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Title
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Ritorno alle scienze umane. Problemi e tendenze della recente storiografia sul mondo antico
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Creator
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Mario Mazza
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Date Issued
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1978-07-01
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Is Part Of
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Studi Storici
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volume
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19
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issue
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3
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page start
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469
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page end
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507
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Publisher
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Fondazione Istituto Gramsci
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Language
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ita
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Format
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pdf
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Relation
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L'archeologia del sapere, Italy, Rizzoli, 1980
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Le parole e le cose: un'archeologia delle scienze umane, Italy, Rizzoli Ed., 1967
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Rights
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Studi Storici © 1978 Fondazione Istituto Gramsci
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Source
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https://web.archive.org/web/20230921181311/https://www.jstor.org/stable/20564568?searchText=Foucault&searchUri=%2Faction%2FdoBasicSearch%3FQuery%3DFoucault&efqs=eyJsYV9zdHIiOlsiYVhSaCJdfQ%3D%3D&sd=1975&ed=2000&pagemark=eyJwYWdlIjoyMSwic3RhcnRzIjp7IkpTVE9SQmFzaWMiOjUwMH19&groupefq=WyJzZWFyY2hfY2hhcHRlciIsIm1wX3Jlc2VhcmNoX3JlcG9ydF9wYXJ0IiwiY29udHJpYnV0ZWRfdGV4dCIsInJldmlldyIsInNlYXJjaF9hcnRpY2xlIiwicmVzZWFyY2hfcmVwb3J0IiwiY29udHJpYnV0ZWRfYXVkaW8iXQ%3D%3D&ab_segments=0%2Fbasic_search_gsv2%2Fcontrol&refreqid=fastly-default%3A403d7571c70f8ab136c2d77fd8b2ae56
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Subject
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episteme
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discontinuity
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historical a priori
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extracted text
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RITORNO ALLE SCIENZE UMANE.
PROBLEMI E TENDENZE
DELLA RECENTE STORIOGRAFIA SUL MONDO ANTICO
Mario Mazza
I. 1 È tempo, almeno in Italia, di bilanci storiografici. Gli storici moderni si interrogano sulle vicende della loro disciplina, i medievisti promuovono convegni sulla legittimità della loro storia medievale, sociologi ed economisti analizzano i loro rapporti con gli storici. Anche agli studiosi di storia antica appare utile interrogarsi sulle linee fondamentali di tendenza dei loro studi — che nessuno può considerare avulsi dal contesto della cultura storica generale. Da più parti si ha in effetti l’impressione di trovarsi ad una svolta importante nella ricerca storica 5 svolta necessaria e vitale nella storia antica, vitale perché necessaria.
Un bilancio va dunque condotto — ma non nella prospettiva dello storicismo, nella prospettiva della storiografia di matrice idealistica, quale, per varie vicende che indicheremo, si è imposta in Germania ed in Italia a partire dall’ultimo decennio del secolo scorso. In un celebre libro, Carlo Antoni descrisse con la formula « dallo storicismo alla sociologia » il processo di svolgimento di questa storiografia, connotandolo di segno negativo2.
1 Per questo diffuso sentimento, si cfr., ad esempio, G. G. Iggers, New Directions in European Historiography, Middletown, Conn., 1975, pp. 175 sgg.; G. Barraclough, Atlante della storia, 1945-1975, trad. it., Roma-Bari, 1977, pp. 315 sgg.; e soprattutto, H. White, Metahistory. The Historical Imagination in Nineteenth Century Europe, Baltimore, 1973. Sui problemi posti dalla New Economie Hìstory, può essere utile il reading curato da R.L. Andreano, La nuova storia economica, Problemi e metodo, Torino, 1975 (e P.D. McClelland, Causai Explanation and Model Building in History. Economics, and thè New Economie History, Ithaca, N. Y. and London, 1975). Per la situazione in Germania, si cfr. Geschichte beute. Positionen, Tendenzen u. Probleme, hrsg. G. Schultz, Gottingen, 1975; per le nuove tendenze di storia sociale in Germania, si veda l’attività della recente rivista « Geschichte und Gesellschaft », edita nel 1975 da H.-U. Wehler (insieme ad altri studiosi) e del gruppo di J. Kocka (del quale si v. sopratutto i segg. articoli: Sozialgeschichte - Strukturgeschichte - Gesell-schaftsgeschichte, « Arch. f. Sozialgeschichte », 15, 1975, pp. 1-42; Theorieprobleme der Soziai - und Wirtschaftsgeschichte, in Geschichte u. Soziologie, hrsg. H.-U. Wehler, Kòln 1972, pp. 305-330; Theoretical Approaches to Social and Economie History of Modern Germany, «Journal of Modem History», 47, 1975, pp. 101-119). Informatissima ed acutissima, come sempre, la recente mise au point di A. Momigliano, Linee per una valutazione della storiografia del quindicennio 1961-1975, « Rivista storica italiana » 89, 1977, pp. 596-609.
2 C. Antoni, Dallo storicismo alla sociologia, Firenze, 1940. NdVAvvertenza (datata 1939) premessa al volume, l’assunto del libro è posto esplicitamente in questi ter-
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Indubbiamente sociologia, antropologia, economia — oggi diremmo le << scienze umane » — furono discipline cui lo storicismo idealistico, specie crociano, guardò per varie ragioni con sospetto. Ebbene, è proprio nella divergenza con la ricostruzione presentata da Antoni — ed in genere della storiografia idealistica — che le presenti notazioni trovano la loro giustificazione. Invece che « dallo storicismo alla sociologia », a noi il senso della vicenda della recente storiografia sul mondo antico appare piuttosto di un « ritorno alle scienze umane » — considerando cioè lo storicismo come un momento importantissimo senza dubbio, ma sostanzialmente parentetico, del reale processo di svolgimento della vicenda storiografica in Germania ed in Italia.
I . 2 Studi recenti (G. Oestreich, J. Kocka, H.-U. Wehler, G. G. Iggers) han no giustamente insistito sui contrasti di ordine metodologico e teorico, ma soprattutto ideologico-politico, dai quali è emersa, in Germania soprattutto, la storiografia del Novecento3 — e su quali condizionamenti politico-sociali si è costituita la comunità professionale degli storici (M. Ringer, W. Keylor, Ch-O. Carbonnel)4. Purtroppo, questa nuova impostazione degli studi di storiografia, se ha contribuito a chiarire parecchi punti nodali della storia culturale europea, non sembra sia stata finora recepita dagli studiosi di storia antica che, tranne qualche eccezione5, si muovono ancora
mini: « Il processo che vi è esaminato è quello del trapasso o caduta del pensiero tedesco dai problemi posti dallo storicismo nel sociologismo tipologico » (il corsivo è nostro). Per una discussione della tesi del libro, si veda del Cantimori, oltre alla lunga recensione in «Civiltà Fascista», 7, 1940, pp. 764-781, i celebri Appunti sullo storicismo, ora in Studi di storia, Torino, 1959, pp. 5-46.
3 Per gli studi di Kocka e Wehler, si cfr. la n. 1; molto importante il saggio di G. Oestreich, Die Fachhistorie und die Anfànge der sozialgescbichtlichen Forschung in Deutschland, « Historische Zeitschrift » (d’ora in poi abbreviata « HZ ») 208, 1969, pp. 320-363, che giustamente insiste sul Metbodenstreit tra i Facbhistoriker e gli studiosi di scienze sociali — scontro metodologico che in realtà nasceva dalla situazione sociale e politica. Utilissima la mise au point di G.G. Iggers, New Directions in European Historiography, cit., (e, sempre fondamentale, per la storiografia tedesca, l’altro lavoro di Iggers, The German Conception of History: The National Tradition of Historical Thought from Herder to thè Present, Middl., Conn., 1968).
4 M. Ringer, The Decline of thè German Mandarins. The German Academic Community, 1890-1933, Cambridge Mass., 1969; W. Keylor, The Foundation of thè French Historical Profession, Cambridge, Mass., 1975; Ch.-O. Carbonell, Histoire et Historiens. Une mutation idéologique des historiens franqais, 1863-1883, Toulouse, 1976. . .
5 Penso ai recenti saggi di Momigliano su Fustel de Coulanges (« Rivista storica italiana », 82, 1970, pp. 81-98 ora in Quinto contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico, Roma, 1975, pp. 159-178), su J. Bernays, « Meded. Koninkl. Nederl. Akad. Wetensch. », A£d. Letterkunde NR 32, 5, 1969, pp. 151-178 ora in Quinto contributo, cit., pp. 127-158), su Wilamowitz («Rivista storica italiana», 84, 1972, pp. 746-755, ora in « Atti della Scuola Normale Superiore di Pisa », 3, 1973, pp. 105-117), su K. Reinhardt («Rivista storica italiana», 87, 1975, pp. 311-318); alla Prefazione di L. Canfora al Wilamowitz degli scritti politici (L. Canfora, Wilamowitz tra guerra a Weimar, Introduzione a Cultura classica e crisi tedesca. Gli scritti politici di Wilamowitz. 1914-1931, Bari, 1977, pp. 7-45) ed anche a qualche tentativo dello scri-
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nella prospettiva più tradizionale. In realtà, la prospettiva «dallo storicismo alla sociologia » (o, « alle scienze umane »), anche quando non sia contrassegnata dalle connotazioni negative che erano in Antoni ed in certi storicisti ortodossi, per la maggior parte degli studiosi di storia antica rappresenta ancora il reale cammino della loro storiografia — e non invece una delle possibili ricostruzioni, quella cioè che una certa tradizione storicistica ha inteso presentare di questa vicenda. Come c’è infatti un modo « storicistico » di scrivere la storia, c’è anche un modo « storicistico » di scrivere la storia della storiografia: quello che vede appunto i movimenti di pensiero, le concezioni storiografiche, le metodologie scientifiche, succedersi pacificamente le une alle altre, senza contrasti e drammi, le idee nascendo le une dalle altre come per partenogenesi, ed affermandosi per interne « necessità » — appunto perché storicamente « necessarie », perché preparate dalle insufficienze « scientifiche », « metodiche », dei sistemi precedenti.
Storici della scienza ed epistemologi ci dimostrano tuttavia che le cose non stanno esattamente così — ed in ogni caso non sono così semplici. Generalmente la storia della storiografia, come del resto la storia della scienza, è stata scritta come una storia di uomini, libri, o idee. Al meglio, come nelle classiche opere di Fueter, Gooch, Butterfield, Kon6, ci si è preoccupati di collocare lo storico nel più ampio contesto della storia delle idee e della cultura. Ma ora, dopo Bachelard, Foucault, Kuhn, sappiamo che tutto ciò non è sufficiente e che la vicenda di ogni disciplina scientifica procede a strappi ed a scatti — così come la realtà storica è drammatica, intessuta da contrasti, lacerata da lotte e contraddizioni —; che la scienza in ogni epoca è caratterizzata da una episteme (Bachelard e Foucault; si pensi al concetto di « paradigma » in Kuhn), cioè da un modo di concepire ed organizzare un corpo di conoscenze; che la storia di ogni disciplina è caratterizzata non dalla trasformazione della teoria scientifica come risultato dell’accumulazione di conoscenze, ma da improvvise rotture epistemologiche (« coupures épistémologiques ») che determinano il fondamentale riorientamento dell’orizzonte scientifico di un’epoca7. Acute discontinuità, e non un regolare svolgimento lineare, caratterizzano il cammino di ogni scienza; e ogni cambiamento « rivoluzionario » di « paradigma » (o di
vente (mi sia consentito di rimandare alla Introduzione alla ristampa di E. Ciccotti, Il tramonto della schiavitù nel mondo antico, Roma-Bari, 1977, V-LXX).
6 E. Fueter, Geschichte der neueren Historiographie, Munchen, 19363; G.P. Gooch, History and Historians in thè Nineteenth Century, London, 19542; H. Butterfield, Man on his Past. The study of thè History of Historical Scholarship, London, 1955; I.S. Kon, Geschichtsphilosophie des 20. Jahrhunderts, (trad. dal russo da W. Hoepp) I-II, Berlin Rdt, 1964. Le osservazioni che seguono sono sulla linea di quelle di Iggers, New Directions, cit, pp. 5 sgg.
7 G. Bachelard, La formation de Vesprit scientifique, Paris, 1938; Le nouvel esprit scientifique, Paris, 1949; La philosophie du non. Essai d’une philosophie du nouvel esprit scientifique, Paris, 1949; M. Foucault, Uarchéologie du savoir, Paris, 1959; Les mots et les choses, Paris, 1965; T.S. Kuhn, The Structure of Scientific Revolutions, Chicago, 1970 (2a ediz. rivista ed aumentata; la trad. it., Torino, 1969, è della prima edizione, 1962).
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episteme) avviene in una situazione storica reale, in un contesto culturale e sociale storicamente determinato. Tutto ciò risulta ancor più valido per quanto concerne la storiografia8, che solo fino ad un certo punto si può considerare una scienza nel senso tecnico della parola, e nella quale sono stati presenti sempre elementi esterni di ordine politico, ideologico e culturale in senso lato. Ed in effetti solo di recente ci si è avvicinati alla storia degli studi storici come ad una disciplina che si muove all’interno di un contesto istituzionale e sociale; si è preferito più spesso giudicare le opere di storia sul metro del proprio tribunale storico, comprenderle nei termini dello sviluppo interno della disciplina, piuttosto che intenderle nel contesto sociale, politico, istituzionale in cui sono sorte9.
Ora però, per desiderio di chiarezza, vorrei anticipare qui i punti sui quali si fonderà il mio rapporto di « ritorno alle scienze umane ». Mi sembra cioè che, diversamente dalle correnti ricostruzioni: 1) alla fine del secolo scorso, nel periodo di massima fioritura e stabilità delle istituzioni accademiche e di ricerca scientifica, nella storiografia sul mondo antico le correnti che grosso modo possiamo definire « storicistiche » non erano né le uniche né le più storiograficamente significative; e che antropologia, sociologia ed economia avevano un ruolo importante; 2) che lo storicismo si pose come tendenza egemone solamente con l’inizio di questo secolo e che conquistò l’egemonia solamente nel periodo tra le due guerre; 3) che la recente fioritura di studi nel campo antropologico, sociologico, economico si riallaccia spesso a opere, tematiche e problemi già posti alla fine del secolo scorso da studiosi estranei allo storicismo — e che spesso i campi in cui si muove la storiografia più viva e teoreticamente agguerrita di questi ultimi decenni sono appunto quelli in cui si era acceso il dibattito storiografico alla fine del secolo scorso, prima della vittoria delle tendenze storicistiche, ed in cui furono prodotte opere che si sono ora rivelate determinanti per la ricerca storica.
II . 1 In realtà, a considerare attentamente, e con occhio non prevenuto, la storiografia antichista europea dei decenni a cavallo dei due secoli, non si può non restare colpiti dalla varietà e dalla ricchezza di esperienze che essa esprime, specie in ambienti e su argomenti non rigorosamente ristretti entro i limiti strettamente istituzionali del Fach. Ciò appare tanto più evidente quanto più non ci si limiti a considerare soltanto la Germania post-mom-mseniana — ma come vedremo, questo è vero fino ad un certo punto — ed in qualche misura l’Italia (che tentò di adeguarsi al modello tedesco sul
8 Si confrontino le osservazioni di D. Hollinger, T. S. Kuhn’s Theory of Science and Its Implications for History, «American Historical Review» 78, 1973, p. 378, p. 381, P‘ 392- . .
9 Un esempio, a mio parere assai infelice, di questo procedere per linee interne nella storia della storiografia è, per la storia antica, il libro per altri versi meritorio di K. Christ, Von Gibbon zu Rostovtzeff. Leben u. Werk fubrender Altbistoriker der Neuzeit, Darmstadt, 1912, (v. anche infra, p. 479, n. 37).
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piano delle strutture dell’insegnamento superiore e nella politica culturale della classe dirigente)10.
È certamente nelle altre nazioni europee che si osservano, in opposizione o in estraneità alla filologia classica tedesca ufficiale, le tendenze più interessanti, le interazioni più feconde con le discipline che indagano la realtà umana. Si prenda in considerazione il caso dell’Inghilterra, di un ambiente culturale generalmente ritenuto marginale rispetto alla corrente principale della filologia classica dell’epoca n. Ebbene, proprio nell’appartato mondo delle due maggiori università inglesi, tra Oxford e Cambridge, operò quel gruppo di studiosi che ebbe il suo punto di riferimento e di raccordo in quella straordinaria figura di donna e di studiosa che fu Jane Ellen Harrison — il c.d. « Gruppo di Cambridge » o dei « Cambridge Ritualists »12. Non è possibile, in questa sede, né opportuno, soffermarsi sulla straordinaria personalità della Harrison 13 — né sugli altri componenti del gruppo, A. B. Cook, F. Macdonald Conford, Gilbert Murray, su questi « filologi dell’inquietante », come sono stati recentemente definiti da uno studioso italiano 14. In opere di grande intelligenza ed originalità
10 Si cfr. in generale P. Treves, Lo studio dell’antichità classica nell’Ottocento, Milano-Napoli, 1962, pp. XXXII sgg e 1117-1119 (e altrove), e con maggiore articolazione in L’idea di Roma e la cultura italiana del secolo XIX, Milano-Napoli, 1962, pp. 193 sgg. (che insiste decisamente sugli aspetti negativi di una troppo drastica, a suo parere, rottura con la tradizione culturale italiana preuniversitaria). Si vedano anche le osservazioni di A. La Penna, Università e istruzione pubblica, in Aa.-Vv., Storia d’Italia, V, 2, Torino, 1973, pp. 1747 sgg. In particolare sul problema dell’organizzazione degli studi classici in Italia dopo l’Unità e per l’atteggiamento della « Rivista di filologia e di 'istruzione classica » a tal proposito, si cfr. M. Raicich, Le polemiche sugli studi classici intorno al 1870 e l’inchiesta Scialoia, « Belfagor », 18, 1963, 257 sgg; 354 sgg e, specificamente sulla « RIFC », il documentatissimo articolo di S. Timpanaro, Il primo cinquantennio della « Rivista di filologia e di istruzione classica », in « Rivista di filologia e di istruzione classica », 100, 1972, pp. 387 sgg. 389 sgg., 397 sgg., 403 sgg.
11 Sugli studi classici a Oxford e Cambridge in questo periodo si cfr. R.M. Ogilvie, Latin and Greek. A History of thè Influence of thè Classics in English Life from 1600 to 1918, London, 1964 e H. Lloyd-Jones, Greek Studies in Modem Oxford, Oxford, 1964.
12 Sul « Cambridge Group » — o dei « Cambridge Ritualists », od anche dei « Ritual Antropologists » — si cfr. R. Ackermann, Some Letters of thè Cambridge Ritualists, « Greek, Roman and Byzantine Studies » 12, 1971, pp. 113-36 e Jane Ellen Harrison. The Early Work, « Greek, Roman and Byzantine Studies » 13, 1972, pp. 209-230 (dello Ackermann si attende una biografia della Harrison nella quale il problema del Cambridge Group sarà evidentemente sviluppato); U. Bonanate, I filologi dell’inquietante, « Rivista di filosofia », 4, 1974, pp. 272-308. Sui singoli personaggi: J. Stewart, Jane Ellen Harrison: A Portrait in Letters, London, 1959; G. Murray, Francis Macdonald Conford 1874-1943, « Proceedings British Academy » 29, 1943, pp. 42132; Ch. Seltman, Arthur Bernard Cook 1868-1932, « Proceeding British Academy » 38, 1952, pp. 295-302; J.A.K. Thomson, Gilbert Murray, 1866-1937, « Proceedings British Academy » 43, 1957, pp. 245-270 e J. Smith-A. Toynbee, An Unfinished Autobiography, London, 1960.
13 Cfr. Ackermann, Jane Ellen Harrison: The Early Work, cit., pp. 213 sgg; ma la sorprendente personalità di questa studiosa è soprattutto evidenziata nello scritto autobiografico, Reminiscences of a Student’s Life, London, 1925 e nella raccolta di saggi intitolata Alpha and Omega, London, 1915.
14 U. Bonanate, « Rivista di filosofia », cit., pp. 281 sgg.
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— si pensi ai famosi Prolegomena lo thè Study of Greek Religion (1903), a Themis. The Social Basis of Greek Religion (1912) e Ancient Art and Ritual (1913) della Harrison, ai tre poderosi volumi dello Zeus (1914-40) di A. B. Cook, al Thucydides Mythistoricus (1907), a From Religion to Phi-losophy e a The Origin of Attic Comedy (1914) di Conford, a The Rise of Greek Epic (1907), a Four (poi Five) Stages of Greek Religion (1913, 1925) e Hamlet and Orestes (1914) di Murray — questi studiosi tentarono per primi un approccio antropologico alla religione e alla cultura greca. Non è certamente facile un giudizio su questo gruppo — e spero, in altra occasione, di riprendere la questione 15 — ma non c’è dubbio che si trattò di un originale ed interessante tentativo di applicare i metodi dell’antropologia culturale e delle religioni comparate allo studio dell’antichità classica — soprattutto, ma non solamente, greca. Anche se è difficile ridurre ad unità il complesso lavoro di questi studiosi, appare tuttavia evidente l’unitarietà del metodo: il costante confronto del mondo classico — del Classical Legacy — con le altre culture, primitive e non, attraverso i procedimenti e i risultati delle discipline antropologiche, dalla storia delle religioni comparate all’antropologia propriamente detta, alla sociologia, alla psicologia (e nel confronto, anche, con Freud e Jung). Un punto solo qui vorrei ricordare, che rappresentava purtuttavia uno degli assunti di base del lavoro di tutto il gruppo: che il mito, « la stupenda creazione dello spirito greco », secondo la formula classicistica, dipendesse dal rito; che, come afferma la Harrison « ...una pratica rituale mal capita spiega l’elaborazione di un mito... » 16 e, « ...Ciò che un popolo fa in relazione alle sue divinità dev’essere sempre un indizio, e forse il piu chiaro, di quel che pensa » — per cui « I preliminari alla comprensione scientifica della religione greca sono rappresentati da un minuzioso esame dei suoi riti » 17.
In tal senso, il lavoro di questi « filologi dell’inquietante » rappresentava un utile, suggestivo ed ardito tentativo di uscire dalle secche della filologia « umanistica », vale a dire classicistica, di ascendenza romantico-tedesca, con la sua visione irenica ed idealizzata della Grecità — e di Roma, sua erede « minore ». Atene e Roma scendevano così dal piedistallo, i « classici » perdevano la loro paradigmaticità. Il confronto tra Anthropology and thè Classics — come suona il titolo, indicativo della temperie culturale della filologia inglese dell’epoca, di un volume pubblicato nel 1908 a cura di R. R. Marett, reader di antropologia a Oxford e che raccoglieva sei lezioni tenute su questo tema da illustri specialisti18 — se
15 Conto di ritornarvi, come ho promesso nella mia Introduzione alla traduzione italiana della Conversion di A. D. Nock, Roma-Bari, 1974,, pp. XXXV, in una Introduzione alla traduzione italiana del classico libro della Harrison, Themis. The Social Basis of Greek Religion, Cambridge, 1912.
16 J. E. Harrison, Mythology and Monuments of Ancient Athens, London, 1890, p. 111.
17 J. E. Harrison, Prolegomena to thè Study of Greek Religion, Cambridge 19223 p. VII (la prima edizione è del 1903).
18 Anthropology and thè Classics, Essays ed. by R. R. Marett, Oxford, 1908.
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poteva significare, come auspicava il Marett nel? Introduzione, « una pacifica penetrazione » tra i due campi19, significava anche, nella pratica concreta, la relativizzazione dei classici, la contestazione della loro para-digmaticità.
Restano certamente molti punti ancora da chiarire sulle fonti di ispirazione teorica e sul processo interno di formazione del Cambridge Group e della Harrison — per quest’ultima, l’annunciata biografia di Robert Ackermann dovrebbe fornire importanti precisazioni. Tuttavia, come non può esserci dubbio che Andrew Lang e Frazer tra gli antropologi britannici, Wilhelm Mannhardt tra gli europei, furono gli autori primari per la Harrison e per il gruppo20, cosi non si può neppure dubitare che una parte fondamentale di ispirazione vada attribuita a Emile Durkheim e all’« Année Sociologique »21. In altri termini, anche in un certo ambito della cultura inglese il grande sociologo francese ed il suo magistero stavano alla base di un rinnovamento metodologico della ricerca storica. Ed in realtà, appare ora sempre più chiaro, alla luce delle indagini recenti, il ruolo determinante dell’autore delle Formes élémentaires de la vie reli-gieuse, di Les règles de la méthode sociologique etc., nel quadro della storiografia francese a lui contemporanea22 — ed ancor più nei suoi svi-
19 Anthropology and thè Classics, cit., p. 3.
20 Si cfr. quanto la Harrison dichiarava nel già citato Mythology and Monuments of Ancient Athens, 1890, p. 3: « ...Some of thè loveliest stories thè Greeks have left us will he seen to have token their rise, not in poetic imagination, but in primitive, often savage, and, I think, always practical ritual. In this matter — in regarding thè myth-making Greek as a practical savage ratter then a poet or philosopher — I follow, quam longo intervallo, in thè steps of Eusebius, Lobeck, Mannhardt, and M. Andrew Lang » (p. 111). The Golden Bough di Frazer uscì nello stesso anno 1890 di Myihology and Monumenta e non sembra che abbia molto influenzato la Harrison in questa prima fase del suo pensiero. Tuttavia, nel 1892, nella Prefazione alla traduzione inglese di un manuale tedesco di mitologia greca, la Harrison ricordava « The Folk-lore method, of which M. Andrew Lang and Mr. J. G. Frazer are, in England, thè best know expo-nents », spiegando che questo metodo richiede di comprendere le origini degli dei greci non alla luce dei Veda, ma da quello che si riesce ad imparare dalle analoghe pratiche del « contemporary Savage» (J. Harrison, Preface a A.H. Petiscus, The Gods of Olympos (transl. by K. Raleigh) New York, 1892, VI). Frazer è presente in tutte le opere posteriori della Harrison, e, soprattutto, sarà un punto costante di riferimento nel lavoro di tutto il gruppo.
21 Per l’influenza di Durkheim sulla Harrison, si cfr. le pagine introduttive a Themis, cit. pp. XIII sgg. Come ha osservato Bonanate, art. cit., p. 299. il problema del rapporto tra uomo e rito da un lato, e definizione di religione dall’altro, riceve una spiegazione esauriente nel concetto durkheimiano di rappresentazione collettiva. Assai rilevante l’influenza di Durkheim su Conford, specie in From Religion to Philosophy, London, 1912. Cfr. anche le osservazioni di S. C. Humphreys, The Work of Louis Gemei, «History & Theory», 10, 1971, p. 176, p. 196, ora raccolto in Antropology and thè Greeks, London, 1977 (trad. it. Bologna, 1978), pp. 76-96.
22 Si cfr. da ultimo S. Lukes, Emile Durkheim. His life and Work, New York, 1972; D. La Capra, Emile Durkheim. Sociologist and Philosopher, Ithaca, N. Y., 1972 (con le osservazioni di S.C. Huhphreys, « History & Theory », 14, 1975, pp. 233 sgg., ora in Antropology and thè Greeks, cit., pp. 96 sgg.), per quanto riguarda le sintesi generali del pensiero del grande sociologo francese. Sul significato di Durkheim nella cultura francese, si cfr. soprattutto Stuart Hughes, The Obstructed Palh, French
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luppi futuri23. Non credo si esageri quando si sostiene che « L’Année Sociologique » riuscì a canalizzare i fermenti più vivi della cultura francese che si opponeva al filologismo e all’erudizione accademica, o, per un altro verso, aH’« histoire historisante » — intendo riferirmi all’opera di un Louis Gernet, per il mondo antico, ed a personalità originali e potenti come Marc Bloch e Marcel Granet tra gli storici, Marcel Mauss e Georges Davy tra i più specificamente sociologi, a Francois Simiand, Paul Faucon-net, Lucien Lévy-Bruhl, Maurice Halbwachs, Henri Hubert, etc. tra gli studiosi di altre discipline 24.
Il fatto è che, anche in questo caso, la storiografia francese tra il ’90 e la prima guerra mondiale rimaneva sostanzialmente estranea ai problemi ed alle tematiche di gran parte della coeva storiografia tedesca. Tra la tradizione fusteliana e le nuove proposte che sorgevano dalla sociologia di Durkheim non restava molto spazio per le proposte dello storicismo (tardo) tedesco. Colpisce in effetti, la diversità di impostazione e di problematica emergente dalle opere più significative delle due storiografie; non si può certamente sotto valutare la grande differenza tra un’opera come La proprie té foncière en Grèce jusqu’à la consuete romaine (1893) dell’allievo di Fustel, Paul Guiraud, e, poniamo, VAristoteles uni Athen di Wilamovitz, che è dello stesso anno 25.
Sociologia ed economia in realtà risultano ben presenti nella storiografia francese sul mondo antico, negli anni precedenti alla prima guerra mondiale. Gli interessi economici propri della scuola fusteliana apparivano predominanti nell’altra importante opera del Guiraud su La main-d’oeuvre industrielle dans Vancienne Grèce (1900); dallo studio degli enciclopedisti il belga Henri Francotte (1846-1918) passava allo studio del diritto e del-
Social Thought in thè Years of Desperation, 1930-1960, N. Y., Evanston-London, 19693, pp. I sgg.; pp. 19 sgg. e per la storiografia, G. G. Iggers, New Directions cit., pp. 43 sgg. e da ultimo, L. Allegra in Allegra - A. Torre, La nascita della storia sociale in Francia. Dalla Comune alle « Annales », Torino, 1977, pp. 71 sgg.
23 Cfr. Allegra, in Allegra-Torre, cit., pp. 95 sgg. Sui « durkheimiani », ed in genere sull’influenza di Durkheim in linguistica, in religione, economia etc., cfr. la utilissima Appendix di Sally Humphreys al già citato articolo in « History & Theory », 10, 1971, pp. 194-196 (Antropology and thè Greeks, cit., pp. 94-96), cui adde W. P. Vogt, The Use of Studying Primitives: A Note on thè Durkheimians, 1890-1940, «History & Theory » 15, 1976, pp. 33-44.
24 Una scorsa de « L’Année Sociologique » significa in pratica una rivisitazione della cultura francese impegnata sul piano sociologico. Sull’importanza della rivista in tal senso si v. G. Davy, Emile Durkheim, « Revue de Métaphysique et de Morale », 26, 1919, pp 181-198; cfr. anche P. Fauconnet, The Durkheim School in Trance, « Socio-logicai Review », 19, 1927, pp. 15-20; P. Hoenigsheim, The Influence of Durkheim and His School on thè Study of Religion, in Emile Durkheim 1833-1917, ed. K. H. Wolf, Columbus, Ohio, 1960, pp. 233-246.
25 Cfr. le osservazioni di A. Momigliano, La città antica di Fustel de Coulanges, « Rivista storica italiana » 82, 1970, pp. 81-98 ora in Quinto contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico, Roma, 1975, pp. 159 sgg. Si cfr. tuttavia anche G. G. Iggers, New Directions, cit., 45, ss. che si dimostra assai cauto nel valutare i rapporti tra le due storiografie.
26 A. Momigliano, La città antica di Fustel de Coulanges, cit., pp. 160 sgg.
477 Scienze umane nella storiografia sul mondo antico
l’economia greca, accompagnando i suoi lavori sulla polis con ricerche sull’industria e sulle finanze delle città greche. Nella famosa Thèse del 1904 di G. Glotz su La solidarietè de la famille dans le droit criminel en Grèce, gli interessi strettamente giuridici erano certamente sopraffatti da piu urgenti, predominanti, interessi sociologici26. Dalla sociologia durkheimiana era profondamente determinato il lavoro di Gernet, specie nella collaborazione a « L’Année sociologique » e nelle acute Recherches sur le develop-pement de la pensée juridique et moral en Grèce (1917); negli anni più tardi, specialmente sotto l’influenza di M. Mauss e nel contatto con gli altri amici della scuola, come Granet, venne in lui accentuandosi, la prospettiva per cosi dire « sub specie anthropologica »27.
IL 2 Si potrebbe continuare ad insistere sulle differenze di impostazioni e di tematiche tra questi storici francesi e, poniamo, quelle di un Wilcken, di un Dessau, di uno Schwartz — ma sarebbe assai poco utile. In realtà, non è difficile oggi scorgere dove fosse la radice dei complessi interessi della storiografia francese per la società antica, specialmente greca, vista di volta in volta nei suoi aspetti economici, giuridici, religiosi, intellettuali. Appunto da Fustel de Coulanges e da Durkheim essa muoveva, nei suoi elementi distintivi dalla storiografia tedesca. I due grandi studiosi, pur nella loro diversità, proponevano problemi di istituzioni, di diritto, di religione, di atteggiamenti culturali, sempre sul piano delle società umane, dei gruppi umani dalla cui aggregazione le istituzioni giuridiche, religiose, politiche, sociali ed economiche traggono esistenza e significato: poco interessavano loro i problemi di Kulturgeschichte, di storia politica, di storia spirituale e religiosa di società evolute, che invece preoccupavano gli antichisti tedeschi dell’epoca — si pensi ai già ricordati Wilamowitz e Schwartz, ma anche ad un Reitzenstein, ad un Zeller ed agli storici della scuola mommseniana. Metodo comparativo ed attenzione alle strutture concrete delle società umane, ai fatti di ordine giuridico, sociale, economico — sociologia, ed economia, insomma: questi i caratteri per cui la storiografia francese sul mondo antico, nell’arco di tempo compreso tra gli anni ’90 e la prima guerra mondiale, mostra una sua peculiare fisionomia, diversa da quella prevalente nella storiografia accademica tedesca. E in Italia? La situazione è più complessa di quanto generalmente si ritiene. Ha scritto Sebastiano Timpanaro, in un importante saggio su II primo cinquantennio della « Rivista di filologia e di istruzione classica »: « Tra le nazioni colte europee, la Germania soprattutto costituì il modello per i fondatori o rifondatori della filologia e della linguistica in Italia »28. Certamente contribuì a ciò il riconoscimento dell’alto valore dei grandi filologi classici e glottologi tedeschi dell’Ottocento, nonché l’ammirazione per l’esempio di organizzazione e divisione razionale del lavoro scientifico fornito dalla scienza tedesca,
27 Su Gernet, fondamentale l’articolo (già citato) di S. C. Humphreys, The Work of Louis Gernet, « History & Theory », 10, 1971, pp. 172 sgg., e, sul rapporto fra Gernet e Mauss, pp. 182 sgg.
28 S. Timpanaro, « Rivista di filologia e di istruzione classica », 100, 1972, cit., p. 389.
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l’ammirazione per la Methode — tuttavia, questa ammirazione e soprattutto imitazione risulta valida, e fino ad un certo punto, per la filologia classica in senso stretto, e per la linguistica. In realtà, per altri settori le cose stavano in maniera piuttosto diversa e parecchio piu complicata. Nel campo più specificamente storico, le personalità scientifiche più significative si muovevano su tematiche prevalentemente sociologiche ed economiche. Come ha giustamente ricordato L. Capogrossi Colognesi, uno studioso del livello di Pietro Bonfante partiva da presupposti etnologici e sociologici nel far derivare lo Stato dall’organizzazione gentilizia29; né lo stesso K. J. Beloch, maestro tedesco della giovane storiografia italiana, può interamente riportarsi alla storiografia tedesca, se egli sembra esser arrivato alla statistica ed alla demografia sotto l’influenza del fondatore della scienza statistica italiana, Luigi Bodio30. Su « Studi Storici » recentemente C. Fogliano ha ripreso in esame l’interessante personalità dell’economista (barese di origine ma stabilitosi poi a Torino) Salvatore Cognetti de Martiis, creatore ed animatore del torinese « Laboratorio di economia politica », nonché autore, tra molte altre cose, di un saggio su Le forme primitive dell'evoluzione economica (1881) e di una trattazione per saggi del Socialismo antico. Indagine (1889) 31. Nonostante le innegabili debolezze filologiche, Guglielmo Ferrerò e la sua fortunatissima opera Grandezza e decadenza di Roma risultano assolutamente esemplari dell’atmosfera degli anni a cavallo del nostro secolo; come ho altrove osservato, Grandezza e decadenza di Roma non è l’opera di uno storico antico « professionale » ma quella di un politico e di un sociologo che riflette sui casi della storia, sulla decadenza degli Stati e delle costituzioni, sulla fenomenologia di questa decadenza32. Anche Achille Loria, nonostante la pietosa e precoce involuzione senile e l’accusa, vera o falsa che fosse, di aver travisato e plagiato Ricardo e Marx nei suoi studi sullo sviluppo della proprietà agraria, resta un nodo da svolgere per la comprensione della cultura storico-economica italiana dell’epoca33. Ma soprattutto era nel confronto con il marxismo, con il materialismo storico come allora si diceva (e quindi in concreto sui problemi di economia e di sociologia, di politica in quanto determinata da specifiche situazioni socioeconomiche) che
29 L. Capogrossi Colognesi, La struttura della proprietà e la formazione dei « iura praediorum » nell'età repubblicana, I. Milano 1969, pp. 83 sgg; pp. 88 sgg. Si cfr. anche la voce in DBI, 12, 1970, pp. 7-10.
30 Sul Bodio, cfr. L. BonelH, in DBI, II, 1969, pp. 103-107.
31 Sul Cognetti de Martiis cfr. da ultimo C. Fogliano, Cognetti de Martiis. Le origini del laboratorio di economia politica, « Studi Storici », 17, 1976, pp. 139-168.
32 Cfr. «Studi Storici», 17, 1976, pp. 105 (e la bibliografia ivi riportata).
33 Sul Loria è in preparazione da parte di una giovane studiosa catanese, Chiara Ottaviano, un lavoro fondato soprattutto sull’utilizzazione del materiale epistolare giacente presso la Soprintendenza Archivistica per il Piemonte e la Valle d’Aosta.
34 Per una valutazione di quest’opera di Ciccotti, ed in genere del Ciccotti studioso marxista della schiavitù antica, sia consentito rimandare alla mia Introduzione alla riedizione laterziana de II tramonto della schiavitù nel mondo antico, Roma-Bari, 1977, pp. V-LXX.
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si esprimevano le forze più vive e significative della storiografia italiana sul mondo antico — e qui vorrei ricordare soltanto il Ciccotti de II tramonto della schiavitù nel mondo antico (1899) e di La guerra e la pace nel mondo antico (1900), il Barbagallo della memoria su II Senatus-consultum ultimum (1900), della monografia su Le relazioni politiche di Roma con l'Egitto dalle origini al 50 a.C. (1901) e del volume su La fine della Grecia antica (1905) ^j il Salvioli di Le capitalisme dans le monde antique, nella sua prima edizione (1906) 35, il Porzio dei lavori sull’economia arcaica greca e sulla storia dei Cipselidi.
Sociologia, economia e le discipline che ad esse in vario modo si riferivano sembrano dunque avere un posto di rilievo nel panorama della storia antica italiana. Ma anche nella Germania di fine secolo — o se si preferisce, del regno o dittatura mommseniana — la situazione non è così semplice ed uniforme come in genere viene presentata. C’è stata in effetti una razionalizzazione del reale svolgimento della vicenda, che ha oscurato sia il contrasto effettivo delle forze intellettuali in causa, sia i punti concreti di divergenza e di discussione: da questo punto di vista appare un po’ troppo angusto, ed al limite fuorviante, nel suo andamento rigidamente biografico, per « medaglioni », un libro come quello recente di K. Christ, Von Gibbon zu Rostovtzeff36 — che pur presenta indubbi meriti di utilità nella sua ricchezza di onesta informazione. Qui lo storicismo « individualizzante » celebra i suoi fasti — significativa la citazione goethiana posta ad epigrafe del libro, la 313 delle Maximen und Reflexionen37 — ma fa anche smarrire completamente il senso della vicenda.
Ma, come si è già accennato, le cose furono assai più complicate. In un saggio molto importante, G. Oestreich è recentemente ritornato sui contrasti interni alla storiografia dell’epoca, ed agli inizi difficili, nel dibattito con la Fachhistorie, della ricerca storico-sociale in Germania38. La Metho-
Sul Barbagallo, oltre al già citato Natale, « NRS », 1958, cit., pp. 353-87, si cfr. l’importante saggio di P. Treves, Corrado Barbagallo, «NRS», 48, 1964, pp. 11-34; pp. 257-74 (versione allargata della voce curata dal T. per il DBI VI Roma 1964, pp. 26-33) e l’ampio lavoro di F. Di Battista, Storia economica e condizionamento sociale in Corrado Barbagallo, in Ricerche storiche ed economiche in memoria di Corrado Barbagallo, a cura di L. De Rosa, I, Napoli 1970, pp. 37-115.
35 In seconda edizione, molto modificata, per i tipi di Laterza, Bari, 1929 — ne è preannunciata una riedizione, per lo stesso Laterza, con Introduzione di A. Giardina. Sul Saivioli attende ad una ricerca M. Simonetti, nel quadro di un lavoro di prossima pubblicazione su Storiografia e società in Italia nella crisi imperialista (1911-1915).
36 K. Christ, Von Gibbon zu Rostovtzeff. Leben u. Werk fùhrender Althistoriker der Neuzeit, Darmstadt, 1972.
37 « Zu alien Zeiten sind es nur die Individuen, welche fùr die Wissenschaft gewirkt, nicht das Zeitalter. Das Zeitalter war’s, das den Sokrates durch Gift hinrichtete, das Zeitalter, das Hussen verbrannte: die Zeitalter sind sich immer gleich geblieben ». Per valutare il significato della citazione può essere utile rileggere le pagine meineckiane nella III parte del capitolo su Goethe — il decimo — in Le origini dello storicismo, trad. it., Firenze, 1954, pp. 420-498.
38 G. Oestreich, « HZ » 208, 1969, cit., pp. 320 sgg; si vedano le conclusioni a pp. 362-363; si cfr. anche E. Kehr, Neuere deutsche Geschichtsschreibung, in Der Primat der Innenpolitik, cit., pp. 257-58 e Iggers, New Directions, cit., pp. 80 sgg.
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denstreit tra Lamprecht ed i « neorankiani » della « Historische Zeitschrift » rappresentò il punto critico di questo processo39. In realtà, anche nella Germania guglielmina, nonostante il peso notevolissimo della tradizione accademica e, soprattutto, la ripresa, specie nella storiografia sull’età moderna e contemporanea, dei motivi fondamentali di quelli che Iggers ha definito « la tradizione nazionale del pensiero storico tedesco » da Herder ai nostri giorni40 — dello storicismo, in altri termini — anche in Germania, dicevamo, economia, sociologia, ed entro certi limiti anche istanze antropologiche (etnologiche) giuocarono un ruolo importante nello studio della storia antica. Si praticavano anche le discipline delle società umane, insomma, non soltanto la filologia dell’« antichità classica ». E come appare sempre piu evidente, oltre che logico, la figura chiave di questo processo risulta essere, anche per la storiografia sul mondo antico, colui che Delio Cantimori ebbe a definire la personalità di studioso più complessa e rappresentativa della Germania guglielmina e post-bellica — vale a dire Max Weber.
È assai difficile che esistano « epoche assiali » nella storia umana, come pur pensava K. Jaspers per il VI secolo a.C. E tuttavia, si è costretti talora a riconoscere che ci sono, nella storia della cultura, degli anni mirabiles in cui vengono a maturazione improvvisa specifici processi culturali ed in cui si assiste quasi ad una esplosione di nuove idee e di nuove tendenze. Il 1897 — che è anche l’anno in cui Ciccotti pubblicò la prima parte del suo Tramonto della schiavitù — potrebbe considerarsi uno di questi. Com’è noto, nel 1896 Max Weber pubblica il suo « epocale » saggio su Die so-
39 Oestreich, art. cit., pp. 351 sgg; si cfr. anche Th. Schieder, Die deutsche Gescbichts-wissenschaft ivi Spiegel der historischen Zeitschrift, « HZ », 189, 1959, pp. 1-107. Una scelta della « Kontroversiiteratur » in F. Seifert, Der Streit um Karl Lamprechts Geschichtsphilosophie, Augsburg, 1925. Dei testi fondamentali della disputa, sarà sufficiente qui ricordare, oltre ai celebre Nachruf meineckiano del Sybel, « HZ », 75, 1895, pp. 395 sgg., K. Lamprecht, Alte und neue Richtungen in der Geschichts-wissenschaft, Berlin, 1896 e Was ist Kulturgeschichte? Beitrag zu einer empirischen Historik, « Deutsche Zeitschrift f. Geschichtswissenschaft » I, 1896-97 (ora in K. Lamprecht, Ausgewdhlte Schriften zur Wirtschafts-und Kulturgeschichte und zur Theorie der Geschichtswissenschaft, rist. anast. Aalen, 1974, pp. 175-327); la discussione di Max Lenz ai primi 5 volumi della Deutsche Geschichte di Lamprecht in « HZ », 77, 1896, pp. 385-447, di H. Oncken, « Preuss. Jahrbiicher » 89, 1897, pp. 83-125 (cfr. anche Lamprechts Verteidigung, Berlin 1898) di F. Rachfahl, «Deutsche Lite-raturzeitung » 16, 1895, Sp. 840-851 e « Preuss. Jarbb. », 83, 1896, pp. 48-96; e di G. von Below, « HZ », 71, 1893, pp. 445-498 ed il « wiistes Pamphlet » Die neue historische Methode, « HZ », 81, 1898, pp. 193-274. Il meglio di tutta la discussione forse nell’ambito di Otto Hintze, Ueber individualistische und kollektivistische Ge-schichtssauffassung, « HZ », 78, 1897 ora in Soziologie und Geschichte, Ges. Abhan-dlungen hrsg. G. Oestreich, II, Gottingen, 19642, pp. 321 sgg. Sui neo-rankiani, cfr. L. Dehio, Ranke and German Imperialism, in Germany and World Politics in thè Twentieth Century, N. Y. 1967, pp. 38-71 e la monografia di H. H. Krill; Die Ranke-Renaissance. Max Lenz und Erich Marcks, Berlin, 1962.
40 G. G. Iggers, The German Conception of History: The National Tradition of Historical Thought from Herder to thè Present, Middletown 1968 e, dello stesso, The Decline of thè Classical National Tradition of German Historiography, «History & Theory», 6, 1967, pp. 382-412.
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zialen Grùnde des Untergangs der antiken Kultur, nel 1897 esce il supplemento secondo del Handworterbuch der Staatswissenschaften, fondamentale per gli studi di storia antica. In questo volume sono contenuti il saggio di Ed. Meyer sulla plebe romana e sul movimento graccano, di K. J. Beloch sul tasso d’interesse nell’antichità, di A. Schulten sulla colonizzazione romana, di H. Dessau sulle finanze di Roma antica; ma c’era anche, in prima redazione41, l’altro famoso saggio di Weber, Agraver-hàltnisse im Altertum che, riscritto ed enormemente allargato, doveva ricomparire in una successiva edizione del medesimo Handworterbuch (la 3a, del 1909) per essere infine raccolto, in edizione definitiva, in Gesammelte Aufsàtze zur Soziai - und Wirtschaftsgeschicbte del 1924 42. L’unità di ispirazione del volume è data dal suo contrapporsi alla storiografia di pura erudizione filologica e di storiografia politica e kulturgeschichtlich praticata fondamentalmente ntWestablishment accademico. In un certo senso cercava di rappresentare i nuovi orientamenti di storia economica e sociale che venivano allora emergendo dal dibattito storiografico in cui era in quegli anni impegnata la storiografia tedesca.
Nonostante il noto saggio di A. Heuss43 (e qualche altro lavoro) Max Weber studioso del mondo antico è un continente tutto da esplorare — lo scrivente si ripromette di presentare abbastanza presto i risultati delle sue ricerche in proposito. Sotto certi aspetti Weber è esemplare di un modo nuovo di affrontare la storia antica; e c’è una sostanziale unità, a proposito, nella sua teoresi storica. Ha scritto, in senso involontariamente limitativo, Marianne Weber: « Agrargeschichtliche und agrarpolitische Probleme beschàftigten Weber wàhrend seiner ganzen ersten Produktions-phase » ^. In realtà, per chi, come lo scrivente, non accetti — o accetti solo con molte riserve e limitazioni — la famosa frattura nell’evoluzione intellettuale di Weber, anche la prima fase di ricerche sulla storia agraria ed economica del mondo antico si trova fondamentalmente connessa a tutta la sua visione generale del rapporto tra economia e società formulata nelle sue opere maggiori, costituendone anzi una premessa indispensabile. Nella Romische Agrargeschichte del 1891 Weber tentava, sulla scorta dei testi antichi sull’agricoltura romana, di individuare la reale struttura della proprietà agraria di Roma antica.
Come Weber appunto riconosceva nella Introduzione, il procedimento scelto era, specie nei primi capitoli « ...di natura spesso sostanzialmente induttiva »; per cui avrebbe cercato « ... di ricostruire le basi di partenza dello
41 Handbuch d. Staatswissenschaften, Suppl. B. II, Jena, 1897, pp. 1-18; cfr. A. Momigliano, « Times Literary Supplement », 8 apr. 1977, pp. 435-436.
42 Pp. 1-288; si cfr. la recente trad. inglese, con Introduzione di R. J. Frank, The Agra-rian Sociology of Ancient Civilizations, NBL, London, 1976.
43 A. Heuss, Max Webers Bedeutung fùr die Geschichte des griechisch-rdtnischen Altertums, « HA », 201, 1965, pp. 529-556; dello Heuss va anche consultato il saggio su Max Weber und das Problem der Universalgeschichte, in Zur Theorie der Weltgeschichte, Berlin, 1968 pp. 49-83.
44 M. Weber Vorwort a Gesammelte Aufsàtze zur Sozial-u. Wirtschaftsgeschicbte, cit., III.
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sviluppo agrario romano sulla base dei fenomeni posteriori ». « Una volta stabilite queste basi, l’organizzazione delle comunità agrarie — egli rileva — offre un numero limitato di possibilità ». (Come è stato osservato, qui già compare, caratteristicamente, il concetto di scelta tra possibili strutture alternative come criterio di interpretazione storica). Negli Agrarver-hàltnisse, specie nella redazione del 1909, l’indagine veniva coerentemente allargata a tutto il mondo antico, e lo sviluppo delle forme di proprietà agraria era considerato sullo sfondo della generale evoluzione della società, sia nell’Oriente che nel bacino mediterraneo — nell’ambito della Kultur generale del mondo antico, per usare la terminologia webe-riana; il titolo della sezione seconda degli Agrarverhaltnisse suona significativamente Die Agrargeschichte der Hauptgebiefe der alten Kultur. Nonostante la loro relativamente scarsa fortuna, gli Agrarverhaltnisse costituiscono in realtà uno dei punti alti e della storiografia economico-sociale dell’epoca e della teoresi storica dello stesso Weber: si può osservare, specie nella Einleitung alla Okonomische Theorie der antiken Staatenwelt, la raggiunta sintesi tra ricerca empirica e analisi idealtipica che contraddistinguerà il Weber maturo. C’è indubbiamente un significativo approfondimento della metodologia storica, tra la Agrargeschichte e gli Agrarverhaltnisse: di mezzo, c’erano stati gli anni più tormentati della vita di Weber, il doloroso distacco dai maestri della scuola storica dell’economia, c’era stato, tra il 1905-1906, l’importante dibattito con Eduard Meyer sui problemi di mitologia storica — che portò entrambi i contendenti all’approfondimento delle rispettive posizioni teoriche (Roscher und Knies und die logischen Probleme der historischen Nationalokonomie; Krifische Studien auf dem Gebiet der Kulturwissenschaftlichen Logik; Ed. Meyer, Zur theorie und Methodik der Geschichte, 1902) 45.
Retrospettivamente considerando, furono anni eroici per lo studio dell’economia e della società antica. A. Schulten (1870-1960), che in età matura si volse all’esplorazione della Spagna antica ed a problemi di archeologia militare del mondo romano, proponeva in quegli anni studi importanti sul latifondo antico. Eduard Meyer — che ebbe influenza grandissima su Weber, sia per la sua conoscenza di storia orientale, specie giudaica sia per i suoi interessi di metodologia storica — e K. J. Beloch, due studiosi che significativamente si formarono, per ragioni diverse, in quasi assoluta indipendenza da Mommsen, pur nella diversità delle loro personalità e dei rispettivi ambiti di lavoro convergevano nell’interesse per lo studio dell’economia e della demografia antica. Ambedue condividevano l’indirizzo modernizzante, in contrapposizione a chi, come K. Bùcher, propugnava una concezione primitivistica dell’economia antica, che considerava fondata sull’autarchia dell’economia domestica, dell’o/£os ^ Tra questi stu-
45 Ora in Gesammelte Aufsàtze zur Wissenschaftslehre, hrsg. J. Winckelmann, Tu-bingen, 19512, pp. 1-145 e 215-265; Ed. Meyer, Kleine Schriften, I, l2, Halle, 1924, pp. 1-78.
46 Cfr. K. Biicher, Die Entstehung der Volkswirtschaft, Leipzig 192213, (la ed.
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diosi — compreso anche il giovane Rostovtzeff47 — si svolse una discussione di grande rilievo sui caratteri dell’economia antica che, se non produsse grandi opere di sintesi, tuttavia rappresentò uno dei momenti più alti della moderna teoresi storiografica sul mondo antico.
Il dibattito tra Meyer e Beloch e Bùcher ci conferma, ancora una volta, che l’indagine sull’economia antica — e sull’economia in generale, con Max Weber — era centrale, nell’atmosfera culturale della Germania gu-glielmina48. Ma ci sarebbero ancora tanti aspetti da approfondire, nella difficile vicenda della storiografia di questo periodo. Una personalità complessa come quella di E. Meyer richiederebbe un serio discorso di approfondimento, più di quanto finora sia stato fatto49. Il suo sostanziale « aclassicismo » — indicativa l’opzione per Altertum, non per Antike, come ha fatto a suo tempo notare W. Otto50 — gli consenti di concepire, e in gran parte di scrivere, una storia generale dell’antichità; i suoi interessi antropologici, lo studio dell’antropologia protostorica, furono alla base del I volume della Geschichfe des Altertum (1907 2). Anche le concezioni di metodologia storica, che portarono alla discussione con Max Weber, sarebbero da valutare con estrema attenzione. Ma per la verità, non si altererebbe di troppo il quadro generale; nella sostanza, risulta abbastanza evidente, a chi ora riconsideri quelle vicende, come verso la fine del secolo scorso e all’inizio del nostro si sia venuto in concreto riformulando il metodo di studio della storia antica. Non è che gli storici antichi siano andati a scuola di sociologi o di antropologi, imparando a riformulare in nuove formule vecchi problemi. La situazione è più complessa e fluida; si tratta piuttosto di un processo complicato, che parti da certi settori definiti dalla storiografia. I problemi che gli storici antichi
1893) e Zur griechischen Wirtschaftsgeschichte, « Festgabe A. Schàffle », Tiibingen, 1901, pp. 193-254, rist. in Beitràge zur Wirtschaftsgeschichte, Tiibingen 1922, pp. 1-97.
47 Sui rapporti di Rostovtzeff con l’ambiente di Wilcken, cfr. A. Momigliano, Contributo, cit., 1955, p. 344 (ora in Studies in Historiography London, 1966, p. 95). Un confronto tra le posizioni di Max Weber e di Rostovtzeff sul problema del capitalismo nel mondo romano in G. Wollheim, Aufstieg u. Niedergang des Kapitalismus im Romerreich nach Max Weber und Michael Rostovtzeff, «Jahrbuch fiir Sozialòko-nomie und Statistik» 138, 1933, pp. 390-412.
43 G. Oestreich, art. cit., passim e partic. pp. 332 sgg; per la storia antica, cfr. le recentissime osservazioni di M. I. Finley, « Comparative Studies in Society and History », 19, 1977, pp. 314 sgg. (per quanto concerne un punto specifico del dibattito, l’economia della città antica).
49 Manca finora, per quanto è mia conoscenza, una biografia di E. Meyer. Bibliografia degli scritti e uno schizzo autobiografico in E. Marohl, Eduard Meyer. Biblio-graphie. Mit einer autobiographischen Skizze Eduard Meyers und der Gedachtnisrede von UUrich Wilcken, Stuttgart, 1941. Tra le valutazioni della sua opera, si cfr. soprattutto W. Otto, Eduard Meyer und sein Werk, « Zeitschrift der Deutschen Morgen làndischen Gesellschaft », NF 10, 1931, pp. 1-24; V. Ehrenberg, Ed. Meyer, «HZ», 143, 1931, pp. 501-511; S. Morenz, Die Einheit der Altertumswissenschaften, Gedanken und Sorgen zum 100. Geburtstag E. Meyer « Altertum » I, 1955, pp. 195 sgg; K. Christ, Von Gibbon zu Rostovtzeff, cit., pp. 286-333.
50 W. Otto, art. cit., pp. 16-17 ssg.: per la posizione dello stesso Otto, si cfr. anche Kulturgeschichte des Altertums, Munchen, 1925, pp. 2 sgg.
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vengono proponendo stimolano studiosi di diritto e di scienze sociali; e, alla loro volta, gli storici antichi sono messi di fronte a nuove prospettive. La singolare vitalità della storiografia sul mondo antico di questo arco di tempo tra l’ultimo decennio del diciannovesimo ed il primo quindicennio del ventesimo sta appunto in questa incessante Verflechtung di « scienze umane » e di storia tradizionale.
III. 1 Ma perché, dopo la prima guerra mondiale, nella storiografia sul mondo antico sociologia, antropologia, economia vennero sempre più perdendo terreno rispetto alla storia politica e delle idee? Perché si « dimenticarono » quelle che ora noi chiamiamo « scienze umane », in favore di un sapere storico individualizzante e storico-genetico? Perché venne a cessare questa intensa, e pressoché abituale, collaborazione tra storici e sociologi (e, s’intende, economisti ed antropologi) che nella sostanza sembra caratterizzante gli studi di storia antica tra gli anni ’90 e la prima guerra mondiale — cosi rapidamente che quasi se ne è dimenticata l’esistenza e gli storici recenti hanno dovuto recuperarla per proprio conto, o per scoperta improvvisa o attraverso una non convenzionale indagine sulle vicende della propria disciplina?
Certamente, porsi queste domande significa prospettarsi, ancora una volta, il problema dello storicismo — e dello storicismo idealistico in Italia51 — nell’antichistica tedesca ed italiana del Novecento. Molte cose importanti sono state dette sùll’argomento: si pensi al bilancio tentato da Mazzarino52 « ...in un esame di coscienza storiografico, come sempre acuto, anche se talvolta drammaticamente proiettato nella tensione tra lo « storicismo degli storici »... e in un’ansia di tematica « universale », di tendenze « universali », proprie anche dell’idealismo tedesco, e rinnovantesi in un altro totalismo come « valutazione sociologica, o per lo meno morale » ...(le parole sono di Ettore Lepore)5S; si pensi ai vari, preziosi, saggi di Arnaldo Momigliano, anche recenti, e al suo dibattito con Pietro Rossi sulla « Rivista Storica Italiana »54. Un punto tuttavia non va tra-
51 Per la differenza profonda tra storicismo tedesco e storicismo idealistico crociano, si cfr. la prospettiva in cui sono composti i saggi di C. Antoni in Dallo storicismo alla sociologia, Firenze, 1940 e Lo storicismo, Torino, 1968 2, 178 sgg e partic. pp. 188 sgg. (Si veda ancora, dell’Antoni, Commento a Croce, Venezia 1955). Cfr. anche P. Rossi, Benedetto Croce e lo storicismo assoluto, in Storia e storicismo nella filosofia contemporanea, Milano, 1960, pp. 285-330.
S. Mazzarino, Qu’est-ce-que Vhistoire?, «De Homine», 9-10, 1964, pp. 61-88.
53 E. Lepore, Economia antica antica e storiografia moderna (Appunti per un bilancio di generazioni), « Studi Barbagallo », Napoli, 1970, I, p. 5.
54 Lo storicismo nel pensiero contemporaneo. Discussione, « Rivista storica italiana »
73, 1961, pp. 104-119 (ora in Terzo Contributo, Roma, 1966, pp. 267-284) e P. Rossi, ibid., pp. 120-134; v. anche Historicism revisited, « Meded. Kon. Nederl. Akad. Wetensch. », Afd. Letterkunde, NR, 37, 3, 1974 (ora in Essays in Ancient and Modem Historiography, Wesl. Univ. Press, Middletown, Conn., 1977, pp. 365-373). Le opinioni di Momigliano si colgono anche nei saggi biografici dedicati ai protagonisti della cultura italiana del Novecento: cfr. Secondo Contributo, Roma, 1960; pp. 293317; Quinto Contributo, Roma, 1975, pp. 179-185 (Su G. De Sanctis, cfr. anche
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scurato: che la risposta ai quesiti sopra formulata è al fondo politica; e che essa non può chiudersi all’interno di una valutazione dei metodi e delle specifiche realizzazioni storiografiche dei singoli studiosi di storia antica, ma presuppone una seria valutazione dei processi di ordine politico e sociale all’interno dei quali i fatti di cultura si sono verificati — presuppone in altri termini una seria indagine storica, che, pur privilegiando l’asse dei fenomeni culturali, lo raccordi agli altri assi lungo i quali si svolge il complesso della vita sociale e civile.
L’egemonia dello storicismo in Germania ed in Italia — e non negli altri paesi europei e negli Stati Uniti, per motivi che ormai risultano abbastanza chiari e che sono stati recentemente illustrati55 — è certamente un fatto di grande rilievo nella storia culturale della prima metà di questo secolo. Disegnare le linee anche fondamentalissime della vicenda non sarebbe in questa sede nemmeno pensabile, data la complessità e la vastità della materia. Si può al massimo tentare di avventurarsi in qualche riflessione in merito alle valenze ideologiche di questo storicismo del secolo ventesimo e per enuclearne, correlativamente, certe implicanze politiche. Nel caso della ripresa storicistica in Germania, della Ranke-Renaissance perseguita dagli storici dell’età guglielmina e continuata anche dopo la prima guerra mondiale56, al di là dei problemi di ordine più specificamente teoretico, la più recente indagine storiografica si è mossa a cogliere i presupposti politici della vicenda — si considerino episodi come la successione del Treitschke al von Sybel nella direzione della « Histori-sche Zeitschrift »^, l’unione intorno al Meinecke ed alla rivista degli storici tedeschi sostenitori dell’interpretazione « nazionale » della riunificazione tedesca58, la lotta contro Lamprecht, la controversia sulla Guer-Quinto Contributo, pp. 187-201, su De Sanctis e Rostagni); Terzo Contributo, pp. 821-825 (su Carlo Antoni); ibid., pp. 303-319 (su F. Chabod); Quarto Contributo, Roma, 1969, pp. 95-115 (su B. Croce); si cfr. anche Cent ans après Ranke, «Dio-gène» 7, 1944 ora in Contributo, pp. 367-73; Gli studi italiani di storia greca e romana dal 1895 al 1939, in Cinquanta anni di vita intellettuale italiana. 1896-1946. Scritti in onore di B. Croce I, Napoli, 1950 ora in Contributo, cit., pp. 275-297.
55 Si cfr. soprattutto P. Rossi, Storia e storicismo nella filosofia contemporanea, Milano, 1960 ed il dibattito con Momigliano nella « Rivista storica italiana » 73, 1961, pp. 104-132, cit. alla nota precedente (nonché l’importante Postscriptum, 1970 alla seconda edizione de Lo storicismo tedesco contemporaneo, Torino, 1971, pp. XXV-XL).
56 Si cfr. la monografia già citata di H. - H. Krill, Die Ranke-Renaissance. Max Lenz und Erik Marcks. Ein Beitrag zum historiscb-politischen Denken in Deutscbland 1880-1935, Berlin, 1962; L. Dehio, Ranke e l’imperialismo tedesco, in La Germania e la politica mondiale del XX secolo, trad. it. Milano, 1962, pp. 33-61. Sulla politica degli storici della repubblica di Weimar, si cfr. lo studio generale di H. Schleier, Die burgerliche deutsche Geschichtsschreibung der Weimarer Republik, Berlin, 1975.
57 Oltre a quanto raccontato dal Meinecke nelle Esperienze, cit., pp. 144 sgg., cfr. Th. Schieder, « HZ », 189, 1959, cit., pp. 2 sgg.; su Sybel e Treitschke in particolare, cfr., H. Schleier, Sybel und Treitschke. Antidemokratismus und Militarismus in historiscb-politischen Denken grossbourgeoiser Geschichtsideologen, Berlin, 1965.
58 Si cfr. in generale G. Schmidt, Deutscher Historismus und der Vbergang zur parlamentarischen Demokratie, Untersuchungen zu den politischen Gedanken von Meinecke, Troeltsch, Max Weber, Lubeck-Hamburg, 1964. Sulla posizione politica di Meinecke v. R. A. Pois, Friedrich Meinecke and German Politics in 20th Century,
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ra dei Sette Anni che oppose, in maniera violentissima, Max Lehmann ad Albert Naudé ^ la guerra al positivismo ed al naturalismo in storiografia, in genere tutta l’attività storiografica di Meinecke e degli storici del « Zeitalter der Reizsamkeit » (F. Mehring) ^ l’affermarsi della Geistesge-schichte e delle Geisteswissenschaften. La speculazione storicistica di Troeltsch, drammaticamente intesa a formulare una diagnosi della situazione di crisi della cultura contemporanea, proponeva una restaurazione dei valori minacciati dal relativismo romantico — e politicamente si risolveva in un appoggio alle istanze conservatrici presenti nella Germania guglielmina. Il ceto accademico tedesco (The German Mandarins, per adoperare il titolo di un recente libro di K. Ringer), per la sua struttura e per la sua dinamica interna era particolarmente adatto a recepire le istanze di una visione della storia che si presentava fondamentalmente come il prodotto dello spirito tedesco « che in esso ha compiuto, dopo la riforma, la seconda delle sue imprese di portata universale »61 e che si muoveva pressoché esclusivamente all’interno della tradizione tedesca. Anche senza avventurarsi in analisi teoretiche specifiche, appare evidentemente che un orientamento conservatore dev’essere considerato come un carattere generale dello storicismo tedesco dell’epoca62.
Nazionalismo e antisocialismo connotano appunto la storiografia accademica, negli anni che abbiamo indicato. La sconfitta e le vicende convulse del dopo guerra addirittura rafforzarono, ha fatto osservare Iggers tó, l’atteggiamento sostanzialmente conservatore degli storici tedeschi. In Italia non fu molto diverso — anzi, tutto iniziò abbastanza precocemente, con l’emarginazione accademica di Ciccotti, durante la repressione antiope-raia ed antisocialista del ’98 (« Il colpo di Stato della borghesia »: U. Le-vra) 64 e continuò con le traversie accademiche di Barbagallo (e di Porzio), con il rifiuto della cattedra a Ferrerò — alleati in quest’ultima impresa
Berkeley, 1972, e I. Geiss, Kritischer Rùckblick auf Friedrich Meinecke, in Studien ùber Gescichte und Geschichtswissenschaft, Frankfurt, 1972, pp. 89-107.
59 Max Lehmann (1845-1929), com’è noto, non esitò ad attribuire, nelle sue ricerche sull’origine della guerra dei Sette Anni (1894), la responsabilità della guerra esclusivamente a Federico di Prussia, attaccando con estrema durezza Albert Naudé « come rappresentante di un menzognero prussianesimo » (F. Meinecke, Esperienze, cit., p. 123; significativo il racconto dell’episodio da parte di Meinecke, che prende le parti dell’amico, giudicando che Lehmann « credette di dover dimostrare U proprio distacco dalla convenzione storica prussiana, radicale com’era in ogni cosa, facendo una vittima... »; e la conclusione: « Come uomini e come studiosi, abbiamo preso le parti di Naudé»). Si cfr. tuttavia l’autobiografia di Lehmann nel I volume della Geschichtswissenschaft der Gegenwart in Selbstdarstellungen, Leipzig, 1925.
60 F. Mehring, Das Zeitalter der Reizsamkeit «Die Neue Zeit» XXII/2, 1903/4, pp. 353-356.
61 F. Meinecke, Le origini dello storicismo, cit., p. X.
62 Cfr. da ultimo P. Rossi, The Ideological Valences of Twentieth-Century Histori-cism, in Essays on Historicism, Beiheft 14 di « History & Theory » 14, 1975, pp. 15-29.
63 G. G. Iggers, New Directions, cit., p. 85.
64 Si cfr. il saggio di U. Levra, « Rivista di storia contemporanea » 4, 1975, pp. 11-66 e, dello stesso, il volume II colpo di Stato della borghesia. La crisi politica di fine secolo in Italia, 1896-1900, Milano, 1975 (e L. Villari, « Studi Storici », 8, 1967,
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Croce e G. De Sanctis65. La lotta di Croce contro il positivismo era anche la lotta contro il background del pensiero socialista; la battaglia di De Sanctis in Per la scienza dell’antichità (1907) era anche contro la sociologia ed il marxismo, rappresentati rispettivamente da Bonfante e da Cic-cotti, in favore di una storiografia erudita, attenta alla individualità dei fatti storici, e intesa a riconoscere la presenza di idee etico-politiche quali fattori determinanti della dinamica storica. Per lo storicismo la lotta contro il positivismo e contro il marxismo fu assai facile in Italia, che nel contesto sopra indicato era oggettivamente Panello debole della catena. Dall’idealista Croce e dal cattolico-spiritualista (e nazionalista) De Sanctis questa lotta fu condotta con grande abilità, nei rispettivi campi. Se indubbiamente contribuirono le debolezze oggettive del marxismo teorico italiano e le incertezze strategiche (e tattiche) del movimento socialista, parte non meno rilevante ebbero le alleanze (tattiche) che certe forze culturali seppero stringere tra di loro. Non si può non essere d’accordo con Gastone Manacorda — e con Nicola Tranfaglia — quando si insiste sul fatto che per comprendere la storia italiana dell’età fascista, bisogna sempre tenere presenti i fenomeni dell’età prefascista — e ciò appare tanto più vero nel campo della storia della cultura66. Emarginate certe forze intellettuali, specie nelle discipline storiche, ed accettata una certa visione del mondo storico, la borghesia italiana, e le borghesie europee, si avviarono tranquille verso l’appuntamento della guerra e delle lotte sociali del dopoguerra — e nelle loro salmerie ideologiche c’era un miscuglio singolare di nazionalismo, di spiritualismo, di irrazionalismo vita-listico, e, non ultimo, di storicismo più o meno consapevolmente conservatore.
III. 2 Certamente, è ancora difficile valutare appieno le conseguenze di queste vicende, in cui fatti culturali si intrecciano inestricabilmente con tragici eventi collettivi, come la prima guerra mondiale, e con processi di « lunga durata » di ordine economico e sociale, come la fine del ciclo economico che condusse alla crisi del ’29 ed i conseguenti complessi processi di disgre-
pp. 535 sgg. nonché F. De Felice, ibid., 10, 1969, pp. 114-90, sull’età giolittiana in generale).
65 La « demolizione » del primo volume di Grandezza e decadenza, da parte di G. De Sanctis in « Bollettino di filologia classica » 8, 1901-1902, p. 279; il discorso di Croce in Senato contro Ferrerò ora in Pagine Sparse, I, pp. 427-34 — cfr. anche Conversazioni critiche 13, Bari, 1942, pp. 180-189; secondo Franchini, Note biografiche di B. Croce, Quad. della Radio XXVII, Torino, 1953, pp. 30-31, in tarda età Croce si compiaceva di ricordare che aveva debuttato in Senato parlando contro il progetto di creare una cattedra di filosofia della storia per Ferrerò. Sulla poco edificante vicenda cfr. P. Treves, Ferrerò dans son temps et le nótre, in Aa. Vv., Guglielmo Ferrerò Histoire et Politique au XX siede, « Cah. V. Pareto », 9, 1966, pp. 19-43 e part. 29 sgg. e 39-40. (e L'idea di Roma e la cultura italiana del secolo XIX, pp. 269 sgg.) e naturalmente, C. Barbagallo, L'opera storica di G. Ferrerò e i suoi critici, Milano, 1911.
66 Cfr. ad es. la Premessa di N. Tranfaglia, Dallo Stato liberale al regime fascista. Problemi e ricerche, Milano, 1973; il saggio introduttivo di G. Manacorda, Democrazia e socialismo nella storia d'Italia, Roma, 1975.
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gazione e di riaggregazione sociale che si risolsero politicamente nei regimi reazionari di massa, nel nazifascismo. Nella storia antica, il clima culturale appare profondamente mutato, e inadatto a recepire pur importanti opere come quelle di Johannes Hasebroek (Staat und Handel im alien Griechenland, 1928 e Griechische Wirtschafts-und Gesellschaftsgeschi-chte 1931) che, sostanzialmente ispirate dalle concezioni weberiane, in altro momento si sarebbero inserite, con autorevolezza e fecondità di risultati, nel dibattito sull’economia antica aperto da Bùcher e Meyer. La stessa Social and Economie History of thè Roman Empire (1926) di Rostovtzeff fu vista nei suoi aspetti puntuali di storia economica e sociale dell’impero — e dava luogo ad importanti discussioni, come quella di De Sanctis, nella « Rivista di filologia e istruzione classica »67, sui problemi della decadenza, ma non sollecitava indagini sulla struttura sociale del mondo romano. Non c’è dubbio che le nuove situazioni politico-culturali influiscono sull’attività di studiosi che si erano dimostrati, in anni precedenti, particolarmente sensibili ai problemi di ordine economico e socio-antropologico posti dalla struttura peculiare del mondo antico: ora invece Ed. Meyer affronta il problema della fine della repubblica romana e della transizione al principato (Caesars Monarchie und das Prinzipat des Pompeius, 1918), Beloch si accosta, con vedute assolutamente originali, alla storia della repubblica romana (Romische Geschichte, 1926); G. De Sanctis pubblica il famoso IV volume della Storia dei Romani, 1924. In certo senso, queste opere possono indicare dove la storia antica stava andando: verso un rinnovato interesse per la storia dei conflitti politici e del contrasto principiale tra potere costituzionale e potere conquistato con la forza, per le conseguenze deH’imperialismo (di Roma ed anche della Grecia di Alessandro), per i conflitti sociali visti nel loro svolgimento puntuale — storicisticamente, appunto, piuttosto che sociologicamente nella caratterizzazione delle categorie in contrasto.
Come ha per primo rilevato Stuart Hughes, gli anni ’30 costituiscono una svolta nella storia culturale europea 68 — e non solo ovviamente nella storia culturale. Nel ’31 muore l’ultimo dei grandi classicisti della Germania imperiale, Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff; ma nel ’29 sono fondate da Marc Bloch e Lucien Febvre le « Annales ». Nello spazio di due anni si conclude un’epoca della storiografia — quella degli eredi della grande tradizione storicistica dell’Università di Berlino, della grande Università di W. von Humboldt — e si apre l’epoca degli eredi di Fustel de Coulanges e di
67 G. De Sanctis, « Rivista di filologia e di istruzione classica », 54, 1926, pp. 537-544.
68 H. Stuart Hughes, Coscienza e società. Storia delle idee in Europa dal 1890 al 1930, trad. it., Torino, 1967, pp. 21 sgg., pp. 381 sgg.; si cfr. anche dello stesso Stuart Hughes, Da sponda a sponda. L’emigrazione degli intellettuali europei e lo studio della società contemporanea, trad. it. Bologna, 1975, e The Obstructed Path. Frencb Social thought in thè Years of Desperation 1930-1960, New York-Evanston-London, 1966. Per la situazione italiana si cfr. il fascicolo a cura di F. Marenco in « Quaderni Storici » su Letteratura, ideologia, società negli anni trenta (« Quaderni Storici » 34, 1977).
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Durkheim, di Vidal de la Blache e di H. Berr69 — l’epoca insomma delle « Sciences de l’homme ». Pur in un suo malsano rigoglio, la crisi dello storicismo è avvertita: K. Heussi, nel 32 appunto, scrive della Krisis des Hi-storismus™. Nell’interpretazione di un ambiguo fenomeno come il c.d. Terzo Umanesimo di W. Jaeger e compagni71, va anche tenuto conto di questa contraddittoria situazione della storiografia tedesca. Dall’indagine sui conflitti sociali, rilevante sin verso il ’28, si trapassa con crescente fervore alle ideologie politiche ed ai fenomeni letterari, archeologici e religiosi correlativi. Significativamente la storia della repubblica romana è analizzata non più tanto nei conflitti sociali, quanto piuttosto nelle idee e nelle virtutes del blocco sociale egemone — i Wertbegriffe analizzati da Richard Heinze in vari saggi poi confluiti nel celebre Vom Geist des Romer-tums, 1938 72. Nell’epoca di Roma rinascente sui Sette Colli e negli anni del Terzo Reich, è comprensibile che prevalesse lo studio della storia romana: J. Carcopino, A. Alfóldi, F. Altheim, R. Heinze appaiono le personalità dominanti di una storiografia che trae non disprezzabili spunti d’ispirazione dall’atmosfera politica e culturale del tempo.
Il fascismo fece, senza sostanziali risultati, sforzi ingenti per annettersi sociologi come Pareto, Mosca e l’ex-socialista Roberto Michels. Questi studiosi liberali delle élites e della scienza politica si riteneva potessero fornire giustificazioni teoriche alla pura teoria della sopraffazione sociale e della conservazione dei privilegi che stava al fondo della teoria politica fascista — anche di quello che oiuttosto stranamente Renzo De Felice ha voluto denominare movimento75. Recentemente, nel quadro di una discussione sul « classicismo nell’età dell’imperialismo », si è tentato di collegare questi studiosi alla fioritura delle indagini prosopografiche nell’ambito della storia romana, nel periodo tra le due guerre74 — indagini che, dal punto di vista dei rapporti tra storia e sociologia, sembrerebbero in certo qual modo porsi come complementari alle indagini di storia culturale e ideologica. Ci sembra però che il problema debba essere considerato in una prospettiva più ampia ed articolata. Prosopografia in realtà,
69 Cfr. Da ultimo A. Torre in AUegra-Torre, La nascita della storia sociale in Francia, cit., pp. 185 sgg.
70 K. Heussi, Die Krisis des Historismus, Tiibingen, 1932.
71 Sì cfr. oltre alle osservazioni di A. Momigliano, « Rivista storica italiana » 84, 1972, pp. 746-755 ora in « Atti della Scuola Normale Superiore di Pisa » 3, 1973, pp. 105-117 (su Wilamowitz ed epigoni) e « Rivista storica italiana » 87, 1975, pp. 311-318 (su K. Reinhardt, e con bibliogr. relativa all’argomento), M. Vegetti, D. Lanza, F. Franco-Repellini, P. Innocenti, « Il Pensiero », 17, 1972, pp. 7-149 (su W. Jaeger ed il Terzo Umanesimo) A. La Penna, « Quaderni di Storia », 3, 1976, pp. 1-12 (su Le vie dell’untici assicismo). Cfr. anche A. Perutelli, ibid., 6, 1977, pp. 51 sgg. (cfr. nota seguente).
72 Si cfr. la recentissima analisi di A. Perutelli, Richard Heinze e i Wertbegriffe, « Quaderni di Storia », 6, 1977, pp. 51-66.
73 R. De Felice, Intervista sul fascismo a cura di M. A. Leeden, Roma-Bari, 1975, pp. 27 sgg.; per le polemiche suscitate dal libretto di De Felice, cfr. Aa.Vv., La polemica sul fascismo, Firenze, 1976.
74 L. Canfora, Storia romana e « teoria delle élites », « Quaderni di Storia », 2, 1975,
pp. 159-164.
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significando un’analisi dei dati biografici relativi a certe categorie, appare termine troppo generico e restrittivo per indicare una impostazione metodologica della ricerca ed una visione storica generale; essa è in sostanza una tecnica: e, come ha rilevato giustamente C. Nicolet75, può servire ad indicare ricerche con carattere e scopi differentissimi. In ogni caso, essa non sembra avere molto a che fare con il fascismo e neppure, almeno alle origini, con gli studiosi borghesi delle élites. In Die Nobilitai der romischen Republik — libro fondamentale per la comprensione della struttura sociale della repubblica romana, ma scritto nel ’12 e che quindi si trova ai limiti estremi di quel periodo delVAuseinan-dersetzung tra storici e sociologi — Matthias Gelzer dialogava soprattutto con Mommsen e, caratteristicamente, con Madvig; per quel che mi risulta, gli studiosi di teoria delle élites non sono mai ricordati. Anche per l’ebreo F. Miinzer, in Romische Adelsparteien und Adelsfamilien (1920), la prosopografia si traduceva nella considerazione della classe dirigente romana come complesso di grandi famiglie interessate al potere. Nella Roman Revolution (1939) di Ronald Syme — che con ogni probabilità aveva anche dinanzi l’esempio di Sir Lewis Namier — l’intento demistificatorio ed antideologico, sommato ad un virtuosismo della tecnica, era assai evidente e portava ad una certa riduzione della lotta politica al puro desiderio di potere e di ricchezza. In tal senso la ricerca prosopografica di Syme si poneva come implicitamente antifascista rispetto alla storiografia dei Carcopino, degli Altheim e degli Alfòldi, anche se sfociava in un pessimismo scettico e rassegnato.
La Roman Revolution non è né un’opera politica, né di sociologia, né ovviamente di prosopografia: è un’opera assai più complessa, che non mi riesce facile valutare. Quel che sorprende, nella fioritura di ricerche pro-sopografiche dell’epoca, è che essa, invece di indirizzare a problemi sociologici, nelle circostanze in cui si presentò agli studiosi di storia antica portò piuttosto all’indifferenza per la ricerca sociologica. La ricerca prosopografica poteva potenzialmente riproporre, come nell’eccezionale opera postuma di A. von Premerstein, Vom Wesen und Werden des Principats (1937), i problemi della classe dirigente romana; ma in concreto si risolveva nella scoperta di rapporti gentilizi, di intrighi, di intrighi nobiliari, di intrallazzi domestici — e voleva spesso risolvere questi rapporti, intrighi, intrallazzi in contrasti di politica e di partiti. Come ha scritto Momigliano a proposito di Syme, la rivoluzione romana « non è l’opera di personaggi su cui si compilano articoli per la Pauly-Wissowa, ma di oscure masse che portano il nome di legioni »76 — e soprattutto, non si riesce a capire una società quando la si esamina soltanto negli aspetti sovrastrut-turali e se ne trascura la struttura economica di base, le fonti di produ-
75 C. Nicolet, Prosopographie et bistoire sociale: Rome et l’Italie à Vépoque républi-caine, « Annales ESC », 25, 1970, pp. 1209-1228 (cfr. anche A. Chastagnol, ibid., pp. 1229-1235).
76 A. Momigliano, « Journal of Roman Studies », 30, 1940, p. 78.
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zione della vita materiale e la regolamentazione giuridica dei rapporti sociali.
IV. 1 II secondo dopoguerra, come ha assistito ai processi di decolonizzazione dei paesi del Terzo Mondo, cosi ha anche assistito ad un processo di decolonizzazione nella storia antica77 — di decolonizzazione dalla storiografia tedesca, dallo storicismo che per vari versi sembra aver praticamente esaurito la sua funzione. Appare evidente la perdita di egemonia da parte della storiografia tedesca, anche se meno evidente e meno studiata risulta la crisi da essa attraversata, che solo ora sembra aver trovato un recupero ed una sua via peculiare78 — assai diverso, e molto più accidentato, anche in campo antichistico, il complesso travaglio della storiografia italiana, in cui hanno operato un Fraccaro ed un Tibiletti ed in cui lavorano con enorme prestigio un Momigliano ed un Mazzarino. Di converso si è visto l’emergere di altre storiografie europee relativamente estranee alle esperienze dello storicismo, come quella americana ed inglese — il nome isolato di Colling-wood non ha molto significato, a questo proposito — e della storiografia francese, saldamente attestata sulle roccaforti di riviste come le « Annales » e di istituzioni come l’Ecole Pratique des Hautes Etudes79. Più in generale
V Cfr. A. Momigliano, Prospettiva 1967 della Storia Greca, « Rivista storica italiana » 80, 1968, pp. 5-18 ora in Quarto Contributo, cit., pp. 43-58 (e poi in Introduzione bibliografica alla storia greca fino a Socrate, Firenze, 1975, pp. 165-186) con le osservazioni di L. Sichirollo, Dieci anni dopo la « Prospettiva 1967 » di Arnaldo Momigliano, « Quaderni di Storia », 6, 1977, pp. 219-236. Per la storiografia in generale, cfr. Barraclough, Atlante della storia 1945-1975, trad. it. Roma-Bari, 1977, pp. 5 sgg; pp. 228 sgg. Si cfr. anche, da ultimo, A. Momigliano, Linee per una valutazione della storiografia del quindicennio 1961-1975, cit., pp. 596 sgg.
78 Si pensi al lavoro storiografico di R. Koselleck, di D. Groh, H.-U. Wehler, J. Kocka — con la loro ripresa della tematica di storici « weimariani » come E. Kehr e Hans Rosenberg — da un canto, ed a quello piu tradizionale ma non meno significativo, di Th. Schieder e W. Conze dall’altro. Nell’ambito della storia antica la personalità piu interessante ci sembra Chr. Meier, sia per la concreta ricerca storica (cfr. Res Publica amissa, Wiesbaden, 1966) sia per la sua analisi teorica (cfr. Entstehung des Begriffs « Demokratie ». Vier Prolegomena zu einer historischen Theorie, Frankfurt, 1970; Kontinuitat - Discontinuitdt in den Geisteswissenschaften, Darmstadt, 1973, in collaborazione con H. Triimpy; Die Entstehung der Historie in R. Koselleck - W. - D. Stempel, Geschichte - Ereignis und Erzàhlung, Miinchen, 1973, pp. 251-305 e pp. 571-585). Sulla storiografia tedesca recente, in generale si cfr. G. G. Iggers, New Directions, cit., 81-122 ed il recentissimo bilancio di W. Conze, Die deut sche Geschichtswissenschaft seit 1945. Bedingungen und Ergebnisse, « HZ », 225, 1977, pp. 1-28. Si cfr. anche le opere indicate da Iggers, New Directions, cit., p. 200, n. 89.
79 È indicativo dell’egemonia conquistata dalla storiografia francese delle « Annales » l’interesse per la collocazione storica di questa « scuola » e per una sua valutazione. Oltre alle opere citate nelle note precedenti, come quella di AUegra-Torre, si cfr. M. Aymard, The Annales and French Historiography, « Journ. Europ. Econ. Hist. », I, 1972, pp. 491-511; G. G. Iggers, Die «Annales» und ihre Kritiker, Probleme modernen franzosischer Sozialgeschichte, « HZ », 419, 1974, pp. 578-608; il saggio introduttivo di M. Del Treppo, La libertà della memoria a M. Cedronio - F. Diaz - C. Russo, Storiografia francese di ieri e di oggi, Napoli, 1977, pp. VII-LI - che spero di discutere in altra sede —, il saggio della Cedronio, Profilo delle « Annales », attraverso
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il dissolversi di un’egemonia ha fatto sentire piu viva l’esigenza di richiamarsi, come spesso accade, ai grandi modelli, ai padri fondatori, diremmo. Un fatto significativo — ma abbastanza comprensibile — è che ad ispirare le tendenze più vive ed originali della storiografia contemporanea — anche sul mondo antico — risultano appunto i tre grandi numi della scienza sociale moderna, vale a dire Marx, Weber, Durkheim — Freud, per vari motivi, non sembra troppo presente se non in alcune recenti ricerche di Psychohistory80. Dal complesso intrecciarsi delle ispirazioni proposte da queste grandi personalità sorge una buona parte della più originale ricerca sul mondo antico; e dall’accento posto maggiormente su uno dei componenti della triade si può spesso distinguere tra le principali correnti interpretative — ciò dipende anche, ovviamente, dal campo specifico di ricerca. Cosi gli storici dell’economia metteranno l’accento su Marx — o su Weber —, secondo che si tratti di studiosi di più stretta osservanza marxista o di più decisa ispirazione borghese; i sociologi, almeno nella storiografia antichistica, insisteranno più su Weber;, l’influsso di Durkheim attraverso Gernet — ma anche attraverso Mauss, Halbwachs, I. Meyerson — è più sensibile di quanto appaia a prima vista sulla scuola francese di J.-P. Vernant81. In linea generale, tuttavia, il pensiero di Marx sembra costituire il reagente fondamentale sul quale verificare le esperienze concrete; ciò risulta evidente in Francia, ma ancor più in Italia, dove, per le vicende politico-culturali a tutti note, gli incontri del marxismo con altre
le pagine delle «Annales», ibid., pp. 3-72 (che già nel titolo indica i limiti dell’approccio, con la sua prospettiva « interna »), il saggio della Albertina, « Critica Marxista », 1974, pp. 117-131, e la monografia di T. Stoianovich, French Historical Method: Tbe Annales Paradigm, Ithaca 1976 (trad. it., La scuola storica francese. Il paradigma delle «Annales», Milano, 1978).
80 Su questo tema, oltre agli studi pionieri di E. H. Erikson, Young Man Luther. A Study in Psychoanalysis and History, New York, 1968 (trad. it. Il giovane Lutero, Roma, 1967) e Id., Gandhi’s truth, or thè Origins of Militant Nonviolence, New York, 1969 (trad. it., La verità di Gandhi. Sulle origini della nonviolenza militante, Milano, 1972), si cfr. B. Mazlish (ed.) Psychoanalysis and History, Englewood Cliffs, 1963; Id., Group Psychology and Problems of Contemporary History, « Journal of Contem-porary History» 3, 1968, pp. 163-177; Id., What is Psycho-History, «Trans. Roy. Hist. soc.», Ser. V, 21, 1971, pp. 79-99; i lavori di A. Besan^on. ora tradotti in Storia e psicoanalisi, Napoli, 1975; il saggio teorico di S. Kakar, The Logic of Psychohistory, « Journal of Interdisciplinary History » I, 1970, pp. 187-194; i lavori di R. J. Lifton (specialmente History and Human Survival, New York, 1969); gli articoli apparsi in vari numeri della rivista « History & Theory » (articoli di C. Strout, R. Binion, P. Pomper, G. Inzenberg); la raccolta di saggi edita da B. B. Wolman, The Psychoanalytic Interpretation of History, New York, 1971. Si cfr. anche H.U. Wehler, Zum Verhàltnis von Geschichtswissenschaft und Psychoanalyse, « HZ », 208, 1969, pp. 529-54 (e la raccolta da lui curata Geschichte und Psychoanalyse, Kóln, 1971) per le reazioni della storiografia tedesca; informa sui termini del dibattito la rassegna recente di T. Cancrini-D. Frezza, Psicoanalisi e storia: elementi per un dibattito « Quaderni storici » 38, 1978, pp. 710-731. Dure critiche in J. Barzun, Clio and thè Doctors, Chicago, 1973 e in A. Gerschenkron, Continuity in History, Cambridge Mass, 1968, trad. it., La continuità storica, Torino, 1976, pp. 393-399.
81 Si cfr. soprattutto la Prefazione di B. Bravo, alla traduzione italiana di Mito e pensiero presso i Greci. Studi di psicologia storica, Torino 1970, partic. alle pp. IX, XIII.
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correnti di pensiero od altre tendenze metodologiche (tipo strutturalismo, semiologia, etc.) sono stati meno frequenti ed in ogni caso più sorvegliati che altrove82; ed il marxismo, anche per la presenza del più forte partito della classe operaia nell’area occidentale, ha assunto un suo ruolo culturale assolutamente specifico.
Ma forse è meglio riferirci a qualche esempio specifico — e penso che mi si comprenderà se preferirò accennare a problemi, ed a ricerche che propongono problemi, piuttosto che elencare persone e dare eventuali benedizioni o scomuniche, o se tralascerò ricerche di grande valore intrinseco, ma che si muovono nel quadro di quello che Kuhn definirebbe scienza « normale ».
Ed in linea preliminare: non c’è dubbio che l’adozione di strumenti e di metodi interpretativi dell’antropologia risulta essere la novità più significativa negli studi recenti sul mondo antico, specie per quanto riguarda la grecità arcaica e classica83 — ma anche per il mondo italico e romano dello stesso periodo. Nel mondo anglosassone, « Anthropology and thè Classics » è titolo che ricorre abbastanza spesso in produzioni ed in conferenze accademiche, dalla già ricordata Introduzione cambridgeana di Marett (1908), via via al noto saggio di Clyde Kluckhohn, a Leach, a Finley, alla Humphreys84. Resta tuttavia difficile definire i rapporti tra i due termini, tanto più in quanto da parte degli studiosi dei due campi di studio c’è sempre una tendenza invincibile alle egemonizzazioni ed alle annessioni — come ad es. da Radcliffe Brown85 e, più recentemente, da G. Balan-dier, nel suo intervento86 al Colloque della FIAEC su « Sciences modernes et humanités classiques », svoltosi a Madrid nell’ottobre del ’74. In realtà, anche accettando, di contro alle prospettive « totali » di un Balandier,
82 Come ad esempio in Francia, in cui il problema è stato seriamente sentito: si pensi all’opera di Althusser ed allievi, con tutte le implicazioni di ordine storico che essa comporta, al lavoro del gruppo di « Tel Quel » di Julia Kristeva, al marxismo strutturalista di Godelier in campo antropologico, etc. (Della vastissima letteratura, siano qui ricordati, exempli gratta: H. Lefebvre, L/ideologie structuraliste, Paris 1975; J.M. Auzias, ed altri. Structuralisme et marxisme, Paris, 1970; M. Godelier -L. Sève, Marxismo e strutturalismo, trad. it., Torino 1970; R. Boudon, Strutturalismo e scienze umane, trad. it., Torino 1970).
83 Oltre ai saggi fondamentali di L. Gernet, ora raccolti in Anthropologie de la Grèce antique, Paris 1968, ed ai lavori che discuteremo subito appresso, di Vernant e degli studiosi a lui legati, si cfr. da ultimo gli importanti saggi della studiosa forse più teoricamente consapevole del problema, Sally C. Humphreys, nella già menzionata raccolta Anthropology and thè Greeks, Oxford, 1977.
84 C. Kluckhohn, Anthropology and thè Classics, Providence, 1961; E. R. Leach, Rethinking Anthropology, London 1966, (trad. it. Antropologia strutturale, Milano, 1971); M. I. Finley, Anthropology and thè Classics, in The Use & Abuse of History, London, 1975, pp. 102-119 (e pp. 230-233); S.C. Humphreys. Anthropology and thè Classics, in Anthropology and thè Greeks, cit., pp. 17-30.
85 Nella Introduction a African Politicai Systems, ed. M. Fortes and E. E. Evans -Pritchard, London, 1940; cfr. anche S. Tax, nel Foreword a T. Devel, The Human Factor in thè Behavior of Peoples, Springfield 1971, p. IX (e anche ITntroduction di A. Kroeber a Anthropology Today, Chicago, 1953).
86 G. Balandier, L’anthropologie sociale et les Sciences de Vantiquité: questions de méthode, « Bull. Ass. G. Bude », 1975, pp. 213-219.
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una definizione « minimale » dell’antropologia come quella proposta da E. R. Leach (« The study of thè behaviour of small groups operating within a defined cultural matrix »: in Man and Culture, ed. R. Firth, London 1957, p. 136), i rapporti tra le due discipline — che in realtà sono due sistemi teorici strutturati — restano sempre complessi e comportano serie difficoltà sul piano sia della teoria che della pratica.
In tale ordine di idee, il giudizio di M. I. Finley che « ...thè dialogue [tra Classics e Anthropology] should become intensive for Gernet’s pré-droif periods of thè ancient world... » e che perciò « ...thè classicist has most to learn from anthropology in thè fields of kinship and of myth and ritual... »87 oltreché limitativo, sembra essere un consuntivo, piuttosto che un programma dei compiti che tale dialogo propone alle due parti. Certamente, sugli argomenti sopra indicati e con riferimento specifico alla grecità arcaica (e nel momento del passaggio alla polis) si è svolto il lavoro degli studiosi recenti di antropologia classica, sono state composte le opere più note e sono state compiute, si può anche ammettere, le ricerche più interessanti e forse più metodologicamente rigorose (ma, come vedremo, non ci sono state solo queste, e, soprattutto, non debbono esserci solo queste). Si è parlato, a proposito, di un « cours nouveau » negli studi di greco (Darmon) protagonisti di tale « nuovo corso » sono studiosi francesi come J.-P. Vernant, P. Vidal-Naquet, M. Detienne89 — tutti allievi di Gernet ed in varia misura uniti da rapporti di collaborazione e dalla adesione a presupposti culturali e metodologici comuni — e P. Leveque ed il suo « cercle » di Besangon, in questo momento particolarmente interessato ai problemi posti dal marxismo per la compren-
87 M. I. Finley, The Use & Abuse of History, cit., p. 117.
88 J. P. Darmon, Un cours nouveau dans les études grecques, « Critique », 274, 1970, pp. 265-286.
89 Per una prima valutazione del lavoro di J.-P. Vernant e collaboratori, specie per quanto concerne Panatisi del mito e del rapporto mito-società, oltre al sopra citato Darmon, si vedano una serie di interventi nella rivista « Critique » (di Tou-beau, Ramnoux, Loraux, Detienne, Frontisi-Ducroux). Per quanto concerne la relazione tra politica ed economia nella polis arcaica, cfr. D. Lanza - M. Vegetti, L’ideologia della città, «Quaderni di Storia», 2, 1975, pp. 1-37; per la valutazione degli aspetti economici e sociologici, importanti le valutazioni di M. L. Finley nel Rapport alla Second Intern. Conf. of Econ. History, Aix en Provence, 1962, I Paris-Le Haye 1965, pp. 11-35 (importante anche il Rapport di Ed. Will, ibid. pp. 41-96) e quelle di M. Austin, nei capitoli introduttivi a M. Austin - P. Vidal - Naquet, Economies et Sociétés en Grece ancienne, 1972 (nonché le importanti osservazioni di S. C. Humphreys, Economy and Society in Classical Athens, « Atti Scuola Normale Superiore di Pisa» S. 11, 39, 1970, 6 sgg (ora in Anthropology and thè Greeks, cit., pp. 136-158) e le posizioni di M. I. Finley, Aristotle and Economie Analysis, « Past & Present», 47, 1970, pp. 3-25). Acutamente critico nei confronti del discorso di Vernant V. Di Benedetto, La tragedia greca di Jean-Pierre Vernant, « Belfagor », 32, 1977, pp. 462-468; e F. Ferrari, Prometeo, Esiodo e la «lecture du mythe » di Jean-Pierre Vernant, « Quaderni di Storia », 7, 1977, 137-145. Per una valutazione generale, oltre F. Calabi, Jean-Pierre Vernant e il pensiero antico, « Quaderni di Storia » 7, 1977, pp. 97-136, cfr. M. Detienne, « Archives de Sociologie des Religions », 21, 1966, pp. 125-134.
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sione delle società antiche90 — vanno ricordati, in questo contesto, i lavori di M. Clavel Leveque, di P. Briant, di J. Annequin, di F. Favory, di D. Roussel e di altri. In posizione particolare sta il « mitologo » e studioso della cultura e filosofia greca arcaica G. S. Kirk91. Su una problematica affine, ma legati a problemi di ordine più specificamente culturali e letterario si muovono in Italia B. Gentili ed i suoi collaboratori (soprattutto G. Cerri e C. Calarne)72.
Si possono cominciare adesso a definire, con una certa approssimazione, le linee teoriche fondamentali lungo le quali si muove l’analisi storiografica di questi studiosi. È evidente che ci si trova in terreni culturali assai complessi, specie per i più anziani e i più intellettualmente avventurosi. Per quanto concerne gli studiosi francesi di quella che comincia a denominarsi, con qualche semplificazione, « École de Paris », alla base sta Durkheim, e più davvicino Gernet93 — insieme, per Vernant, alla « psicologia storica » di Ignace Meyerson94 —; ma ancora, e soprattutto per i più giovani, M. Mauss, Granet, Lévi-Strauss per tutto quello di provocatorio che c’è nel suo pensiero, una tecnica raffinata di explicafions des textes (ereditata dai grandi linguisti francesi, da Meillet a Benveniste, e più direttamente da Gernet) e infine, un marxismo critico come reagente. In Leveque ed in Vidal-Naquet la maggiore sensibilità ai fatti di ordine specificamente sociale ed economico rendono più interessanti ed utilizzabili certe problematiche delle « Annales » selettivamente appoggiate ad acute analisi marxiste — uno degli assunti di base essendo che non solamente le tecniche materiali dell’uomo si evolvono, ma anche le sue strutture mentali95.
90 II lavoro svolto dal gruppo di Besan^on si può trovare per la massima parte nelle pubblicazioni edite dal Centro de recherches d’histoire ancienne dell’Università, nei vari Colloques sur Vesclavage e nei tre volumi finora pubblicati dei «Dialogues d’histoire ancienne ».
91 G. S. Kirk, Mytb. Its Meaning and Functions in Ancient and Other Cultures Sather Class. Lectures XL, California Univ. Press, 1970, con la recensione di A. Momigliano, « Rivista storica italiana » 83, 1971, pp. 450-453 e con la importante replica del Kirk, I limiti della ricerca nella mitologia greca, ivi, 84, 1972, pp. 565-583.
92 Si cfr. la Introduzione di B. Gentili a E. A. Havelock, Cultura orale e civiltà della scrittura. Da Omero a Platone, trad. it., Roma-Bari, 1973, pp. V-XI; « Quaderni Urbinati », 8, 1969, pp. 7-92; Lirica greca arcaica e tardo-arcaica, in Introduzione allo studio della cultura classica, Milano, 1972; B. Gentili - G. Cerri, Le teorie del discorso storico nel pensiero greco e la storiografia romana arcaica, Roma, Ediz. dell’Ateneo, 1975; Il mito greco. Atti del Convegno internazionale, Urbino 7-12 maggio 1973, a cura di B. Gentili e G. Paione, Roma, 1977. .
93 Si cfr. la già citata Préface di Vernant a L. Gernet, Anthropologie de la Grèce antique, Paris, 1968; si v. anche, di Vernant, La tragedie grecque selon Louis Gernet, in Hommage a Louis Gernet, Paris, 1966, pp. 31-35.
94 Si cfr. le pagine introduttive di Vernant a Mito e pensiero presso i Greci, cit., pp. 3 sgg. (Si cfr. anche di Vernant, Histoire et psychologie (XXV Semaine de Synthèse), « Revue de Synthèse», S. Ili, 37-39, 1965, pp. 85-94). L’opera scientifica di Ignace Meyerson, direttore del « Journal de Psychologie », direttore del Centre de recbercbes de psychologie comparative, annesso alla VI Sezione dell’Ecole Pratique des Hautes Etudes non sembra abbia avuto molta risonanza in Italia: neppure la sua opera prin-
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Come si è detto, è nell’interpretazione della grecità arcaica che questi studiosi hanno portato contributi particolarmente interessanti. Non è certamente qui il caso di ricordarli, perché ritengo che la maggior parte di essi siano a tutti noti. Tuttavia, va in ogni caso rilevato che caratteristica precipua di questo nuovo approccio antropologico è, diversamente dai predecessori quali ad es. uno Snell od un Hermann Frànkel, l’insistenza sui rapporti tra produzione culturale e strutture socioeconomiche di base — e tutto ciò, non in maniera meccanica, bensì con un senso rigoroso della specificità delle esperienze spirituali vissute dai Greci dell’età arcaica (il « tornare ai Greci! » di Vernant va visto in questa prospettiva). In tal senso, il quadro generale che questi studiosi, pur nella diversità di accenti e di sfumature, danno del processo formativo della civiltà greca, appare esemplare della conseguita fusione di ricerca strutturale e di analisi sovrastrutturale. Secondo questo quadro, nelle comunità greche, ad un certo momento, si sarebbe sviluppata una razionalità con certi « quadri » intellettuali che i filosofi greci chiameranno categorie. Si esce cioè dallo stadio mitico, vale a dire dalla spiegazione mediante un racconto {mythos} di tutti i problemi che turbano l’uomo (il subconscio, quello della sua inserzione nel gruppo sociale e nel kosmos, nell’ordine sociale) e si ricorre a spiegazioni razionali che presiederanno, alla fine del VI ed agli inizi del V secolo, alla doppia forma della filosofia e della scienza — mentre la razionalizzazione degli antichi terrori avviene attraverso la tragedia. È significativo che filosofia e scienza appaiano insieme nelle città più economicamente e socialmente evolute della Ionia. Il mitico cede il posto al razionale; così ad es. il ritorno periodico delle stagioni non si spiega più con il solo ricorso a delle belle storie (ratto di una dea da parte del signore dell’Ade, o morte e resurrezione del dio fanciullo), ma si integra con una concezione d’insieme della phvsis.
Conquiste, con tutto quel che di angoscioso e di provvisorio (e di drammatico, nell’espressione artistica) esse comportanto, queste dei Greci, nel passaggio alla polis classica — e non evoluzione, nel senso almeno in cui l’intendeva un certo storicismo. Sia nell’ambito delle sovrastrutture ideo-logico-culturaJi, che in quello delle strutture materiali della produzione, lo sviluppo appare tutt’altro che lineare e globale. In realtà si trattò di salti di qualità, che si svolsero nel quadro di un riassetto delle strutture economico-sociali — nella transizione, in definitiva, ad una diversa formazione economica della società. Essi non si verificarono contemporanea-
cipale, Les fonctions psychologiques et les oeuvres, Paris, 1948, è stato tradotta, per quel che mi risulta, in Italia.
93 In questo senso va ribadito l’influsso di Meyerson — più in Vernant, ovviamente che negli altri —; si cfr., del Meyerson, Problèmes d’histoire psychologique des oeuvres: specificité, variation, experience in « Eventail de l’histoire vivante. Hommage à L. Febvre», I, Paris, 1954, pp. 207-218 (partic. p. 207); Id., Thèmes nouveaux de psychologie objective: l’histoire, la construction, la structure, « Journal de Psychologie normale et pathologique » 1954, pp. 9 sgg.; Les fonctions psychologiques et les oeuvres, cit., pp. 119 sgg. Per Lévéque va naturalmente tenuto conto del suo sempre maggiore accostarsi al marxismo.
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mente in tutte le regioni del mondo greco, né in tutti gli strati della società greca; le strutture arcaiche sopravvissero in grado rilevante. Appunto recenti lavori di Vidal-Naquet96 — e, già prima, di E. R. Dodds97, che, come sappiamo, proviene da tutt’altro ambiente culturale — mostrano che in pieno V secolo, in un momento in cui il razionalismo ha preso uno sviluppo addirittura inquietante per la polis — si pensi ad Anassagora ed ai motivi del processo a Socrate — permangono stupefacenti sopravvivenze di certe forme non razionali di pensiero. Queste sopravvivenze devono aver certamente importanza per lo storico della cultura — ma non significare tout-court continuità; si deve soprattutto considerare, a nostro parere, sia il livello a cui si inseriscono, sia la loro funzione nel contesto culturale globale. Qui sta la differenza fondamentale con il metodo dell’altro grande studioso delle sopravvivenze indeuropee nel mondo classico, Georges Dumézil98; ed è nel confronto con le posizioni dumeziliane che si possono valutare appieno i progressi delle nuove ricerche, nell’ambito specialmente delle strutture della mentalità mitico-religiosa. Così J. P. Vernant ed il suo gruppo hanno mostrato il progressivo emergere e radicarsi della razionalità, e delle sue categorie, nel mondo delle poleis arcaiche, eredi di un’immensa materia mitica che lentamente si classifica e si ordina; Leveque e Vidal-Naquet, in un originalissimo libro, hanno cercato di intendere la nascita della democrazia « decimale » di Clistene nel contesto sociale, politico, intellettuale, ed anche artistico, dell’Atene degli ultimi decenni del VI secolo".
Nonostante certo uso disinvolto fattone da studiosi che vogliono essere
96 Si cfr. soprattutto Le chasseur noir et l'origine de Véphébie athénienne, « Annales ESC », 23, 1968, pp. 47-64 (trad. it., con revisioni, in II mito. Guida storica e critica, a cura di M. Detienne, Roma-Bari, 1975, pp. 53-72); sullo stesso tema Le cru, l’enfant grec et le cuit, in J. Le Goff - P. Nora, Faire de Vhistoire, III, Nouveaux objets, Paris, 1974, pp. 137-168; La tradition de Vboplite athénien, in Problèmes de la guerre en Grece ancienne a cura di J. - P. Vernant, Paris - La Haye, 1968, pp. 161-181; Le Philoctète de Sophocle et Véphébie, «Annales ESC», 26, 1971, pp. 62338 (ripubblicato in stesura riveduta in J. - P. Vernant - P. Vidal - Naquet, Mythe et tragèdie en Grèce ancienne, Paris 1972, pp. 161-184); Esclavage et gynécocratie dans la tradition, le mythe et V utopie, in Recherches sur les structures sociales dans Vantiquité classique, Cnrs, Paris, 1970, pp. 63-80; Valeurs religieuses et mythiques de la terre et du sacrifice dans V« Odyssée », « Annales ESC », 25, 1970, pp. 1278-97.
97 E. R. Dodds, The Greeks and thè Irrafional, Sather Class. Lect. XXV, Berkeley-Los Angeles, 1951 (trad. it., Firenze, 1959, con Presentazione di A. Momigliano) e i saggi Euripides thè Irrationalist; Plato and thè Irrational; The Religion of thè Ordinary Man in Classical Greece; Supernormal Phenomena in Classical Antiquity, ora contenuti in The Ancient Concept of Progress and Other Essays on Greek Literature and Belief, Oxford, 1973, rispettiv. alle pagine 78-91, 106-125; 140-155; 156-210.
98 Manca finora un’adeguata trattazione dell’opera di Dumézil: si cfr., per ora, oltre Fugier, Quarante ans de recherches sur Vidéologie indoeuropéenne: la mé-thode de Georges Dumézil, « Revue d’histoire et de philosophie religieuses » 45, 1965, pp. 366 sgg., P. Smith - D. Sperber, Mythologiques de Georges Dumézil, «Annales ESC», 26, 1971, pp. 559-86 e la monografia di C. Scott Littleton, The New Comparative Mythology, Berkeley - Los Angeles, 1966.
99 P. Leveque - P. Vidal - Naquet, Clisthène Vathènien, Ann. Litt. Univ. Besan^on, 65, Paris, 1964.
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troppo à la page, non può esserci dubbio che tali ricerche fondate sulla utilizzazione di metodi antropologici sono assai importanti per la reale comprensione della vita intellettuale, artistica, politica, del mondo antico. Va tuttavia ammesso che, se le ricerche della « Scuola di Parigi » risultano indubbiamente suggestive e feconde per i periodi in cui, per cosi dire, la ragione lotta contro il mythos, esse non risultano altrettanto efficaci per l’analisi di epoche culturalmente più evolute. Certe ricerche di Détienne destano perplessità là dove toccano i problemi di società strutturate in modo più complesso. Inoltre, c’è sempre il pericolo di lavorare solamente a livello delle sovrastrutture — ciò che per i periodi arcaici, considerata la relativa esiguità delle fonti, comporta inconvenienti inevitabili ed in ogni caso scontati. Ma, per le epoche più recenti? È valida allora la limitazione di Finley, di cui si diceva all’inizio del paragrafo? Mi pare che non sia affatto così e mi permetterei di ricordare piuttosto un altro importante ambito di applicazione dei metodi antropologici, quello relativo ai processi di acculturazione. Io non credo di avere bisogno di definire in questa sede ciò che si intende per acculturazione — ma vorrei soltanto ricordare che i suggerimenti metodici che possono dare agli storici antichi antropologi come Evans-Pritchard, il marxista P. Worsley, gli studiosi francesi della decolonizzazione (come un Berque) non sono affatto di poca efficacia per comprendere i problemi degli scontri e degli incontri di culture che si posero già nel mondo antico. Da questo punto di vista sono assai importanti i lavori di E. Lepore — in cui la colonizzazione non è mai vista come fatto di pura conquista, ma come incontro di economie e di culture. Lepore — e B. d’Agostino ed altri che non sto qui ad elencare — hanno scelto come campo sostanzialmente la Magna Grecia; ma il discorso si può fare, e con non minore successo, per quel complesso crogiolo di culture che fu l’impero romano — e per le aree periferiche, di scontro e di incontro di civiltà. In generale, l’assimilazione e la resistenza nel mondo antico alla cultura greco-romana ha costituito il tema, antropologico, dei lavori del VI Congresso internazionale di Studi classici, tenutosi, come abbiamo già accennato, a Madrid 100; la resistenza africana alla romanizzazione è l’oggetto di un importante recente volume di Marcel Benabou 101. Appare importante ora individuare i processi di decolonizzazione, nell’impero romano, ed i complessi fenomeni socio-culturali cui essi diedero luogo: R. Mac Mullen ha parlato di rinascenza delle culture indigene102; S. L. Dyson ha affrontato, con criteri antropologici, il pro-
100 Assimilation et résistance à la culture gréco-romaine dans le monde ancien: Travaux du VI Congrès International d’Etudes classiques (Madrid, September 1974) Ed. D. M. Pippidi, Bucarest - Paris, 1976,
101 M. Benabou, La résistence africaine à la romanisation, Paris, 1976.
102 R. Mac MuÉen, Enemies of thè Roman Order. Treason, Unrest and Alienation in thè Empire, Cambridge (Mass.) - London 1967, p. 192 e note rell. (cfr. anche Nationalism in Roman Egypt, «Aegyptus», 44, 1964, pp. 179-199; The Celtic Renaissance, « Historia », 14, 1965 pp. 93-104; Provincial Languages in thè Roman Empire « American Journal of Philology » 87, 1966, pp. 1-17).
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blema delle rivolte nativistiche 105; lo scrivente ha tentato di interpretare, nel quadro dei processi di acculturazione e di decolonizzazione, la « democratizzazione » della cultura nel terzo secolo d.C., e la sua transizione verso le culture nazionali della Spàtantike104. In un articolo bellissimo P. Brown ha tentato di spiegare il fenomeno dell’irrazionalismo e della magia nel IV secolo d.C. sulla base delle tensioni che allora si crearono tra due sfere culturali non più omogenee — ed in generale, tutta la ricerca, acutissima, di questo studioso è volta ad indagare, con gli strumenti offertigli dalla psicologia, dall’antropologia culturale, dalla storia delle religioni, le basi del nuovo mondo spirituale tardo-antico105. Ancora, come ho cercato recentemente di indicare, il complesso problema della « frontiera » romana e della crescita sociale e culturale del mondo barbarico ai confini può essere più efficacemente chiarito ricorrendo alle chiavi interpretative fornite dall’antropologia 106. Si potrebbe continuare più a lungo... In realtà, mi sembra sempre più evidente che la storia culturale e religiosa dell’impero romano non possa adeguatamente comprendersi ricorrendo al concetto mistificante di « sincretismo » (Der Synkretismus intitolò M.P. Nilsson la parte conclusiva del secondo volume della sua Geschi-chte der griechischen Religion)107, bensì lavorando, a tutti i livelli, sulla base delle prospettive fornite dall’antropologia.
I V. 2 È difficile dire cosa propriamente distingue la sociologia dall’antropologia, quando ci si riferisce ai fenomeni di società preindustriali. Questa osservazione, recentemente formulata da un antropologo, è servita ad introdurre un ennesimo attacco alla sociologia come disciplina autonoma.
103 S. L. Dyson, Native Revolts in thè Roman Empire, « Historia », 20, 1971, 239274; Native Revolt Patterns in thè Roman Empire, in Aufstieg und Niedergang der romischen Welt, II, 3, Berlin-New York 1975, pp. 138-175 (Per una visione realistica dei rapporti tra occupanti romani ed economia indigena è assai interessante l’articolo di S. Piggott, Native Economics and thè Roman Occupation of North Britain in LA. Richmond (ed.) Roman and Native in North Britain, Edinburgh, 1961, pp. 1-27).
104 M. Mazza, Lotte sociali e restaurazione autoritaria nel III secolo d. C., Roma-Bari, 1973 2, cap. Vili, pp. 465-500 (e pp. 685-698).
105 P. Brown, Sorcery, Demons and thè Rise of Christianity from Late Antiquity into thè Middle Ages, 1970, ora in Religion and Society in thè Age of Saint Augustine, London, 1972, pp. 119-146 (da vedere anche, nello stesso volume, i saggi della P. Ili: Religious Dissent in thè Later Roman Empire: thè Case of North Africa, pp. 237-259; Christianity and Locai Culture in Late Roman Africa, pp. 279300; Religious Coercion in thè Later Roman Empire: The Case of North Africa, pp. 301-331); v. anche lo stupendo articolo The Rise and Function of thè Holy Man in Late Antiquity «Journal of Roman Studies» 61, 1971, pp. 80-101).
106 La politica romana sulla frontiera renano-danubiana (II-III secolo d.C.). Aspetti culturali, sociali ed economici (relazione al «Colloque franco-italien: Les relations internationales dans le monde antique » Paris, 18-19 juin 1976, di prossima pubblicazione).
107 Mùnchen, 1950, pp. 555-673. Sui problemi metodici che il termine comporta, si cfr. gli Atti del Colloquio tenuto a Strasburgo sull’argomento (Aa. Vv., Le Syncré-tisme dans les religions grecque et romaine. Colloque de Strasbourg 9-11 juin 1972, Paris 1973).
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Curiosamente, si sferrano ancora attacchi contro la sociologia, cosi come ci sono stati i vecchi assalti idealistici, le diffidenze e le scomuniche storicistiche, specie nella cultura italiana. Non è certamente il caso di riprendere le vecchie discussioni, dei tempi di H. Berr e della « Revue de Syn-thèse » sui rapporti tra sociologia e storia — né di cavarsela dando alla sociologia il senso estensivo che le attribuiva Max Weber, per il quale questo termine era comodo sinonimo di scienze umane o di scienze politiche. Più semplicemente, vorrei far rilevare che il dato emergente nella storiografia contemporanea, dalla metà degli anni cinquanta ad oggi, è la influenza sempre più pervasiva delle scienze sociali, il progressivo e costante accostarsi della storia alle scienze sociali o del comportamento, in certo senso « l’allineamento di storia e scienze sociali (in luogo dell’antitesi che, nelle concezioni tradizionali, contrapponeva la prima alle seconde) »108 — ciò che in pratica, significa anche il dissolversi dei confini del resto non mai sicuri tra storia e sociologia (o antropologia), e da parte della nuova generazione di storici che hanno abbandonato il porto tranquillo della histoire évenementielle, della histoire historisante, ecc. «... in generale ancora un desiderio, spesso più confessato che esattamente formulato, di raggiungere una comprensione integrale di una società entro uno spazio e un tempo definito » (Momigliano)109. Così, esistono ora ottimi libri di « storia » che è difficile distinguere da libri di « sociologia » — penso ai lavori di Eric Hobsbawm o di E. F. Thompson ma, per la storia antica, si potrebbe ricordare un esempio, vecchio e tuttavia ancora valido, come il già menzionato libro di Matthias Gelzer sulla nobilitas romana — ed ottimi libri di sociologia che è difficile distinguere dai libri di « storia »: ad es. Le phenomène bureaucratique di Michel Crozier, o il bellissimo La burocrazia celeste di Etienne Balasz o il saggio su Le origini sociali della dittatura e della democrazia di Barrington Moore jr., o quelli di S. N. Eisenstadt su The Politicai Systems of Empires e The Decline of Empires no. Certamente un libro di storia non è totalmente simile ad un libro di sociologia — per quanto ne differisca assai meno di quanto tradizionalmente non si ritenga — ed i saggi ad esempio raccolti nella Religionssoziologie di Weber (che sono sostanzialmente saggi di storia) non rassomigliano completamente a Wirtschaft und Gesellschaft. Ma il fatto è che « ... la différence entre sociologie et histoire est, non pas matérielle, mais purement formelle; Fune et l’autre expliqueront les
108 G. Barraclough, Atlante della storia 1945-19 75, cit., p. 75. Si cfr. anche la discussione su History, Sociology and Social Anthropology, « Past & Present », 27, 1964, pp. 102-108.
109 A. Momigliano, Linee per una valutazione della storiografia del quindicennio 1961-1976, cit, p. 597.
110 M. Crozier, Le phenomène bureaucratique, Paris, 1964; E. Balasz, La burocrazia celeste. Ricerche sull'economia e la società della Cina del passato, trad. it, Milano, 1971; Barrington Moore Jr, Le origini sociali della dittatura e della democrazia. Proprietari e contadini nella formazione del mondo moderno, trad. it, Torino, 1969; S. N. Eisenstadt, The Politicai Systems of Empires, New York-London, 1963; The Decline of Empires, Englewood Cliffs, New Jersey, 1967.
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mémes événements de la méme manière, mais la première a pour objet les généralités (concepts, types, regularités, principes) qui servent à celle explication d’une événement, tandis que l’histoire a pour objet l’événe-ment lui-mème qu’elle explique au moyen des généralités qui font l’objet de la sociologie. Autrement dit, un méme événement, raconté et expliqué de la méme manière, sera pour un historien, son objet propre, tandis que, pour un sociologue, il ne sera qu’un exemple servant à illustrer telle regula-rité, tei concept ou tei idealtype (ou ayant servi à les découvrir ou à les construire) »m.
Mi si perdoni la lunga citazione. In realtà, questo passo del recente, monumentale libro di Paul Veyne su Le pain et le cirque — il cui sottotitolo recita Sociologie historique ^un pluralisme politique — è assolutamente significativo del modo attuale di intendere la natura del rapporto tra storia e sociologia, anche nella storia antica. Avrei potuto citare altri passi esprimenti gli stessi concetti traendoli dalla sua vivacissima Lezione Inaugurale al Collège de France 112 — ma sarebbe stato tutto sommato inutile. Il fatto è che, si accettino o meno le riflessioni di Veyne, anche la storia antica va sempre piu « sociologizzandosi », va verso la sociologia. Questo è un dato che sembra emergere dalla produzione recente, non solo in contributi di carattere monografico, ma anche in opere di carattere generale.
L’eroe intellettuale di Veyne è Max Weber — come del resto per la maggior parte degli studiosi di storia antica che si muovono sul piano sociologico e non accettano le impostazioni marxiste. Continua in sostanza il singolare destino di Weber — lo storico di razza che superava con il suo concetto di Idealtypus lo storicismo, ponendosi alla base delle scienze sociali moderne, e la cui prodigiosa attività scientifica fu segnata da una strenua Auseinandersetzung con Marx. P. Veyne, la cui erudizione ed il cui acume sono fuor di ogni discussione, rappresenta un esempio caratteristico di questa tensione.
Certo è che oggi anche nella storia antica si ritorna alla sociologia ed a Weber, si corre a prendere i classici dimenticati della sociologia — e « struttura sociale » è una delle parole piu usate, ed abusate, nel lessico degli storici. Le ragioni di questo ritorno alla sociologia sono implicite in quello che abbiamo detto — e va sempre ricordato che concorrono anche fattori come il prestigio della disciplina in una delle due superpotenze mondiali come gli Stati Uniti, e fattori di ordine piu rigorosamente teoretico, come la richiesta insistente di una moltiplicazione della dimensione della storia e di un ampliamento della visione dello storico (quale è prospettata nella scuola storica piu vivace e tecnicamente più agguerrita di questi ultimi decenni, la scuola delle « Annales »), e lo stesso costituirsi di Weber
111 P. Vevne, Le pain et le cirque. Sociologie historique d’un pluralisme politique, Paris, 1976, pp. 11-12.
112 P. Veyne, Uinven taire des differences. Le^on inaugurale au Collège de France. Paris, 1976.
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e della sociologia come antagonista a Marx ed al marxismo. In ogni caso è evidente che dalle ricerche di storia etico-politica, o di storia della cultura, si passa sempre piu alle indagini sulle strutture sociali — e la pro-sopografia viene ricompresa in tale quadro (così ad es. nelle ricerche di C. Nicolet sugli equites romani, di G. Boulvert sugli schiavi e sui funzionari imperiali, di P.R.C. Weaver e di Susan Treggiari sulla Familia Cae-sarts e sui liberti di età repubblicana) 113.
Va tuttavia osservato, a proposito di queste ultime opere menzionate, che non sempre l’approccio sociologico significa un ritorno a Weber ed alla tematica weberiana. Ad es., in Boulvert l’influsso predominante appare quello di H.-G. Pflaum, mentre per Weawer e per la Treggiari è chiaramente Syme il punto di riferimento — tuttavia, va considerato che Weawer è studioso di larghe esperienze intellettuali. Il ritorno a Weber può significare una scelta consapevole per la sociologia idealtipica, con tutte le implicazioni di ordine teoretico ed ideologico che essa comporta — come sembra nel Veyne di Come si scrive la storia o di Le pain et le cirque. La ispirazione weberiana risulta abbastanza chiara nel Finley della Relazione presentata nella Seconda Conferenza Internazionale di Storia Economica (Aix-en-Provence, 1962) 114, e della recente fondamentale Ancient Economy 115 — lungo la tradizione che va da Max Weber a Johannes Hasebroek e che si confronta criticamente con la prospettiva « sostantivistica » dell’economia proposta da K. Polanyi (v. infra). E ancora: se in ultima analisi risale, se vedo bene, ad un Weber mediato dalla sociologia americana — da Sorokin a Smelser — il dibattito sulla mobilità sociale nell’impero romano, e sui processi di burocratizzazione in epoca repubblicana proposto da Keith Hopkins 116 — si cfr. la recente mise au point del problema di
113 C. Nicolet, L’ordre équestre à l’époque républicaine, I-II, Paris, 1966-1974; G. Boulvert, Esclaves et affranchis impériaux sous le haut-empire romain, Róle politi-que et administratif, Napoli, 1970; Domestique et fonctionnaire sous le haut-empire romain: la condition de l’affranchi et de l’esclave du prince, Paris, 1974; S. Treggiari, Roman Freedmen during thè Late Republic, Oxford, 1969; P. R. C. Weaver, Familia Caesaris. A Social Study of thè Emperor’s Freedmen and Slaves, Cambridge, 1972.
114 M. I. Finley, Classical Greece, in Deuxième Conférence Intern. d’Histoire Economi que, Aix-en-Provence 1962, I: Trade and Politics in thè Ancient World, Paris, 1965, pp. 11-35.
115 M. I. Finley, The Ancient Economy, London 1973, trad. it., Bari-Roma, 1974. 110 K. Hopkins, Elite Mobility in thè Roman Empire «Past & Presenta, 32, 1965, pp. 12-32; Structural Differentiation in Rome (200-31 B; C.): The Genesis of an Historical Bureaucratic Society, in History and Social Anthropology, ed. M. I. Lewis, ASA Monographs 7, London-Wellington 1968, pp. 63-79; P.R.C. Weawer, Social Mobility in thè Early Roman Empire: thè Evidence of thè Imperiai Freedmen and
Slaves « Past & Present », 37, 1967, pp. 3 sgg.; R. MacMullen, Social Mobility and thè Theodosian Code « Journal of Roman Studies » 54, 1964, pp 49 sgg; A. F. Norman, Gradations on Later Municipal Society, ibid., 48, 1958, pp. 79 sgg; A. H. M. Jones, The Caste System in thè Later Roman Empire, « Eirene » 8, 1970, pp. 79 sgg., rist. in The Roman Economy. Studies in Ancient Economie and Admini-stìative History, ed. P. A. Brunt, Oxford 1974, pp. 396-418.
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H. W. Pleket, nella « Tijdschrift voor Geschiedenis » 1972, 215 sgg.117 — non sembra tuttavia che Ramsay Mac Mullen si rifaccia esplicitamente a modelli weberiani nei suoi importanti lavori sulla società imperiale (Soldier and Civilian in thè Later Roman Empire, 1963; Enemies of thè Roman Order, 1967; Roman Social Relations, 1974). Da interessi indubbiamente sociologici, ma anche in larga misura politologici, è caratterizzato tutto il lavoro di C. Nicolet, dalle già citate ricerche prosopografiche al recentissimo vivace libro su Le métier de citoyen dans la Rome républi-caine — la dui preoccupazione fondamentale, giustissima ed acuta, è di definire e studiare la « masse civique » nei confronti della « classe politica » di Roma repubblicana I18. Non c’è dubbio che si è lontani, in questo caso, da Max Weber ed assai più vicini a preoccupazioni politologiche di descrivere e spiegare le regole della vita politica, di costituire quella « poli-tische Grammatik » di cui parla Christian Meier. In realtà il dialogo tra storia e sociologia è in questo momento piuttosto frammentario ed assai poco univoco: si può avere il libro di Zvi Yavetz, Plebs and Princeps (1969) in cui il discorso sociologico, resta tutto interno alla letteratura storiografica di antichisti, e un libro come quello recentissimo di Evélyne Pat-lagean, Pauvreté économique et pauvreté sociale à Byzance 4e-7e siècles, 1977, in cui la metodologia delle « Annales » fonde, in un’opera di grande sensibilità storica, le suggestioni provenienti dai diversi domini dell’antropologia culturale e dalla sociologia storica119.
IV. 3 Mi siano consentite solo alcune rapide notazioni sul tema economia antica e storiografia moderna — e per varie ragioni. In primo luogo, in questi ultimi tempi ho avuto più volte modo di esprimermi intorno a questo tema, e non farei quindi che ripetere cose probabilmente già note 12°. In secondo luogo, non c’è dubbio che l’indagine sull’economia antica si trova
117 W. H. Pleket, Sociale Stratificatie en Sociale Mobiliteit in de Romeinse Keizer-ti]d, «Tijdschrift voor Geschiedenis», 1972, pp. 215-251.
118 C. Nicolet, Le métier de citoyen dans la Rome republicaine, Paris, 1976 (Sulla « classe politica » in Roma repubblicana, Nicolet si è piu volte soffermato in ricerche parziali: cfr. «Revue des Etudes latines » 1960, pp. 236-263; «Latomus», 1963, pp. 721-732; « Revue des Etudes Latines », 1964, pp. 221-230; « Mei. Carcopino », Paris-Bruxelles, 1966, pp. 691-709; « Revue des Etudes latines » 1967, pp. 267-304; « Mélanges de l’École Frangaise de Rome » 1967, pp. 26-76; « Revue des Etudes latines » 1969, pp. 55-64; Problèmes de la guerre à Rome, ed. J. P. Brisson, Paris-La Haye, 1969, pp. 117-156; «Latomus» 1970, pp. 72-103; «Ann. Ec. Prat. Hautes Etudes IV Sect. », 1971-72, pp. 251-58); per una valutazione del libro cfr. J. Andreau, « Annales ESC », 32, 1977, pp. 756-763 — che insiste sull’influenza dell’opera di David Easton, A Systems Analysis of Politicai Life, New York, 1965.
110 Z. Yavetz, Plebs and Princeps, Oxford, 1969; E. Patlagean, Pauvreté économique et pauvreté sociale à Byzance 4-7 siècles, Paris-La Haye, 1977.
129 Mi sia consentito rimandare alla Introduzione alla Storia economica del mondo antico di F. M. Heichelheim, Bari, 1972, pp. V-LXXIII; alla Prefazione a E.M. Staerman-M. K. Trofimova, La schiavitù nell'Italia imperiale, Roma, 1975, pp. VII-XLIV; alla Introduzione a E. Ciccotti, Il tramonto della schiavitù nel mondo antico, Bari-Roma, 1977, pp. V-LXX; al saggio Marx sulla schiavitù antica. Note di lettura in Aa. Vv., Analisi marxista e società antiche, Roma, 1978, pp. 107-145.
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ad una svolta cruciale: un’esposizione, sia pur estremamente sommaria dei vari momenti di queste indagini e delle principali posizioni teoriche in campo richiederebbe un saggio a parte — e forse più che un saggio, un libro che prima o poi si dovrà scrivere. Infine, last bui not least, tale esposizione sarebbe fuor di luogo dato il taglio del presente intervento.
Un punto va tuttavia rilevato: che l’economia del mondo antico si è studiata sempre, anche durante i periodi di massima accettazione delle posizioni storicistiche; e tuttavia, si è studiata sempre come storia economica del mondo antico, con una prospettiva storicistica, senza approfondire, tranne che in casi particolari, gli aspetti teorici del problema. Opere come YEconomia antica, del Toutain, come quelle pur fondamentali di Rostovtzeff e di Heichelheim, od anche recentissime come Die Wirtschaft der griechisch-rd-mischen Antike di Th. Pekàry 121, si muovono lungo una generica prospettiva storicistica che ritiene risolti nella narrazione degli eventi i nodi teorici specifici dell’economia antica — e delle formazioni economiche delle società antiche. In realtà, il dato emergente dell’attuale momento storiografico sembra essere l’esigenza, sentita a tutti i livelli, di un approfondimento teorico, di una riflessione sull’economia antica nella sua specificità. A questo proposito, un motivo è almeno individuabile: anche qui sembra giuocare la dialettica Weber-Marx. Le nuove proposte teoriche si muovono, in linea generale, lungo una dicotomia che in ultima analisi risale a questi due massimi interpreti del rapporto economia-società.
Non è certamente il caso di riprendere il dibattito tra « modernisti » e « primitivisti », sviluppatosi tra gli studiosi dell’economia antica proprio sul finire del secolo scorso. Com’è stato icasticamente osservato, esso era visibilmente «... mal pose et mal parti » 122. Tuttavia va anche detto che tale partenza ha condizionato tutta la storiografia economica sul mondo antico, tanto più che l’autorità ed il prestigio di studiosi come Meyer, Be-loch, Wilcken ed il giovane Rostovtzeff hanno finito con l’imporre una visione modernizzante dell’economia antica che si è rivelata in seguito insostenibile — laddove i « primitivisti » hanno fornito soltanto qualche spunto alla teoria economica, più che vere e proprie ricostruzioni storiche. Muove invece dalle posizioni di Weber il superamento dAVitn-passe in cui era venuto a trovarsi il dibattito per la netta contrapposizione tra « primitivisti » e « modernisti » — e non tanto per le opere, ancor oggi importanti, di Johannes Hasebroek 123 che era un antichista e che si richiamava espressamente a Weber, quanto piuttosto per le proposte di ordine generale che son venute da Karl Polanyi, che storico dell’economia antica espressamente non era e che solo indirettamente si riconnetteva a Weber. Ma tant’è; per vie complesse, è Polanyi, insieme a Weber, che si trova
121 Th. Pekàry, Die Wirtschaft der griechisch-romischen Antike, Wiesbaden, 1976.
122 M. Austin - P. Vidal - Naquet, Économies et sociétés en Grèce ancienne, Paris, 1972, p. 14.
123 J. Hasebroek, Staat und Handel im alten Griechenland, Tubingen, 1928; Grie-chiscbe Wirtschafts-und Gesellschaftsgeschichte, Tubingen, 1931.
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alla base della recente ripresa sul dibattito sull’economia antica. Ancora una volta un antropologo e sociologo, e non uno « specialista » del mondo antico — non uno storico educato alla scuola degli storici « historisants ». In effetti, le proposizioni metodologiche di Polanyi divergono radicalmente da quelle dei « modernisti » storici dell’economia antica. Nel considerare il posto dell’economia nell’ambito delle società umane, Polanyi distingue nettamente la società moderna dalle altre società. Nell’una, l’economia è liberata ed emancipata (« disembedded »), è divenuta una sfera autonoma che obbedisce alle proprie leggi interne. Essa si può quindi studiare iso-lamente, attraverso i concetti formulati da essa stessa, autonomamente, Nelle altre società, e specialmente in quelle primitive ed arcaiche, l’economia è invece strettamente integrata (« embedded ») alla società ed a tutte le istituzioni; essa non è un dominio separato, autonomo, ed organizzato come tale dalla società in questione; non ha dunque un’esistenza indipendente, ed il suo funzionamento sarà costantemente influenzato dai fattori extraeconomici (sociali, politici, ideologici etc.). Ne consegue che, per analizzare il funzionamento di economie primitive, ed arcaiche, non può essere usata la teoria economica moderna — come facevano i « modernisti » — in quanto tale teoria non si può applicare veramente che alla società per la quale è stata creata. Infatti, l’economia ha due significati, uno formale e l’altro sostanziale, che coincidono soltanto nella moderna economia di mercato. Lo studio comparativo dei sistemi economici deve partire dal significato « sostanziale » di economia — donde il termine « sostantivismo » applicato alla visione economica pola-nyana — e non dal suo significato formale. In senso « sostantivo » infatti l’economia, secondo Polanyi, è « an instituted process of interaction between man and his environment which results in a continuous supply of want-satisfying material means. Want-satisfaction is “material ”if it involves thè use of material mean to satisfy ends; in thè case of a definite type of physiological wants, such as foods or shelter, this includes thè use of so-called Services only »124. Si può rilevare come la distinzione di Polanyi appaia fondamentalmente connessa con le distinzioni weberiane tra « azione economica » e « azione economica razionale » e tra razionalità formale e sostanziale — ma, in linea generale, la presenza di Weber va ben oltre queste definizioni. Secondo Polanyi, l’analisi di una economia antica, della circolazione e della ripartizione dei beni entro le società primitive ed arcaiche può comporsi attraverso quattro fondamentali «schemi»: la reciprocità, la redistribuzione, l’economia domestica (householding), lo scambio per via di commercio. Sulla base di questi fondamentali schemi, si può analizzare, nelle economie primitive la posizione della moneta, del mercato, del commercio 125.
124 K. Polanyi, The Economy as Instituted Process, in Trade and Market in thè Early Empires: Economies in History and Theory, ed. K. P., C. M. Arensberg, H. W. Pearson, Glencoe, III., 1957, 243-270 (la citazione a p. 248).
125 Per un’esposizione critica della tesi di Polanyi, con una ricca bibliografia, cfr.
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Non mi interessa in questa sede criticare Polanyi — altri più competenti di me in questo ambito possono farlo. Vorrei ricordare che una critica distruttiva delle sue impostazioni si trova in una pagina dell’Ancient Eco-nomy di Finley, che pure, agli inizi degli anni ’60, ne aveva tratto spunto per respingere le posizioni moderniste. Quel che invece preme rilevare è che, nonostante tutte le discussioni sulla loro validità, le impostazioni polanyane non possono applicarsi che ad economie primitive, arcaiche, e non sembrano valide per l’analisi di economie articolate, complesse, come quelle degli stati ellenistici, di Roma repubblicana e, soprattutto, dell’impero romano. L'impasse è grave e, soprattutto, appare ineludibile; ci vogliono in realtà altri approcci metodologici.
Proprio per queste ragioni, la Ancient Economy di Moses I. Finley può apparire, anche per chi non ne condivida l’impostazione di fondo, un « evento » negli studi di economia antica. Finley tenta di comprendere la struttura interna dell’economia antica, di trovare le chiavi analitiche ed interpretative di una vicenda che si svolge per un millennio e mezzo — e per far ciò, egli si rivolge a Weber, ritorna al Weber interprete del nesso economia-società. Finley infatti adotta manifestamente la prospettiva weberiana, usando anche concetti tratti dalla sua sociologia, come « ordini » (Stànde), status, « spettro di statuti », « stratificazioni sociali », etc. — e respingendo vivacemente concetti marxiani come classe, lotta di classe, sfruttamento etc. L’impresa è veramente imponente e conduce a risultati di tutto rispetto, con i quali ogni studioso futuro dovrà confrontarsi. Ma va anche riconosciuto che lo schema adottato, per lo più per opposizioni binarie (Ordine e condizioni sociali; Padroni e schiavi; Proprietari terrieri e contadini; Città e campagna; Lo Stato e Veconomia), se consente di trovare un filo conduttore nella congerie di fatti spesso difficilmente riconducibili, per la situazione delle fonti, ad organica unità, comporta tuttavia una visione statica della realtà economica antica; visione in cui non sembrano trovare posto concetti analitici come sviluppo e transizione etc. Così, si perde l’individualità di termini come l’Ellenismo, si comprime la varietà e la complessità della storia repubblicana, si attribuisce troppa uniformità alla storia imperiale, non si riesce a comprendere il significato di periodi complessi di transizione come la Spàtantike. Il mondo antico risulta più statico di quanto in realtà fosse 126. Come abbiamo già osservato, lo studio dell’economia antica si trova ad una svolta cruciale. Si sente l’esigenza della riflessione teorica, di una concezione teorica generale, nella quale far rientrare studi di per sé importantissimi, come quelli econometrici di R. P. Duncan-Jones, di storia monetaria e sull’inflazione, portati avanti da J. P. Callu (e recentemente dibattuti in un Colloquio all’École Frangaise de Rome) e da Crawford,
S. C. Humphreys, History, Economics, and Anthropology: The Work of Karl Polanyi « History & Theory », 8, 1969, pp. 165-212, ora in Anthropology and thè Greeks, cit., pp. 31-75, con la bibliografia menzionata nella Additional Note, pp. 73-75.
120 Si cfr. le osservazioni di M. W. Frederiksen, « Journal of Roman Studies » 65, 1975, pp. 154-161.
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sulla differenziazione economica delle provincie romane (contenuti in volumi sul Principato in Aufstieg und Niedergang)127 per menzionare solo alcuni degli studi che per primi occorrono alla mente. Ripetiamo, c’è esigenza di teoria, di rigore teorico, ed è per questo che parecchi di noi si sono rivolti a Marx 128.
127 R. P. Duncan-Jones, The Economy of thè Roman Empire. Quantitative Studies, Cambridge, 1974; J.-P. Callu, La politique monetaire des empereurs romains de 238 à 311 (BEFAR 214), Paris, 1969; M. H. Crawford, Money and Exchange in thè Roman World, « Journal of Roman Studies », 60, 1970, pp. 40 sgg.; A. Deman, Matériaux et réflexions pour servir à une étude du développement et du sous-dèveloppement dans le provinces de Tempire romain, in Aufstieg und Niedergang der romischen Welt, II, 3, Berlin-New York, 1975, pp. 3-97. .
128 Si cfr, a questo proposito gli studi raccolti nel volume edito dall’Istituto Gramsci, Analisi marxista e società antiche, Roma, 1978.