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Title
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Il medico nell'Ottocento
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Creator
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Paolo Frascani
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Date Issued
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1982-07-01
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Is Part Of
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Studi Storici
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volume
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23
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issue
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3
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page start
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617
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page end
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637
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Publisher
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Fondazione Istituto Gramsci
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Language
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ita
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Format
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pdf
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Relation
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Nascita della clinica, Italy, Einaudi, 1969
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Rights
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Studi Storici © 1982 Fondazione Istituto Gramsci
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Source
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https://web.archive.org/web/20230921175127/https://www.jstor.org/stable/20565107?searchText=Foucault&searchUri=%2Faction%2FdoBasicSearch%3FQuery%3DFoucault&efqs=eyJsYV9zdHIiOlsiYVhSaCJdfQ%3D%3D&sd=1975&ed=2000&pagemark=eyJwYWdlIjoxOSwic3RhcnRzIjp7IkpTVE9SQmFzaWMiOjQ1MH19&groupefq=WyJzZWFyY2hfY2hhcHRlciIsIm1wX3Jlc2VhcmNoX3JlcG9ydF9wYXJ0IiwiY29udHJpYnV0ZWRfdGV4dCIsInJldmlldyIsInNlYXJjaF9hcnRpY2xlIiwicmVzZWFyY2hfcmVwb3J0IiwiY29udHJpYnV0ZWRfYXVkaW8iXQ%3D%3D&ab_segments=0%2Fbasic_search_gsv2%2Fcontrol&refreqid=fastly-default%3Ae7acfa35b7935c33e3f72676f52ea9a1
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Subject
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rationality
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surveillance
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discipline
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pathological
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extracted text
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IL MEDICO NELL’OTTOCENTO
Paolo Frascani
Il tema delle professioni liberali ha offerto negli ultimi anni più di una occasione per approfondire il confronto tra i sociologi e gli storici impegnati nello studio delle società complesse. Il bilancio di tale confronto non è del tutto soddisfacente. Mentre la letteratura sociologica si è definita in un vero e proprio settore di specializzazione, sviluppando le indicazioni di Parsons, Barber e Geode1, la ricerca storica si è limitata ad una verifica, per lo più empirica, dei modelli mutuati dalla teoria sociologica, riuscendo raramente ad inserire la vicenda delle élites professionali nella più ampia dimensione storica del funzionamento e dell’evoluzione dei sistemi sociali.
Va considerata pertanto con interesse l’emergere di una tendenza interpretativa che si sofferma a mettere a punto i risultati di una produzione storica ormai vasta e specializzata in relazione a singole aree geografiche, prendendo però anche le distanze da impostazioni schematiche ed incapaci di inquadrare il fenomeno « professione » in tutto il suo complesso spessore storico. Alcuni lavori recentemente apparsi si iscrivono in tale tendenza offrendo spunti stimolanti per un più consapevole approfondimento del lavoro degli storici sociali in questo settore,, ed è appunto intenzione di queste note discuterne e svilupparne alcune indicazioni di ricerca, come introduzione ad un’analisi della realtà professionale dei medici nella società italiana della seconda metà dell’Ottocento.
1 . L’ascesa della medicina nella società contemporanea è stata assunta a prototipo della letteratura storico-sociologica sui processi di professiona-lizzazione2. Indipendentemente dalla capacità di costruire e consolidare la propria fortuna, sfruttando le occasioni offerte dall’espansione del mercato e garantendosi con chiusure monopolistiche dall’invadente concorrenza dei non licenziati, i medici vivono nel corso del secolo scorso una profonda trasformazione culturale che modifica sostanzialmente i contenuti delle loro prestazioni.
Ripercorrendo le linee di questa evoluzione, in uno degli ultimi numeri di
1 W. Tousijn, Verso un'analisi di classe delle professioni, in «Rassegna italiana di sociologia», 1977, n. 3, p. 393.
2 I. Waddington, The Development of medicai Ethics. A sociological analysis, in « Medicai History », voi. XIX, 1975, pp. 48-49.
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« Quaderni storici », Matthew Ramsey ce ne ha fatto anche intravedere il tortuoso percorso, segnato dal divario esistente tra i tempi degli irreversibili successi conseguiti dalla scienza medica sul finire del secolo scorso e quelli della costruzione di un’egemonia professionale resa possibile, secondo lui, piu dalle determinazioni del potere politico che da una « autonomia » fondata su un consenso sociale saldamente controllato dalla medicina ufficiale3.
Delineando una diversa e piu vasta prospettiva di ricerca Paolo Macry ha riletto la vicenda delle élites professionali sul lungo periodo in una chiave storico-antropologica che ricollega al « sistema stabilizzante delle relazioni sociali »4, prima ancora che al mercato, il fortunato inserimento dei professionisti nelle società di ancien régime come in quelle complesse; ed ha affrontato in tale angolazione anche il tema della prestazione professionale e quindi del significato che i sistemi di sapere assumono nella esplicazione di una funzione di mediazione che qualificherebbe il ruolo dei professionisti in ogni epoca storica. Custodi ed interpreti di questi sistemi, che costituiscono le espressioni codificate di esigenze perenni dell’organizzazione sociale, come il diritto, la medicina, l’arte di costruire, i professionisti, secondo Macry, riescono a garantirsi un ruolo centrale all’interno di un determinato sistema di relazioni sociali, indipendentemente dai contenuti e quindi dalla qualità del sapere da loro mediato.
Ponendosi in una prospettiva di lungo periodo egli afferma così che nell’ambito della professione medica, la particolare relazione di dipendenza, curatore-paziente, reciproca ed asimmetrica, va oltre « il livello dell’efficacia terapeutica o delle competenze scientificamente fondate » 5, poiché i medici — intendendo in questa larga accezione « chiunque sa e può guarire, sia esso stregone, medico o re » 6 —, esistono prima della scienza medica e del riscontro di una loro capacità curativa. Esaminata in questa angolazione anche la vicenda dell’arte sanitaria nelle società contemporanee appare slegata dalla evoluzione del sapere medico, nella constatazione di una perennità di ruoli e di funzioni che, riecheggiando gli umori critici di un preciso filone di studi sui processi di medicalizzazione, ne ridimensiona anche l’immagine, spesso agiografica, tramandatacene dagli storici della medicina7.
Si delinea così un’interpretazione storica del processo di professionalizza-zione dei medici la quale, pur da diverse angolazioni di ricerca, fa riferimento, piuttosto che ad un’autonomia fondata su una competenza tecnica
3 M. Ramsey, Tbe Politics of professional Monopoly in Nineteenth-Century Medicine, in « Quaderni storici », 1981, n. 48, pp. 959-1011.
4 P. Macry, I professionisti. Note su tipologie e funzioni, in « Quaderni storici », 1981, n. 48, p. 924.
5 Ivi, p. 937.
6 Ivi, p. 936.
7 Un esempio anche brillante di questa linea interpretativa è costituito da F. Ongaro Basaglia e G. Bignami, Medicina/medicalizzazione, in Enciclopedia Einaudi, voi. 8, Torino, 1979, pp. 1022, alla quale si rimanda anche per gli ulteriori riferimenti bibliografici.
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« neutrally functional »8, alla dinamica degli equilibri sociali o — nel caso di Ramsey —, ai conflitti politici che sanciscono i progressi delle élites professionali nelle società complesse. È un approccio che si inquadra nella tendenza già segnalata a discutere concretamente i modelli elaborati dalla analisi sociologica ed a sottolineare, come avviene nella analisi di Paolo Macry, una continuità di lungo periodo del fenomeno professionistico di cui la ricerca storica non sembra aver acquistato sufficiente consapevolezza; ma che nello stesso tempo suscita anche qualche perplessità per il modo in cui affronta il tema della qualificazione sociale della figura del professionista in rapporto all’evoluzione del sapere assunto a punto di riferimento nell’esercizio delle sue funzioni.
La questione, che è stata recentemente posta al centro del dibattito teorico sul processo di professionalizzazione, non è di poco rilievo per chi si accinge a definire la prospettiva di uno studio storico della professione medica. Sottoponendo a serrata critica il modello dell’autonomia professionale Dietrich Rùschemeyr si è recentemente domandato se « il sapere che i professionisti devono imparare è realmente funzionale alla esplicazione professionale o se una vasta cultura serve soprattutto allo scopo di rendere difficile l’accesso alla professione e di sollevare in tal modo il reddito e la stima della professione » 9.
La risposta a cui egli perviene, accogliendo la prima di queste due possibilità, è che « il significato di un sapere scientificamente controllato e pragmaticamente rilevante per la collocazione di una professione nella struttura socio-economica, non può essere sottovalutato », anche se questo sapere non acquista la stessa rilevanza in relazione alle singole professioni ed esercita la sua influenza attraverso mediazioni istituzionali (istituzioni scientifiche e scolastiche), che unificano e rendono omogenee le prestazioni dei professionisti mediante la trasmissione di identici contenuti culturali, aggiornati sui progressi della ricerca scientifica10.
Si intravede cosi una relazione non labile tra i processi di elaborazione e divulgazione del sapere concretizzati nella particolare forma istituzionale che la ricerca scientifica assume nella età contemporanea e la crescita di realtà professionali che, come comprese la cultura medico-filosofica francese tra il XVIII ed il XIX secolo, si definiscono proprio in relazione ad un determinato assetto dell’organizzazione scientifica11.
Ed è proprio la storia della medicina ad offrire piu di uno spunto per chiarire una problematica centrale nello studio dei processi di professio-
8 E. Freidson, Professional Dominance: The Social Structure of Medicai Care, Chicago/New York, 1970, p. 129.
9 D. Rùschemeyr, Professionalisierung. Theoretische Probleme fiir die vergleichende Geschichtsforschung, in «Geschichte und Gesellschaft », Gottingen, 1980, voi. 6, n. 3, p. 322. Tutto il fascicolo, intitolato Professionalisierung in historischer Perspek-tive, è dedicato alla problematica storica del processo di professionalizzazione.
io Ivi, pp. 323-324.
11 Si veda, a tal proposito, la consapevolezza dei problemi dell’organizzazione scientifica posseduta da Pierre Cabanis (cfr. C. Salomon-Bayet, LTnstitution de la Science: un exemple au XVIIT siede, in «Annales», 1975, sept.-oct., n. 5, pp. 1028-1044).
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nalizzazione, perché in essa « gli sviluppi della conoscenza si intersecano con diverse e potenzialmente rilevanti trasformazioni socio-culturali »12.
Sarà così anche vero che nella prima metà dell’Ottocento le scuole per la formazione di tecnici e di ingegneri non forniscono un «training» di pratica utilità ed offrono piuttosto «un luogo di convalida del proprio status »13, ma va anche ricordato che le moderne associazioni professionali sembrano perfettamente consapevoli del legame che le unisce alla tradizione di pensiero della scienza moderna14 e che comunque l’intera vicenda della professione medica alle soglie dell’età contemporanea diventerebbe quasi inspiegabile senza un ripensamento dei metodi e dei contenuti dell’arte sanitaria, maturato sull’onda della rivoluzione scientifica del Seicento ed esploso in Francia durante l’età rivoluzionaria. È anche a questa « medicai revolution », oltre che al più profondo cambiamento culturale che modifica l’idea stessa della malattia e della morte alle soglie dell’età con temporanea, che si fa oggi risalire il consolidarsi delle forme di controllo sociale in cui si esplica la capacità di mediazione della medicina moderna, basata su una relazione che vede già nella Francia napoleonica il povero « ricevere assistenza dal ricco », perché quest’ultimo riconosce l’utilità di « pagare l’assistenza ai poveri ospitalizzati come mezzo per far progredire la conoscenza delle malattie »15. Con la nascita e lo sviluppo del metodo clinico, riconosciuto come « il principale fondamento della medicina moderna » e come « il punto di partenza di una sua nuova diffusione » 16, il rapporto esistente tra i medici ed « il corpo sintetico di credenze o conoscenze », acquista un nuovo significato che fa assurgere il contenuto della formazione professionale a premessa stessa della sua funzione sociale la quale si qualifica appunto in relazione all’evoluzione del sapere mediato.
È una prospettiva di indagine che recuperando i tempi e i modi di una faticosa e contrastata diffusione del pensiero medico scientifico nel corso dell’Ottocento fa emergere anche alcune implicazioni sociali del processo di professionalizzazione dei medici non ricollegabili né alla fortunata ma tarda stagione della esplosione tecnologica della medicina tardo-ottocentesca né all’esistenza di una nuova domanda di salute, legata ai processi di modernizzazione e di sviluppo economico delle società industriali.
Ancor prima che la nuova medicina si rivolga ad una « classe moyenne,
12 D. Ruschemeyr, op. cit., p. 321.
13 P. Macry, op. cit., p. 932.
14 Al momento della costituzione della Institution of Civil Engineers, nel 1828, ringlese Thomas Tredgold, dava questa definizione dell’ingegnere civile: « is thè art of directing thè great sources of Power in Nature for thè use and convenience of man, being that praticai application of thè most important principles of naturai philosophy which has, in a considerable degree, realized die anticipations of Bacon, and changed thè aspect and state of thè affairs in thè whole world» (cit. in L. U. Scholl, Ingenieurie in der Frùhindustrialisierung, Gottingen, 1978, p. 20).
15 M. Foucault, Nascita della clinica, Torino, 1969, p. 103.
16 M. Diani, Antinomia ed ambiguità del controllo sociale: la medicalizzazione dello spazio urbano nel XIX secolo, in « Storia urbana », n. 13, 1980, pp. 81-82.
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plus prospère et plus instruite, qui célèbre et soutient l’ascension des va-leurs nouvelles »17 la trasformazione del sapere medico ha mutato profondamente la relazione umana e sociale che lega il medico al cliente.
In uno studio di alcuni anni fa sull’evoluzione della professione medica nell’Inghilterra vittoriana, S. W. F. Holloway ha osservato che fino alla fine del secolo XVIII « thè doctor-patient relationship was one of patronage », perché il dottore, « faced by powerful, wealth criticai demand-ing and ili informed patients, was forced into role of lackey and mere comforter »18, cosi che la carriera del medico «was furthered not so much by making basic discoveries, as by making new friends in thè appropriate social circles »19. Il rapporto tra medico e paziente che nei primi decenni dell’Ottocento si stabilisce negli ospedali di Parigi è di tutt’altro genere20. In questi luoghi di assistenza il medico comincia a trovare libero accesso al corpo del malato per applicare i metodi di una clinica medica che non si contenta più di osservare, ma postula invece la necessità di osservare le manifestazioni della malattia.
Sugli effetti politici e sociali di questa evoluzione che sancisce « thè emer-gence of thè medicai practitioner as thè dominant partner in thè doctor-patient relationship»21, si è molto insistito, ma più per rintracciare le origini di un incontrollato predominio del medico nei confronti del paziente, posto ai nostri giorni sotto fondate accuse, che per rilevarne la complessa incidenza sul processo di professionalizzazione durante il secolo scorso.
I progressi della clinica medica e della chirurgia stimolano ed impongono, nel corso dell’Ottocento, una profonda trasformazione delle istituzioni ospedaliere che si avviano a diventare luoghi privilegiati per il reclutamento della classe medica. Il processo delineato con tanta ricchezza di indicazioni da Michel Foucault per la Francia napoleonica, si inserisce in una linea di tendenza generale che si articola lungo percorsi diversi a seconda che l’impulso al processo di modernizzazione venga dato dall’amministrazione statale o dall’iniziativa privata22. Se in Francia la principale caratteristica del nuovo sistema di formazione dei medici è costituita, fin dalla fine del XVIII secolo, dall’« adoption systematique de l’enseignement clinique », e ad un ristretto numero di allievi, futura élite professionale scelta per concorso, è concesso di studiare e perfezionarsi negli ospedali pubblici acquisendo una formazione « medicale pratique unique que leurs
17 J. Léonard, La vie quotidienne du médecin de province au XIXe siècle, Paris, 1977, p. 253.
18 S.W. F. Holloway, Medicai Education in England, 1830-1858: A Sociological Ana^ lysis, in «History», voi. 49, 1964, pp. 301-302.
19 I. Waddington, The Role of thè Hospital in thè Development of Modern Medicine: a Sociological Analysis, in « Sociology », voi. 7, 1973, p. 213.
20 Per l’importanza di questa trasformazione si veda soprattutto E. H. Ackerknecht, Medicine at thè Paris Hospital 1794-1848, John Hopkins University Press, 1967.
21 I. Waddington, The Role of Hospital, cit., p. 214.
22 G. Rosen, The Hospital. Historical Sociology of a Community Institution, in E. Freidson (ed.), The Hospital in Modern Society, London, 1963, pp. 1-36.
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confrères, non choisis, ne peuvent acquérir »23, in Inghilterra l’impulso a modernizzare il sistema di formazione professionale parte dall’interno della stessa classe medica. Luogo di passaggio obbligato per la formazione delle nuove leve di medici l’ospedale diviene in questo paese, già intorno alla metà del secolo scorso, il punto di riferimento di complesse e gerarchiche articolazioni professionali, regolate da una élite di medici che, mentre trae prestigio dalla direzione di questi istituti monetizzando in una già vasta area di prestazioni retribuite l’impegno in essi profuso, mantiene il suo potere di controllo sulle leve di più giovani colleghi, mediante la « manipulation of thè educational process »24. Gli effetti del nuovo assetto ospedaliero si inseriscono del resto in un processo di medicalizza-zione che già intorno alla metà del secolo fa avvertire i suoi effetti sull’andamento demografico di alcune regioni europee. Secondo Robert W. Lee, al forte sviluppo delle strutture ospedaliere, registrato in Germania nella prima metà del secolo, si accompagna in alcuni Stati di questo paese una notevole riduzione del tasso di mortalità ed una significativa contrazione dei tempi di degenza ospedaliera25 anche se si dovrà aspettare il compimento della unità nazionale per vedere avviato in Germania il processo che trasformerà l’ospedale « in un’istituzione completamente diversa da quella che era all’inizio dell’Ottocento » ^
Non è difficile quindi riscontrare una connessione precisa tra l’evoluzione del sistema ospedaliero europeo, il diffondersi delle tecniche della nuova medicina ed il consolidarsi di una struttura professionale che, sia pur con tempi e modalità che variano da luogo a luogo, tende gradualmente ad estendere la pratica della medicina esercitata nell’ambito controllato delle istituzioni assistenziali. Da una fase iniziale in cui gli spazi della propria formazione culturale (integrati nel funzionamento delle moderne istituzioni scientifiche), sembrano coincidere con quelli della propria area di esercizio professionale — l’ospedale o il distretto amministrativo della medicina pubblica — i medici cercano di passare ai più proficui circuiti del libero mercato, incontrando ostacoli e resistenze che costituiscono un altro punto di riferimento significativo nello studio sociale della medicina ottocentesca e che appaiono invece di rado messi in luce da una storiografia
23 F. Beland, Du paradoxe professionnel: médecins et ingénieurs des années 1800, in «Archives Européennes de Sociologie», 1976, n. 2, p. 314. Per la trasformazione dei sistemi organizzativi degli ospedali francesi tra Settecento ed Ottocento si vedano M. Jeorger, La structure hospitalière de la France à la fin de PAncien Régime, in «Annales», a. 32, 1977, sept.-oct., n. 5, pp. 1025-1051; M. A. Husson, Étude sur les Hópitaux, Paris, 1862.
24 N. Parry-J. Parry, The Rise of thè Medicai Profession, London, 1976, p. 139; per un quadro dell’evoluzione degli ospedali inglesi si vedano B. Abel-Smith, The Hospi-tals 1800-1948, London, 1964.
25 R. W. Lee, Medicalisation and Mortality in South Germany in thè early 19th Cen-tury, in « Abhandlungen zur Geschichte der Medizin und der Naturwissenschaften », Mensch und Gesundheit in der Geschichte, Heft, 39, 1980, pp. 84-86.
26 H. Goerke, Personelle und arheitstechnische Gegebenheiten im Krankenhaus des 19. Jahrhunderts, in Studien zur Krankenhausgeschichte im 19. Jahrhundert, Gottingen, 1976, p. 56.
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medica che mostra di aver preso atto solo del successo finale conseguito dalla medicina ufficiale alla fine dell’Ottocento.
La medicina insegnata nelle cliniche universitarie e negli ospedali, riconosciuta dagli ordinamenti sanitari modellati sull’esempio della Francia rivoluzionaria ed esercitata a livello locale da una burocrazia sanitaria molto insicura del proprio status non si sviluppa « in a vacuum » — come ha osservato Matthew Ramsey27 — ma deve contendere la propria legittimazione ed il proprio spazio economico ad una variegata gamma di curatori esclusi dalle nuove disposizioni sull’esercizio professionale, « mediatori » di un sapere alternativo a quello della medicina ufficiale.
Nella piu arretrata realtà delle periferie agrarie europee la medicina ufficiale appare per lungo tempo bloccata in uno stato di isolamento e di emarginazione determinato, come è stato osservato per la Germania della prima metà dell’Ottocento, da un « immediate and class-endogamous System of medicai care which almost certanly met a wider variety of individuai needs that thè developing System of modem medicine »28. Sui rapporti complessi ed a volte ambigui che si stabiliscono nell’esercizio « parallelo » di questa pratica medica non sappiamo molto, ma gli studi che hanno cominciato ad affrontare sistematicamente il problema — soprattutto in relazione alla Francia — confermano che le relazioni tra medicina ufficiale e medicina popolare costituiscono un capitolo importante « in thè history of thè professionalization » che si conclude con una tarda vittoria della medicina ufficiale, ascrivibile piu che alla « repression of illegai practice », agli effetti del processo di trasformazione economica delle campagne ed ai « therapeutic advances of thè late 19th and 20th centuries »29.
È quindi un dato di fatto che i progressi della ricerca scientifica registrati alla fine del secolo scorso conferiscono un impulso alla credibilità della organizzazione sanitaria moderna, ma quando ciò avviene l’immagine del professionista medico è già delineata in un contesto socio-culturale (rapporto con il paziente), istituzionale (assetto degli ospedali, delle facoltà di Medicina, degli uffici di sanità) ed economico (inserimento nel sistema di retribuzioni della burocrazia statale o faticoso ingresso in un’area di mercato) che appare profondamente segnato dall’evoluzione non sempre rapida e lineare del pensiero medico dell’Ottocento. Il confronto spesso combattivo tra indirizzi e scuole contrapposte della medicina ottocentesca incide sulla stessa omogeneità della categoria professionale30 ma influenza soprattutto i modelli di politica sanitaria che dagli anni Quaranta in poi cercano di intervenire per modificare le condizioni igienico-sanitarie in cui vive la popolazione europea.
27 M. Ramsey, Medicai Power and Popular Medicine: Illegal Healers in Nineteenth-Century France, in «Journal of Social History», 1976-77, n. 10, p. 560.
28 R. W. Lee, op. cit., p. 95.
29 M. Ramsey, Medicai Power, cit., p. 579.
30 È questo il caso del processo di professionalizzazione negli Stati Uniti, ricordato anche da D. Ruschemeyr (cfr. Professionalisierung, cit., p. 322).
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Margaret Pelling ha messo brillantemente in luce l’effetto che ebbe sulla formazione del sistema sanitario inglese l’eco, sia pur deformata, del dibattito sulla natura di alcune malattie infettive, svoltosi in quel paese durante i primi decenni del secolo scorso31; ma l’intera storia della politica sanitaria durante il corso dell’Ottocento è caratterizzata da congiunture segnate anche dalla capacità delle amministrazioni sanitarie di adeguarsi prontamente alle svolte del pensiero medico scientifico.
2 . Se, partendo da questo quadro di riferimento, concentriamo l’attenzione su alcuni aspetti della realtà professionale dei medici nella società italiana postunitaria, constatiamo che, al di là di fondamentali differenze con la situazione di altri paesi europei, attinenti soprattutto al ritardo nel processo di trasformazione economico-sociale, anche il caso italiano può essere letto nel contesto di un’evoluzione dei sistemi di istruzione e di mutamento di costumi ed atteggiamenti mentali che concorrono a trasformare le forme ed i contenuti della prestazione professionale.
In mancanza di verifiche approfondite come quelle compiute in altri paesi si può affermare senz’altro che la realtà storica della professione medica nell’Italia ottocentesca è ancora in gran parte da controllare nelle sue espressioni istituzionali e nei suoi contenuti economico-sociali. Analizzando gli approcci fin qui effettuati, si ha del resto l’impressione che l’ottica finora prescelta abbia teso ad identificare i connotati politici ed ideologici delle componenti della classe medica italiana32, piuttosto che a delineare una sociologia della professione contemperando la necessaria acquisizione di elementi quantitativi sulla composizione e la distribuzione del personale sanitario, con la ricostruzione delle forme e dei contenuti assunti dall’arte sanitaria in una fase di rapida e complessa evoluzione del sapere medico 33. Per tutto il corso dell’Ottocento la vicenda professionale dei medici italiani si restringe nei limiti delle aree urbane perché in periferia l’esercizio della medicina è caratterizzato da precari legami burocratici con le amministrazioni locali che, almeno fino all’entrata in vigore della legge sanitaria del 1888, non tendono certo ad esaltare lo status dei sanitari condotti, risparmiando sui loro stipendi, licenziandoli indiscriminatamente, negando loro il diritto alla pensione ed attribuendogli una gamma sempre piu vasta di funzioni inerenti al controllo della igiene e della polizia sanitaria34.
31 M. Pelling, Cholera, Fever and English Medicine 1825-1865, Oxford, 1978.
32 È la linea che mi sembra di cogliere nel pur interessante lavoro di Tommaso Detti (cfr. Medicina, democrazia e socialismo in Italia tra '800 e '900, in « Movimento operaio e socialista », a. Il, 1979, s. Il, fase. I), ed in altri lavori sui medici italiani dell’Ottocento apparsi recentemente (L. Dodi, I medici e la fabbrica. Prime linee di ricerca, in « Classe », n. 15, 1978, giugno, pp. 21-66, e soprattutto G. Pensieri, Il medico: note su un intellettuale scientifico italiano nell'800, in Intellettuali e potere, a cura di C. Vivami, Storia d'Italia, Annali, voi. 4, Torino, 1981, pp. 1135-1158).
33 Si pone invece in quest’ultima angolazione la relazione di A. Forti-Messina (I medici condotti all'indomani dell'Unificazione), svolta al convegno su Salute e classi lavoratrici in Italia dall'Unità al fascismo, Pavia, 12-14 febbraio 1981.
34 Per l’assetto del sistema sanitario italiano nel primo trentennio di vita unitaria
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La stessa tendenza a stabilizzare questi rapporti ed a consolidare quindi l’inserimento del medico nelle fila della pubblica amministrazione, se risponde ad un orientamento già emerso in altri paesi europei35 e fa trapelare l’esigenza di mostrare le molteplici possibilità dell’arte medica « legandole allo Stato » ^j rivela anche la mancanza di interlocutori sociali in grado di far crescere nella società civile l’esigenza di « medicai care » che ha favorito lo sviluppo della libera professione in Francia ed in Inghilterra. Impegnati nella costruzione di un sistema sanitario nazionale, i medici italiani perseguono l’obiettivo di una qualificazione politica del loro ruolo all’interno della società postunitaria, e prendono anche coscienza della necessità di assecondare il proprio processo di professionalizzazione, vincendo ostacoli e resistenze non eliminabili con il solo conseguimento di uno status piu stabile nelle fila della pubblica amministrazione. È certo un dato di fatto che la precarietà del rapporto di lavoro dei medici condotti riflette un ritardo culturale della classe dirigente italiana poco attenta, negli anni della costruzione politica dello Stato liberale, ai problemi della organizzazione sanitaria del paese.
« Anche in uomini rispettabili e realmente molto rispettati — leggiamo in una relazione letta in uno dei primi congressi della Associazione medica italiana — persiste un atteggiamento di irrisione se non di ostilità nei confronti del medico che consiste nel parlare con leggerezza e con dileggio di lui, di avere poca fede della sua missione e per di piu di portarlo perfino in su le scene mettendolo in mala vista alle plebi »37. Piu lucidamente Luigi Castiglioni ricollega, all’indomani dell’Unità, le scelte di politica sociale della Destra storica alla difesa di privilegi economici e sociali. « In molte provincie — egli osserva —, il ricco crede di soffrire dei pesi del buon ordinamento sanitario... chi possiede può facilmente contentarsi della nettezza delle proprie case e con poca cura spesa a procurarsi un medico quand’è malato; non potrebbe con eguale facilità ed economia procurarsi in campagna un istruttore al proprio figlio. Ecco perché la scuola pubblica è desiderata da tutti, mentre il bisogno del medico pubblico non è sentito che dal proletariato » ^
È anche su questa mancanza di solidarietà sociale che si consolidano ed estendono^ specie nei piccoli centri, resistenze legate alla presenza di for-
si veda F. Della Peruta, Sanità pubblica e legislazione sanitaria dall’Unità a Crispit in « Studi Storici », 1980, ott.-dic., pp. 713-759.
35 Per alcune situazioni più assimilabili a quella della medicina pubblica italiana si vedano G.D. Sussman, Enlightened Health Reform, Professional Medicine and Traditional Society: The Cantonal Physicians of thè Bas-Rhin, 1810-1870, in « Bulletin of thè History of Medicine», voi. 51, 1977, pp. 565-584; C. Huerkamp, Arzte und Professionalisierung in Deutschland: Uberlegungen zum Wandel des Arztberufs im 19. Jahrhundert, in « Geschichte und Gesellschaft », 1980, n. 3, pp. 349-382.
36 G. Panseri, op. cit., p. 1152.
37 II medico e la società moderna, discorso letto al VI congresso della Associazione medica nazionale, Napoli, 1866, pp. 16-17.
38 L. Castiglioni, Relazione generale sull’andamento dell'Associazione medica italiana e sull'operato della commissione esecutiva e della sua presidenza nel triennio 1863-66, in «Annali di medicina pubblica», Firenze, 1866, ottobre, p. 123.
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me di tutela della salute ancora saldamente radicate nella società contadina e poco contrastate dall’apparato amministrativo e giudiziario dello Stato liberale. Con il regolamento sanitario del 1874 vengono infatti riconosciuti i diritti acquisiti dei medici abilitati con gli antichi diplomi di flebotomo, callista, dentista ed erborista. Nello stesso tempo si pongono esili argini al dilagare dell’esercizio abusivo della medicina, considerato dal codice penale come reato, a « patto che colui che lo commette faccia delle visite e scriva delle ricette segnandole col proprio nome », cosi che con poca « circospezione è assicurata la impunità... di tutti coloro i quali, esercitano da lungi o da presso la medicina, senza fare delle visite in forma, senza, molto meno, rilasciare prescrizioni dal spedirsi in farmacia »39. In tutto il paese empirici con le piu varie denominazioni e non licenziati, lasciano così poco spazio ai cultori della medicina ufficiale esercitando un remunerato magistero che i più avvertiti osservatori non ritengono contrastabile con i soli rimedi repressivi perché radicato in un sistema culturale disposto a difendere le « antichissime opinioni e le vecchie costumanze dei suoi maggiori e l’indefinita inclinazione per il misterioso, il meraviglioso e lo strano » ^ contro la diffusione « del vero scientifico conquistato ogni giorno » .
Dal confronto quotidiano con questa realtà, demonizzata da tanta parte del giornalismo medico ottocentesco, trae origine la consapevolezza dell’esistenza di uno stretto legame tra il grado di sviluppo della società italiana ed il livello della condizione professionale. Una volta constatato che « i tanti e troppi analfabeti esistenti in Italia », non potrebbero mai « distinguere la diversità che corre tra il medico e l’empirico ignorante », arrivando a « confonderli in un fascio »42, i medici si affiancano ai maestri nella lotta per spezzare antichi equilibri sociali e promuovere la trasformazione delle condizioni di vita in cui versa la popolazione delle campagne dopo l’Unità, ma si mostrano anche consapevoli della necessità di adeguare il livello della propria prestazione professionale, la qualità del proprio sapere, alle esigenze di una realtà professionale difficilmente migliorabile con gli strumenti politici-amministrativi.
Già in età preunitaria Salvatore De Renzi era intervenuto nel dibattito sulla condizione professionale osservando che il riconoscimento di uno status nella amministrazione borbonica non aveva impedito lo scadimento della preparazione e del livello morale dei medici del Mezzogiorno, le quali dovevano essere risollevate da una riforma del sistema di istruzione e da un potenziamento delle associazioni di categoria43. A distanza di qualche
39 G. B. Cereseto, La legislazione sanitaria in Italia, Torino, 1910, voi. I, p. 359.
40 L. Alpago-Novello, Dei pregiudizi popolari medici nelle nostre condotte, Treviso, 1885, p. 47.
41 D. C. Eula, L'esercizio abusivo della medicina e della farmacia, in « Il Corriere sanitario», 22-V-1898, n. 20, Milano, p. 37.
42 Ivi, p. 38.
43 Cit. in A. Forti Messina, I medici condotti nell’Ottocento preunitario. Il caso della provincia di Napoli, relazione svolta al convegno su Pauperismo ed assistenza negli stati italiani, XV-XVIII secolo, Cremona, 26-28 marzo 1980, p. 38 del dattiloscritto.
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decennio, altri medici riconoscono, nel fervore di un animato dibattito con la classe politica per migliorare le condizioni materiali dell’esercizio nei piccoli comuni, che il problema della medicina comunale non può essere affrontato in termini meramente rivendicativi. Si risale in tal modo, da un lato, all’arretratezza ed all’approssimazione della preparazione professionale e, dall’altro, all’immaturità sociale ed all’individualismo di una categoria che anche nei centri urbani appare insicura di sé, divisa, isolata ed ancora sostanzialmente subordinata alle esigenze di una clientela che non esita a sostituire il medico con il pratico.
È certamente vero che la medicina italiana percepisce, sia pur con qualche ritardo il senso della trasformazione culturale che ha modificato il rapporto con il paziente perché, come affermano intorno agli anni Settanta i cultori del naturalismo medico, la posizione del medico « al cospetto dell’ammalato è divenuta diversa da quella di qualunque altra epoca precedente »44 ; ora la sua ricerca diagnostica presuppone infatti un ampio bagaglio di conoscenze attinenti alle scienze naturali e biologiche, accompagnate da « una non comune attitudine all’analisi minuziosa ed alla sintesi rigorosa »45 e quindi il malato deve « scegliere avvedutamente il proprio medico », ma poi « affidarsi interamente a lui, obbedire e non discutere »46. Ma il clima umano e sociale che circonda, nella realtà, i rapporti tra medici e clienti rivela che lo sforzo per liberarsi da un ruolo subordinato e dipendente non è del tutto compiuto, mentre l’assetto delle relazioni all’interno della categoria è segnato da contrasti e dissidi che proiettati all’esterno appannano l’immagine del medico nella società. Un’indagine approfondita dell’evoluzione dell’etica professionale nel corso dell’Ottocento, che prendesse a punti di riferimento le testimonianze letterarie e quelle rivelatrici formulazioni dei problemi della categoria che sono i galatei medici, rivelerebbe che, in relazione al rapporto professionale con il malato, l’acquisizione dei metodi della medicina moderna, canonizzata in una serie di precise regole di diagnostica, ha reso senz’altro meno insicura ed imprecisa l’arte sanitaria. Infatti, di fronte ai consigli di diplomatica prudenza, formulati ancora ai primi dell’Ottocento da questi testi per i casi in cui « la natura del male è avvolta nelle tenebre »47, il galateo del medico istruito ai principi del naturalismo della seconda metà del secolo, fa derivare l’arte di osservare ed identificare la malattia, da un metodo scientificamente fondato che riconosce al medico il ruolo di « ministro della natura »48.
Ma, a ben vedere, permane nell’età di Salvatore Tommasi come in quella della medicina dei primi anni del secolo scorso, la stessa esigenza di auto-
44 II medico e la società moderna, cit., pp. 3-4.
45 Ivi, p. 5.
46 F. Coletti, Galateo de’ medici e de’ malati, Padova, 1853, p. 25.
47 «Tu potrai — consiglia Giuseppe Porta nel 1819 —, quando vi han troppe tenebre, contentarli coll’attenerti or al genere e non alla specie di cotal male, ora a equivoche espressioni, dichiarando, se occorre, che poche di certo se ne possono in medicina avanzare», in Galateo de’ medici, Pisa, 1819, p. 30.
45 R. Maturi, Galateo del medico, Napoli, 1873, p. 133.
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nomia e di dignità professionale, rivendicate contro un costume che sancisce ancora la subordinazione sociale del medico alle classi elevate delle grandi città, le quali « chiamano il medico per grandezza, come chiamano il prete per farsi dire la messa », o ne sviliscono il ruolo riducendolo al livello di quello « di un ballerino o di un cantante »49, mentre i medici cercano di inserirsi compiutamente nei meccanismi di mercato superando divisioni e disomogeneità non facilmente eliminabili con la accettazione di un codice di etichetta professionale50.
Scrivendo in anni di rapida evoluzione dei metodi e dei contenuti dell’arte sanitaria, il Silvaggi osserva che « i medici vecchi si racchiudono dentro i cerchi di ferro della propria longeva esperienza e credono che le loro diagnosi non ammettano eccezione, che le cure che pratichino siano le sole che possano mettersi in opera e le sole che siano valide a vincere le malattie. I giovani medici al contrario, forti dei nuovi rimedi, rigettano tutto-ciò che risente del passato, credono che la sola applicazione dei principi della scuola moderna sia sempre accettabile nella cura delle malattie », ed ogni medico poi « pretende di essere superiore agli altri, siano vecchi, siano giovani, ed è tanto il suo amor proprio che vorrebbe assolutamente delineare sopra tutto i medici che gli sono vicini » con « un contrasto di opinioni che porta conseguenze funeste ai malati ed alla opinione dei medici »51. A quasi vent’anni di distanza questo clima non è mutato di molto se, scrivendo in tema di medicina popolare, Luigi Alpago-Novello testimonia del « misto di rabbia e di sconforto » che prende il giovane medico che si imbatte, in un piccolo paese, nei « pregiudizi di una scuola opposta alla sua, pregiudizi mantenuti ad arte e per interesse dei colleghi, altrettanto ignoranti quanto invidiosi » i quali trovano una cosa ben stupida lo studio quando « cavando semplicemente e sempre sangue, si può vivere piu quieti e piu contenti e guadagnare di piu »52.
Sul ritardo della medicina italiana nell’adeguarsi ai livelli di ricerca e di insegnamento di altri paesi europei è stato scritto molto ed anche per opera di una letteratura medica coeva che offre ancora spunti interessanti per
49 Ivi, p. 3. «Piu è servile è cortigiano — osserva Ferdinando Coletti — chi cangia il colore di un elisir perché alla dama non piace di chi si fa infermiere del proprio malato» (F. Coletti, op. eli., p. 14).
50 Un’analisi comparativa piu approfondita dei galatei medici e di altre fonti letterarie già utilizzate in altri paesi per lo studio della medicina ottocentesca (cfr. ad esempio i saggi sul medico ed il malato nella letteratura tedesca, russa ed inglese, contenuti nel volume, Der Arts und der Kranke in der Gesellschaft des 19. Jahrhun-derts, Stuttgart, 1967), potrebbe fare emergere altri aspetti significativi della condizione del medico nella società italiana postunitaria e della sua etica professionale. Su quest’ultimo punto e sul modo in cui vanno realmente interpretate le disposizioni contenute nei galatei medici, rivolte piu a regolare i rapporti tra i professionisti che le loro relazioni con i malati, si veda I. Waddington, The Development, cit., pp. 40-41.
51 A. Silvaggi, La medicina in Italia. I medici e la pubblica opinione, in « L’Ippocratico », Firenze, 1872, p. 254.
52 L. Alpago-Novello, op. cit., p. 17.
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una lettura sociale di questi processi53. La successiva istituzionalizzazione della distinzione tra una storia interna ed una storia esterna della medicina sembra però aver precluso la possibilità di stabilire relazioni più precise tra il livello delle conoscenze scientifiche e le condizioni in cui si svolge l’esercizio dell’attività professionale. Dei due termini di questa relazione, il primo non è più relegabile nel recinto di un’area di ricerca storico-scientifica. Le più recenti ed attente ricostruzioni della storia del pensiero medico italiano dell’Ottocento individuano infatti distinzioni e schieramenti di scuole che, in coincidenza dello stesso processo di rinnovamento politico del paese, incidono sulla connotazione professionale della classe medica italiana.
Il confronto tra il bagaglio « dottrinale pratico della vetero medicina ottocentesca » ed il « nuovo patrimonio scientifico tecnico — ha osservato recentemente Giorgio Cosmacini — si traduce, nel corso del complesso rimescolamento di una categoria già disarticolata nelle vecchie “enclosures” culturali della medicina preunitaria », nella contrapposizione tra « una avanguardia spesso più fiduciosa che riflessiva » ed una « retroguardia ampia e restia alle nuove metodologie » 54.
Recuperare lo spessore storico di queste distinzioni in una prospettiva diversa sia da quella suggerita da una certa agiografia medica che da quella delineata da chi ha attirato recentemente l’attenzione sulla caratterizzazione ideologica della classe medica, significa articolare lo studio del processo di professionalizzazione in una pluralità di modelli che, in una fase di profondi rivolgimenti del pensiero medico-scientifico, riempiono di contenuti diversi l’esercizio dell’arte sanitaria.
L’immagine del medico-burocrate impegnato a predisporre difese contro « miasmi e contagi »55 stimolando gli interventi della polìtica sanitaria sulle condizioni igienico-ambientali, imputate come generiche responsabili dell’insorgere di alcune diffuse malattie sociali, viene intaccata, nel corso degli anni Ottanta, dai successi della virologia che conferendo al medico il potere derivato dalla capacità di controllare il contagio56, modificano il concetto stesso di malattia, trasformata da alterazione della « struttura-funzione di organi, tessuti, cellule, liquidi organici », in « ens morbi », localizzabile negli agenti patogeni e, come tale, suscettibile di essere contra-
53 Si veda ad esempio A. Corradi, Della chirurgia in Italia dagli ultimi anni del secolo scorso fino al presente, Firenze, 1871, e soprattutto la dettagliata analisi di H. Combes che offre un quadro della situazione delle istituzioni scientifiche italiane posta a confronto con quella esistente in Francia agli inizi degli anni Quaranta (Della medicina in Francia ed in Italia, Napoli, 1843).
54 G. Cosmacini, Medicina, ideologie, filosofie nel pensiero dei clinici tra Ottocento e Novecento, in Intellettuali e potere, cit., pp. 1170-1171.
55 Per alcuni aspetti della politica di intervento pubblico sulla situazione igienico-sanitaria del paese dopo l’Unità, rinvio a P. Frascani, Medicina e statistica nella formazione del sistema sanitario italiano: l'inchiesta del 1885, in «Quaderni storici», 1980, n. 45, pp. 942-965.
56 G. Pomata, Madri illeggittime tra Ottocento e Novecento: storie cliniche e storie di vita, in «Quaderni storici», 1980, n. 44, p. 502.
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stata e vinta dallo specialista piuttosto che dal medico-igienista57. In prosieguo di tempo gli stessi progressi della medicina ormai « rinnovata », delimitano autonomi percorsi professionali, ispirati al magistero di clinici che, in relazione ad una crisi generale del naturalismo medico ottocentesco, prospettano forme e contenuti nuovi e non sempre omogenei del ruolo del medico nella società.
Di fronte all’apertura « sociale e democratica » dell’insegnamento di un Augusto Murri, indirizzato soprattutto, come osserva ancora Giorgio Cosmacini, al « vasto mondo periferico che esercita la professione sanitaria, ad una classe medica che lavora in una società civile »58, ed inserito nei ranghi di un’amministrazione sanitaria che, specie nell’Italia centro-settentrionale, si mostra ben consapevole della preliminarità del « problema sociale della salute »59, si delinea l’orientamento ateorico ed agnostico di Antonio Cardarelli, il quale « contribuirà non poco all’affermarsi, nella vita culturale e sociale del paese, della figura del medico filosoficamente neutrale » 60.
Indicazioni di ricerca che riescono convincentemente a collegare la vicenda politica e sociale della medicina ottocentesca all’evoluzione del pensiero medico-scientifico, ma che inducono anche ad interrogarsi sulla possibile e magari indiretta influenza che su tale evoluzione poterono esercitare assetti professionali e istituzionali già consolidati in specifiche realtà locali e suggeriscono comunque di estendere ulteriormente la prospettiva storico-scientifica, prendendo in considerazione anche il livello dei meccanismi di formazione professionale e quindi la realtà delle istituzioni (facoltà di Medicina, ospedali), che fungono da veicoli di trasmissione del sapere medico e da spazi privilegiati per l’organizzazione dell’esercizio professionale.
A Napoli, qualche decennio prima che Cardarelli inizi il suo magistero, l’assetto delle gerarchie professionali sembra già definito secondo modelli che sanciscono la autonomia economica e la neutralità ideologica del professionista. Secondo il colorito ritratto che intorno alla metà degli anni Settanta Domenico Sogliano, un collega di Salvatore Tommasi, delinea ai propri studenti, il « consulente libero professionista, si lascia dietro di sé la folla dei medici curanti, poiché si è coltivato negli studi ed ha ottenuto, per ragion di sommo merito, l’onor del primato, dall’opinione pubblica », spezzando il rapporto di dipendenza da una clientela che continua « ad importunare i medici curanti chiedendo ragione del trattamento proposto, della sua promessa e mancata efficacia e spesso della morte avvenuta per la quale non poche volte sono chiamati in colpa »61. Per questi eletti dell’arte sanitaria è consigliabile la « non ingerenza ne’ partiti politici ed il dimostrarsi su tal rapporto completamente neutrali » non
57 G. Cosmacini, op. cit., p. 1175.
58 Ivi, p. 1192.
59 Ivi, p. 1193.
«) Ivi, p. 1178.
61 M. Sogliano, La condotta del medico pratico, Napoli, 1874, pp. 6-7.
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solo per poter guadagnare più tempo « nello studio e nell’esercizio clinico », ma anche per elevare la propria funzione professionale ponendola al di sopra delle parti nella rete di conoscenze e di buone relazioni che alimenta la propria clientela62.
Immagini che rivelano i tratti di una particolare condizione professionale esasperata da una sovrabbondanza di medici che da sempre sono stati attirati dal prestigio delle istituzioni scientifiche dell’ex capitale e dalla speranza di poter monetizzare nella grande città le proprie competenze63; ma che fanno nello stesso tempo trapelare le insufficienze di un sistema di istruzione che anche dopo l’unificazione è ancora lontano dal diventare la sede di un processo di reale formazione scientifica o il filtro per l’accesso agli sbocchi professionali. A pochi anni di distanza dalla costituzione del Regno d’Italia l’Università di Napoli ammette, per bocca di una commissione di docenti che ha studiato il problema della riforma della facoltà di Medicina, di essersi trasformata in una grande fabbrica di laureati. Gli studenti infatti, grazie alla confusione esistente tra insegnamento pubblico e privato ed alla mancanza di controlli sulla presenza ai corsi, non frequentano « né le scuole pubbliche né le private, ma si preparano agli esami sulle risposte alle tesi (manoscritte e stampate), che si fanno mandare in provincia »
L’insufficienza delle strutture didattiche e la scarsa efficacia dei criteri di selezione concorrono così a determinare distinzioni nel grado di preparazione universitaria che si traducono in vere e proprie differenze di status professionale. Di fronte alla massa di studenti che si « riducono dopo la laurea a farla da medici nel loro paese natio... con un corredo di cognizioni teoriche incomplete e disordinate di cui si appropriarono per lo più studiando pochi mesi all’anno la tesedide degli esami », si stagliano coloro che, « messi ad esercitare in grandi centri ed avendone l’opportunità di studi seri, ne profittano con grande assiduità accumulando in tal modo meriti di ogni sorta, ed aspettano pazienti il giusto retributo dalla pubblica opinione » 65.
Ma in tutte le università italiane il problema del rinnovamento degli studi di medicina richiederebbe interventi economici che la politica scolastica dell’Italia liberale non è in grado di apprestare. I modelli di insegnamento consolidati da alcuni decenni all’estero, indicano nel potenziamento delle cliniche mediche e nella costruzione dei laboratori e dei teatri anatomici i presupposti per una seria riforma dell’insegnamento medico. Nell’orazione
62 Ivi, p. 4.
63 A Napoli si concentra il più elevato numero di liberi professionisti del paese. Il primo censimento del personale sanitario, effettuato nel 1878, ne registra 1.088, pari al 23% dei sanitari di tutti i capoluoghi di provincia ed all’8% di tutti i medici del regno (cfr. E. Raseri, Il personale sanitario in Italia ed all’estero, in Ministero di agricoltura, industria e commercio, «Annali di statistica», 1878, serie 2a, voi. Il, pp. 177-178).
64 G. Albini, Sull’ordinamento della facoltà medico-chirurgica, Napoli, 1873, p. 14.
65 M. Sogliano, op cit., p. 5.
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inaugurale tenuta nel 1875 a Torino per l’inaugurazione dell’anno accademico, Giacinto Pacchiotti ricorda ai suoi colleglli che « quando vi ha una sola grande clinica medica, frequentata da cento studenti, quella manca al suo compito perché i due terzi non veggono, non sentono, non toccano, si stancano, fuggono e si lagnano poi di non aver visto un solo malato nell’anno e di non aver nulla imparato »66. E prosegue poi toccando i temi centrali della formazione della classe medica e del funzionamento del sistema ospedaliero, invitando gli amministratori degli ospedali a « dare più danaro alle cliniche e meno alle monache », ad allargare gli anfiteatri perché « le cliniche soffocano nelle strettezze »67, a spalancare le porte alla scienza ed eleggere i medici « per concorso, non già per favore, per sapere, non già per anzianità, per rinomanza acquisita, non già per la grazia ottenuta con le loro opinioni politiche »68.
Piuttosto che aderire a questi inviti o a quello di Salvatore Tommasi che vorrebbe porre gli ospedali alle dipendenze del ministero della Pubblica istruzione, dato che « i medici non possono istruirsi che negli ospedali » e, le amministrazioni ospedaliere mostrano aperta diffidenza verso l’ingerenza delle facoltà di Medicina nella gestione delle opere pie perché, anche quando tollerano per antica consuetudine la pratica dell’insegnamento, sottolineano con enfasi, come nel caso del grande ospedale degli Incurabili di Napoli, il carattere eccezionale della funzione didattica pertinente invece ad un ospedale clinico il quale, « più che agli infermi, mira all’istruzione e spesso nega l’asilo al poveretto che non è affetto da un morbo che possa essere utile alla scuola » 70.
Ancor prima che la questione ospedaliera balzi alla ribalta della politica sanitaria nazionale, per effetto della nuova domanda di assistenza determinata dal processo di industrializzazione del paese, il problema della gestione degli ospedali viene discusso dalla classe medica non solo nella prospettiva della formazione professionale ma anche in quella del controllo di un’area privilegiata per l’esercizio della prestazione professionale. Durante il primo mezzo secolo di vita unitaria rimane sostanzialmente irrisolto il problema della direzione tecnica degli ospedali e quindi della preminenza dell’elemento medico nelle scelte determinanti per una trasformazione tecnologica degli istituti. La consapevolezza delle implicazioni economiche e politiche che i medici conducono in questo settore è elevata. Di fronte alle forti resistenze frapposte da una consolidata coalizione di interessi che vede di volta in volta schierarsi contro la classe medica la burocrazia ospedaliera, le amministrazioni locali e le istituzioni religiose,
66 G. Pacchiotti, Il programma dell’avvenire della medicina in Italia, Torino, 1875, p. 88.
$7 Ivi, p. 89.
68 Ivi, P. 90.
69 S. Tommasi, Sui congressi dell’associazione medica italiana, Pavia, 1863, rist. in Il rinnovamento della medicina in Italia, Napoli, 1883, p. 106.
70 L’insegnamento ■ nell’ospedale degli Incurabili, in « Gli Incurabili », Napoli, 1887, p. 69.
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essi arrivano a reclamare con decisione il controllo della gestione economica degli enti.
^Quando il medico direttore non rivesta almeno in parte la qualifica di amministratore — leggiamo in una dettagliata relazione deU’Associazione medica italiana pubblicata nel 1873 —, quando cioè siavi la divisione completa del potere, in un ospedale, come per tutto d’altronde, può facilmente nascere una collisione tra i due poteri ed allora il medico è sacrificato e l’insubordinazione si genera in disordine »71.
Di fronte all’instabilità ed alla divisione dei poteri, formalizzata in una miriade di statuti e regolamenti che alimentano la cavillosa difesa dello statu quo da parte delle amministrazioni, si reclama una legge nazionale che, fissando i criteri generali per l’assistenza sanitaria, imponga alle amministrazioni « definite istituzioni d’istruzione medica in un definito sistema, perché è imperiosa necessità delle scienze cliniche di estendere il campo delle osservazioni e degli esperimenti, ed ai quali soltanto gli ospedali possono prestarsi »72.
La storia del sistema ospedaliero italiano durante questo periodo è segnata dal mancato o tardivo accoglimento di queste aspettative da parte della classe politica liberale. Durante i primi decenni di vita unitaria i medici non riescono a conquistare un solido controllo sulla gestione economica e sulle scelte strategicamente decisive per il rinnovamento degli istituti, mentre l’arbitrarietà dei criteri di reclutamento e di progressione professionale fa trapelare l’esistenza di condizioni ben diverse da quelle che la classe medica si è saputa conquistare negli ospedali inglesi e francesi. Sarà in seguito alla riforma sanitaria del 1888 ed alla legge sulle opere pie del 1890 che gli ospedali italiani cominceranno a muovere i primi ed incerti passi sulla strada di una modernizzazione che li vedrà trasformare da luoghi di ricovero e di controllo di antiche tecniche di assistenza pauperi-stica, in sede di applicazione dei metodi della medicina moderna 73. Sulle concrete modalità di attuazione e sulle implicazioni sociali, economiche e scientifiche di questa evoluzione sappiamo molto poco. Il tema merita comunque una attenzione ben diversa da quella accordatagli finora da una storiografia medica che ha solo di rado inserito lo studio storico della realtà ospedaliera nel contesto di precise situazioni storico-sociali74.
71 Su le riforme desiderabili pel migliore ordinamento degli ospedali, rapporto della commissione del comitato romano della Associazione medica italiana, Roma, 1873, p. 12.
12 C. Zucchi, Del miglior governo degli ospedali, in « Giornale della Società italiana d’igiene», 1881, marzo, p. 184.
73 Per qualche accenno a questa problematica si veda: D. Preti, Contributo allo studio dell'organizzazione sanitaria italiana in periodo fascista: l'ospedale come istituzione pubblica di assistenza e beneficenza, in «Ricerche storiche», 1978, n. 3, pp. 739-741.
74 In tal senso appaiono confusi anche alcuni tentativi di delineare una metodologia della storia ospedaliera in chiave di superamento della prospettiva storico-politica, ma di verifica dei « mezzi tecnici » per la « realizzazione di un ideale di fraternità » (cfr. M. Maragi, Sul concetto di storia ospitaliera, in CISO, a cura di, Atti del I congresso europeo di storia ospitaliera, Roma, 1962, p. 750). Molto piu pertinenti ad uno studio sociale della realtà ospedaliera appaiono gli approcci, documentati ormai da studi decennali, della sociologia medica anglosassone; in tal senso si vedano ad
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Commisurando le gestioni finanziarie ai risultati dell’assistenza, ricostruendo la delicata trama di rapporti che regolano la vita delle diverse componenti del personale ospedaliero e soprattutto mettendo a fuoco l’evolversi dello status del malato nell’istituzione ospedaliera si potrebbe almeno andare oltre la generica constatazione, recentemente formulata, per cui « gli ospedali italiani hanno adottato in ritardo, rispetto agli altri paesi europei, le norme dell’igiene e della tecnica ospedaliera »75.
In prima approssimazione si può infatti osservare che anche i medici ospedalieri, come i sanitari condotti, si impegnano per vincere resistenze ed ostilità che nel corso degli ultimi decenni del secolo scorso ritardano l’affermarsi della nuova tecnologia medica. Nel primo decennio di questo secolo gli ospedali italiani hanno stabilito rapporti più stretti con le facoltà di Medicina e, specie nei centri urbani, sono spesso riusciti ad adeguare le loro strutture ai livelli delle nuove tecnologie; ma l’immagine di deposito di mendicità, evocata dall’elevato numero di cronici che ne affollano ancora le sale, continua a suggerire presso larghi strati della popolazione un giudizio sostanzialmente negativo sull’istituzione.
Negli anni in cui i paesi a capitalismo industriale avanzato costruiscono i nuovi sistemi di assistenza inserendo, come accade in Germania76, i servizi ospedalieri nella gamma dei consumi delle moderne società di massa, l’ospedale italiano non è ancora in grado di offrire un solido punto di riferimento al consolidamento della condizione professionale. La realtà professionale del medico ospedaliero appare frantumata in una miriade di situazioni che, specie negli istituti più piccoli e periferici, sembra regolata più da sistemi di cooptazione basati su criteri di anzianità o sulle « relazioni » esistenti tra medici e dirigenti amministrativi che dalla divisione del lavoro introdotta dalla nuova tecnologia ospedaliera77.
La nuova fase di medicalizzazione che si apre con l’inizio di questo secolo e si basa sulla delimitazione di aree di specializzazione professionale inserite nel sistema ambulatoriale-ospedaliero e capaci di assorbire la crescente offerta di laureati delle facoltà di Medicina, assume nel nostro paese ca-
esempio i lavori di Charles Perrow, Sidney H. Croog, Donna F. Ver Steeg, contenuti in Sociologia della medicina, a cura di G. A. Maccararo, Milano, 1977, pp. 282-328.
75 L. Premuda, Die italienischen Krankenhauser im 19. Jahrhundert, in Studien zur Krankenhausgeschichte, cit., p. 255.
76 « L’introduzione dell’assicurazione malattia — ha scritto recentemente Dirk Bla-sius —, ha costituito un punto di svolta nella storia del sistema ospedaliero in Germania » (cfr. Geschichte und Krankenheit. Sozialgeschichtliche Perspektiven der Medizingeschichte, in « Geschichte und Gesellschaft », 1976, n. 3, p. 404).
77 Riferendosi alla situazione degli ospedali piu piccoli, alla vigilia della prima guerra mondiale, il medico ospedaliero Pellicelli, osserva che nella maggior parte dei casi, « il direttore appare come un tollerato, od in uno stato di tale sudditanza da infirmare ogni più ampia disposizione teorica di regolamento là dove esista, e da fiaccare la fibra più risoluta e ben disposta ad agire; in nessuno è ancora l’espressione matura dell’elemento tecnico sul burocratico amministrativo » (cfr. M. Varanini, a cura di, Lavori dei congressi dell'associazione italiana dei direttori sanitari degli ospedali, 5* congresso, Venezia, 11-14 maggio 1912, Bergamo, 1912, p. 46).
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r atteri poco assimilabili a quelli della medicina europea ed americana. La linea di tendenza ad una crescita numerica della categoria è la stessa, ma diverse sono le condizioni del mercato del lavoro. Prendiamo in considerazione qualche dato quantitativo essenziale. Nei venti anni che intercorrono tra il 1885 ed il 1905 i medici liberi esercenti aumentano in Italia del 39% passando da 8.983 a 12.375 unità; nello stesso periodo, che coincide con la fase di avvio del nuovo sistema sanitario, i medici condotti aumentano solo del 20% passando da 8.585 a 10.263 unità. L’incremento dei liberi professionisti avviene soprattutto nei centri urbani perché nel 1905 i comuni con popolazione superiore a 20.000 abitanti assorbono il 66% dei medici liberi esercenti e concentrazioni ancora più alte si verificano nelle grandi città del paese. Se Napoli conserva infatti il primato del numero di medici per abitante, con 20 professionisti ogni 10.000 abitanti, Genova (19), Torino (17) e Milano (13), fanno registrare notevoli concentrazioni di professionisti assorbendone in complesso il 13% contro il 3% della popolazione78.
È difficile dire quale quota di professionisti sia assorbita all’inizio di questo secolo dagli ospedali e quale si affidi invece alle occasioni di un mercato che appare già congestionato alla vigilia del primo conflitto mondiale. I dati di cui disponiamo per tutto il territorio nazionale ci dicono che non sono molti i medici che ricevono una regolare retribuzione dalle amministrazioni ospedaliere (nel 1905 il 12%)79, mentre un gran numero di medici, « pur di farsi avanti visita e cura per proprio conto o in dipendenza di dispensari, ed associazioni di beneficienza »80. Di fronte a questa « pletora di giovani medici » che nelle grandi città « rimangono molto in basso » si distinguono solo pochi privilegiati che corrispondono all’immagine del libero professionista capace di specializzarsi in connessione ai nuovi contenuti dell’arte sanitaria, ma anche costretto a difendere la propria clientela dalla concorrenza di chi non esita ad utilizzare con disinvoltura i metodi della speculazione commerciale o del sensalaggio81.
Non completamente inserita nei meccanismi del mercato di un paese che presenta una lenta medicalizzazione, la classe medica italiana cercherà di risolvere il problema della disoccupazione intellettuale ricorrendo, di volta in volta, dai primi anni di questo secolo in poi, alla valvola dell’emi-
78 I dati sono tratti da Min. Interno, (Dir Gen. San.), L'assistenza sanitaria ai poveri, Roma, 1906, pp. 264-278.
79 Min. Interno, (Dir. Gen. Amm. Civ.), Rilevamento statistico-amministrativo sul servizio degli ospedali e sulle spese di spedalità, Roma, 1906, p. 110.
80 G. B. Ughetti, Medici e clienti, Palermo, 1911, p. 187.
81 Per la fisionomia di un certo ambiente medico affaristico, si veda S. Silingardi, L'affare della «réclame» in medicina, Brescia, 1909. La tendenza alla specializzazione viene vista con perplessità dai medici più anziani, abituati a stabilire con il paziente anche un rapporto personale. Denunciando lo « specializzarsi mal compreso e mal praticato», Giuseppe Guelpa idealizza i tempi in cui, «amico e consigliere delle famiglie, il medico aveva sempre l’occasione di sorvegliare la salute dei suoi clienti » (cfr. La falsa strada della pratica medica, Milano, 1917, p. 8).
636 Paolo Frascani
grazione82 o ai meccanismi selettivi instaurati già in età giolittiana83 e poi perfezionati ulteriormente con interventi politici che negli anni del fascismo legano la classe medica allo Stato in maniera ben diversa da quella perseguita dai modelli di « polizia medica » dei medici italiani dell’Ottocento. Le linee di questo percorso si intrecciano con quelle di un itinerario scientifico che, dall’inizio di questo secolo in poi, tende ad accentuare le « componenti tecnologiche a scapito di quelle antropologiche/umane della medicina italiana »84 ma non vi si identificano completamente.
Il diffondersi di un’ideologia professionale che negli anni compresi tra le due guerre rinnegherà apertamente la tradizione di impegnata solidarietà sociale di larga parte della classe medica ottocentesca85 va ricollegata anche ai processi di mobilità sociale che modificano gradualmente la collocazione del medico nel sistema delle gerarchie sociali. Così sappiamo, secondo i dati pubblicati da Marzio Barbagli, che tra il 1910 ed il 1930 viene mutando l’origine sociale degli studenti in medicina, perché rispetto ad una prevalenza di figli di proprietari terrieri e di professionisti, registrata alla vigilia della prima guerra mondiale, risulta aumentato, agli inizi degli anni Trenta, il numero degli studenti provenienti dalle file della piccola borghesia impiegatizia e commerciale86. E bisogna far quindi anche riferimento agli orientamenti politici e culturali di questi strati sociali per interpretare un’evoluzione dei modelli professionali segnata da quella tendenza neocorporativa recentemente sottolineata da Matthew Ramsey87.
Facendo però astrazione da un’involuzione ideologica che non è sfuggita a quanti hanno prestato attenzione al ruolo dei ceti medi nei processi politici che culminano con l’avvento del fascismo ^ si può delineare un’interpretazione dell’evoluzione professionale della medicina italiana, sul lungo periodo, che più che insistere su una svolta politica cruciale per la nostra società, coinvolgente tutti gli strati sociali intermedi, rilevi alcune linee di continuità di questo processo nella prospettiva che si è cercato di fare emergere in queste note. Così accanto alla particolare evoluzione dei contenuti del sapere medico ed alla pur rilevante incidenza dei processi di mobilità sociale che coinvolgono i medici in quanto appartenenti a determinate fasce della società italiana, acquista risalto anche il contesto istituzionale che, fin dai primi decenni della vita unitaria fa da cornice al pro-
82 M. Barbagli, Disoccupazione intellettuale e sistema scolastico in Italia, Bologna, 1974, p. 63.
83 Potenziando i controlli sull’esercizio professionale ed istituendo gli ordini dei medici e dei farmacisti, la classe politica liberale accolse nel 1910 alcune delle richieste essenziali di tutela professionale avanzate dalla classe medica nel corso della seconda metà del secolo precedente.
84 G. Cosmacini, op. cit., p. 1194.
85 G. Berlinguer, Medicina e politica, Bari, 1973, p. 21.
86 M. Barbagli, op. cit., pp. 192 e 206.
87 M. Ramsey, The Politicai of professional Monopoly, cit., p. 963.
88 SÌ vedano in tal senso le indicazioni di ricerca di Marzio Barbagli (op. cit., p. 181), sviluppate soprattutto da J. Petersen, Elettorato e base sociale del fascismo negli anni Venti, in « Studi Storici », 1975, n. 3, pp. 659-662.
637 II medico nell’Ottocento
cesso di medicalizzazione del paese. L’incompiuta realizzazione di un sistema di medicina pubblica ed ancor più la mancata modernizzazione del sistema ospedaliero restringono gli spazi concessi all’esercizio professionale dalle istituzioni sanitarie pubbliche, orientando già in età giolittiana le sovrabbondanti schiere di studenti in Medicina verso il percorso obbligato della libera professione e trasmettendo così ad anni a noi più vicini distorsioni e ritardi che già nell’Italia liberale preparano il distacco del medico dalla società civile.