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Title
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Dalla storia del libro alla storia della lettura: la prospettiva francese
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Creator
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Roger Chartier
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Date Issued
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1994-01-01
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Is Part Of
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Archivio Storico Italiano
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volume
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152
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issue
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1 (559)
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page start
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135
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page end
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172
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Publisher
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Casa Editrice Leo S. Olschki s.r.l.
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Language
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ita
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Format
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pdf
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Rights
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Archivio Storico Italiano © 1994 Casa Editrice Leo S. Olschki s.r.l.
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Source
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https://web.archive.org/web/20230921191650/https://www.jstor.org/stable/26220576?searchText=Foucault&searchUri=%2Faction%2FdoBasicSearch%3FQuery%3DFoucault&efqs=eyJsYV9zdHIiOlsiYVhSaCJdfQ%3D%3D&sd=1975&ed=2000&pagemark=eyJwYWdlIjoyMSwic3RhcnRzIjp7IkpTVE9SQmFzaWMiOjUwMH19&groupefq=WyJzZWFyY2hfY2hhcHRlciIsIm1wX3Jlc2VhcmNoX3JlcG9ydF9wYXJ0IiwiY29udHJpYnV0ZWRfdGV4dCIsInJldmlldyIsInNlYXJjaF9hcnRpY2xlIiwicmVzZWFyY2hfcmVwb3J0IiwiY29udHJpYnV0ZWRfYXVkaW8iXQ%3D%3D&ab_segments=0%2Fbasic_search_gsv2%2Fcontrol&refreqid=fastly-default%3A403d7571c70f8ab136c2d77fd8b2ae56
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Subject
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author/artist
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discourse
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interpretation
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hermeneutics
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extracted text
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Dalla storia del libro alla storia della lettura: la prospettiva francese
«La peculiarità francese esiste: è uno stile culturale diverso: e considera il mondo da un particolare punto di vista». Questa definizione è di uno storico che conosce bene la Francia, i suoi librai cialtroni e i suoi scannatoti di gatti, i suoi narratori contadini e i suoi scrittori affamati: il mio amico Robert Darnton. Ma ascoltiamo il seguito del ragionamento che caratterizza questa visione del mondo alla francese come «una indicazione che la vita è dura, che sarebbe meglio non farsi illusioni sull’altruismo dei propri simili che la chiarezza delle idee ed uno spirito pronto sono fattori necessari per proteggere il poco che si può ottenere da ciò che ci circonda e che l’esasperazione della morale non porta a nessun risultato positivo».1
La descrizione, che alcuni potrebbero leggere, certamente a torto, come quella del mondo accademico chiaramente parigino, vale per la disciplina che ci riunisce qui cioè la storia del libro? O, più seriamente, è possibile riconoscere nell’evoluzione degli studi sul libro condotti in Francia da quarant’anni a questa parte alcuni tratti specifici, alcune traiettorie originali sufficientemente ben marcati per costituire «una peculiarità francese nella storia del libro»?
Prima di tentare di rispondere alla domanda vorrei con-
1 R. Darnton, The Great Cat Massacre and Other Episodes in French Cultural History, New York, Basic Books, 1984, p. 61 (tr. Il grande massacro dei gatti e altri episodi della storia culturale francese, a cura di R. Pasta. Milano, Adelphi, 1988, p. 63).
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fessare un duplice ostacolo. Il primo deriva dalla dolorosa certezza in cui mi trovo di tradire il programma di questa serie di «letture» consacrate alla History of thè Book in American Culture. Avendo sinora lavorato unicamente su materiali europei, soprattutto francesi, qualche volta spagnoli, conosco troppo poco della storia del libro americano. E una gran parte di questa erudizione, la devo all’American Anti-quarian Society che mi aveva invitato a partecipare nel 1987 alla conferenza Needs and Opportunities in thè History of thè Book: America. 1639-1876, i cui atti sono stati pubblicati questo stesso anno.2 Per rimborsare un po’ del mio debito, mi sforzerò oggi di proporre alcune basi di ricerca, alcuni temi di indagine che, forse, potranno aiutare il progetto di una storia del libro americano, in numerosi volumi, iniziati qui sotto la direzione di David Hall.
Secondo ostacolo. La bibliografia è indubbiamente la più importante delle scienze, ma una scienza che può, talvolta, annoiare quando porta ad una lunga enumerazione orale di nomi e di titoli. E per questo che non intendo proporre in questa circostanza un bilancio dei lavori francesi sulla storia del libro in questi ultimi decenni. E questo poiché simili messe a punto, bibliografiche e critiche, hanno regolarmente raggiunto gli sviluppi della ricerca dal 1970, dovuti sia ad alcuni studiosi francesi, sia a colleghi stranieri, lettori attenti degli storici francesi essi stessi ma grandi specialisti della storia dell’editoria francese: come Robert Darnton, Raymond Birn o Wallace Kirsop.5 Il mio discorso vorrebbe riflettere
2 Needs and Opportunities in thè History of thè Book: America, 1639-1876, edito da D. D. Hall e J. B. Hench, Worcester, American Antiquarian Society, 1987.
3 R. Darnton, Reading, Writing and Publishing in Eighteenth-Century France. A Case Study in thè Sociology of Literature, in «Daedalus», Winter, 1971, pp. 214-256 (anche in R. Darnton, The Literary Underground of thè Old Regime, Cambridge e Londra, Harvard University Press, 1982, pp. 167-208; R. Chartier e D. Roche, Le livre, un changement de perspective, in Faire de Thistoire, sotto la direzione di J. Le Goff e P. Nora, Paris, Gallimard, 1974, t. Ili, pp. 115-136; R. Birn, Livre et Société after Ten Years: Formation of a Discipline, «Studies on Voltaire and thè
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su due serie di particolarità legate l’una all’altra: da una parte la specificità della storia del libro come disciplina, così come si è formata, sviluppata, trasferita in Francia a partire dal libro capostipite di Lucien Febvre ed Henri-Jean Martin, L’Apparition du livre, pubblicato nel 1958;4 dall’altra le particolarità della stessa editoria francese colta nelle sue tendenze di lunga durata, caratterizzata nelle sue rotture più significative. Per fare questo, mi avvarrò non solo delle ricerche che ho potuto condurre, ma ancor più della mia esperienza, che fu proprio un’avventura: quella della condirezione con Henri-Jean Martin di una Historie de l’Edition Franfaise, i cui quattro volumi, che vanno dal periodo del manoscritto alla metà del XX secolo, hanno visto la luce nel 1982, 1984, 1985 e 1986? Questo lavoro ci ha insegnato molto sul modo di considerare il libro, la sua produzione e il suo commercio, le sue forme e i suoi usi. E proprio questa conoscenza, costruita insieme a tutti quelli che hanno collaborato a questi volumi, che desidererei esporre.
Venti o venticinque anni fa era senza dubbio più facile definire cos’era la «peculiarità francese» nella storia del libro. Notevole la sua differenza rispetto alla storia della stampa
Eighteenth-Century», 151-154, 1976, pp. 287-312; R. Chartier e D. Roche, L’hi-stoire quantitative du livre, «Revue Fran^aise d’Histoire du Livre», 16, 1977, pp. 3-27; W. Kirsop, Literary History and Book Trade History: thè Lessons of L’Apparition du Livre, «Australian Journal of French Studies», 16, 1979, pp. 488-535; R. Chartier, L’Ancien regine typographique: réflexions sur quelques travaux récents, «An-nales E.S.C.», 1981, pp. 191-209; R. Darnton, What is thè History ofBooks?, «Dae-dalus», Summer, 1982, pp. 65-83; R. Chartier e D. Roche, Livres et presse: véhicu-le des idées, in Septième Congres International des Lumières: rapports préliminaires/Se-venth International Congress on thè Enlightenment: Introductory Papers, Oxford, The Voltaire Foundation, 1987, pp. 93-106.
4 L. Febvre e H.-J. Martin, L’Apparition du Livre, Editions A. Michel, L’E-volution de l’Humanité, 1958 e 1971 (tr. La nascita del libro, introduzione di A. Petrucci, Roma-Bari, Laterza, 1977).
5 Histoire de L’Edition Frammise, sotto la direzione di H.-J. Martin e R. Chartier, Paris, Promodis, I, Le livre conquérant. Du Moyen Age au milieu du XVIIe siede, 1982; II, Le livre triomphant. 1660-1830, 1984; III, Le temps des éditeurs. Du Romantisme è la Belle Epoque, 1985; IV, Le livre concurrencé. 1900-1930, 1986.
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(che era classicamente la storia di una invenzione e della sua diffusione, la storia di una tecnica e delle sue evoluzioni, e la storia dei libri più famosi o più rari) la materia ancora giovane e conquistatrice si agganciava con entusiasmo alla costituzione di serie lunghe della produzione stampata, per un luogo e per un secolo. Prendendo a prestito dalla storia economica i suoi concetti e i suoi strumenti, la storia del libro mirava a disegnare con rigore la congiuntura della stampa, nei suoi periodi lunghi e nei suoi cicli brevi, i suoi periodi di crescita e i suoi tempi di recessione. Redigendo la statistica dei titoli, sia partendo dalle opere oggi conservate, sia partendo dai registri dei privilegi e dei permessi della Direzione della Libreria, sia, più recentemente, e per il XIX secolo, partendo dai dati pubblicati nella Bibliographie de la France, la storia della produzione stampata così condotta si conformava perfettamente alle esigenze della storia quantitativa allora dominante. Come per i prezzi o i traffici, le nascite o i decessi, si trattava di elaborare delle serie lunghe di dati omogenei, ripetuti e paragonabili.
I risultati non sono stati insignificanti. Da una parte ha potuto essere stabilita la ristrettezza durevole del numero dei titoli stampati nel regno di Francia: fra 500 e 1000 nel XVI e XVII secolo, solamente 2000 alla fine dell’Ancien Régime; non arrivando la crescita che più tardi con 7000 titoli nel 1830 e 15000 nel 1890.6 D’altra parte, sono state così reperite le mutazioni fondamentali che hanno trasformato questa produzione stampata nell’Ancien Régime. Due curve ci danno la chiave: quella del libro di religione che
6 H.-J. Martin, Economie, politile ed edition, in Le Livre frangais, hier, au-jourd’hui, demain. Un bilancio avviato sotto la direzione di J. Cain, R. Escarpit e H.-J. Martin, Paris, Imprimerle Nationale, 1972, pp. 53-63; F. Barbier, The Publishing Industry and Printed Output in Nineteenth-Century France, in Books and Society in History. Papers of thè Association of College and Research Libraries Rare Books and Manuscripts Preconference, edito da K. E. Carpenter, New York e London, R. R. Bowker Company, 1983, pp. 199-230.
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costituisce un terzo dei titoli pubblicati nella prima metà del XVII secolo, la metà negli anni 1680, un terzo di nuovo verso il 1730 ma solamente un quarto nel 1750 e un decimo nel 1780; quella di tutte le opere che possono essere classificate nella rubrica scienze e arti la cui crescita nel XVIII secolo è in ragione inversa del regresso della teologia e della devozione con un raddoppio tra metà secolo e la Rivoluzione. Tenuto conto della parte stazionaria occupata durante due secoli dalle altre categorie (il diritto, la storia, le belle lettere), la scoperta essenziale della storia seriale del libro è dunque stato questo grande movimento di scambio che dissacra, tardivamente ma radicalmente, la produzione stampata, dominata dal libro religioso al momento del periodo più intenso della riforma cattolica, e che fa la parte più forte rispetto a tutti i libri nei quali si immaginano rapporti nuovi fra l’uomo, la natura e il mondo sociale.7 La «peculiarità francese» nella storia del libro ha potuto essere durevolmente diagnosticata attraverso un altro sintomo: il primato riconosciuto alla storia sociale. Anche lì, la storia della stampa non ha fatto che riflettere una tendenza forte della storiografia francese a partire dagli anni 60. La storia sociale allora era diventata, in effetti, il settore dominante, che trattava statisticamente i dati forniti dagli archivi fiscali e notarili per ricostituire (generalmente su scala di una città o di una regione) la gerarchia dei beni di fortuna, la composizione dei patrimoni, le differenziazioni socio-professionali. Di questo privilegio dato al taglio sociale, la storia francese del libro è stata doppiamente tributaria. Da una parte, ha proposto una storia sociale di coloro che producevano i libri: mercanti-librai, maestri stampatori, tipografi e pressatori, fon-
7 H.-J. Martin, Livre, pouvoirs et société à Paris au XVIIe siede (1598-1701), Genève, Droz, 1969; F. Furet, La 'libraire du royaume de France au XVIIF siècle, in Livre et société dans la France du XVIIF siècle, Paris-La Haye, Mouton, 1965, pp. 3-32.
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ditori di caratteri, rilegatori. Per diverse epoche, dal XVI al XVIII secolo, il mondo di coloro che lavoravano con i libri è stato considerato come un gruppo socio-professionale di cui bisognava conoscere i beni di fortuna, le alleanze, la mobilità (o l’immobilità) tanto geografica che sociale, le molteplici divisioni (fra maestri e operai, fra parigini e provinciali, fra creditori e nuovi arrivati ecc.).
D’altra parte la storia del libro «alla francese» è diventata storia dell’ineguale ripartizione della stampa nella società. Per questo motivo era necessario poter ricostituire le biblioteche possedute o costituite dai differenti gruppi sociali e professionali. Da qui la scelta di un certo numero di documenti: gli inventari di libri contenuti nelle successioni, manoscritti e atti notarili, i cataloghi stampati delle vendite pubbliche di biblioteche messe ai pubblici incanti, o, più raramente, a causa di alcuni ritrovamenti di archivi, i registri di contabilità tenuti dai librai che vi registravano tutte le vendite che facevano a credito. Ne derivava la costruzione di tutta una serie di indicatori culturali nuovi che permettevano di reperire alcune differenze sociali: la presenza o meno di libri nelle successioni, le dimensioni, molto contrastate, delle collezioni possedute, la parte occupata dalle grandi categorie bibliografiche in ciascuno degli ambienti. Così, l’ineguale possesso del libro e i contrasti fra le biblioteche dei diversi gruppi sociali hanno potuto essere ritenuti chiari indici delle opposizioni che frammentano una società, distinguendo fra coloro che hanno familiarità con il libro e quelli che rimangono estranei alla cultura della stampa, rivelando divisioni all’interno stesso delle élites letterarie: fra chierici e laici, nobili e borghesi, gentiluomini e magistrati, uomini di talento e commercianti.
Economica e sociale — appoggiata sui numeri e la serie — la storia francese del libro ha così sviluppato un approccio originale, centrato sulla congiuntura della produzione stampata, sulla sua ineguale distribuzione all’interno della società, e sugli ambienti professionali della stampa e della libre-
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ria. Ricerche collettive, tesi di dottorato, studi monografici hanno poco a poco assolto a questo programma, per Parigi ma anche le città di provincia. Pertanto, dubbi sono venuti ad infrangere le certezze che lo fondavano. Il primo, introdotto subito dagli storici americani del libro francese, ha reso sospette le diagnosi fatte sulla produzione e la circolazione del libro nel regno partendo dai soli dati importanti della produzione autorizzata come li consegnano i registri di permessi e di privilegi, i cataloghi di vendita di biblioteche o gli inventari dei notai. Fin dal XVI secolo, in effetti, alcuni editori stranieri, inseriti lungo le frontiere, ma anche altrove, alimentano il mercato francese pubblicandone abbondantemente titoli proibiti, importati clandestinamente. Nella seconda metà del XVIII secolo è possibile che un libro francese su due sia stato pubblicato fuori dal regno.
Questa editoria francese fuori della Francia ha avuto effetti decisivi. Essa ha profondamente modificato le condizioni stesse dell’attività editoriale nazionale, fornendo un rifugio agli editori francesi costretti all’esilio, molto spesso a causa della loro religione protestante, facendo una forte concorrenza alle imprese dei librai parigini, facendo entrare in ambiziose (e talvolta illegali) alleanze alcuni librai o editori provinciali offesi dal monopolio parigino. Essa ha anche permesso la pubblicazione, su grande scala, dei testi che le censure del regno (monarchica, ecclesiastica, parlamentare) volevano soffocare perché erano portatori di idee eterodosse o perché intaccavano le fondamenta stesse della società cristiana e assolutista. Troppo a lungo la storia francese del libro ha trascurato questa produzione fatta al di fuori del regno, dimenticando il suo peso considerevole. Peso in primo luogo quantitativo: si può ritenere che negli anni 60 del XVIII secolo il numero di titoli recensiti nei registri dell’Amministrazione della Libreria rappresenta solamente il 40% della produzione del libro francese, contro il 60% per i libri proibiti, pubblicati senza autorizzazione, e i libri contraffatti, stampati sotto falsi indirizzi, senza autorizzazione di stam-
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pa.8 Peso intellettuale in secondo luogo: sono questi titoli, distribuiti clandestinamente ed avidamente ricercati, che portano il rinnovamento e la critica, modificano la relazione alle autorità tradizionali, del loro contenuto i vecchi simboli, minano le fondamenta stesse dei poteri costituiti. Prenderli in considerazione era una necessità per condurre a buon fine il programma proposto da Lucien Febvre nella prefazione a L’Apparition du livre, vale a dire «studiare l’azione culturale e l’influenza del libro durante i primi trecento anni della sua esistenza». Ma questo significava anche intaccare la «peculiarità francese» nella storia del libro, una «peculiarità francese» identificata nel trattamento seriale degli archivi amministrativi e notarili del regno.
Tanto che l’incertezza poteva riguardare lo stesso procedimento. Contare i libri per tracciare la curva della loro produzione o ripartirli fra differenti categorie bibliografiche non è senza insegnamenti. Ma l’atto è sufficiente a costituire la storia del libro in quanto storia culturale? Un primo approccio che si affida alle apparenti certezze del prezzo e della serie, e perciò ritenuto specificamente francese, ha senza dubbio subito obiezioni sollevate contro le pretese abusive della storia quantitativa degli oggetti culturali, che si può indicare anche, riprendendo un’espressione famosa ma sfortunata di Pierre Chaunu, come «una storia seriale del terzo livello».9 La critica, più che legittima, ha denunciato il pericolo di un tale progetto, riduttore in ciò che presuppone sebbene i fatti culturali e intellettuali siano immediatamente percepibili in oggetti buoni da contare (nella circostanza libri messi in serie) e sebbene debbano essere catturati nelle loro espressioni più esteriori e meno individuate (nel caso, ad esempio,
8 H.-J. Martin, Une croissance séculaire, in Histoire de VEdition Frangaise cit., pp. 94-103.
9 P. Chaunu, Un noveau champ pour l’histoire serie Ile: le quantitatif au troisiè-me niveau, in Mélanges en l’honneur de Femand Braudel, Toulouse, Privat, II, pp. 105-125.
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dei libri di una serie donata, la loro appartenenza ad una categoria bibliografica generale).10 Tali conteggi e localizzazioni, essenziali per disegnare i grandi equilibri di una produzione o di una collezione, non potrebbero di per sé svelare i diversi modi con cui i testi erano compresi e utilizzati. Per ricostruirli, sono necessarie altre domande, altri approcci, a lungo estranei alla storia francese, più preoccupata di enumerare o di scrutare la loro ineguale presenza nelle biblioteche che di incidere le modalità e gli effetti della loro lettura.
Una terza ragione ha fatto vacillare la «peculiarità francese» nella storia del libro: la presa di coscienza da parte degli storici francesi del libro che la storia economica e sociale della stampa alla quale essi erano attaccati era rimasta decisamente indifferente agli oggetti stessi che metteva in serie e dei quali studiava i produttori e la distribuzione. Grazie alle lezioni della bibliografia fisica inglese e americana, tardivamente comprese, questa indifferenza è apparsa doppiamente colpevole. In primo luogo, essa impediva di conoscere in modo preciso il processo di fabbricazione del libro, gli obblighi che regolavano l’organizzazione del laboratorio, gli stessi gesti degli operai stampatori, compositori e pressatori. Non prestando molta attenzione alle forme degli oggetti stampati, che sono come le orme delle loro condizioni di produzione, la storia sociale del libro mancava di ciò che avrebbe dovuto contare di più fra i suoi maggiori interessi: la comprensione delle pratiche di lavoro e delle abitudini operaie.
D’altra parte il disinteresse per l’oggetto stampato gravava pesantemente sul progetto che tendeva a riconoscere le letture di una società o di un gruppo. In effetti esso postulava implicitamente che le forme attraverso le quali un testo è appreso sono senza importanza per il suo significato. In
10 C. Ginzburg, Il formaggio e i vermi. Il cosmo di un mugnaio del ’500, Torino, Einaudi, 1976, pp. xix-xxn; R. Darnton, Il grande massacro dei gatti cit., pp. 257-263.
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tal modo, la storia del libro, sia seriale che quantitativa, restava fortemente dipendente dalla più antica delle storie letterarie che tratta il testo come un’astrazione, come esistente fuori dagli oggetti scritti che lo fanno leggere, e che, conseguentemente, considera la lettura come un’altra astrazione, come un processo universale senza variazioni storiche pertinenti. Ma i testi non sono depositati nei libri, scritti a mano o stampati con il torchio, come semplici ricettacoli. I lettori non li incontrano che inscritti in un oggetto i cui dispositivi ed organizzazioni guidano e costringono l’operazione di produzione del senso.
Troppo a lungo gli storici francesi hanno considerato lo studio materiale del libro come un’erudizione descrittiva, certamente rispettabile, buona per i bibliografi, ma senza grande utilità per una sociologia culturale retrospettiva. La cecità era incresciosa, ignorando che la disposizione della pagina stampata, le modalità del rapporto fra il testo e ciò che non lo è (glosse, note, illustrazioni, indice, tavole ecc.) o ancora lo stesso ordine di pagamento del libro, con le sue divisioni ed i suoi connotati, erano altrettanti dati essenziali per ricostruire i significati di cui un testo poteva essere investito.11 Trascurando le disposizioni e le variazioni propriamente «tipografiche» (nel senso lato del termine) che, insieme, promuovono e orientano la lettura, la storia francese del libro non rispondeva pienamente ad una delle domande fondamentali che intendeva porre, cioè in che cosa e come la circolazione di testi stampati sempre più numerosi ha modificato le idee e le sensibilità?
Al momento di intraprendere con Henri-Jean Martin, sono passati ormai otto anni, la elaborazione della nostra Hì-stoire de l’Edition Fran^aise tale era la situazione della storia
11 D. F. Mac Kenzie, The hook as an expressìve form, in Bibliography and thè Sociology ofTexts. The Panizzì Lectures 1985, London, The British Library, 1986, pp. 1-21.
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del libro in Francia. Da un lato, un’esperienza considerevole, accumulata attraverso lavori monografici di qualità, che permetteva di esaminare una solida sintesi sulla congiuntura della stampa, le corporazioni del libro, le biblioteche private. Dall’altro, dubbi stimolati dalle ricerche condotte fuori di Francia (spesso d’altra parte sul libro francese dell’Ancien Régime) che incrinando le certezze metodologiche troppo ben ancorate, sottolineano le deficienze del sapere costituito, richiamano a considerare i libri e non più soltanto a contarli o classificarli, e infine mettono in luce l’esigenza di una storia della, o meglio delle letture come prolungamento obbligato della storia del libro. La «peculiarità francese» nella storia del libro ci rimetteva, senza dubbio, per la superbia perché i cantieri da aprire lo erano stati, altrove e da parte di altri, esterni o critici rispetto alle tendenze che dominavano tutta la storiografia francese (e non soltanto la storia del libro) e che è facile, se non sempre esatto, riconoscere nella scuola delle «Annales». Ma, nello stesso tempo, l’ambizioso programma che aveva abbozzato L’Apparition du livre che considerava il libro stampato alla stregua di una merce, come un oggetto prodotto con una tecnica specifica e dotato di forme proprie, e come un modo di comunicazione culturale inedito, poteva trovare là il suo rendiconto.
E dunque su questa esperienza e su questi dubbi che si è fondata una nuova maniera di considerare la storia del libro, articolata intorno ad alcune idee fondamentali che ora vorrei presentare. La prima, paradossalmente, si pone in rottura rispetto al libro fondatore di Febvre e Martin. Il suo titolo L’Apparition du livre, e alcune affermazioni della sua prefazione (per esempio «Il libro, questo nuovo arrivato in seno alle società occidentali»; «il libro che ha cominciato la sua carriera a metà del XV secolo...») associano fortemente invenzione della stampa e nascita del libro. Si sa come, poi, l’idea abbia potuto essere riformulata, considerando la stamperia come una vera «comunicazione-rivoluzione» o «media rivoluzione», vedendola come «un punto di demarcazione cui-
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turale che apre una nuova era culturale».12 Contro questa idea, YHistoire de l’Edition Fran^aise (e altri lavori pubblicati in seguito) sostengono che siano riconosciute le forti continuità che legano l’età del manoscritto e il tempo della stampa. La maggior parte degli aspetti considerati caratteristici del libro stampato, dunque dell’invenzione del libro, si riscontrano in effetti, nel manoscritto, almeno durante gli ultimi secoli della sua esistenza senza retaggio. Le profonde trasformazioni avvenute nelle forme, le organizzazioni, gli usi dell’oggetto-libro non potrebbero essere tutte rapportate, al contrario, al solo cambiamento della sua tecnica di fabbricazione. Comprenderle esige una prospettiva di più lunga durata che situa l’interruzione verificatasi verso la metà del XV secolo, certamente importante, in rapporto ad altri: per esempio la sostituzione del codex con il volume», dal libro formato quaderno al libro in rotoli dei primi secoli dell’area cristiana, o l’abbandono del papiro a vantaggio della pergamena e successivamente della carta, d’uso comune in Francia a partire dalla metà del XIII secolo, o inoltre l’avanzata progressiva della lettura con gli occhi fatta in silenzio a spese della pratica tradizionale della oralità obbligata.
Considerata nella lunga prospettiva della storia del libro (che non fu inventato da Gutenberg), il passaggio dalla «cultura scritta a mano» alla «cultura stampata» perde il suo carattere rivoluzionario. Al contrario, si trova sottolineato come il libro stampato è erede del manoscritto. L’eredità concerne, prima, le forme stesse dell’oggetto. Da una parte, tutti i sistemi di riconoscimento che si è tentato di associare all’invenzione di Gutenberg sono molto anteriori a lui: così i segnali che, come le segnature o i richiami a pie’ di pagina,
12 E. L. Eisenstein, The Printìng Press as an Agent of Change. Comunications and Cultural transformations in early Modem Europe, Cambridge, Cambridge University Press, 1979, pp. 19, 26, 33; e The Printing Revolution in Early Modem Europe, Cambridge, Cambridge University Press, 1983 (tr. La rivoluzione inavvertita. La stampa come fattore di mutamento, Bologna, Il Mulino, 1986).
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devono permettere di riunire i quaderni senza disordine; così i segni di riferimento che devono aiutare la lettura, per esempio numerando i foglietti, le colonne e le righe, rendendo visibili le articolazioni della pagina (attraverso l’utilizzazione delle iniziali ornate, delle rubriche, delle lettere marginali), istituendo una relazione analitica, e non soltanto spaziale, fra il testo e le sue glosse, mancando graficamente la differenza fra il testo commentato ed i suoi commenti. Composto di quaderni che possono essere sfogliati, organizzando un chiaro taglio del testo, il codex può essere facilmente ancorato a mo’ di indice, cosa che non era possibile del volu-men difficilmente consultabile e per il quale il riconoscimento di un testo risulta poco agevole. Le concordanze, le tavole alfabetiche, gli indici sistematici si diffondono dunque al tempo del manoscritto: è negli scriptoria monastici e universitari che si inventano queste organizzazioni nazionali del materiale scritto, in seguito riprese dagli stampatori.13
D’altra parte, è durante gli ultimi secoli del libro copiato a mano che si consolida una gerarchia durevole dei formati che distingue il grande foglio, che deve essere poggiato per essere letto e che è libro di università e di studio, dal libro umanistico più maneggevole nel suo formato in quarto, che offre da leggere i testi classici e le novità letterarie, infine dal «libellus», il libro portatile, tascabile o che si legge volentieri, dalle molteplici utilizzazioni, religiose o secolari, e dai lettori più numerosi e meno facoltosi.14 Di questa riparti-
13 M. T. Clanchy, From Memory to Written Record. England 1066-1307, London, E. Arnold, 1979; J. Douglas Farquhar, The Manuscripts as a Book, in Pen to Press: Illustrated Manuscripts and Printed Books in thè First Century of Printing di S. Hindman e J. Douglas Farquhar, University of Maryland e The John Hopkins University, 1977, pp. 11-99; J. Vézin, La fabrication du manuscrit e M. A. Rouse e R. H. Rouse, La naissance des index, in Histoire de TEdition Franose cit., I, pp. 24-47, 76-85.
14 A. Petrucci, Alle origini del libro moderno: libri da banco, libri da bisaccia, libretti da mano, «Italia medioevale e umanistica», XII, 1969, pp. 295-313 (ora in Libri, scrittura e pubblico nel Rinascimento. Guida storica e critica, a cura di A. Pe-
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zione, il libro stampato sarà erede diretto, associando strettamente il formato del libro, il genere del testo, il momento e il modo della lettura. A prova di ciò questa annotazione di Lord Chesterfield, citata da Roger Stoddard: «I formati di un certo rilievo sono gli uomini d’affari con i quali converso ogni mattina, i quarti sono una compagnia più varia con cui mi intrattengo dopo pranzo e trascorro le mie serate nel leggero e spesso frivolo chiacchiericcio dei piccoli ottavi e dodicesimi».15
La stampa non crea dunque un oggetto nuovo, non obbliga a nuovi gesti, non sconvolge le modalità del rapporto con lo scritto. Certamente, essa permette una circolazione dei testi su una scala inedita, sia perché abbassa in modo drastico il costo di fabbricazione del libro, ormai ripartito sulle cinquecento o mille copie di una stessa tiratura e non più sopportati da un unico libro, sia perché accorcia il tempo di produzione che è molto lungo all’epoca del libro copiato a mano, anche dopo l’invenzione della penna e la copia dei quaderni separati.16 Così ogni lettore può avere accesso ad un maggior numero di libri ed ogni libro raggiungere un maggior numero di lettori. Certamente, la stampa autorizza la riproduzione identica (o quasi) dei testi in un gran numero di esemplari, cosa che trasforma le condizioni stesse della loro trasmissione e ricezione. Tuttavia essa non costituisce, a mio parere, una rottura paragonabile a quella che, nel II e III secolo della nostra era, ha condotto gli uomini occidentali a imparare di nuovo l’uso del libro, cambiato nella forma, nella organizzazione, nei suoi possibili usi. Legando fino a noi (ma per quanto tempo ancora?) la circolazione di un
trucci, Roma-Bari, Laterza, 1979) e Id. Il libro manoscritto, in Letteratura italiana, 2, Produzione e consumo, Torino, Einaudi, 1983, pp. 499-524.
15 R. E. Stoddard, Morphology and thè Book from an American Perspective, «Printing History», 17, 1978, p. 17.
16 C. Bozzolo e E. Ornato, Pour une histoire du livre manuscrit au Moyen Age. Trois essais de codicologie quantitative, Paris, Editions du Centre National de la Recherche Scientifique, 1980.
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oggetto specifico, il libro in quaderni (o i suoi derivati: il libello, il periodico, il giornale), questa prima rivoluzione forma un modo di relazione allo scritto, una tecnologia intellettuale, un repertorio di attitudini e di pratiche, che non modificano fondamentalmente le innovazioni nei modi di riprodurre i libri.
Un’altra e forte ragione porta a inserire la cultura della stampa in continuità con quella del manoscritto. E, in effetti, molto prima di Gutenberg che appariva in Occidente un modo di leggere, visuale e silenzioso, che rompe con la lettura orale, sussurrata, per lungo tempo obbligatoria per la maggior parte dei lettori. Paul Saenger ha proposto una cronologia delle avanzate di questa nuova competenza: apparsa dapprima negli ambienti cristiani della tarda antichità, essa arriva agli scriptoria monastici, britannici poi continentali, fra il IX e l’XI secolo, dopo si diffonde nel XIII secolo nel mondo universitario e scolastico prima di conquistare, un secolo e mezzo più tardi, le aristocrazie laiche.17 La tesi può essere discussa: la lettura silenziosa nell’antichità greca e romana, non è più frequente di quanto Paul Saenger non supponga? 18 Essa può essere prolungata: per esempio constatando la persistenza della lettura orale obbligata presso i più popolari ed i meno letterati dei lettori fino al XIX, al XX secolo. Ad ogni modo essa porta l’attenzione su una cesura decisiva. La lettura silenziosa, in effetti, instaura una relazione con lo scritto che può essere più libera, più segreta, tutta interiore. Essa permette una lettura più rapida, per niente sviata dalle complessità dell’organizzazione del libro e le relazioni stabilite fra il discorso e le glosse, le citazioni e i commentari, i testi e gli indici. Essa autorizza anche utilizzazioni differenziate dello stesso libro, letto ad alta voce per gli altri
17 P. Saenger, Silent Reading: its Impact on Late Medieval Script and Society, «Viator. Medieval and Renaissance Studies», 13, 1982, pp. 367-414.
18 B. M. W. Knox, Silent reading in Antiquity, Greek, Roman and Byzantine «Studies», 9, 1968, pp. 421-4 3 5.
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o con gli altri quando la socievolezza o il rituale lo esige o letto in silenzio, per sé, nella solitudine dello studio, della biblioteca o dell’oratorio. Così, per esempio, il libro di preghiere dove si trovano tipograficamente differenziate le parti destinate all’uso ecclesiale, quindi alla declamazione comunitaria, a quelle che devono nutrire una devozione personale, basata su una lettura fatta a bocca chiusa.19 La rivoluzione del leggere precede dunque le rivoluzioni del libro, quella che, alla fine del Medioevo, fa succedere al libro copiato a mano quello composto in caratteri mobili e stampato con il torchio, ma anche quella che, agli inizi della nostra era, sostituisce il rotolo con il codex (anche se si può legittimamente pensare che la nuova forma data allo scritto ha potuto, nelle comunità cristiane, portare la nuova pratica di lettura).
Contro la prospettiva che troppo spesso attribuisce a una sola innovazione tecnica (l’invenzione della stampa) trasformazioni culturali che devono essere collegate sia ai cambiamenti delle forme del libro, sia agli spostamenti dei modi di leggere, bisogna dunque affermare la pertinenza e la necessità di un approccio di lunga durata che insiste sulle continuità nelle quali si inserisce la «print culture». Un tale approccio permette di comprendere le dipendenze durevoli del libro stampato in rapporto al manoscritto e anche la sua progressiva emancipazione, rivelata dall’abbandono di certe forme ereditate e la creazione di nuove: così il carattere romano sostituito dai caratteri gotici, così le note marginali poi infra-paginali che sostituiscono le glosse. Da questo punto di vista, il confine classico che distingue gli incunaboli dagli altri libri non ha molto senso, almeno in Francia. È in effetti a partire dagli anni 1530, e non al 1500, che il libro stampato conosce i cambiamenti decisivi che ne fanno cosa diver-
19 P. Saenger, Books ofHours and thè Reading Hahits of thè Later Middle Ages, «Scrittura e civiltà», 9, 1985, pp. 239-269.
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sa da una semplice copia del manoscritto, semplicemente prodotta con un’altra tecnica.
D’altra parte, il rapporto fra stampato e manoscritto non dev’essere pensato soltanto in termini di sostituzione dell’uno all’altro. La «print culture» non cancella di un colpo tutte le esperienze della «scribal culture». I libri copiati a mano restano numerosi nell’Ancien Régime: scritti clandestini (protestanti, giansenisti, massonici), raccolte di segreti d’ogni sorta, per corporazioni o esoterici, politici o magici, manoscritti «filosofici», portatori dei testi più audaci, notizie e gazzette, insieme concorrenti e dipendenti da quelle che sono stampate. Più generalmente e per una maggior durata, su numerosi oggetti la scrittura manoscritta e i caratteri tipografici si trovano mescolati, sia che l’oggetto stampato abbia previsto l’iscrizione di una scrittura diversa (così, per esempio, gli almanacchi che inseriscono foglietti bianchi fra le loro pagine di testi e diventano così, in parte, diari tenuti dal «pater familias»),20 sia che la scrittura personale vada a depositarsi sul libro come per appropriarselo occupando gli spazi vuoti che offrono l’interno dei piani della rilegatura, i frontespizi, i foglietti senza testo o i margini.21 Comprendere il libro stampato non significa collocarlo in uno splendido isolamento, ma, al contrario, situarlo in una storia globale delle cose scritte, colte nella loro storia lunga, per una epoca fissata, nella loro grande diversità.
Una seconda constatazione ha sotteso il taglio stesso della nostra Histoire de l’Edition Franfaise: quella che designa come un «Angien Régime tipografico» i tre secoli e mezzo che separano l’introduzione della pressa da stampa nel regno (nel 1470 con l’officina della Sorbona) e gli anni a partire dal 1830. Due tratti possono caratterizzare la stabilità di
20 B. Capp, English Almanacs 1500-1800. Astrology and Popular Press, Ithaca, Cornell University Press, 1979, p. 30.
21 C. N. Davidson, Revolution and thè World. The Rise of thè Novel in America, New York e Oxford University Press, 1986, pp. 75-79.
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lunga durata di questo periodo. Da una parte, il processo di fabbricazione del libro non vi è gran che trasformato. Nelle sue strutture, se non nella sua grandezza, l’officina tipografica rimane quella che era alle origini dovendo risolvere gli stessi problemi: l’approvvigionamento di carta (il cui costo costituisce sempre la spesa più importante sostenuta per la stampa di un libro), l’assunzione degli operai necessari, la regolazione del lavoro dei compositori e degli stampatori. L’innovazione, quando esiste, non trasforma fondamentalmente né i tecnici né le azioni. Essa concerne l’organizzazione della composizione con la sostituzione, alla fine del XVI secolo, della «produzione concorrente» (dove compositori e stampatori lavorano, senza dipendenza obbligata, su molti lavori contemporaneamente) alla «produzione continua» (dove un’équipe di compositori e di stampatori, legati esclusivamente gli uni agli altri, era occupata ad un solo compito),22 con l’apparizione nel XVIII secolo della composizione in pacchetto che unisce il lavoro di un capo squadra responsabile della impaginazione e della correzione dei testi e quello di una squadra di tipografi che gli fornisce soltanto delle pagine grezze.23 Essa concerne anche il numero dei torchi, moltiplicato nelle grandi officine (nell’anno II quella di Panckoncke comprendeva 27 torchi).24
D’altra parte fra la metà del XV secolo e gli inizi del XIX secolo, l’attività tipografica resta sottomessa al capitale commerciale. I mercanti librari sono padroni del gioco: cercano, e spesso ottengono, la protezione delle autorità che elargiscono loro privilegi e patrocini; dominano i maestri stampatori ai quali ordinano la stampa delle loro edizioni; con-
22 J.-F. Gilmont, Printers by thè Rules, «The Library», s. VI, 2, n. 2, Giugno 1980, pp. 129-155.
23 R. Darnton, The Business af Englightenment: a Publishing History of thè En-cyclopédie 177^-1800, Cambridge e London, Harvard University Press, 1979, p. 216.
24 R. Darnton, LTmprimerie de Panckoucke en Tan II, «Revue Franose d’Histoire du Livre», 23, 1979, pp. 359-369.
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trollano il mercato del libro sviluppando la libreria di assortimento che permette loro di vendere non soltanto le proprie produzioni, ma anche quelle dei loro colleghi ottenute attraverso il commercio di scambio, infine impongono la loro legge all’autore, rimunerato molto più in copie che in denaro che può anche sparire totalmente quando si tratta di contraffazioni e di riedizioni. Da questi due dati (la stabilità tecnologica e la dominazione del capitale commerciale) ne scaturisce un terzo: la limitatezza delle tirature, generalmente comprese fra mille e duemila esemplari. La necessità di non immobilizzare troppo a lungo le fusioni, costose e possedute in numero esiguo, la paura di non poter vendere rapidamente gli esemplari pubblicati, che bisogna immagazzinare con grandi spese, il desiderio di lasciare libera la maggior parte possibile del capitale dell’impresa, e il fatto che al di là di una certa soglia, nelle condizioni tecnologiche vecchie, l’aumento del numero degli esemplari non comporta che una diminuzione trascurabile del prezzo di costo per foglio25 sono altrettante ragioni che spiegano la fiacchezza delle tirature che è un’altra delle caratteristiche fondamentali dell’«An-cien Régime tipografico».
Durante il XIX secolo, la sua sostituzione con una nuova economia del libro si effettua in due tempi. Negli anni 1830, per prima cosa l’innovazione è tecnica, con una prima industrializzazione della fabbricazione del libro. La pressa meccanica a vapore (che dà la possibilità di stampare 1000 fogli all’ora contro i 150 del passato), la macchina a carta continua, le presse della rilegatura industriale sconvolgono il lavoro dei cartai, dei pressatori, dei rilegatori. Tuttavia, esse non sono sufficienti a rivoluzionare la produzione della stampa. Certamente il numero dei titoli pubblicati annualmente aumenta ma le tirature restano modeste (alla metà del XIX
25 P. Gaskell, A New Introduction to Bibliography, Oxford, At thè Claren-don Press, 1972, pp. 160-163; H.-J. Martin, Les tirages au XVIIIe siede, in Histoi-re de l’Edition Fran^aise cit., II, p. 102.
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secolo la tiratura media non è ancora che di 3000 esemplari)26 e l’editoria rimane dominata dai generi e dai titoli della tradizione. E così che tra il 1816 e il 1850, i tre best-sellers della produzione libraria francese sono le Favole di La Fontaines (con circa 750000 esemplari pubblicati), il Ca-téchisme historique dell’abate Fleury (circa 700000 esemplari) e il Télémaque di Fénelon (circa 60000 esemplari).27 La vera rottura si pone dopo, nella seconda metà del XIX secolo. I tecnici di composizione e di illustrazione si trovano, a loro volta, industrializzati con la comparsa delle linotypes poi delle monotypes e i progressi della fotoincisione. Ma, anche prima di queste innovazioni, la produzione cambia scala, oltrepassando la soglia dei 12000 titoli per anno nel decennio 1850 per raggiungere i 15000 alla fine del secolo. L’aumento delle tirature, moltiplicato per quattro in cinquant’anni, accompagna questa crescita del numero dei titoli stampati.
La chiave di questa evoluzione si trova nell’emergere di nuove categorie di lettori, che dà una dimensione inedita al mercato del libro. Da Guizot a Ferry, la scuola (ma non solo essa) ha alfabetizzato i Francesi, riducendo le antiche differenze fra città e campagna, facendo del saper leggere una competenza quasi universale. Il bambino, la donna, il popolo, queste tre figure fondamentali della mitologia del XIX secolo, ben simboleggiano queste nuove classi di consumatori di stampa, desiderosi di leggere per il piacere o l’istruzione, il divertimento o lo studio.28 Con il Secondo Impero, le loro attese sono esaudite con una totale ristruttura-
26 J. S. Allen, Popular French Romanticism. Authors, Readers and Books in thè 19th Century, Syracuse University Press, 1981, pp. 134-135 (tr. Il romanzo popolare. Autori lettori e libri in Francia nel secolo XIX, Bologna, Il Mulino, 1990); F. Bar-bier, Une production multipliée, in Histoire de PEdition Fran^aise cit., Ili, pp. 102-121.
27 M. Lyons, Le triomphe du livre. Une histoire sociologique de la lecture dans la France du XIXe siede, Paris, Promodis/Editions du Cercle de la Libraire, 1987, pp. 76-104.
28 J. Hébrard, Les nouveaux lectures, in Histoire de PEdition Fran^aise cit., Ili, pp. 470-509.
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zione del mondo dell’editoria. Il dato più importante è senza dubbio la trasformazione della circolazione del giornale. Per lungo tempo caro, venduto solamente per abbonamento e, malgrado le iniziative di Girardin nel decennio 1830, accessibile solo ad una clientela relativamente agiata, il giornale diventa, grazie al suo costo diminuito (un centesimo la copia), grazie alla sua diffusione ampia assicurata dal treno e dalla posta, grazie alla vendita giornaliera, la più popolare delle letture. Tutta una gamma di stampe nuove, che non sono o non sono veramente dei libri, si trova allora proposta ai lettori recentemente conquistati: il quotidiano le cui appendici staccabili possono essere collezionate e rilegate, i giornali settimanali o bi-mensili che non pubblicano che romanzi a puntate, le serie vendute a dispense, poi in fascicoli, più spessi e di formato più piccolo, infine i romanzi a tredici poi quattro centesimi. Libri-giornali o giornali-libri, questi prodotti inediti procurano alla stampa una clientela mista ma, a colpo sicuro, largamente popolare e femminile.29 Così, dopo il 1860, se la stampa estende la sua influenza su una società intera, dando a ciascuno la lettura che gli conviene — o che è ritenuta conveniente per lui — questa egemonia passa attraverso una trasformazione profonda dell’economia editoriale che assegna la parte meno bella al libro e quella migliore alla emancipazione della sua dominazione: il giornale, il periodico, la rivista.
Malgrado ciò, la data del 1830 ci è parsa una cesura importante e l’abbiamo ritenuta capace di separare il secondo e terzo volume della nostra Histoire de l’Edition Frangaise. Perché? Rendere ragione di questa decisione richiede di ritornare sulla definizione stessa del progetto che si voleva: una storia dell’editoria, non una storia del libro. In effetti i temi diversi, eclatanti, che quest’ultima aveva esaminato,
29 A.-M. Thiesse, Le Roman du quotidien. Lecteurs et lectures populaires à la Belle Epoque, Paris, Le Chemin Vert, 1984.
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nelle sue molteplici dimensioni, devono essere riuniti a partire dal processo che darà loro unità. Il lavoro editoriale, che sceglie o ordina i testi, che controlla le operazioni attraverso le quali questi diventano libri, che assicura loro diffusione presso i compratori, costituirà l’evidente processo fondamentale in cui si incrociano storia dei tecnici e storia della produzione, sociologia del mondo dei librai e sociologia della lettura, studio materiale dei libri e studio culturale dei testi. Il concetto di editoria è stato dunque posto al centro del nostro lavoro. Da ciò, necessariamente, scaturisce una domanda sulle sue variazioni storiche, le forme successive che sono loro proprie, le rotture che scandiscono la sua traiettoria.
Nella storia lunga del libro, sembrano succedersi tre modi di editoria. Il primo, anteriore alla stampa, costituisce l’editoria come il fatto di rendere pubblico un testo il cui manoscritto è stato verificato e autenticato dall’autore. La lettura pubblicata fatta in una università o alla corte di un re o di un nobile, l’inizio di un bell’esemplare curato per un destinatario potente, la consegna dell’opera a un’istituzione (per esempio un ordine religioso) che si incarica di diffonderla, qualche volta la vendita o la locazione del manoscritto a un libraio: tali sono le differenti maniere di «stampare» un testo nel Medioevo.30 Ognuna significa che l’autore autorizza la circolazione del suo testo, permettendo che ne siano fatte nuove copie anche fuori del suo controllo. Questa prima forma del processo di editoria ha potuto essere invocata per sostenere la continuità fra il libro manoscritto e il libro stampato dal momento che l’uno e l’altro sono riprodotti, in molte dozzine o centinaia di esemplari, a partire da un testo corretto, riveduto, autorizzato — Yarchety-pum o esemplar all’epoca del manoscritto — che serve da esemplare di riferimento e da modello da copiare. In ogni
30 P. Bourgain, L’édition des manuscrits, in Histoire de l’Edition Fran^aise cit., I, pp. 48-75.
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caso, essa non sarà del tutto cancellata all’epoca della «print culture» dal momento che la lettura d’autore, o, più in generale, la lettura ad alta voce di testi copiati a mano (rimanendo alcuni manoscritti, essendo altri in seguito stampati) resterà uno dei mezzi di rendere pubbliche le opere, di «pubblicarle» nelle società dei salotti letterari e delle accademie dotte.
Nell’«Ancien Regime tipografico», fra la metà del XV secolo e il primo terzo del XIX secolo, l’editoria è prima di tutto un’attività commerciale. I mercanti di libri parigini e lionesi dell’epoca dell’Umanesimo, dalle solide fortune,51 i grandi librai della capitale nel XVIII secolo coccolati dal potere reale che accorda loro privilegi e poteri,52 le potenti società tipografiche installate sul circuito del regno nel XVIII secolo, incarnano questa maniera di essere editore che incrocia due logiche. La prima è la logica del capitalismo commerciale imposta dalla domanda e dal mercato: la libreria antica si identifica così con un’impresa commerciale che richiede grossi stanziamenti di fondi, audacia e un’attenzione particolare rivolta alla vendita. Ma, nello stesso tempo, questa forma di editoria rimane presa nella logica del patronato. Tutti gli editori dell’Ancien Regime, ivi compresi quelli che pubblicano testi proibiti (pensiamo, per esempio, al consorzio che produce l’edizione di Neuchàtel déWEncyclopédie, studiata da Robert Darnton) cercano la benevolenza delle autorità monarchiche poiché sono loro che distribuiscono i permessi (registrati o verbali) proteggono dai concorrenti, tollerano o proibiscono. Il regime giuridico della libreria antica, con le sue diverse categorie di permessi e di privilegi, la sua censura preliminare e la sua politica del libro, conduce
31 A. Parent, Les métiers du livre à Paris au XVIe siècle (1535-1560), Genève, Libraire Droz, 1974; N. Zemon Davis, Le monde de l’imprimerie humaniste: Lyon, in Histoire de PEdition Franose cit., I, pp. 254-277.
32 H.-J. Martin, Livre, pouvoirs et société cit., II, pp. 662-731.
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senza dubbio a questo forte legame fra l’editoria e il potere. Ma ciò esprime senza dubbio qualche cosa di più profondo: una mentalità d’Ancien Régime (d’altronde condivisa da un gran numero di scrittori) che considera l’intraprendere sempre un intraprendere a carico di un concorrente, che immagina senza contraddizione la libertà (del commercio o delle idee) e la protezione dello Stato, dispensatore di posti e di favori, che associa le speculazioni ardite e le dipendenze accettate.
L’editoria come professione autonoma e l’editore nel senso moderno del termine appaiono dunque tardi in Francia, senza dubbio intorno al 1830. Erano necessarie per questa emergenza due condizioni: da una parte che il lavoro di editoria s’emancipasse dal commercio librario con il quale, in precedenza, era confuso; d’altra parte, che tutto il processo di produzione di un libro (dalla scelta del manoscritto alle soluzioni tecniche, dalle scelte estetiche alle decisioni commerciali) fosse concentrato nelle mani di un solo uomo. Non è dunque sorprendente che l’apparizione dell’editore sia stata legata al successo del libro illustrato che, più degli altri, esige questa ferma unità del progetto e dell’esecuzione. L’editore Léon Curmer ne porta testimonianza nel suo saluto alla commissione dell’Esposizione dei prodotti dell’industria francese nel 1839: «Il commercio librario, come lo si intende in generale, non consiste in altro che in uno scambio di danaro con fogli stampati che il legatore consegna poi in volumi. L’arte libraria presa da questo punto di vista aveva perduto il carattere intellettuale che i nostri predecessori avevano saputo darle [...]. L’arte libraria ha acquisito oggi un’altra importanza, e lo deve alla professione di editore che si è inserita accanto ad essa dopo l’introduzione dei libri illustrati [...]. L’editore, intermediario intelligente fra il pubblico e tutti i lavoratori che concorrono alla produzione di un libro, non dev’essere estraneo a nessuno dei dettagli del lavoro di ciascuna di queste persone [...]. Questa professione è più che un mestiere, è diventata un’arte difficile da esercita-
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re, ma che compensa largamente le sue difficoltà con godimenti intellettuali di ogni istante».33
Un tale passo attesta chiaramente l’invenzione di una professione, designata come tale, che costituisce la sua specificità in due modi. Prima separandosi dalle tecniche della stampa e da quelle, commerciali, dell’arte libraria. Poi, ponendosi accanto ad attività intellettuali ed artistiche, cosa che significava provare a conferire al nuovo mestiere una legittimità inedita, dello stesso ordine di quella di cui potevano proclamarsi gli autori. Da qui, inevitabilmente, una tensione fra questo ideale intellettuale, che fa sì che l’editore dedichi la maggior parte del suo tempo alla lettura dei manoscritti, agli incontri con gli autori, alla costituzione del suo capitale che diventa il suo unico debito, e la realtà delle violenze che pesano sulla sua attività economica. La inconsistenza del credito bancario, cronica nella Francia del XIX secolo, l’asprezza della concorrenza, resa ancora più dura dal ricorso alla pubblicità, le nuove esigenze degli autori che sempre più vogliono o devono vivere della loro penna sono altrettante minacce per l’attività editoriale.
I fallimenti, sopravvenuti numerosi intorno al 1830, poi alla fine degli anni 1840, poi ancora all’epoca della «crisi del libro» nel decennio 1890, sono la traduzione di questi assestamenti dell’editoria nuova. Ma, nello stesso tempo, ogni periodo di crisi appariva, nel XIX secolo, come una condizione per l’innovazione. Così, dopo gli anni bui intorno al 1830, l’editoria inventa argomenti nuovi, riduce i formati (ad esempio con i classici Charpentier in formato in-18), copia dal giornale la formula del libro pubblicato in fascicoli e dispense abbondantemente illustrate, vendute a buon mercato e lanciate con la pubblicità. Ugualmente, i fallimenti prima del 1848, rivelando l’insuccesso del progetto tornanti-
33 O. Martin e H.-J. Martin, Le monde des éditeurs, in Histoire de l’Edition Franose cit., Ili, pp. 158-215.
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co che sognava di mettere alla portata dei meno abbienti le letture più belle dei libri, aprono la strada ai grandi successi della seconda metà del secolo: quelli di Luois Hachette, di Pierre Larousse o di Jules Hetzel che soddisfano le nuove domande di lettura spostate verso i manuali scolastici, i libri per la gioventù, la letteratura di stazione, le opere enciclopediche. Infine, il crollo significativo della fine del secolo, che può essere letto come una crisi di sovraproduzione, ha un duplice effetto: opera una scelta drastica fra gli editori affermati, contrastando quelli che hanno molta forza per resistere alla scossa e quelli che affondano definitivamente con i tempi difficili; esso porta alla nascita di due editori nuovi che vanno a dominare tutta la produzione letteraria del periodo compreso fra le due guerre (nel 1907, le Edizioni Nuove fondate da Bernard Grasset, nel 1911 le Edizioni della Nuova Rivista Francese diventate Edizioni Gallimard otto anni più tardi).34 Con la crisi, l’editoria deve rinforzare le sue strutture: al tempo degli editori, di questi imprenditori concorrenti che inventano una professione, succede quello delle case editrici, organizzate in servizi dalle competenze distinte e complementari (la direzione letteraria, la fabbricazione, la gestione commerciale, la pubblicità).35 In quale misura questa traiettoria e questa cronologia francese, che fa succedere tre definizioni e tre modi del tutto differenti dell’attività editoriale, valgono per altri paesi? Solo le storie nazionali dell’editoria attualmente in cantiere o in progetto permetteranno di decidere in proposito.
Di pari passo con la rivalutazione del concetto di editoria va il concetto di lettura. Lo si è detto per troppo tempo: la storia francese del libro ha implicitamente considerato la lettura del tutto simile a ciò che essa è oggi e come una
54 E. Parinet, L’édition littéraire, 1890-1914, in Historie de l’Edition Franose cit., IV, pp. 148-187.
35 E. Parinet e V. Tesnière, Une entreprise: la maison d’édition, in Histoire de l’Edition Franose cit., pp. 122-147.
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passiva ricezione dei messaggi portati dagli oggetti stampati. La revisione è stata doppia e fruttuosa. In primo luogo, la comprensione delle divisioni socio-culturali a partire dai soli indicatori statisticamente misurabili (per esempio i tassi d’alfabetizzazione o le pressioni della ineguale presenza del libro secondo gli ambienti sociali) è apparsa un po’ insufficiente. Seguendo una sociologia culturale più preoccupata degli usi che delle distribuzioni, la storia del libro mutata in storia della lettura si è dunque sforzata di ricostruire le maniere contrastate con cui lettori diversi apprendevano, maneggiavano, si appropriavano dei testi. Così erano definiti il programma e i principi di una storia dei modi di leggere, scelti nelle loro variazioni cronologiche e differenziazioni socioculturali.
Alcuni contrasti fondamentali hanno orientato l’approccio. Abbiamo già incontrato quella che appare la lettura necessariamente oralizzata e quella che può essere fatta solo con gli occhi e in silenzio, senza questa subvocalizzazione che i latini chiamano «ruminatio». Essa può rendere conto contemporaneamente di una profonda trasformazione delle pratiche intellettuali degli ambienti letterari, lettori silenziosi a partire da prima dell’invenzione della stampa, e della lunga persistenza di uno scarto culturale fondamentale che riconosce i più sprovveduti dal fatto che devono leggere a voce alta o bassa per poter comprendere ciò che leggono.
Secondo contrasto: fra le letture della solitudine, del ritiro, del segreto e le letture fatte in pubblico. Perché è così nel nostro mondo, la lettura è stata tradizionalmente percepita come l’atto per eccellenza dell’intimità individuale, come una pratica fondamentalmente privata. E, certamente, testi ed immagini testimoniano questo forte rapporto fra l’attività lettrice e il ritiro fuori dal mondo. Ma bisogna riconoscere che è così per altre letture non fatte per niente nell’isolamento, né solitarie, né silenziose. Da qui, l’interesse, recente in Francia, per le istituzioni che permettono di leggere senza comprare e dove l’incontro con il libro si fa in uno 11
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spazio collettivo: così le collezioni aperte al pubblico e i gabinetti di lettura, così le biblioteche municipali, nutrite dalle confische rivoluzionarie, così le biblioteche scolastiche e le biblioteche popolari, nelle loro ispirazioni contrastate, filantropiche o associative. Da qui, parallelamente, l’attenzione prestata a tutte le forme della lettura ad alta voce, intesa non solamente come il mezzo per far partecipare gli analfabeti alla cultura dello scritto, ma anche e soprattutto, come una forma di socievolezza, familiare, mondana o colta, dunque fatta da parte di chi sa leggere a chi sa leggere. Dalla diligenza alla taverna, dal salotto all’accademia, dall’incontro amichevole alla riunione domestica, numerose sono le circostanze fra il XVI e il XIX secolo nelle quali leggere ad alta voce, per gli altri, è un gesto comune, atteso. La lettura non è dunque soltanto un aspetto dell’intimo o del privato, è anche cemento ed espressione del vincolo sociale.36
Tale differenza: la diversità riconosciuta fra lettura letterata e lettura «popolare». La colletta paziente di ciò che i lettori più umili hanno detto o scritto della loro lettura come la ricostituzione della lettura implicita iscritta nelle cose stampate che erano destinate, se non esclusivamente, perlomeno in modo massiccio, ai lettori popolari (nel senso largo del termine) hanno permesso di caratterizzare, nella sua differenza, un modo di leggere che non è quello dei virtuosi del libro. Esso esige segni di riferimento espliciti e moltiplicati, titoli numerosi, riassunti frequenti, l’aiuto dell’immagine; non sembra a proprio agio che con sequenze brevi e chiuse su se stesse; sembra essere soddisfatto di una coerenza minima e procede per associazione di unità testuali (capitoli, frammenti, paragrafi) disgiunti gli uni dagli altri. Discontinua, approssimativa, esitante: ma tale maniera di leggere orienta le strategie editoriali poiché dà le loro forme
36 R. Chartier, Leisure and Sociabìlity. Reading Aloud in Early Modem Europe, Urban Life in thè Renaissance, S. Zimmerman e R. Weissman editors, Associate University Presses, 1990.
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agli argomenti tipografici proposti al più gran numero e guida il lavoro di adattamento che modifica un testo quando è dato da leggere a nuovi lettori, meno letterati, in una nuova formula editoriale, meno costosa. Essa definisce anche una relazione particolare alla cultura stampata, un modo specifico di comprensione che tracciano una frontiera culturale fondata non più soltanto sulla disuguale ripartizione del libro nella società, ma sui diversi usi fatti di testi che possono essere comuni a diverse categorie di lettori.37
Oggi questi contrasti macroscopici se conservano la loro validità, devono essere affinati ponendo l’attenzione verso differenze di più piccola scala. Riconoscerle implica, per esempio, di considerare lo statuto specifico che il tale o il talaltro ambiente da un libro particolare il cui uso definisce ciò che deve essere ogni lettura: così la Bibbia fra i protestanti calvinisti e pietisti, il libro di magia o l’almanacco in alcune società rurali, il romanzo per molti lettori cittadini dopo il 1750, o ancora i libri di Rousseau per una élite istruita.38 Con un tale approccio, la stessa definizione della differenza sociale può essere ripensata. Fedele alle scansioni maggiori stabilite dalla storia sociale, la storia francese del libro (e della lettura) è rimasta a lungo prigioniera di un modo di organizzare le opposizioni fra i gruppi partendo dai loro soli scarti socio-economici. Cosa che spiega il favore dato all’antinomia fra cultura delle élite e cultura popolare, oggetto di molti lavori. La storia di lunga durata delle abitudini di lettura insegna, tuttavia, che si tratta di divisioni che metto-
57 R. Chartier, Lectures et lecteurs dans la France dAncien Régime, Paris, Edi-tions du Seuil, 1987 (tr. Letture e lettori nella Francia di Antico Regine, Torino, Einaudi, 1988).
38 D. D. Hall, Introduction. The Uses ofLiteracy in New England, 1600-1850, in Printing and Society in Early America, edito da W. L. Joyce, D. D. Hall, R. D. Brown e J. B. Hench, Worcester, American Antiquarian Society, 1983, pp. 1-47; D. Fabre, Le livre et sa magie, in Pratiques de la lecture, sotto la direzione di R. Chartier, Marseille, Rivages, 1985, pp. 181-206; R. Darnton, Readers Re-spond to Rousseau: The Fabrication ofRomantic Sensitivity, in The Great Cat Massacre cit., pp. 214-256.
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no in gioco altre divisioni: fra uomini e donne, fra cittadini e rurali, fra cattolici e riformisti, ma anche fra le generazioni, i mestieri, i quartieri. Partendo da qui, come effetto di rimando, la storia della cultura stampata può aiutare la storia sociale e riformulare le sue idee.
Ma la posta in gioco di una storia della lettura non consiste soltanto in questo. Essa si inserisce, in effetti, in un’apparente contraddizione: o è affermata l’onnipotenza del testo e il suo potere di oppressione sul lettore, ma allora la lettura non può più essere considerata come una pratica autonoma e le sue variazioni non contano gran che; o è concepita come fondamentale la libertà del lettore, produttore inventivo di opinioni singolari non rinchiuse nel testo stesso, ma allora la storia della lettura rischia di disperdersi in un numero indefinito di esperienze non riconducibili le une alle altre. Trasformare in tensione operatoria ciò che potrebbe apparire come un’insormontabile aporia, tale è il disegno di una storia delle pratiche di lettura che, per ogni tempo e ogni luogo, tende a identificare le modalità diverse del leggere che modellano i gesti individuali, e che pone al centro della sua interrogazione i processi attraverso i quali, di fronte a un testo, un lettore o una comunità di lettori produce un significato che gli è proprio. La costruzione del senso, storicamente e socialmente variabile, si trova dunque compresa all’incrocio: da una parte, le caratteristiche dei lettori (dotati di competenza specifica, identificati dalla loro posizione sociale e le loro attitudini culturali, caratterizzate dalla loro pratica del leggere) e, dall’altra parte, le disposizioni scritturali e formali — diciamo i «tipografici» nel caso dei testi stampati — che sono quelli dei testi appropriati attraverso la lettura. La constatazione permette di delineare uno spazio di lavoro che situa ogni processo di produzione di significato come una relazione mobile, differenziata, dipendente dalle variazioni, simultanee o separate, del testo stesso, delle messe in stampa che lo danno a leggere e della modalità della sua lettura (silenziosa o oralizzata, socializzata
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o laicizzata, comunitaria o solitaria, pubblica o privata, rudimentale o virtuosa ecc.). Un legame alquanto paradossale tenuto conto di quello che era la «peculiarità francese» nella storia del libro, si riannoda così allo studio della materialità degli argomenti tipografici, alla riflessione sulle strategie, alle forme testuali e alla storia delle pratiche culturali. Esso fonda una nuova identità che riunisce delle culture che fino ad allora si ignoravano l’una con l’altra, che ricerca le differenziazioni più socialmente radicate nei dispositivi più formali, che invita ad uno stesso lavoro storici dei testi, «physi-cal bibliographers» e storici delle divisioni socio-culturali. Di questo intreccio inedito fra tradizioni nazionali e altre che non lo sono, di questo ritorno al testo e all’oggetto che non intende tuttavia perdere niente della tradizione degli «Annales», una nuova «peculiarità francese» può forse nascere, o meglio, una nuova comunità di sapere che non delimita le frontiere nazionali.
E ciò, tanto più che le domande che la storia del libro, dell’editoria e della lettura può riformulare non sono più chiuse nei territori nazionali. La circolazione dello scritto stampato e le pratiche della sua lettura, in tutte le loro modalità, sono poste al centro di tutte le maggiori evoluzioni che trasformano la civilizzazione europea, o in senso più lato occidentale, fra la fine del Medioevo e l’età contemporanea. È così per il processo di civilizzazione quale lo ha identificato Norbert Elias e che articola sulla costruzione dello Stato moderno e le formazioni sociali che produce (per esempio la società di corte) il mutamento delle regole e delle norme che controllano i comportamenti individuali.39 Nell’inculcare questi nuovi obblighi che reprimono gli affetti, censurano le pulsioni, elevano la soglia del pudore, la stampa gioca un ruolo
39 N. Elias, Uber den Prozess der Zivilisation. Soziogenetische und psychogene-tische Untersuchungen, Basel, Haus zum Falken, 1939, Bern, Verlag Francke AG, 1969, e Frankfurt, Suhrkamp, 1978-79 (tr. Il processo di civilizzazione, Bologna, Il Mulino, 1988).
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essenziale perché fissa e chiarisce i gesti legittimi e quelli che non lo sono più e perché porta, fuori del mondo ristretto della corte, la civiltà nuova, insegnata a scuola, presente nella letteratura popolare. Capire come un nuovo modo d’essere nel mondo ha potuto essere posto a una intera società esige dunque di considerare con attenzione i luoghi sociali che lo comunicano (la corte, la famiglia, la scuola, la chiesa), ma anche i libri che lo trascrivono e trasmettono, e il loro funzionamento.40
Seconda grande traiettoria, fondata anch’essa sul libro: quella che costituisce una sfera privata dell’esistenza, separata dai controlli comunitari e sottratta all’influenza dello Stato. Per Philippe Ariés, la padronanza del saper leggere e del saper scrivere, la circolazione più densa dello scritto, manoscritto o stampato, la diffusione della lettura silenziosa che instaura un rapporto intimo e segreto fra il lettore e il suo libro, sono tutte condizioni perché possa affermarsi la nozione stessa di «privacy».41 Certamente, come abbiamo già detto, leggere ad alta voce, per gli altri o per sé, leggere a molti, per lavoro o nel tempo libero, sono gesti che resistono al processo di «privatizzazione», o che ne propongono una forma che non è quella del ritiro dell’individuo solitario fuori dal mondo. Tuttavia, la tendenza fondamentale è proprio quella che fonda sul rapporto personale con lo scritto sia le nuove religiosità, che modificano radicalmente il rapporto dell’uomo con il sacro, sia le esperienze che permettono la costruzione dell’io intimo. La posta in gioco della sto-
40 R. Chartier, Distinction et divulgation: la civilité et ses livres, in Lectures et lecteurs dans la France d’Ancien Regime cit., pp. 45-86 (tr. Distinzione e divulgazione: la civiltà e i suoi libri, in Letture e lettori nella Francia di Antico Regime cit., pp. 3-66).
41 P. Ariès, Pour une histoire de la vie privée, in Histoire de la vie privée, sotto la direzione di P. Ariès e G. Duby, Paris, Editions du Seuil, III, De la Renaissance aux Lumières, 1986, pp. 7-19 (tr. Per una storia della vita privata, in Storia della vita privata, III, Bari-Roma, Laterza, 1987, pp. 6-21).
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ria della lettura, in questa prospettiva, è dunque il tracciato della frontiera, mobile, instabile, fra il privato e il pubblico, e anche la definizione stessa di diverse forme del privato, incastrate o concorrenti: la solitudine individuale, l’intimità familiare, la sociabilità conviviale.42
Ma le pratiche di lettura sono anche al centro del processo che vede l’emergenza, di fronte all’autorità dello Stato, d’un nuovo spazio pubblico, di una «sfera pubblica politica» per riprendere le stesse parole di Jiirgen Habermas.45 Con Kant, può essere definita come uno spazio di dibattito e di critica in cui i soggetti privati fanno un uso pubblico della loro ragione, in tutta uguaglianza, qualunque sia d’altronde la loro condizione, e senza che nessun limite possa essere messo all’esercizio del loro giudizio.
Questa «sfera pubblica politica», apparsa dapprima in Inghilterra, poi in Francia e sul continente, è portata dalle forme di sociabilità, più o meno istituzionalizzate, dell’età dei Lumi (salotti, circoli, caffè, società letterarie) ed è resa possibile dalla circolazione dello scritto stampato. Ascoltiamo Kant: «Intendo, attraverso il concetto di uso pubblico della nostra ragione, colui che è stato considerato come sapiente davanti all’insieme del pubblico che legge». L’opinione pubblica si trova così identificata con una comunità di lettori che fanno duplice uso della stampa: nella convivialità delle letture in comune che cementano le forme nuove della socievolezza intellettuale, nella riflessione solitaria e tuttavia condivisa che autorizza la circolazione del libro. Così percepita, la storia della lettura è uno dei maggiori temi di uno studio della costituzione della cultura politica moderna, che affer-
42 R. Chartier, Les pratiques de l’écrit, in Histoire de la vie privée III, cit., pp. 112-161 (tr. La pratica della scrittura, in Storia della vita privata cit., t. III).
43 J. Habermas, Strukturwandel der Offentlichkeit, Neuwied and Berlin, Her-
mann Luchterhand Verlag, 1962 (tr. fr. L’Espace public. Archeologie de la publicite
comme dimensioni constitutive de la société bourgeoise, Paris, Payot, 1978).
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ma di fronte alla potenza del principe, la legittimità della critica, che plasma la comunità civica sulla comunicazione e la discussione delle opinioni individuali.
Di queste tre traiettorie, tutte concernono la Francia, ma nessuna le è propria. Comprenderle a partire dalle pratiche di lettura richiede, dunque, necessariamente, di porsi in una prospettiva comparatista. Da ciò una constatazione per concludere. Potrebbe sembrare che la storia del libro, in questo momento, si ripieghi sugli spazi nazionali, con la fioritura, un po’ dappertutto, di progetti di storie dell’editoria. Il lavoro è senza dubbio indispensabile perché, paese per paese, sia fatto il punto delle conoscenze e disegnato il programma delle indagini da condurre. Tuttavia, mi sembra che tali imprese trovino il loro vero significato se possono condurre a pensare altrimenti, in una nuova luce, le evoluzioni che hanno segnato, con degli spostamenti, con delle differenze, tutte le società d’Europa e d’America. La storia del libro, diventata storia dell’editoria e storia della lettura, ha molto da insegnare sul modo in cui, fra il XV e il XX secolo, si sono trasformate le condizioni dell’esercizio del potere, le fratture fra i gruppi e le classi, le pratiche culturali, i modi di essere in società. Non si tratta dunque tanto di caratterizzare la «printing revolution» nei suoi tratti specifici, ma di comprendere come il libro e i suoi usi, prima e dopo la stampa, hanno dato i loro aspetti appropriati alle evoluzioni principali che hanno trasformato le società da una parte all’altra dell’Atlantico.
La «peculiarità francese» nella storia del libro non è più quella che era: le domande venute dal di fuori, i dubbi nati all’interno hanno fatto andare in frantumi l’identità forgiata negli anni 60 attorno a una storia seriale e sociale. Lo spazio del lavoro degli storici francesi che pensano che la produzione, la circolazione e l’appropriazione dei libri siano doni fondamentali della storia delle civilizzazioni non è più loro caratteristica: esso è diviso con altri che, anch’essi, si dislocano fra lo studio dei testi, quello degli oggetti scritti e quello
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delle loro letture. Bisogna dunque dire che oggi, nella storia del libro, «la peculiarità francese non esiste più?» Può essere. A meno che non siano ritenuti come tipicamente francesi la volontà di mettere la storia della cultura stampata al servizio di problemi di grande portata, il gusto per la lunga durata, fino alla irragionevolezza, il tentativo di legare «case studies» e seguenze globali. Ciò è sufficiente per stabilire la diagnosi del «modo di essere francese»? Sta a voi decidere.
Roger Chartier
(Traduzione di Gianfranco Tortore Ili)
Post-scriptum
Questo saggio è stato presentato, sotto il titolo Frenchness in thè History of thè Book: Front thè History of Publishing to thè Histo-ry of Reading, al «The 1987 James Russell Wiggins Lecture in thè History of thè Book in American Culture at thè American Anti-quarian Society», ed è stato pubblicato in francese in «Archives et Bibliothéques de Belgique / Archiefen Bibliotheekwezen in Bel-giè», 60, 1987, n. 1-2, pp. 161-189.
Dopo quella data numerosi lavori francesi (o dedicati alla Francia) hanno aperto nuovi cantieri e proposto nuove prospettive. Noi li menzioneremo in questo post-scriptum bibliografico.
I principali temi trattati sono:
1) La storia lunga delle forme del libro e dei supporti della scrittura, con una attenzione soprattutto: a) al passaggio dal volu-men al codex (Lex débuts du codex, Atti della giornata di studi organizzata a Parigi il 3 e 4 luglio 1985, pubblicati da A. Blan-chard, Turnhout, Brepols, 1989); b) al passaggio dal codex al com-piuter (Texte et ordinateur: les mutations du lire-écrire, sotto la direzione di J. Anis e J. L. Lebrave, La Garenne-Colombes, Editions de l’Espace Européen, 1991, e R. Chartier, Le ntessage écrit et
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ses réception. Du codex à iécran, «Revue des Sciences morales et politiques», 1993, pp. 295-313). Per una visione d’insieme, J.-F. Gilmont, Le Livre, du manuscrit à Vére électronique. Notes de bibliologie, Liège, Editions du C.E.F.A.L., 1993.
Numerose pubblicazioni hanno resa familiare agli storici francesi la bibliografia anglo-americana: ad esempio la raccolta di saggi di J. Veyrin-Forrer, La lettre et le texte. Trente années de recher-ches sur rhistoire du livre, Paris, Collection de l’Ecole Normale Su-périeure de Jeunes Filles, 1987, e la traduzione dell’opera di D. F. McKenzie, La Bibliographie et la sociologie des textes, préface de R. Chartier, Paris, Editions du Cercle de la Librairie, 1991 (traduzione francese di Bibliography and thè Sociologi of Texts, The Panizzi Lectures, 1985, Londra, The British Library, 1986).
2) I rapporti tra il manoscritto e la stampa, visti da due punti di vista: a) la circolazione della stampa nell’età del manoscritto (De bonne main. La communication manuscrite au XVIII siècle, a cura di F. Moureau, Paris, Universitas, e Oxford, Voltaire Foundation, 1993); b) le relazioni tra lettura e scrittura (La Correspon-dance. Les usages de la lettre au XIXe siècle, a cura di R. Chartier, Paris, Fayard, 1991; e Ecritures ordinaires, sotto la direzione di Daniel Fabre, Editions P.O.L./Centre Georges Pompidou, 1993).
3) La storia della lettura. Si troverà una bibliografia per gli anni 1985-1992 nella riedizione di Pratiques de la lecture, sotto la direzione di Roger Ghartier, Editions Payot et Rivages, 1993. Tra i lavori più importanti si possono segnalare: J. Svenerò, Phrasik-leia. Anthropologie de la lecture en Gréce ancienne, Paris, Editions La Découverte, 1988; C. Salles, Lire à Rome, appendice di R. Martin, Paris, Les Belles Lettres, 1992; La Réforme et le livre. L'Europe de rimprimé (1517-1570) redatto da J.-F. Gilmont, Paris, Les Editions du Cerf, 1990; J. M. Goulemot, Ces livres quon ne lir que d'une main. Lecture et lecteurs de livres pomographiques au XVIIP siècle, Aix-en-Provence, Alinéa, 1991; R. Darnton, Edi-tion et sédition. L’univers de la littérature clandestine au XVIIP siècle, Paris, Gallimard, 1991; C. Labrosse, Lire au XVIIP siècle. La Nouvelle Héloìse et ses lecteurs, Lyon, Presses Universitaires de Lyon, 1985; A.-M. Chartier et J. Hébrard, Discours sur la lecture (1880-1980), Bibliothèque Publique d’Information, Centre Georges Pompidou, 1989. Cfr. anche i due volumi collettivi: Les Usages
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de l'imprimé (XVe-XIXe siede), sotto la direzione di Roger Chartier, Paris, Fayard, 1987, e Espaces de la letture, sotto la direzione di Anne-Marie Christin, Paris, Editions Retz, 1988.
Alla storia della lettura bisogna collegare quella delle biblioteche totalmente rinnovata dopo la pubblicazione dei 4 volumi della Histoire des bibliothèques frangaises, Paris, Promodis-Editions du Cer-cle de la Librairie, tome I, Les bibliothèques médiévales. Du VP siède à 1530, sotto la direzione di André Vernet, 1989, t. II, Les bibliothèques sous l'Ancien Régime, 1530-1789, sotto la direzione di Claude Jolly, 1988, t. Ili, Les bibliothèques de la Révolution et du XIXe siède, sotto la direzione di D. Varry, 1991, t. IV, Les bibliothèques au XXe siède, 1914-1940, sotto la direzione di M. Poulain, 1992. È anche da vedere S. Balayé, La Bibliothèque Nationale des origines à 1800, Genève, Librairie Droz, 1988.
4) La storia dell’edizione. Per i secoli XVI-XVIII si indicherà il colloquio Le Livre dans l'Europe de la Renaissance, atti del XXVIII6 Colloque international d’Etude humanistes de Tours, Promodis/Editions du Cercle de la Librairie, 1988 e la raccolta di articoli di H.-J. Martin, Le Livre francais sous l'Ancien Régime, Promodis/Editions du Cercle de la Librairie, 1987.
Sui giornali sono da vedere Dictionnaire des journaux. 1600-1789, sotto la direzione di Jean Sgard, Paris, Universitas, 1991, e il colloquio Les Gazettes européennes de langue francaise (XVIP-XVIIP siè-cles), tavola rotonda internazionale, Saint-Etienne 21-23 maggio 1992, Saint-Etienne, Publications de l’Université de Saint-Etienne, 1992.
La storia dell’editoria durante la Rivoluzione è stata rivalutata grazie a Revolution in Print. The Press in France. 1775-1800, sotto la direzione di Robert Darnton e Daniel Roche, Berkeley, University of California Press, 1989, e C. Hesse, Publishing and Cultural Politics in Revolution Paris. 1789-1810, Berkeley, University of California Press, 1991.
Una sintesi dei lavori sul XIX secolo è stata fatta da J.-Yves Mollier nella postfazione che egli ha aggiunto al terzo volume, Le temps des éditeurs. Du Romantisme à la Belle Epoque, della riedizione della Histoire de l'Edition francaise, sotto la direzione di Roger Chartier e Henri-Jean Martin, Paris, Fayard/Cercle de la Librairie, 1990, pp. 569-593. Sono anche da vedere: Mesure(s) du livre, Colloquio organizzato dalla Biblioteca Nazionale e dalla So-ciété des études romantiques, 25-26 maggio 1989, Parigi, Biblio-
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théque Nationale, 1992; J.-Y. Mollier, L’Argent et les lettres. Hi-stoire du capitalisme d’édition. 1880-1920, Paris, Fayard, 1988, e E. Parinet, La Librairie Flammarion. 1875-1914, Paris, IMEC, 1992.
5) La funzione degli autori e la condizione degli scrittori. In questi ultimi anni la storia del libro ha ridato un posto all’autore sotto due forme: a) lo studio dei «milieux» degli autori (A. Viala, Naissance de recrivain. Sociologie de la littérature à Page classique, Paris, Les Editions de Minuit, 1985; R. Darnton, Gens de lettres, gens du livre, Paris Editions Odile Jacob, 1992; R. Chartier, L’Uomo di lettere, in L’Uomo dell’Illuminismo, sotto la direzione di Michel Vovelle, Roma-Bari, Laterza, 1992, pp. 143-197); b) lo studio della circolazione dei testi e la nascita della funzione degli autori, secondo la prospettiva proposta da M. Foucault (R. Chartier, L’Ordre des livres. Lectures, auteurs, bibliothéques en Europe entre XIVe et XVIIIe siècle, Aix-en-Provence, Alinéa, 1992).