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Title
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Politica, ideologia, scienze sociali nella storiografia dell'Italia repubblicana
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Creator
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Francesco Barbagallo
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Date Issued
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1985-10-01
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Is Part Of
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Studi Storici
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volume
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26
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issue
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4
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page start
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827
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page end
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840
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Publisher
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Fondazione Istituto Gramsci
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Language
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ita
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Format
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pdf
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Relation
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Microfisica del potere: interventi politici, Italy, Einaudi, 1982
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Rights
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Studi Storici © 1985 Fondazione Istituto Gramsci
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Source
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https://web.archive.org/web/20230921174833/https://www.jstor.org/stable/20565669?searchText=Foucault&searchUri=%2Faction%2FdoBasicSearch%3FQuery%3DFoucault&efqs=eyJsYV9zdHIiOlsiYVhSaCJdfQ%3D%3D&sd=1975&ed=2000&pagemark=eyJwYWdlIjoxOSwic3RhcnRzIjp7IkpTVE9SQmFzaWMiOjQ1MH19&groupefq=WyJzZWFyY2hfY2hhcHRlciIsIm1wX3Jlc2VhcmNoX3JlcG9ydF9wYXJ0IiwiY29udHJpYnV0ZWRfdGV4dCIsInJldmlldyIsInNlYXJjaF9hcnRpY2xlIiwicmVzZWFyY2hfcmVwb3J0IiwiY29udHJpYnV0ZWRfYXVkaW8iXQ%3D%3D&ab_segments=0%2Fbasic_search_gsv2%2Fcontrol&refreqid=fastly-default%3Ae7acfa35b7935c33e3f72676f52ea9a1
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Subject
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rationality
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reason
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postmodernism and modernity
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extracted text
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POLITICA, IDEOLOGIA, SCIENZE SOCIALI
NELLA STORIOGRAFIA DELL’ITALIA REPUBBLICANA
Francesco Barbagallo
La fine della seconda guerra mondiale — che in Italia significa, dopo la caduta del fascismo, dissoluzione della monarchia e avvio della nuova fase repubblicana e democratica — costituisce uno spartiacque decisivo anche sul terreno della storia della storiografia. Le tendenze fino allora prevalenti nella storiografia italiana — il liberale indirizzo etico-politico d’ispirazione crociana e l’insegnamento realistico volpiano di impianto nazionalistico — avevano mantenuto a fondamento di pur diverse interpretazioni i concetti unificanti di patria e nazione, che l’esito disastroso di due guerre mondiali generate dall’esasperazione dissolvitrice dei nazionalismi covati nella vecchia Europa lasciava ora sul terreno oscurati, affievoliti, largamente contrastati L
Le trasformazioni profonde realizzatesi negli atteggiamenti ideali e nei concreti comportamenti durante la lotta di Resistenza conclusasi nella liberazione dal nazifascismo indicavano ora, dopo il 1945, come nuovi protagonisti della storia e oggetti centrali dell’attenzione storiografica le forze sociali e le correnti ideali rimaste ai margini del processo risorgimentale e, in larga misura, nello svolgimento storico del regno d’Italia, prima liberale, poi fascista. Operai e contadini; socialisti, comunisti e democristiani; marxisti, democratici radicali e cattolici erano le figure sociali, i soggetti politici, le tendenze ideologiche che si proponevano — pur tra grandi contrasti, difficoltà e incertezze — di costruire un nuovo Stato e una nuova società. Punto di partenza per un tale progetto non poteva essere che una riflessione attenta e una interrogazione spregiudicata sui caratteri costitutivi dello Stato unitario, sulle forme di organizzazione e di espansione della società italiana nelle sue interne contraddizioni, sul nodo politico del rapporto tra Stato liberale e regime fascista.
Lungo questo percorso s’intrecciavano rifiuti politici e insoddisfazioni storiografiche che rendevano ormai inadeguati ai tempi i diversi e contrastanti inse-
Relazione svolta al quarto colloquio tra la Facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Napoli e la Philosophische Fakultàt der Universitàt Dusseldorf sul tema Teorie e metodi della cultura storica in Italia e in Germania dal 1945 al 1980, Dusseldorf, 16-18 settembre 1985.
1 Cfr., per un panorama storiografico mondiale, G. Barraclough, Atlante della storia 1945-1975, Roma-Bari, 1977, pp. 228 sgg., e per la situazione italiana R. Romeo, L'interpretazione del Risorgimento nella nuova storiografia (1970), in Id., LTtalia unita e la prima guerra mondiale, Roma-Bari, 1978, PP- ^ sgg. Sulla storiografia italiana novecentesca resta fondamentale W. Maturi, Gli studi di storia moderna e contemporanea, in Cinquantanni di vita intellettuale italiana (1896-1946), Napoli, 1950,1.
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guarnenti storiografici e politici di Croce e di Volpe 2. Ne veniva confermata e accentuata peraltro, seppur mutata fortemente di segno, quella costante di fondo «che ha caratterizzato profondamente la storiografia italiana almeno dal XV secolo: il movente resta pur sempre l’interesse “politico” della storia» 3. Su questa strada si formava un’ampia tendenza di orientamento marxista, che traeva forte impulso ad una ricerca storica collegata ad una prospettiva di trasformazione della società italiana dalla pubblicazione, nel 1948, dei Quaderni del carcere di A. Gramsci, che si ponevano sul piano politico e metodologico come concreto superamento della liberale concezione etico-politica di B. Croce. Rilevante influsso in tal senso avrebbe anche avuto II capitalismo nelle campagne 1860-1900 di E. Sereni apparso nel 1947; né va sottovalutata l’influenza svolta, sul terreno dell’ampliamento degli orizzonti tematici e metodologici, dalla Storia del lavoro in Italia pubblicata da L. Dal Pane nel 1944.
Nel contempo si sviluppava, dall’interno di una prospettiva storiografica che già si era mostrata capace di fondere al piu alto livello il realistico insegnamento volpiano e il crociano indirizzo etico-politico, una innovativa tendenza volta a riaffermare il legame del lavoro storiografico col rinnovamento della vita civile, con le trasformazioni progressive di una società aperta finalmente alla democrazia. F. Chabod avrebbe realizzato nella forma più compiuta — ad esempio nelle Premesse del 1951 alla Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1896 — questa capacità di connettere influenze e orientamenti diversi ed anche contrastanti in una pratica storiografica di pregevolissima fattura, regolata da una metodologia storicistica, la cui particolare originalità risultava dal sapere unire alle influenze già ricordate gli insegnamenti di Ranke e di Meinecke, cosi estranei alla sensibilità del magistero crociano 4.
Accanto al preminente interesse politico appariva quindi un altro elemento di consolidata tradizione nella cultura italiana: quella strategia eclettica che per itinerari diversi aveva e avrebbe fatto consistere il primato italiano «nella capacità di mescolare e condurre a vera sintesi i movimenti culturali più disparati» 5. Questa linea di composizione di influenze diverse ricompariva in un’altra opera di grande respiro e forza sintetica qual era, nel 1950, Il Risorgimento in Sicilia di R. Romeo; che agli insegnamenti di Croce, di Volpe e di Chabod mostrava di saper accompagnare influssi metodologici e suggerimenti tematici
2 Essenziali testi riassuntivi sono la Storia d'Italia dal 1871 al 1915 di B. Croce e Italia moderna 1815-1915 di G. Volpe.
3 Cfr. R. Romano, La storiografia italiana oggi, Milano, 1978, p. 11.
4 Cfr. F. Diaz, La «nuova» storiografia fra impegno politico e ricerca scientifica: momenti e problemi 1945-1950, F. Tessitore, Il problema dello storicismo nella storiografia italiana (1920-1950), in Federico Chabod e la «nuova» storiografia italiana 1919-1950, a cura di B. Vigezzi, Milano, 1984, pp. 633-666, 313-343. Cfr. pure A. Casali, Storici italiani fra le due guerre. La «Nuova Rivista Storica» 1917-1943, Napoli, 1980. Sempre da vedere è il numero speciale dedicato a Chabod dalla «Rivista storica italiana» nel 1960.
5 Cfr. C. A. Viano, Il carattere della filosofia italiana contemporanea, in La cultura filosofica italiana dal 1945 al 1980 nelle sue relazioni con altri campi del sapere, Napoli, 1982, p. 25. Per una decisa polemica nei confronti delle tendenze eclettiche e sincretistiche prevalenti nella storiografia italiana e una critica delle incomprensioni chabodiane per uno studio storico della sfera della sensibilità e delle passioni umane lungo i nuovi percorsi indicati da L. Febvre, cfr. M. Del Treppo, La libertà della memoria, in «Clio», XII, 1976, pp. 189 sgg.
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di ascendenza gramsciana 6, nello sforzo riuscito di stringere insieme economia e società, cultura e politica.
Lungo la linea della sensibile attenzione dedicata da D. Cantinoti ai filoni appartati o dimenticati di utopisti e radicali, rivoluzionari e riformatori, nella ricerca di «ciò che non è ma forse sarà», si sviluppavano per prime, al chiudersi degli anni Quaranta, le ricerche di A. Galante Garrone e di A. Saitta intorno a Filippo Buonarroti e alle correnti rivoluzionarie tra XVIII e XIX secolo. Nel filone democratico e socialista libertario, caratterizzato dalla lezione storiografica e dall’impegno antifascista di G. Salvemini, di A. Garosci e di Carlo e Nello Rosselli, si collocava invece il lavoro di F. Venturi che avviava le sue innovative ricerche sull’Illuminismo italiano ed europeo in un sapiente equilibrio di cura filologica e ricostruzione del contesto politico-sociale; e, nel 1952, pubblicava la fondamentale opera su II populismo russo, che nell’autore indicava uno dei rari storici italiani di vasta apertura europea anche per tematiche e orizzonti di ricerca. Presto sarebbe quindi comparso, con La società veneta alla fine del Settecento di M. Berengo, uno dei frutti piu maturi di quella giovane storiografia che, a cavallo degli anni Cinquanta, si impegnava a tradurre in concrete ricerche le indicazioni metodologiche marxiane e gramsciane 7. A dieci anni dalla cesura del 1945 si può fissare un altro momento di passaggio significativo nella storia della storiografia italiana contemporanea. Il confronto piu serrato si svolge, su un terreno preminentemente politico, tra una storiografia liberaldemocratica di ascendenza etico-politica ma pronta, negli esponenti piu aggiornati, ad allargare la prospettiva di ricerca al campo economico-sociale e la corrente di ispirazione gramsciana e marxiana che si caratterizzava appunto per un’attenzione crescente alle forme strutturali delle economie e delle società. In effetti questa tendenza corrispondeva ad una fase piu avanzata della storiografia di ispirazione marxista, che si era affermata a cavallo degli anni Cinquanta in connessione coi movimenti di lotta e l’organizzazione politica di operai e contadini. Su questa ispirazione essenzialmente classica era sorta, in collegamento con la Biblioteca Feltrinelli, la prima serie della rivista «Movimento operaio», caratterizzata dall’interesse quasi esclusivo alla storia delle classi subalterne, vista come contraltare alla tradizionale storia dei ceti dominanti, e da un’attenzione preminente alla storia locale, considerata come possibilità di arricchimento di una storia nazionale troppo ristretta per ambiti, oggetti e soggetti storiografici8. Questa dimensione sarebbe presto apparsa troppo sbilanciata verso il corporativismo e il filologismo erudito, mentre si andava affermando piuttosto l’esigenza di una ricognizione complessiva della storia nazionale, considerata dalla prospettiva del movimento operaio e contadino 9.
6 Cfr. in tal senso i convergenti giudizi di F. Diaz, Indirizzi storiografici e metodologici tra il 1945 e il 1965, in La storiografia italiana negli ultimi venti anni, Milano, 1970, voi. Il, p. 1072 e di E. Passerin D’Entreves in Federico Chabod e la «nuova» storiografia, cit., p. 668.
7 Ben noto è il giudizio di D. Cantimori che nell’opera del Berengo indicava «il lavoro che più si avvicina al mio ideale di lavoro storico» («Movimento operaio», Vili, 1956, p. 325). Sulle prime prove della storiografia italiana nel secondo dopoguerra cfr. P. Villani, Dal 1748 al 1815, in La storiografia italiana negli ultimi venti anni, cit., I, pp. 585 sgg.
8 Cfr. la pionieristica ricerca di E. Ragionieri, Un comune socialista: Sesto Fiorentino, Roma, 1953.
9 II dibattito sulla rivista «Movimento operaio», passata nel 1953 dalla direzione di G. Bosio a quella di A. Saitta, si svolse tra il 1955 e il 1956, aperto dal direttore e sostanzialmente concluso dall’in-
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In tale direzione si consolidava e andava maturando significative esperienze di ricerca, susseguitesi tra la metà degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta, quella corrente di ispirazione marxista, che si proponeva anzitutto di spostare il centro dell’attenzione storiografica dagli aspetti etico-politici propri della tradizione crociana al contesto economico e sociale, considerato almeno tendenzialmente nel complessivo carattere di modo produttivo, piuttosto che nei parziali tracciati di un descrittivismo statistico e sociologico. Nascevano cosi i saggi sui rapporti sociali e di produzione nel Mezzogiorno e in Toscana, in Emilia, in Piemonte e nel Veneto di P. Villani e di R. Villari, di M. Mirri e di R. Zangheri, di G. Quazza e di M. Berengo 10.
Il X congresso internazionale di scienze storiche, svoltosi a Roma nel 1955, segnava intanto l’avvio dell’influenza, contrastata in principio ma poi largamente diffusasi, della storiografia quantitativa francese delle «Annales». Una decisa resistenza sul piano metodologico era espressa, in Italia, da quegli storici gramsciani, come G. Manacorda e E. Ragionieri, che alle polemiche con lo storicismo idealistico crociano facevano ora seguire le piu estese riserve nei confronti della storiografia economico-sociale avviata dall’insegnamento di E. Labrousse. Empirismo sociologico e descrittivismo statistico erano giudicati limiti gravi di una storia sociale, i cui esiti apparivano parziali per la scissione operata tra «forze profonde» e forze coscienti, tra forme strutturali e aspetti del mutamento a studiosi convinti della piu ricca complessità ermeneutica dello storicismo materialistico n.
Mentre la tendenza storiografica d’ispirazione gramsciana mostrava il volto delle armi alle scienze sociali, riduttivamente considerate espressione della ideologia neocapitalistica di matrice americana, proprio in quel 1956 della denuncia dello stalinismo al XX congresso del Pcus, erano formulate le critiche di R. Romeo alla giovane storiografia di tendenza marxista, da cui si sviluppava un vivace e fruttuoso confronto sui caratteri del processo di unificazione italiana e le forme del successivo modello capitalistico, nei rapporti tra i diversi settori produttivi e ceti sociali e tra le grandi aree territoriali del paese 12. L’espansione
tervento di D. Cantimori. Cfr. pure G. Bosio, Iniziative e correnti negli studi di storia del movimento operaio 1945-1962, in II movimento operaio e socialista. Bilancio storiografico e problemi storici, Milano, 1965, pp. 17-53; L. Masella, Passato e presente nel dibattito storiografico. Storici marxisti e mutamenti della società italiana 1955-1970. Antologia critica, Bari, 1979, pp. 3 sgg.
101 saggi di P. Villani e di R. Villari furono raccolti, rispettivamente, in Mezzogiorno tra riforme e rivoluzione, Bari, 1962 e Mezzogiorno e contadini, Bari, 1961. M. Mirri avviò su «Movimento operaio» nel 1955 la ricerca su Proprietari e contadini toscani nelle riforme leopoldine; mentre nel 1957 apparve il volume di G. Quazza su Le riforme in Piemonte nella prima metà del Settecento e nel 1961 il saggio di R. Zangheri su La proprietà terriera e le origini del Risorgimento nel Bolognese 1789-1804. .......... .
111 commenti critici di G. Manacorda e di E. Ragionieri apparvero rispettivamente su «Rinascita» (n. 9) e su «Il Contemporaneo» del 1955; ora in L. Masella, op. cit., pp. XVIII sg., 9-14. Fortemente critico di queste chiusure della storiografia marxista italiana degli anni Cinquanta rispetto alla storia sociale d’ispirazione francese e in genere alla sociologia come espressione della «ideologia americana» è il recente intervento di F. Andreucci-G. Turi, Indirizzi storiografici e organizzazione della ricerca, in «Passato e presente», II, 1983, n. 4, pp. 8 sgg.
121 saggi di R. Romeo, La storiografia politica marxista e Problemi dello sviluppo capitalistico in Italia dal 1861 al 1887 apparvero su «Nord e Sud» nel 1956 e nel 1958 e furono raccolti nel volume Risorgimento e capitalismo, Bari, 1959. Le prime repliche di parte marxista vennero da R. Villari,
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neocapitalistica avviata nella seconda metà degli anni Cinquanta fungeva certamente da stimolo per una riconsiderazione dei caratteri maturati, lungo il primo secolo unitario, dalla economia, dalla società e dalla politica italiana. I contrasti interpretativi riguardavano il peso diverso attribuito ai risultati positivi conseguiti dallo Stato unitario rispetto alle contraddizioni rimaste irrisolte, anzitutto la questione meridionale, e a problemi di centrale pregnanza storiografica e politica, come le relazioni tra l’Italia liberale e il fascismo e tra questo regime e la democrazia repubblicana.
Gli anni Sessanta si aprivano quindi all’insegna di un concomitante processo di caduta delle ideologie e di consolidamento del mito di uno sviluppo indefinito. Il tempo delle grandi concezioni del mondo sembrava definitivamente passato 13. Già messo in crisi il nesso tra storia e filosofia, in quella «generale crisi filosofica» del nostro tempo vista da G. Sasso in polemica distanza dalla critica chabodiana all’idealismo storicistico crociano 14, tendeva ora a ridefinirsi e talora ad allentarsi quel vincolo tra storiografia e politica caratteristico della cultura storica italiana, vicina in questo alla tradizione germanica anche per la simile vicenda politica che aveva portato all’unificazione nazionale soltanto in età contemporanea. Nel ritornare piu volte sul problema della storia «universale» o «generale», intesa come storia «delle civiltà» al plurale, D. Cantimori, il cui magistero critico indirizzerà larghe e differenziate correnti della storiografia italiana contemporanea, non mancava di insistere sul valore politicocivile della ricerca storica, sull’importanza degli studi di storia per la formazione civile. «Non si tratta di funzione educativa come funzione edificante — chiariva a futura memoria —, o di fornire esempi: ma di “addestramento” a riconoscere le cose come stanno, i fatti come sono [...] non solo addestramento del giudizio politico attraverso il giudizio storico, ma alla libertà di giudizio e di critica [...]» 15.
Il processo espansivo che, a cavallo degli anni Sessanta, si definiva come «miracolo economico», almeno nella piu sviluppata area settentrionale del paese, accentuava il diffondersi di una tendenza anche storiografica al mero empirismo, al filologismo cronachistico staccato dai problemi, alla riconsiderazione del fatto come parlante da sé 16. Con una cadenza ancora decennale, nel 1965, era tra
Questione agraria e sviluppo del capitalismo nel Risorgimento, in «Cronache meridionali», III, 1956, pp. 536-542; e da R. Zangheri, La mancata rivoluzione agraria nel Risorgimento e i problemi economici dell'Unità, in Istituto Gramsci, Studi gramsciani, Roma, 1958, pp. 369-384. Del successivo, ampio dibattito va ricordata almeno la raccolta di scritti curata da A. Caracciolo, La formazione dell'Italia industriale, Bàri, 1969.
13 Per una lucida riconsiderazione di questo secolare processo cfr. P. Rossi, Teorie della società e paradigmi storiografici tra Ottocento e Novecento e M. Revelli, Storia e scienze sociali: un approccio storico, in II mondo contemporaneo. Gli strumenti della ricerca, 2, Questioni di metodo, a cura di G. De Luna, P. Ortoleva, M. Revelli, N. Tranfaglia, Firenze, 1983,1, pp. 538-571; II, pp. 13414368.
14 Cfr. «La cultura», novembre 1964, p. 633; F. Chabod, Croce storico, in «Rivista storica italiana», LXIV, 1952, pp. 473 sgg.
15 Cfr. D. Cantimori, Ancora sulla «storia generale» (1958), in Id., Studi di storia, Torino, 1959, p. 816. Cfr. pure G. Miccoli, Delio Cantimori. La ricerca di una nuova critica storiografica, Torino, 1970.
16 Esemplari di questa tendenza po*ssono considerarsi R. De Felice, Mussolini il rivoluzionario 1883-1920, Torino, 1965 e B. Vigezzi, L'Italia di fronte alla prima guerra mondiale, I, L'Italia neutrale, Milano-Napoli, 1966. Cfr. in proposito R. Vivarelli, Benito Mussolini dal socialismo al fasci-
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i primi A. Garosci a sottolineare i pericoli di un radicale disimpegno ideologico, al cui apice si intravvedeva l’annullamento del problema storico. Il forte richiamo alla ragione storica si fondava sulla preoccupata considerazione che «la reazione contro le ideologie, i miti, le superstizioni sia andata anche oltre il segno; che essa possa aver intaccato gl’ideali, la ragione, le religioni» 17. Meno pessimista di Garosci sui frutti della storiografia italiana del secondo dopoguerra, considerata piu aperta a temi e orizzonti di quella sviluppatasi tra le due guerre, specie sul versante economico e sociale, F. Diaz concordava sul rischio ben concreto «che il disgusto per le concezioni del mondo e per le ideologie si traduca in politica nel tecnicismo qualunquistico e origini nella filosofia un arido strumentalismo metodologico, nella storiografia l’eruditismo filologico, presuntuoso e miope, incapace di rendere conto dei grandi motivi dello svolgimento storico» 18.
Lo sviluppo economico e il cauto riformismo dei primi anni Sessanta avevano favorito anche in Italia, in connessione con l’esperienza governativa di centrosinistra, una diffusione delle scienze sociali, quali sollecitatrici e garanti di determinati interventi volti alla modernizzazione dei diversi ambiti di una società largamente industrializzata. Il primo congresso della Società degli storici italiani, svoltosi nel 1967, quando peraltro questa congiuntura era già al termine, vedeva al centro degli interessi il problema della interdisciplinarietà, intesa prevalentemente come scambio tra discipline specialistiche, che non giungeva a toccare la specificità metodologica dei diversi campi19. L’affievolimento delle filosofie della storia e la crisi delle grandi concezioni del mondo, delle teorie generali della società favorivano l’accostamento della storiografia al campo delle scienze sociali — dall’economia alla sociologia, dalla demografia alla geografia — in un allargamento e approfondimento notevoli delle prospettive di ricerca. Momenti culminanti di questa tendenza degli studi storici sarebbero stati il XIII congresso internazionale di scienze storiche svoltosi a Mosca nel 1970, incentrato sui rapporti metodologici tra la storiografia e le scienze sociali, e il secondo congresso della Società degli storici italiani dedicato, nel 1972, ai Nuovi metodi della ricerca storica, indirizzato a cogliere l’utilità delle ipotesi metodologiche e dei risultati conoscitivi della sociologia e dell’antropologia, della psicologia e della demografia, e della linguistica strutturale ai fini di un rinnovato consolidamento della capacità ermeneutica della storiografia 20.
La difficoltà di costruire saldi rapporti tra storiografia e scienze sociali, non limitati a contatti effimeri e strumentali, nasceva, in Italia come in Germania, dal persistere di una tradizione privilegiante il rapporto della storia con la teo-
smo, in «Rivista storica italiana», LXXIX, 1967, pp. 428-458; N. Tranfaglia, Dalla neutralità italiana alle origini del fascismo, in «Studi Storici», X, 1969, pp. 335-386.
17 Cfr. A. Garosci, Ritorno alla ragione storica, in «Nord e Sud», XII, n. s., giugno-luglio 1965, p.10.
18 Cfr. F. Diaz, Iproblemi della ragione storica, in «Nord e Sud», XII, n. s., novembre 1965, ora in Id., Per una storia illuministica, Napoli, 1973, p. 108.
19 Cfr. in tal senso la prefazione di G. Martini e F. Vaisecchi ai volumi che raccolgono gli atti del congresso di Perugia del 1967, La storiografia italiana negli ultimi venti anni, cit., pp. XIV sgg.
20 Gli atti del congresso di Salerno — con le relazioni, fra gli altri, di F. Tessitore e di G. Galasso, di Paolo e di Pietro Rossi, di M. Livi Bacci, di G. Iacono e di C. Segre — sono stati pubblicati a Milano nel 1975 col titolo Nuovi metodi della ricerca storica.
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ria, la filosofia, la politica. Lo storicismo nelle sue diverse versioni — idealistico, critico, materialistico — ribadiva con forza la necessità di non perdere di vista la specificità del problema storico, del giudizio storiografico, del mutamento nella storia: lungo tale direttrice si sarebbero ritrovate le pur distinte posizioni di F. Diaz, di G. Galasso, di F. Tessitore, di R. Villari, di R. Zangheri21.
La comune matrice storicistica avvicinava quindi sul piano metodologico quelle correnti storiografiche che si erano confrontate più vivacemente sul piano degli indirizzi di ricerca: non per caso la divaricazione aveva seguito linee eminentemente politiche tra liberal-democratici e marxisti, e l’oggetto del contendere aveva riguardato essenzialmente i caratteri formativi e i modi di espansione dello Stato e della società italiana contemporanea. Da un lato F. Diaz e G. Galasso riproponevano il nesso storia-filosofia come antidoto al rischio di «disideologizzazione» della storia al contatto con le scienze sociali, al pericolo di perdere di vista la specificità del problema storico. D’altro canto il nesso tra storia e teoria veniva mantenuto fermo da G. Mori e da R. Zangheri che, insieme a M. Dobb e a P. Vilar, tenevano viva, lungo tutti gli anni Sessanta, una costante polemica con le tendenze sociologiche a carattere meccanicistico ed econometrico che si diffondevano dalla cultura angloamericana, e riproponevano invece in termini marxisti la definizione di più concreti rapporti tra ricerca storica e ricerca economica22. Teoria marxiana dei modi di produzione e interpretazione gramsciana della storia d’Italia erano i punti di riferimento essenziali della corrente storiografica che si era raccolta intorno alla nuova rivista dell’Istituto Gramsci «Studi Storici» 23, sorta nel 1959 con una rinnovata attenzione ai nessi tra Stato e società, alle relazioni tra ceti dirigenti e classi popolari, alla costruzione di una egemonia nazionale, in stretto rapporto coi problemi del presente e in costante polemica con la corrente diffusione dell’ideologia dello sviluppo neocapitalistico.
Una diversa disponibilità ad allacciare legami più organici tra storia e scienze sociali, ad ampliare la prospettiva storiografica ricorrendo alle metodologie delle diverse scienze umane, mostrava invece la rivista «Quaderni storici delle Marche», che sul primo numero apparso nel 1966 pubblicava, quasi manifesto programmatico, il saggio di F. Braudel sulla lunga durata, comparso anni prima sulle «Annales». Al momento della trasformazione in «Quaderni storici», nel 1970, A. Caracciolo e P. Villani ribadivano la necessità di usare metodologie
21 Cfr. F. Diaz, Le stanchezze di Clio, in «Rivista storica italiana», LXXXIV, 1972, pp. 738 sgg.; G. Galasso, Sociologia e storiografia, F. Tessitore, Storiografia, filosofia, pensiero politico, in Nuovi metodi della ricerca storica, cit., pp. 253-282, 15-35; R. Villari-R. Zangheri, Sul congresso nazionale di scienze storiche, in «Studi Storici», Vili, 1967, pp. 798 sgg.
22 Cfr. G. Mori, Premesse e implicazioni di una recente specializzazione storiografica americana: la «Entrepeneurial History», P. Vilar, Marxisme et historie dans le développement des Sciences humaines. Pour un debat méthodologique, in «Studi Storici», I, 1959-60, pp. 755-792, 1008-1043; M. Dobb, Alcune considerazioni sulla rivoluzione industriale, in «Studi Storici», II, 1961, pp. 457-464; R. Zangheri, Ricerca storica e ricerca economica. Agricoltura e sviluppo del capitalismo, in «Studi Storici», VII, 1966, pp. 451-46.
23 Su questa rivista cfr. ora la premessa di G. Manacorda e la nota introduttiva di A. Vittoria e G. Bruno a «Studi Storici». Indice 1959-1984, Roma, 1985, pp. VII sgg.
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e tecniche mutuate da discipline non storiche per un allargamento delle prospettive di ricerca, in una dimensione che superasse la più tradizionale storia degli eventi, e insistevano sul valore degli apporti interdisciplinari che potevano venire da economisti, sociologi, giuristi, demografi, geografi per una rinnovata «storia delle strutture e realtà sociali proprie del passaggio al mondo moderno» 24.
Intanto gli sconvolgimenti sociali e politici della fine degli anni Sessanta segnavano in Italia anche la crisi delle scienze sociali come supporto culturale eminentemente empirico di un processo riformistico di modernizzazione razionalizzatrice 25. L’ideologia, già data per scomparsa, riappariva con forza sulla scena del mondo e indicava traguardi di radicale trasformazione, che si connettevano ancora una volta a concezioni globali, a teorie generali della società addensate ora intorno a un marxismo rivoluzionario, pur diversamente inteso nei vari punti del globo. In una sorta di ciclica alternanza, riproponen-tesi lungo i decenni, erano ancora una volta le ideologie, le teorie generali della società ad occupare il centro anche della scena storiografica, sul principio degli anni Settanta. Il che avveniva, inutile dirlo, per l’incidenza che i fatti del mondo hanno sempre sulla posizione e impostazione dei problemi storiografici; e allora i principali eventi erano la guerra del Vietnam, le rivolte giovanili, le agitazioni sociali.
In un clima di grandi attese nel presente per il futuro, la storia contemporanea viveva il momento del più grande successo. Erano superate d’un colpo le riserve che avevano rallentato l’espansione di questa disciplina sul terreno didattico, in nome di una presunta serenità di giudizio, per cui si richiedeva una distanza di tempo ben superiore, ad esempio, a quella risultata sufficiente a B. Croce per scrivere , nel 1927, la Storia d'Italia dal 1871 al 1915. Nascevano a breve distanza, nel 1970 e nel 1972, due riviste — «Storia contemporanea» e «Rivista di storia contemporanea» — schierate su opposte posizioni, specie nell’interpretazione del regime fascista: l’una diretta da R. De Felice, a carattere prevalentemente filologico-documentario, aperta ai contributi delle scienze sociali ma anche al rischio del cronachismo, a inflessione moderata 26; l’altra diretta da G. Quazza insieme a un ampio comitato, polemica contro ogni «disimpegno politico e civile», attenta programmaticamente al «problema del potere nella società contemporanea»27, ma portata a cadere in eccessi di cronachismo politico fortemente ideologizzato in direzione radicale.
Questi rischi ben concreti di neofilologismo, prolissità documentaria, cronachismo politico, pur di segno ideologico opposto, erano denunciati per tempo da A. Caracciolo e P. Villani che ponevano nel 1972 un problema di nuovi punti di riferimento e modelli interpretativi per la storiografia italiana sull’età contemporanea, onde non perdere di vista «gli spessori più profondi della sto-
24 Cfr. la nota Al lettore su «Quaderni storici», V, 1970, p. 7.
25 Cfr. in proposito C. A. Viano, op cit., pp. 44 sgg.
26 Questa rivista non si presentò con un editoriale programmatico, come ha ricordato R. De Felice nell‘introdurre l’indice dei primi quindici anni (Quindici anni, in «Storia contemporanea», XV, 1984, pp. 1257 sgg.).
27 Cfr. l’editoriale del primo numero della «Rivista di storia contemporanea», I, 1972, p. 1 sgg.
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ria della società, della, vita civile, della produzione, per non dire il senso stesso della natura della formazione economico-sociale in questione» 28.
La prima metà degli anni Settanta vedeva svolgersi nella storiografia italiana due prevalenti influenze, spesso originalmente confluenti nonostante la loro diversa matrice: lo storicismo marxista e le aperture tematiche e metodologiche della complessa tradizione storiografica coagulatasi per esperienze successive intorno alle «Annales». La tendenza già sottolineata della cultura italiana a preferire le strade delle mescolanze eclettiche alle rigide contrapposizioni di principi e di idee produceva questo incontro, il cui momento piu significativo può forse riconoscersi nella Storia d’Italia curata da R. Romano e da C. Vivan-ti per l’editore Einaudi. Quest’opera rappresenta, per piu aspetti, un punto d’arrivo per una larga parte della storiografia italiana contemporanea e segna, in qualche modo, un discrimine con la fase che si aprirà sul finire degli anni Settanta, con altri riferimenti, prospettive, problemi.
Con la Storia d’Italia Einaudi — che si va pubblicando mentre si avvia alla conclusione l’imponente Storia dell’Italia moderna impostata sui canoni gramsciani da G. Candeloro per l’editore Feltrinelli — giunge a complessa configurazione quella tendenza caratteristica della storiografia italiana tesa a mantenere la centralità dell’interesse politico pur tra differenti sensibilità, accentuazioni, aperture. Impresa di forte impegno civile, questa Storia è una riflessione sulla crisi generale che va attraversando il paese, un complesso ripensamento del passato, una prospettiva di progettazione del futuro. In questo senso, come ripeteranno i curatori e apparirà dalla maggior parte dei saggi, il filo ispiratore dell’opera è nei Quaderni del carcere di Gramsci: storia nazionale quindi non piu come storia dell’Unità, dei motivi unitari, ma come storia delle diversità, degli squilibri, dei contrasti, come costruzione di una rinnovata egemonia culturale e politica. Intorno a questo asse di dichiarata matrice e prospettiva politica ruotava una serie ampia e differenziata di apporti metodologici innovativi, ampliamenti tematici, contributi di altre discipline, che fornirono una spinta certo notevole ad una larga diffusione di prospettive di ricerca e orizzonti problematici che non avevano ancora varcato i confini di uno stretto specialismo. Eclettismo sincretistico, enciclopedismo privo di un criterio unificante, deficiente rigore metodologico furono le critiche più diffuse ad un’opera stimolante, che destava sospetti anche per la sua tensione progettuale ad una riforma della società italiana fondata sull’aggregazione di un largo schieramento sociale e politico 29.
Intorno a quest’opera, pur nella persistenza di diverse linee interpretative, si definivano rinnovati incontri metodologici, come accadeva riguardo a una storia
28 Cfr. A. Caracciolo-P. Villani, Sugli studi di storia contemporanea. Proposte per un esame critico, in «Quaderni storici», VII, 1972, p. 383.
29 Cfr. G. Turi, I caratteri originali della storia d'Italia, in «Studi Storici», XIV, 1973, pp. 267 sgg.; J. Le Goff, recensione sul periodico Einaudi «Libri nuovi», marzo 1973; gli interventi di R. Villari, E. Ragionieri, R. Romano, G. Giarrizzo, S. Lanaro su «Caratteri originali» e prospettive di analisi: ancora sulla «Storia d'Italia» Einaudi, in «Quaderni storici», IX, 1974, pp. 523 sgg. Critici, tra gli altri, gli interventi di R. Romeo, Chi siamo e dove andiamo, in «La Stampa», 5 marzo 1974; e di A. Monti, La «Storia d'Italia» Einaudi, Gramsci e le «Annales»: elementi di riflessione per un rapporto fra storiografia e società civile, in «Quaderni storici», XI, 1976, pp. 729 sgg.
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del potere, distante dalla vecchia storia etico-politica per la tendenza a riesaminare insieme politica e società, istituzioni e gruppi d’interesse, forze sociali e linee culturali: e su questa strada tendevano a confluire posizioni un tempo lontane come quelle di G. Galasso e di E. Ragionieri30.
La diffusa «tendenza in atto verso un ecumenismo storiografico pacificatore e acritico» veniva invece, nel 1976, aspramente criticata in nome della distinzione delle idee storiografiche e di una discussione sui principi, invero mancata, da M. Del Treppo, che esternava i suoi dubbi teoretici di fronte alla corrente diffusione di «una comune pratica storiografica, ispirata a criteri di globalità, interdisciplinarietà, massimo ampliamento della tematizzazione della ricerca in corrispondenza della più larga varietà e specializzazione degli strumenti di indagine». Ancor più che l’impuro connubio tra marxismo e influssi delle «An-nales», gli strali del medievista napoletano colpivano l’intuizionismo individualizzante di matrice crociana, indicato come responsabile del lungo accantonamento di schemi, griglie interpretative, tipi ideali, metodologie generalizzanti, analisi comparate. Ma l’esortazione più decisa era volta a ridare profondità e pluridimensionalità al passato, evitandone l’appiattimento per eccesso di contemporaneizzazione: una razionalità retrospettiva non doveva cancellare le potenzialità, le alternative, le occasioni mancate; il passato andava compreso sia in rapporto al presente che nelle sue proprie dimensioni31.
La seconda metà degli anni Settanta segnava una svolta negli orientamenti e nelle tendenze storiografiche diffuse in Italia che può forse compararsi, per spessore e novità, a quella del 1945, da cui si sono prese le mosse. Si veniva in qualche modo a concludere una fase trentennale della storiografia italiana che, tra polemiche e consistenti distinzioni nei diversi settori, aveva mantenuto la centralità dell’interesse politico pur nelle diverse sensibilità e accentuazioni. L’eccesso di politicità, cui non riesce di trovare sbocco adeguato sui diversi versanti ove si dirige, finisce per rovesciarsi in una sensibilità diffusa di distanza dal presente, talora in nostalgia del passato. Una immagine più articolata di un mondo lontano come quello medievale trova una larga diffusione anche grazie alle innovazioni e agli ampliamenti tematici e metodologici della storiografia francese, e finisce per sostituire il trasporto politico-ideologico per le vicende contemporanee di qualche anno prima. La centralità a lungo indiscussa del rapporto tra passato e presente viene ora da più parti confrontata col rischio dell’anacronismo, dell’appiattimento del passato sul presente; e questo proprio mentre vengono rimesse in discussione, nel dibattito internazionale, le categorie della politica. La crisi del Welfare, sul finire degli anni Settanta, porta con sé la crisi dello Stato e della politica, mentre la società sempre più si frantuma per strati, rivendicazioni e conflitti non più riassumibili nelle tradizionali ri-
30 Cfr. le relazioni svolte nel 1976 intorno al volume di E. Ragionieri sulla storia politica e sociale dell’Italia unita da G. Galasso, La storiografia di Ernesto Ragionieri: società e stato e da R. Romanelli, Storia politica e storia sociale: questioni aperte, ora in Società e cultura dell’Italia unita, a cura di P. Macry e A. Palermo, Napoli, 1978, pp. 55-68, 89-111. Cfr. pure la relazione del 1978 di G. Galasso, Il potere e i rapporti tra le classi, in L’Italia unita nella storiografia del secondo dopoguerra, a cura di N. Tranfaglia, Milano, 1980, pp. 32 sgg.
31 Cfr. M. Del Treppo, art. cit., passim.
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partizioni32. Contemporaneamente riprende, anche in Italia, il dibattito, peraltro secolare, sulla crisi della ragione, sul relativismo pluralistico sostitutivo del modello classico di razionalità e il confronto piu recente sulla complessità senza centro e la crisi degli schemi interpretativi generali33. Ragione, totalità, centro, punti di riferimento, progresso, futuro attraversano una stagione di grande precarietà; è l’ora dell’ambiguo, l’acentrato, il marginale, il frammento, il presente contratto.
Tramonto della politica e dei grandi orizzonti di trasformazione, crisi fiscale dello Stato e frantumazione particolaristica della società, crescente riduzione del senso di cittadinanza sono fenomeni che toccano diversamente i maggiori paesi sviluppati, dove il mercato va prendendosi una contingente rivincita sullo Stato, il privato sembra prevalere sul pubblico nelle sfere piu diverse. L’aprirsi dell’ultimo ventennio del secolo vede crescere le difficoltà delle diverse correnti storicistiche a lungo prevalenti nella storiografia italiana. Alla crisi dei grandi punti di riferimento della cultura storica liberale — Stato, nazione, cittadinanza — si aggiunge ora l’affievolimento dei parametri essenziali della storiografia marxista e gramsciana: capitalismo, socialismo, imperialismo, rivoluzione, classe.
La nuova fase di crisi dello storicismo produce un’ulteriore spinta a rinnovare ed estendere l’incontro della storiografia con le scienze umane. Sulla scia della storiografia sociale diffusa con accenti diversi in Francia e in Gran Bretagna, negli Stati Uniti e in Germania, l’interesse va ora spostandosi, anche in Italia, dai modelli scientifici di tipo quantitativo propri di economia, sociologia e demografia agli aspetti qualitativi, alle dimensioni culturali emergenti dall’antropologia, l’etnologia, la psicologia. Il qualitativo, il narrativo è all’attacco, il quantitativo, lo scientifico subisce colpi: la polemica è antica, quanto poco consistente nella sua dimensione alternativa. È il momento del grande successo della storia sociale, nelle più diverse accezioni. Storia sociale come «un nuovo genere di storia», secondo la prima indicazione di L. Febvre; o storia della società globalmente intesa, come indicava E. Hobsbawm nel 1973 e come riaffermerà la rivista «Società e storia», sorta nel 1978 per iniziativa di un largo numero di storici delle strutture e delle istituzioni intorno a F. Della Feruta. O, invece, storia della cultura operaia e popolare, delle relazioni familiari, della vita quotidiana; o, ancora, storia sociale della classe e del movimento operaio, degli operai, delle classi subalterne; e quindi essenzialmente storia orale 34.
32 Cfr. C. Offe, Strukturprobleme des Kapitalistischen Staates, Frankufurt a/M, 1972 (trad. it. Lo Stato nel capitalismo maturo, Milano, 1977); J. Habermas, Legitimationsprobleme im Spatkapitali-smus, Frankufurt a/M, 1973 (trad. it. La crisi della razionalità nel capitalismo maturo, Bari, 1975); R. Ruffilli, Sulla «crisi dello Stato» nell’età contemporanea, in «Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento», II, 1976, pp. 513 sgg.; F. De Felice, Il Welfare State: questioni controverse e un’ipotesi interpretativa, in «Studi Storici», XXV, 1984, pp. 605-658.
33 Cfr. N. Luhmann, Macht, Stuttgart, 1975 (trad. it. Potere e complessità sociale, Milano, 1979); M. Foucault, Microfisica del potere. Interventi politici, Torino, 1977; Crisi della ragione. Nuovi modelli nel rapporto tra sapere e attività umane, a cura di A. Gargani, Torino, 1979.
34 Cfr. L. Febvre, Pour une histoire à part entière, Paris, 1962; Problemi di metodo storico, a cura di F. Braudel, Bari, 1973; Faire de l’histoire, Paris, 1974 (trad. it. ridotta Fare storia. Temi e metodi della nuova storiografia, a cura di J. Le Goff e P. Nora, Torino, 1981); E. J. Hobsbawm, Dalla storia sociale alla storia della società, in «Quaderni storici», Vili, 1973, pp. 49 sgg.; R. Samuel, Locai Histo-
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Le dimensioni e i confini del lavoro storico si sono ampliati a dismisura, sono finalmente attestati nella considerazione storiografica soggetti e ceti prima esclusi, sentimenti e problemi già ignorati o rimossi; anche la storiografia, nella società di massa, appare «democratizzata» 35. La frantumazione di un complesso presente, la difficoltà di indicare prospettive e proporre sintesi nella crisi dei grandi paradigmi di orientamento rimette in discussione il criterio di ogni ricostruzione storiografica: la scelta, la selezione, la gerarchia, tanto piu difficili da definire quanto meno chiaro è il modello di società cui rapportare l’interpretazione del nesso passato-futuro. Gli anni Settanta si erano aperti con una sbornia di politica e ideologia, tra grandi orizzonti di trasformazione verso nuovi modelli sociali e culturali; si chiudono con una diffusa negazione del progresso, nel timore del futuro, recuperando e privilegiando le dimensioni del privato, del quotidiano, del locale, del marginale.
Mentre cadono vecchie certezze, miti consolidati, recenti speranze, ricompaiono categorie, miti e ideologie che sembrava avessero concluso il loro ciclo e invece rivivono una imprevista primavera, opaca, confusa. Nella difficile ricerca del nuovo, tra spazi sempre piu larghi lasciati a una più libera espressione dell’ambiguità, della polivalenza, della pluralità di matrici, di esperienze, di esiti, improvvise paiono spuntare nuove sicurezze che, azzerate le passate gerarchie, ne riproducono subito di altre, dagli opposti ma non diversi caratteri. Il vario storicismo, in forte difficoltà per le passate chiusure e gli insuccessi delle sue diverse prospettive, è posto da più parti sul banco degli imputati: «selettivo e teleologico contraddittorio con la storicità delle esperienze», sentenzierà E. Grendi nel 1979, procedendo lungo l’asse inclinato della «panistorizzazione» già indicata da P. Veyne come via di liberazione dallo storicismo, ma meno indagata come possibile itinerario verso la dissoluzione della storiografia. Intanto là polemica con la selezione evolve verso nuove gerarchizzazioni, il ri-
ry and Orai History, in «History Workshop», I, 1976, pp. 191 sgg.; M. Mazza, Ritorno alle scienze umane. Problemi e tendenze della recente storiografìa sul mondo antico, in «Studi Storici», XIX, 1978, pp. 469 sgg.; G. D’Agostino-N. Gallerano-R. Monteleone, Riflessioni su «storia nazionale e storia locale», in «Italia contemporanea», XXX, 1978, pp. 3 sgg.; L. Passerini, Storia orale. Vita quotidiana e cultura materiale delle classi subalterne, Torino, 1978; K. Nield, «Social History»: problemi e prospettive, in «Quaderni storici», XIV, 1979, pp. 1126 sgg.; L. Stone, The revival of Narrative: Reflections on a New Old History, in «Past & Present», 1979, n. 85 (trad. it. Il ritorno alla narrazione. Riflessioni su una vecchia nuova storia, in «Comunità», XXXV, 1981, pp. 1 sgg.); E. J. Hob-sbawm, The revival of Narrative: Some Comments, in «Past & Present», 1980, n. 86, pp. 1 sgg.; E. P. Thompson, Società patrizia cultura plebea. Otto saggi di antropologia storica sull’Inghilterra del Settecento, Torino, 1981; P. Audenino, La cultura della classe operaia nell’età del decollo industriale, in «Studi Storici», XXII, 1981, pp. 887 sgg.; C. Tilly, Vecchio e nuovo nella storia sociale (1980), in «Passato e presente», I, 1982, n. 1, pp. 31 sgg.; G. Corni, «Geschichte und Gesellschafì», in «Passato e presente», I, 1982, n. 2, pp. 169 sgg.; Storia sociale e storia del movimento operaio. Orientamenti marxisti e studi antropologici italiani, a cura di M. Salvati e F. Zannino, Milano, 1982; H.-U. Wehler-J. Kocka, Sulla scienza della storia. Storiografia e scienze sociali, Bari, 1983; G. Mari, Tendenze e influenze della storiografia americana. Le proposte metodologiche, in «Ricerche storiche», XIV, 1984, pp. 609 sgg.
35 Cfr. le osservazioni di A. Momigliano, Linee per una valutazione della storiografia nel quindicennio 1961-1976, in «Rivista storica italiana», LXXXIX, 1976, pp. 596 sgg.; e le introduzioni di N. Tranfaglia, P. Ortoleva, G. De Luna, M. Revelli ai citati volumi II mondo contemporaneo. Gli strumenti della ricerca, 2, Questioni di metodo. Cfr. pure F. Barbagallo, La storia tra passato e futuro, in «Studi Storici», XXV, 1984, pp. 105-117.
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fiuto della teleologia rischia di colpire anche la diacronia e la possibilità del mutamento, che restano qualità distintive di ogni storiografia. Le rilevanze, le scelte, le discontinuità non sembrano eliminabili dall’orizzonte storiografico; certo possono mutare di segno, ma sempre dentro precisi sistemi di riferimento, dove il piccolo si confronta col grande, il singolo col collettivo, il marginale col meno periferico, in una scala di cui si possono continuamente ricomporre i gradini, ma comunque necessaria per cogliere le distanze, le distinzioni, le differenze di un universo per nulla appiattito, ma da ricostruire appunto nella sua complessità in movimento.
Tanto piu utile risulterà quindi anche l’analisi microstorica di taglio antropologico quanto meno si considererà esaustiva come proposta di ricerca e, ancor più, come ipotesi metodologica. Non sembra però su questa strada C. Ginz-burg quando si dichiara convinto «che a partire dall’analisi storica di processi microscopici la storiografia possa acquisire una dimensione teorica originale che da molti decenni ha perduto». In effetti non si tratta — come ha obiettato M. Vegetti — di questione di scala degli oggetti, quanto di capacità euristica dei modelli teorici: «Possiamo anche pensare che concetti come modo di produzione, rapporti di produzione, contraddizione, ecc. siano o logorati dall’uso o insufficienti teoricamente; ma non sono convinto che se ne possa fare a meno, senza puntare alla costruzione di strumenti di pari o maggiore potenza teorica complessiva, di pari o maggiore generalità, di pari o maggiore efficacia nella progettazione oltre che nella conoscenza» 36.
I sistemi scientifici, le proposte di metodo, gli orizzonti della ricerca non sono mai stati disgiunti dalle forme di organizzazione della società, dalle sue prospettive di rinnovamento, dalle sue situazioni di crisi. La profonda crisi di trasformazione che attraversa questo scorcio del XX secolo rimette continuamente in discussione riferimenti, valori, modelli intorno a cui si erano costruiti lentamente comportamenti, convinzioni, sicurezze, prospettive. La cultura, storica in particolare, non può scegliere di lasciarsi trascinare dai flutti di trasformazioni cosi rapide quanto difficili da interpretare con immediatezza. L’accelerazione del tempo presente contrae fortemente la maturazione dei processi, che appaiono superati e sostituiti con ritmi cui ancora non si è fatta abitudine. Se in passato la storia è stata anche supporto ideologico per determinati modelli di organizzazione sociale e politica, questo appare meno realizzabile oggi, quando si è alla ricerca da più parti, finora con scarsi risultati, di rinnovate forme organizzative dei rapporti sociali e politici che trascendano le insufficienti di-
36 II dibattito sulle prospettive della «microstoria» fu avviato dal saggio di C. Ginzburg, Spie. Radici di un paradigma indiziario, in Crisi della ragione, cit., pp. 57-106 e dall’intervento di E. Grendi, Del senso comune storiografico, in «Quaderni storici», XIV, 1979, pp. 698-707. All’intervento di E. Grendi seguirono repliche tanto polemiche quanto diversamente argomentate, fra cui si ricordano A. Caracciolo, L^homo faber» e il suo rovescio, P. Villani, Senso comune e senso della storia, in «Quaderni storici», XIV, 1979, pp. 1135-1151; E. Artifoni-G. Sergi, Microstoria e indizi, senza esclusioni e senza illusioni, G. Nenci, Tra xqovos e reXos, in «Quaderni storici», XV, 1980, pp. 1116-1135. Il riferimento nel testo è a P. Veyne, Come si scrive la storia. Saggio di epistemologia, Bari, 1973, p. 56. Il saggio di C. Ginzburg provocò un dibattito cui parteciparono, tra gli altri, L. Canfora, A. Carandini, A. Schiavone, S, Veca, M. Vegetti, R. Villari, C. Ginzburg, pubblicato su «Quaderni di storia», VI, 1980, pp. 31-54: le citazioni nel testo sono a pp. 53 e 17.
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mensioni nazionali e le invadenti tensioni particolaristiche per riuscire a porre in forme adeguate al nostro presente i problemi essenziali di ogni tempo: la pace, la vita, il sostentamento, il futuro degli uomini di un mondo per nulla omogeneo e pacificato, anzi sempre piu solcato da contrasti, squilibri, fratture, violenze, che non spetta alla storiografia di risolvere, ma certo di riconoscere e di indagare nella complessa mutevolezza, nella tragica persistenza.