella struttura sociale della prima età moderna. La «nobile e honestissima» signora Camilla alias Caterina, figlia del nobile Cesare Bianchi e vedova di un nobile fiorentino, nominò erede universale il proprio figlio. Se le fosse premorto, il suo posto sarebbe stato preso dal fratello di lei, il nobile signor Alcide. Nei confronti di quest’ultimo, essa esprimeva la sua grande riconoscenza «per le fadighe durate, e spese fatte nell’occasioni delle sue adversità passate», soprattutto nella lite da lei sostenuta a Firenze per recuperare la propria dote. Per cinque anni egli si era addossato l’onere di mantenere la sorella e i suoi figli, proprio quando essi erano piccoli e maggiormente bisognosi di assistenza61. Anche se la Controriforma non produsse un nuovo tipo di uomo femminista, né sconvolse l’istituto dotale, non solo gli atteggiamenti, ma anche i rapporti patrimoniali, sociali e giuridici furono ben lungi dal restare cristallizzati, per tutta la prima età moderna, in un qualche modello idealtipico di carattere premoderno. Mutarono gli atteggiamenti dei mariti nei confronti delle mogli, passando da un clima di sospetto, in cui si faceva ricorso a strumenti legali e ad agenti esterni di sorveglianza, ad un altro in cui prevalevano gli appelli alla coscienza, il rispetto reciproco e una nuova fiducia, fondata, a quanto si affermava, su vite intere di vicendevole affetto.
Come si possono, quindi, spiegare questi mutamenti? Anche in questo caso, alcuni indizi sono forniti dai testamenti. La cultura della Controriforma mutò i modi in cui uomini e donne immaginavano l’aldilà e vivevano nel presente. Nel tardo Quattrocento e nel Cinquecento, mentre declinava il numero e il valore dei lasciti pii, ai testatori interessava non tanto la salvezza della propria anima, quanto la sopravvivenza del cognome familiare. In meno di un quarto di secolo, le riforme varate a Trento trasformarono, prima per le donne, ma poi per entrambi i sessi, questa forma di investimento nel proprio lignaggio e di speranza materiale nella vita ultraterrena. Dopo le riforme tridentine, i testatori tornarono a rimpinguare i tesori delle corporazioni religiose, e giunsero al punto di alienare proprietà avite in nome della salvezza della loro anima. In un’atmosfera come quella del Seicento, carica di timori, ossessioni e attese spirituali, uomini quali l’«illustre» Annibaie Piccolomini riponevano
61 Noi. post-cos.^ n. 1568, no. 48, 73v-76r, 27. VI. 1642: «[...] al quale disse havere molti obligati per le fadighe durante, e spese fatte nell’occasioni delle sue adversità passate, e nominatamente nell’occasione delle liti, e per recuperare le sue doti in fiorenza e fino che le recuperò, e cosi per lo spatio di cinque anni, e li vantaggi ha fatto le spese à essa, e suoi fìghioli all’hora piccoli del proprio in numero di quattro figli e poi sempre trattatela bene».



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speranze ben maggiori che non i loro antenati del secolo precedente sull’intercessione terrena delle proprie mogli, che incaricavano di pregare e di far celebrare messe, di organizzare i loro funerali e di designare le persone e gli enti assistenziali piu meritevoli di aiuto. Nel nuovo clima spirituale della Controriforma la moglie era diventata, una generazione prima degli uomini, il centro spirituale della famiglia. I mariti che si preparavano alla morte, e che si preoccupavano ora più del destino della loro anima che di quello dei loro beni, trovavano più utile l’aiuto da parte delle mogli che non le minuziose prescrizioni circa gli usufrutti, incanalati attraverso le cavillose clausole dei notai.
In conclusione, ritengo che si possa rimettere in discussione la perfetta analogia di fenomeni paralleli quali l’affermazione dello Stato autoritario, della Riforma autoritaria, della Controriforma autoritaria e della famiglia autoritaria. In primo luogo, è chiaro che la Controriforma non fu un movimento unidirezionale, rivolto unicamente verso il basso, e tale da imporre il conformismo e l’ortodossia soltanto con la forza e la repressione62. A Siena, le visite apostoliche innescarono un conflitto più complesso, che vide l’alleanza di contadini, artigiani e riformatori contro un clero pigro e compiaciuto di sé, con una struttura fondata, dal vertice alla base, sul nepotismo dei vecchi casati e delle vecchie famiglie nobili. In secondo luogo, la Controriforma «autoritaria» ebbe conseguenze forse non volute, e certamente sorprendenti, nella sfera della vita familiare. Vedove e madri, dopo la morte del marito, acquisirono responsabilità e autorità fra le mura domestiche, contro le pretese dei figli maschi superstiti, dei parenti del marito e degli esecutori testamentari. Dalle disposizioni autoritarie e dai controlli che i mariti del Cinquecento, prima della Controriforma, imponevano alle vedove, i mariti senesi dell’età della Controriforma passarono agli appelli all’amore e all’affetto delle mogli, e presero a fare affidamento sulla lealtà che i travagli della vita coniugale e l’«esperienza praticata» li avevano convinti esser lecito attendersi da loro, ricusando esplicitamente i controlli tipici del secolo precedente. Fu cosi che la Controriforma, anziché protrarre, o addirittura accentuare, le relazioni interconiugali di tipo autoritario caratteristiche delle strutture familiari cinquecentesche, segnò una netta rottura con le strategie di continuità del ligHaggi0 e di trasmissione patrimoniale che imperavano prima della Riforma. Già alla fine del Cinquecento, nell’era della devozione controriformistica, le donne avevano cessato di essere semplici ingranaggi del meccanismo di trasmissione dei beni attraverso la linea maschile, e potevano invece disporre di una più ampia possibilità di scelta, tanto nei confronti del loro patrimonio, quanto in quelli della salvezza dell’anima e
62 Cfr. per esempio, lo studio che Franco Nardi dedica a Matteo Guerra, un contadino analfabeta, che nell’atmosfera della Controriforma della fine del XVI secolo entrò nelle vecchie roccaforti della più esclusiva società nobiliare, come la confraternita dell’ospedale di Santa Maria della Scala e la parocchia di San Giorgio, e guidò il movimento riformatore spesso contro l’opposizione di esponenti di ceti più elevati.



224 Samuel Cohn jr.
del luogo dove assicurare al loro corpo l’estremo riposo.
traduzione di Claudio Rosso
Devozione per sesso, 1451-1799
Uomini
periodo testatori numero di lasciti pii in valore monetario valore medio per testatore rapporto tra i valori m/f
1451-75 40 67.80% 96 50.00% 26.20 3.25
1476-1500 65 65.35% 114 50.88% 60.07 2.53
1501-25 65 71.58% 92 53.26% 50.04 1.74
1526-50 40 66.18% 69 43.48% 103.10 1.06
1551-75 78 63.36% 111 43.24% 151.51 13.00
1576-1600 80 67.18% 110 41.82% 93.33 1.34
1601-25 48 59.52% 143 48.95% 322.65 1.08
1626-50 62 54.87% 168 30.36% 260.24 0.64
1651-75 53 58.24% 99 28.28% 321.55 1.06
1676-1700 59 58.65% 153 25.49% 312.78 0.55
1701-25 70 67.62% 225 31.56% 561.69 1.33
1726-50 46 62.16% 143 27.97% 636.54 1.88
1751-75 59 64.52% 99 21.21% 155.65 1.32
1776-1800 42 67.19% 116 43.97% 133.68 2.08
Donne
periodo testatori numero di lasciti pii in valore monetario valore medio per testatore rapporto tra i valori m/f
1451-75 19 32.20% 26 57.69% 8.06 0.31
1476-1500 34 34.65% 49 59.18% 23.71 0.39
1501-25 27 28.42% 31 45.16% 28.72 0.57
1526-50 23 33.82% 34 44.12% 97.57 0.95
1551-75 48 36.64% 53 50.94% 11.66 0.08
1576-1600 42 32.82% 80 46.25% 69.80 0.75
1601-25 34 40.48% 110 54.55% 297.46 0.92
1626-50 51 45.13% 105 28.57% 409.77 1.57
1651-75 38 41.76% 102 23.53% 304.71 0.95
1676-1700 43 41.35% 84 9.52% 573.47 1.83
1701-25 33 32.38% 88 34.09% 422.56 0.75
1726-50 27 37.84% 65 29.23% 339.32 0.53
1751-75 29 35.48% 55 21.82% 117.71 0.76
1776-1800 21 32.81% 30 26.67% 64.38 0.48