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Title
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Un complice per il Parlamento di Parigi: il caso dell'ebreo Borach Levy
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Creator
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Giacomo Francini
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Date Issued
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1996-10-01
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Is Part Of
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Archivio Storico Italiano
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volume
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154
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issue
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4 (570)
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page start
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691
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page end
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720
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Publisher
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Casa Editrice Leo S. Olschki s.r.l.
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Language
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ita
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Format
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pdf
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Relation
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Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Italy, Einaudi, 1976
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Rights
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Archivio Storico Italiano © 1996 Casa Editrice Leo S. Olschki s.r.l.
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Source
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https://web.archive.org/web/20230921193446/https://www.jstor.org/stable/26221913?searchText=Foucault&searchUri=%2Faction%2FdoBasicSearch%3FQuery%3DFoucault&efqs=eyJsYV9zdHIiOlsiYVhSaCJdfQ%3D%3D&sd=1975&ed=2000&pagemark=eyJwYWdlIjoyNSwic3RhcnRzIjp7IkpTVE9SQmFzaWMiOjYwMH19&groupefq=WyJjb250cmlidXRlZF90ZXh0Iiwic2VhcmNoX2NoYXB0ZXIiLCJjb250cmlidXRlZF9hdWRpbyIsInJlc2VhcmNoX3JlcG9ydCIsInNlYXJjaF9hcnRpY2xlIiwicmV2aWV3IiwibXBfcmVzZWFyY2hfcmVwb3J0X3BhcnQiXQ%3D%3D&ab_segments=0%2Fbasic_search_gsv2%2Fcontrol&refreqid=fastly-default%3A6e74b23a9b179f25f848a50e74b391d4
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Subject
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surveillance
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discipline
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power
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biopower
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extracted text
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Un complice per il Parlamento di Parigi: il caso dell’ebreo Borach Levy1
Che il diritto non sia quel ricettacolo dove iscrivere di volta in volta tutta la complessità della realtà sociale è una constatazione ormai acquisita anche fra i più scettici degli addetti ai lavori. Le ricerche condotte in questi anni da Thomas Kuehn hanno dimostrato come ad uno stesso istituto giuridico corrispondano molteplici utilizzi a seconda degli interessi e delle strategie degli attori sociali. L’autore riportava come esempio l’uso che veniva fatto del mundualdus, una sorta di tutorato sulle donne fiorentine del Quattrocento, che se esprimeva tutta la loro incapacità giuridica, non per questo era esente da manipolazioni.2 Altro esempio era quello dei concilia, una sorta di corpus ad hoc per i casi complicati, che se si volevano imparziali, finivano molto spesso per favorire le singole aspettative.3 Se è vero quindi che il
1 Con questo lavoro vorrei ringraziare il personale degli Archivi Municipali di Haguenau, in particolar modo Michel Traband e Suzanne Muller, per il contributo dato a queste ricerche. Ringrazio anche il signor Claude Haymann, rabbino della comunità ebraica di Haguenau, per la sua preziosa collaborazione. Una nota di gratitudine del tutto particolare la devo al Prof. Riccardo Fubini il cui apporto è stato sicuramente essenziale nell’elaborazione delle problematiche presenti in questa ricerca.
2 Cfr. T. Kuehn, Law, Family and Women. Toward a Legai Anthropology of Renaissance Italy, Chicago, ed. 1993; v. anche S. Cerutti, Normes et pratiques ou de la légitimité de leur opposition-, in Les formes de l’expérience. Une autre histoire sociale, sous la direction de B. Lepetit, Paris, A. Michel, 1995, pp. 127-149.
3 Cfr. T. Kuehn, Emancipation in Late Medieval Florence, New Brunswick, 1982; v. anche la recensione di C. Klapisch-Zuber, Il cantieri del diritto, «Quaderni storici», 89, 30, n. 2, agosto 1995, pp. 539-546.
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diritto in questi ultimi anni ha perso buona parte di quello che Pierre Bourdieu chiamava la sua posture universalisante,4 non dobbiamo credere per questo che ad ogni terremoto giuridico segua necessariamente uno stravolgimento nell’ordine e nella composizione delle pratiche sociali: usanze e tradizioni sono ben radicate nell’humus collettivo e non basta certo la volontà di un singolo legislatore a rimuoverne i tratti più consolidati. Ecco perché non è ozioso chiedersi a mio avviso quale sia l’effettivo impiego del diritto e quanto questo non sia una semplice velleità. Una stessa legge può assumere indifferentemente un ruolo attivo o passivo a seconda delle circostanze; può sonnecchiare per anni per ritrovare inaspettatamente tutta la sua dinamicità. D’altra parte, ogni legge si muove sempre nel regno del possibile e non può prescindere da un apparato coercitivo che ne garantisca l’applicazione: che si decida di punire un reato è una cosa, che ciò sia possibile è un’altra. La bigamia era formalmente vietata nella Parigi del Settecento, ma in realtà nessuna autorità avrebbe potuto impedirla.5 Allo stesso modo, sebbene le separazioni di beni nella Francia d’Ancien Régime obbligassero formalmente i coniugi a vivere sullo stesso tetto, non erano in pochi a violarne apertamente le disposizioni.6 Una legge quindi non può prescindere da un suo requisito di applicabilità, oltre il quale non avremmo che delle semplici disposizioni, ma non degli atti sovrani. Da questo punto di vista, se è vero che una legge è anche una disposizione, il suo contrario non è sempre vero e abbiamo delle disposizioni che non sono mai diventate leggi proprio a causa della loro inefficienza. Quando diciamo quindi che le norme sono
4 Sul concetto v. P. Bourdieu, La force du droit. Éléments pour une sociologie du champ juridique, «Actes de la recherche en Sciences sociales», 64, 1986, p. 5.
5 Cfr. J. L. Flandrin, Familles, parenté, maison, sexualité dans l’ancienne socié-té, Paris, Seuil, 1984, pp. 176-180.
6 Cfr. G. Francini, Divorce et séparations en France au XVIIIe siècle. Esquisse pour une histoire sociale du droit, «Il cannocchiale», 1997 [in stampa].
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un prodotto delle pratiche sociali dovremmo forse precisare meglio di quali norme e di quali pratiche si tratta; che degli individui producano delle disposizioni è un fatto, che possano produrre delle leggi è un altro. Ora il diritto propriamente detto si muove intorno a questi due poli, quello della codificazione e quello dell’applicazione, ed è proprio da que-st’incessante movimento che è possibile discernere i meccanismi che regolano una società: parlare di pratiche sociali in diritto ha senso, a mio avviso, solo in relazione al duplice problema della codificazione e dell’applicazione. Che un insieme d’individui s’identifichi in un determinato sistema di valori è del tutto plausibile ma che tale sistema affiori nel mondo del diritto non è poi così scontato e necessita di una spinta coercitiva non indifferente. La crisi coniugale è un fenomeno presente in tutta la Francia d’Ancien Régime, ma affinché si possa definire una pratica sociale è necessario che le disposizioni relative ai matrimoni assumano un carattere coercitivo, tale da renderle evidenti.7 Libertà e strategie individuali diventano intelleggibili quindi a mio avviso non tanto difronte all’«incoerenza delle regole» quanto piuttosto rispetto alle loro profonda diversità.8
Detto questo, se spostiamo l’attenzione dall’analisi del diritto a quella delle comunità, ci accorgiamo che il vecchio paradigma funzionalista che le voleva alla stregua dello Stato non regge più; non solo lo spazio fra individui e comunità viene a restringersi, quasi a sovrapporsi, ma anche il divario fra Stato e comunità sembra venir meno difronte all’incalza-re di nuove forme di solidarietà: individui e istituzioni si scoprono solidali nei rispettivi intenti. Alcuni studi hanno recentemente favorito questa prospettiva; penso in particolar
7 Cfr. G. Francini, Le separazioni di beni e di corpo nella Francia d’Ancien Régime. Cronaca di una scoperta annunciata, «Il cannocchiale», n. 2, 1995, pp. 81-92.
8 Cfr. G. Levi, Les usages de la biographie, «Annales ESC», novembre-décembre 1989, n. 6, p. 1334; l’articolo è stato ripreso anche in S. Cerutti, Nor-mes cit., p. 131.
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modo a quello di L. C. Dubiti sulle liaisons dangereuses nella Trieste del Settecento.9 La ricerca ha il pregio di mostrare come, in presenza di uno scontro ideologico, due casi d’ordinaria amministrazione assumano i contorni di una vera e propria crisi diplomatica. Corona Luzzatto, sposandosi con Jacob Pardo, incontrerà l’opposizione del padre, il quale non esiterà a rivolgersi alle autorità civili per annullarne il matrimonio; allo stesso modo Benedetto Frizzi non potendo ufficializzare la propria unione con Relle Morschene, in quanto lui kohen e lei già divorziata, non esiterà a rivolgersi alle autorità di Vienna, per ottenere giustizia. Tuttavia, dai confronti né lo Stato né la comunità ne usciranno completamente vittoriosi: nel primo caso Jacob Pardo fu bandito da Trieste, ma il padre di Corona dovette accettare il divorzio della figlia in funzione di una nuova unione; nel secondo, lo Stato rinuncerà ad imporre la propria volontà sulla comunità e i due amanti continueranno a vivere in concubinaggio. In entrambi i casi le solidarietà si formeranno e svaniranno in prossimità delle istituzioni: il padre di Corona, come del resto Benedetto Frizzi, non esiterà a fare appello alle autorità civili; Corona Luzzatto e Jacob Pardo non esiteranno a richiamarsi alla legge ebraica; le autorità di Vienna concerteranno infine un’uscita di scena decorosa con i capi della comunità.
Un caso interessante mi è parso quello dell’ebreo Borach Lévy, vissuto nella Francia del Settecento e proveniente della cittadina di Haguenau in Alsazia.10 Come ci racconta un
9 L. C. Dubin, Les liaisons dangereuses. Mariage juif et État moderne à Trieste au XVIIIe siècle, in «Annales ESC», septembre-octobre 1994, n. 5, pp. 1139-1170.
10 Sul caso Borach Lévy v. J. Traer, Marriage and thè family in thè Eighteenth-Century France, Ithaca N. Y., Cornell University Press, 1980, pp. 61-64; R. Phillips, Putting asunder. A history of divorce in Western society, Cambridge (GB), ed.
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cronista dell’epoca, Haguenau era situata al centro di una piccola pianura disseminata di campi, giardini, pascoli, e circondata da una foresta demaniale di grandi dimensioni, compresa fra il massiccio dei Vosgi e il Reno.11 L’Alsazia, da secoli terra di rifugio e di frontiera, era diventata per numerose comunità religiose un vero e proprio laboratorio di convivenza; ebrei e luterani, cattolici e calvinisti, vivevano fianco a fianco senza per questo dimostrarsi particolarmente ostili. Con la fine della Guerra dei Trent’anni ebbe inizio la dominazione francese; i trattati di Mùnster e di Nimègue vi garantirono le libertà religiose mentre ai luterani venne addirittura concesso l’uso dello stato civile.12 Fin dal Medioevo, numerose comunità ebraiche avevano scelto questo luogo come terra di rifugio: i privilegi di cui godevano erano garantiti da delle lettere patenti e dal pagamento di una tassa annuale, lo Judengeld, un introito non indifferente per le rovinose casse dello stato.13 Ogni comunità era numericamente limitata e l’integrazione di nuovi membri doveva passare per le decisioni del magistrato.14 Tuttavia, ogni anno centi-
1988, p. 164; Z. Szajkowski, Marriages, mixed marriages and conversions amongfrench jews during thè Revolution of 1789, «Historia Judaica», 19, 1957, pp. 34 e sgg. Un altro caso simile fu quello di Samuel Peixotto: cfr. H. Michel, Un divorce judaique devant la jurisdiction royale: Vaffaire Samuel Peixotto-Sarah Mendès d Acosta, in Mé-langes à la mémoire de Marcel-Henri Prévost, Paris, PUF, 1982, pp. 307-318.
11 V. G. Gromer, Un essai d’histoire d’Haguenau au 18e siede: le “Code Hi-storique" de George Joseph Barth, Haguenau, Imprimerle de la ville, 1938, 248 pp.
12 Cfr. M. J. Krug-Basse, LAlsace avant 1789, Paris, ed. 1876, pp. 6-7.
13 Le famiglie stabilite nella prefettura di Haguenau pagavano, nella seconda metà del Settecento, circa dieci lire al re e altrettante al prefetto; v. M. J. Krug-Basse, LAlsace cit., p. 224. Il diritto di residenza nel Grand Baillage di Haguenau era di 6 fiorini. Nel 1761 ogni famiglia dovette pagare 18 lire al signore di Ichtratz-heim. Nel 1756, il diritto di sepoltura pagato dalle famiglie ebraiche apportò al duca di Chàtillon la bellezza di 61 fiorini; cfr. Aspects du Grand Baillage de Haguenau, in «Etudes Haguenoviennes», 17, [Société d’Histoire et d’Archéologie de Haguenau], 1991, p. 136. Un fiorino corrispondeva all’incirca al valore di una lira; un bue a Parigi poteva raggiungere il valore di 40 scudi, vale a dire 120 lire: cfr. P. Delamare, Traité de police, t. 3, Amsterdam, 1729, p. 82; v. anche M. J. Krug-Basse, LAlsace cit.
14 Cfr. S. Kerner, La vie quotidienne de la communauté de Metz au Dix-huitième siècle, Thèse, 1977-1979, I, p. 66.
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naia d’individui varcavano le soglie della regione in cerca di una collocazione; le ripercussioni economiche e sociali della Guerra dei Trent’anni avevano provocato un’ondata di migrazioni da est verso ovest, soprattutto dalla Polonia, dove intere famiglie erano partite per sfuggire alle persecuzioni. Accanto ai residenti ufficiali, si contavano quindi un numero imprecisato di soggetti «clandestini»; anche l’acquisizione della residenza per motivi familiari era sottoposta a dei requisiti di ordine sociale: i nuovi venuti dovevano dimostrare di essere sufficientemente indipendenti e soprattutto di possedere una cospicua dote. Così come era difficile arrivare, lo era altrettanto il partire: il diritto di Abzug era spesso proibitivo, sicuramente dissuasivo anche per le famiglie più abbienti.15 Ciò nonostante la popolazione ebraica in Alsazia continuerà ad aumentare per tutto il XVIII secolo: se nel 1557 il Gran Baliato di Haguenau contava trentasette famiglie ebree, nel 1751 la comunità saliva a 771 individui, per toccare i 1028 nel 1781 e i 1153 nel 1784.16 Le attività svolte dagli ebrei erano di solito il prestito e il commercio di bestiame anche se la vendita ambulante di tessuti, spezie, sale, vino e foraggi era generalmente tollerata.17 Il commercio di cavalli era un’attività particolarmente lucrativa in quanto indispensabile all’equipaggiamento delle truppe dislocate nella regione.18 Tuttavia, gli ebrei non potevano possedere beni immobili, eccetto la propria abitazione, né accedere alle corporazioni o detenere dei semplici cabarets; le loro obbligazioni dovevano essere regolarmente registrate da un notaio
15 Cfr. S. Kerner, La vie cit., pp. 69-74.
16 Cfr. Aspects du Grand Bailliage de Haguenau, «Etudes Haguenoviennes» cit., p. 135.
17 Cfr. Z. Szajkowski, The jewish problem in Alsace, Metz, and Lorraine on thè eve ofthe Revolution of 1789, «The jewish Quarterly Review» 44, January, 1954, pp. 223-226; v. anche M. J. Krug-Basse, L’Alsace cit., pp. 222-223.
18 Cfr. Z. Szajkowski, The economie status of thè Jews in Alsace, Metz and Lorraine (1648-1789), New York, Editions Historiques Franco-Juives, 1954, p. 58.
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ad eccezione di effetti commerciali e cambiali.19 La lingua parlata era il giudeoalsaziano, una sorta di yiddish, dove le parole d’origine tedesca rappresentavano il settanta per cento del vocabolario.20 Ogni comunità aveva i propri rappresentanti, syndics o préposés, i quali detenevano il potere legislativo, esecutivo e giudiziario; a Metz si riunivano in consiglio (quahal) ogni fine settimana.21 Il rabbino era una figura morale rilevante e godeva di un potere discrezionale sia in ambito religioso che civile: registrava i contratti di matrimonio, i testamenti, le successioni, i tutorati, sanzionando gli eventuali trasgressori con una sorta di scomunica sociale, Yha-rém.22
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Borach Lévy apparteneva a questa società; il caso giudiziario di cui fu protagonista ha affascinato numerosi storici del diritto, primo fra tutti Pierre Gaulliaume Guyot, il quale ne parlava come di un vero e proprio caso consuetudinario in virtù del quale il Parlamento di Parigi aveva stabilito per la prima volta che il matrimonio è un sacramento indissolubile, anche se stipulato fra coniugi infedeli.25 La controversia era nata dal fatto che Borach Lévy, una volta convertitosi al cristianesimo, aveva deciso di risposarsi, sebbene ancora unito con una donna di religione ebraica. Come ho già sottolineato in altre occasioni, la polemica investiva direttamen-
19 Cfr. M. J. Krug-Basse, L’Alsace cit., pp. 222-224; v. anche E. Scheid, Hi-stoire des juifs d’Alsace, Paris, A. Durlacher, 1887, pp. 227 e sgg.
20 V. B. Blumenkranz, Histoire des juifs en France, Edouard Privat Editeur, 1972, p. 172.
21 Cfr. S. Kerner, La vie cit., p. 32.
22 Cfr. F. Raphael R. Weyl, Regards nouveaux sur les juifs d’Alsace, Paris, Istra, 1980, p. 46.
23 Cfr. P. J.-J. Guillaume Guyot, Répertoire universel et raisonné de jurispru-
dence, XI, Paris, Visse, 1785, pp. 341-344; riportato anche in M. de Douai, Réper-
toire universel et raisonné de jurisprudence, X, Paris, Garnery, 1827, pp. 547-549.
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te la Chiesa cattolica, ponendo dei seri ostacoli ad una legittimazione delle sue pratiche sacramentali.24 Il diritto canonico infatti permetteva ai nuovi convertiti di risposarsi solo nel caso in cui l’altro coniuge si rifiutasse di seguirli nella nuova fede; tale pratica, detta anche privilegio paolino, si fondava sul capitolo settimo della Prima lettera di San Paolo apostolo ai Corinzi, dove si leggeva che se il non credente vuol separarsi si separi; in queste circostanze il fratello o la sorella non sono soggetti a servitù; Dio vi ha chiamati alla pace!25 Tali disposizioni dovevano essere particolarmente seguite nelle regioni dell’est dove lo spirito di conversione aveva assunto delle proporzioni esorbitanti; ogni qualvolta un infedele veniva battezzato, ci si apprestava a darne subito l’annuncio, dopo averne festeggiato l’avvenuta conversione.26 In via generale i nuovi convertiti erano ebrei di recente immigrazione che a differenza degli altri, non possedevano alcun statuto legale ed erano considerati alla stregua di mendican-
24 Cfr. G. Francini, Il divorzio nella Francia del XVIII secolo: ingerenza o rinuncia istituzionale, «Ricerche storiche» 1, 1995, p. 39.
25 1 Cor. 7.15. Fondandosi su questo versetto, i dizionari di diritto canonico insegnavano: «Divortium quoad vinculum non admittitur Jure Canonico, nisi duo-bus casibus. Primus est, si matrimonium sit ratum tantum, & non consummatum, & alter conjugum, melioris vitae desiderio accensus, vitam regularem profiteatur, altero etiam invito; et hoc casu aliud matrimonium ei licet contrahere, qui in saecu-lo remanet. [...] Secundus casus, in quo matrimonium dissolvitur Jure Canonico, est si matrimonium, sit legitimum tantum & non ratum, puta si ex duobus conjugi-bus infidelibus, unus ad fidem convertatur, et alter nolit ei cohabitare [...]; Institu-tiones juris canonici nova et regolari methodo contextae; ad usum studiosorum juris, editio nova in priorem elegantiam restituta, Parisiis, Apud P. Stephanum Gab. Du-rand, 1773, pp. 72-74. Per un inquadramento generale sulla questione v. A. Esmain, Etudes sur Fhistoire du droit canonique privé. Le mariage en droit canonique, 2 voi., Paris, L. Larose et Forcel, 1891.
26 A tale proposito v. l’opuscolo Relation de l’heureuse conversion d'une ieune fille iuifve arrivé à Metz, entre la Feste de Pacques et celle de la Pentechoste de la presente année 1642, Metz, Jean Antoine, 25 juin 1642, 8 pp.; e ancora La conversion d’un juif baptizé à Metz en FEglise Cathedrale de S. Etienne, le dimanche de Quasimodo, 20 avril 1664, Metz, Jean Antoine, 1664, 4 pp.; e infine La conversion et le bapteme d" Alexandre de St. Avold, juif de naissance, Rabbin de la synagogue de Metz, & ci-devant Rabbin superieur de celle de Carpentras, tenu sur les fonds de Bapteme au nom de Monseig. & de Madame la Duchesse de Bourgogne, Paris, Lambin, 1699.
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ti; ecco perché la tentazione di farsi cristiani poteva rappresentare per loro un valido espediente.27 Tuttavia, la scelta di convertirsi non era né facile né esente da implicazioni; un ebreo che decideva d’abbandonare la propria comunità doveva poi subirne l’ostracismo e non erano in pochi in questo caso a chiedere aiuto alle autorità civili,28 i magistrati allora concedevano una deroga di almeno tre anni al pagamento dei debiti e delle imposte.29
Ora, quando Borach Lévy decise di sposarsi con Anne Thévart, una domestica del villaggio di Villeneuve-sur-Bellot, il parroco, un certo Louis Daage, si rifiutò di celebrare le nozze, agitando lo spettro della bigamia. In realtà sebbene Lévy fosse ancora sposato con un’ebrea, ciò nonostante l’aveva più volte invitata a seguirlo ma questa si era rifiutata pregandolo d’inviargli un libello di ripudio. La sua richiesta di matrimonio quindi era del tutto conforme alle disposizioni di diritto canonico; il rifiuto del curato di Villeneuve-sur-Bellot non poteva quindi che concepirsi come un affronto alle prerogative sacramentali della Chiesa cattolica in materia civile. In realtà la polemica a mio avviso, non potrà dissociarsi da un più ampio percorso verso una laicizzazione dello stato civile, cosa che verrà attuata solo più tardi, con la Rivoluzione, ma che in questo caso coincide con una forma di giurisdizionalismo che si voleva indipendente dalla Corona e che perorava per una maggiore sovranità parlamentare.
27 R. Weyl, Contribution à rhistoire des juifs d’Alsace, «Revue des Etudes Jui-ves», 138, (1-2), 1979, pp. 192-193.
28 É il caso di Joseph Ignace Bonus, ebreo convertito della cittadina di Ha-guenau il quale dice di essere perseguitato dalla comunità ebraica e di aver dovuto abbandonare il suo commercio; chiede al magistrato un piccolo impiego; così anche Francois d’Antoine Chretien; Archives Municipales de la ville de Haguenau, [d’ora in avanti AMH], BB 15, n. 44 e n. 57.
29 V. a tale proposito il caso di Dorothée Bittemerin, luterana convertita, la quale si rivolge al magistrato sperando di beneficiare delle esenzioni previste dall’ordinanza del 12 agosto 1729; v. AMH, BB 14, n. 5; cfr. anche Z. Szajkowski, Marriages, mixed marriages and conversions among french jews during thè Revolution of 1789, «Historia Judaica», 19, 195 7, p. 4 7.
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Lévy si rivolse allora &W Officia li té de Soissons, ma le sentenze del 4 settembre 1755 e del 5 febbraio 1756 lo dichiararono non-recevable. La questione approdò quindi in Parlamento dove si discusse se un matrimonio contratto fra infi-deli era da ritenersi valido oppure no. La sentenza del 2 gennaio 1758 non lasciò alcun dubbio in proposito e dichiarò Borach Lévy non-recevable confermando le tesi del curato di Villeneuve-sur-Bellot, Louis Daage e quelle del vescovo di Soissons che all’epoca era niente poco di meno che il fervente giansenista Francois de Fitz-James, figlio del Duca di Berwick e nipote del re d’Inghilterra Giacomo IL30
Francois de Fitz-James, prima di diventare abate di Saint Victor aveva frequentato il seminario di Saint Sulpice e nel giugno del 1739 era stato nominato vescovo di Soissons al posto di Languet un sorta di prelato animé d’un faux zète pour les nouvelles opinions du Molinisme.^ (Nel corso della sua brillante carriera) aveva sostenuto più volte le prerogative dello Stato contro le ingerenze del parti dévot?2 In realtà
30 La sentenza fu pronunciata alla Grand"Chambre che per l’occasione era composta da Louis le Peletier Premier président; André Potier de Novion, Louis le Pele-tier de Rozambo, René Nicolas Charles Augustin de Maupeou, e Guillaume de La-moignon de Montrevault, présidents à mortier. La Grand"Chambre del Parlamento era composta dal Premier président, più nove Présidents à Mortier, venticinque Con-seillers laiques e dodici Conseillers clercs. Il Premier président e i quattro Présidents à mortier più anziani sedevano regolarmente alla Grand"Chambre; gli altri servivano la Toumelle; cfr. Almanach Royal, Paris, Le Breton, 1758, pp. 184-186. La sentenza si trova in AMP, 14 an 31 décembre 1759, Parlement de Paris, Registres civiles, X la 7826 fol. 328; v. anche Plaidoiries, 1757, X lb 8094, versement 820167, f. 26 e f. 72.
31 Cfr., Fitz-James, Oeuvres posthumes, voi. 1, pp. xxi-xxn. Per Molinismo è da intendersi una sorta di dottrina teologica, ancora in voga per tutto il Settecento, la quale, rifacendosi agli insegnamenti del gesuita Molina, minimizzava le conseguenze del peccato originale enfatizzando, a differenza di Giansenio, la dottrina del libero arbitrio; v. D. Van Kley, The Jansenists and thè Expulsion of thè Jesuits from France, 175 7-1765, Yale, Yale University Press, 1975, pp. 7-9.
32 Cfr. D. Van Klay, The Damians affair and thè unravelling of thè Ancien Ré-gime. 1750-1770, Princton, Princton University Press, pp. 168-169. «Opposing thè parti janséniste was thè less popular but more steller parti dévót, represented at thè court by thè queen, thè dauphin, and thè king’s daughters»: D. Van Kley, The Jansenists cit., p. 60.
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la sua fedeltà al Parlamento era stata attentamente vagliata dai servizi segreti dell’epoca: in un’inchiesta condotta a suo carico dal commissario De Tourmont, l’allora settantaduenne vescovo di Parigi, il 20 agosto 1735, aveva dichiarato che personne n’est plus digne que luy de remplir l’eminente dignité de due et pair de France, que son merite personnel re-pond parfaitement a sa grande naissance, quii a toutes les qua-lités que Fon peut dessirer pour servir VEglise et Pestai dans tous les emplois quii plaira au Roy de lui confier, quii est de tres bonne vie et moeurs, et tres affectionné au Service de sa majesté»;33 così si erano espressi in quell’occasione anche l’arcivescovo di Rouen, il conte di Gerardon e il vescovo di Coutances. Tuttavia, le incessanti polemiche che aveva avuto con i gesuiti non lasciavano alcun dubbio in proposito; la loro dottrina era viziosa, i loro libri sospetti, le loro costituzioni inesatte.34 D’altra parte i gesuiti lo accusavano di giansenismo; i suoi scritti erano intrisi d’oscurità, di errori, di sotterfugi come del resto lo erano le sue opinioni sulla grazia, la carità, la penitenza;35 che cos’era infatti quel santo amore di cui parlava il vescovo di Soissons a proposito della Grazia se non il sistema delle due dilettazioni tanto caro al vescovo di Ypres?36 La sua causa in Parlamento venne sostenuta dall’avvocato Jacob Nicolas Moreau, uno dei più stretti collaboratori del contrólleur général Jean-Baptiste Bertin, nonché pamphlettista ufficiale della Corona e fervente assertore dell’assolutismo.37 Le tesi di Borach Lévy ven-
33 Registre, originai d’enquete, faites par les commissaires du Parlement, sur la re-ligion, la vie, les moeurs, des ducs et pairs de France, depuis l’année 1721 iusquà Van-née 1765, Bibliothèque Nationale de Paris, [d’ora in avanti BN], Manuscrits Fran-9ais, 10864, f. 9.1, e f. 27.
34 Cfr. Francois duc de Fitz-James, Avis donné à L’Assemblée des Eveques du mois de Décembre 1761, Paris, 1763, p. 24 e sgg.
35 Cfr. Réflexions de plusieurs curés du diocèse de Soissons sur le rituel de Mgr. le Duc de Fitz-James, Evèque de ce Diocèse, Amsterdam, Jacques Mortier, 1763.
36 Cfr. Mémoire instructif sur la doctrine du catéchisme de Monseigneur l’évèque de Soissons, Amsterdam, Jacques Mortier, 1768, p. 22.
37 «It would have been difficult to find a more gifted or perceptive critic of
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nero invece sostenute da Loyseau de Mauléon, amico intimo di Jean-Jacques Rousseau, meglio conosciuto per essersi occupato in seguito del caso Calas; nel processo intervennero anche le consultations degli avvocati Le Ridant, Sériuex, Po-thuin d’Huillot-Travers e Le Gras?8 Nella sua arringa Loyseau de Mauléon tese a dimostrare che la Chiesa cattolica aveva da sempre ammesso il privilegio paolino ovvero la possibilità per un convertito di risposarsi anche se già unito in infidelitate. Il matrimonio quindi se era da ritenersi indissolubile nell’età dell’«innocenza», non lo era altrettanto in quella del «peccato» quando divorzio e poligamia vennero ampiamente praticati. Cristo, ripristinando l’antica legge, fece del matrimonio un sacramento indissolubile, ma tale principio non poteva ritenersi assoluto, specialmente nel caso di un’unione contratta fra due infedeli.39 A differenza di Mauléon, Moreau partiva dalla constatazione che il matrimonio è indissolubile di diritto naturale e divino; in tal senso, la poligamia era stata concessa ai patriarchi in via del tutto eccezionale mentre il divorzio non era che una semplice sé-paration de corps, non valida ai fini di una nuova unione; in definitiva quindi le tesi di Borach Lévy erano da rifiutare, essendo il suo primo matrimonio valido a tutti gli effetti.40 Quello che è paradossale in tutto questo è che gli argomenti sostenuti a favore di Borach Lévy e in conformità
thè constitutional fantasies of thè sovereign courts than Moreau»: J. Swann, Poli-tics and thè Parlement of Paris undes Lauris XV, 1754-1774, Cambridge University Press (GB), 1995 pp. 232-234. Su J. N. Moreau v. D. Gembicki, Histoire et politi-que à la fin de l’Ancien Régime. Jacob-Nicolas Moreau, Thèse, Paris, Nizet. 1979.
38 I factums relativi al processo sono raccolti in S. H. N. Linguet, Recueil sur la question de savoir si un juif marié dans sa religion, peut se remarier après son Baptéme, lorsque sa femme juive refuse de le suivre et d'habiter avec lui, Amsterdam, ed., 1761; alcuni si trovano anche in P. Le Ridant, Consultation sur le mariage du juif Borach Lévy, Paris, Paulus-Du-Mesnil, 1758.
39 A. J. L. de Mauléon, Plaidoyé pour J. J. F. E. Lévi, in S. H. N. Linguet, Recueil cit.
40 Moreau, Plaidoyé pour M. VEvèque de Soissons, in S. H. N. Linguet, Recueil cit.
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con il diritto canonico, vennero poi ripresi in senso filodivorzista da alcuni pamphlettisti alla vigilia della Rivoluzione; se sfogliamo infatti alcune pagine dell’avvocato Linguet, non tarderemo ad accorgerci che la sequenza delle citazioni e buona parte degli argomenti sono stati tratti direttamente dal mémoire dell’avvocato Le Gras.41
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Come abbiamo già detto Borach Lèvy era un neofita, ma la sua conversione non susciterà tutti quegli entusiasmi richiesti. Partito da Haguenau nel marzo del 1751 aveva raggiunto Parigi dopo qualche settimana di viaggio; qui aveva trovato alloggio presso differenti albergatori prima di trovare una sistemazione all’Hótel d’Angleterre, nella rue de Tour-non, proprio a due passi della chiesa di Saint Sulpice. A Parigi lo attendeva un processo al Conseil Privé du Roy, una delle maggiori istanze dell’epoca, paragonabile oggi alla Corte di Cassazione;42 la contesa riguardava il pagamento di una cambiale di 534 fiorini, che Borach Lévy avrebbe ricevuto da un certo Simon Roos prevosto del paese di Quing-sheim nel baliato di Kochersberg in Alsazia. Come ci mostra la sentenza del Conseil, depositata ancora oggi presso le Ar-chives Nationales di Parigi, la questione andava avanti da anni senza trovare alcuna soluzione.43 I Consuls de Metz, ave-
41 Cfr. S. H. N. Linguet, De la légitimité du divorce, Bruxelles, 1789, p. 20 e sgg.; Le Gras, Mémoire pour Joseph-Jean-Frangois-Elie-Lévf s.L, ed., 1754, p. 29 e sgg.
42 Cfr. J. Swann, Politics cit., p. 19: «Presided over by thè chancellor, thè Conseil Privé was staff ed by roy al judges, known as maitres de requètes and thè more senior conseillers d’état, who could review appeals from litigants against thè deci-sions of thè Parlement, adjudicate jurisdictional disputes and intervene where an irregularity had occured.». Sul funzionamento dello stesso v. A. N. Hamscher, The Conseil Privé and thè Parlements in thè Age of Louis XIV: a study in French Absolu-tism, Philadelphia, ed., 1987.
43 Cfr. Archives Nationales de Paris, [d’ora in avanti ANP], Conseil d’E-tat, V 6 970, 6 decembre 1751.
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vano condannato Simon Roos al pagamento della somma al netto degli interessi e delle spese processuali ma la reiterata insolvenza del debitore aveva spinto Borach Lévy a chiederne l’arresto ed il sequestro dei beni, cosa avvenuta nel dicembre del 1757. Tuttavia Simon Roos non si dette per vinto e rivoltosi al Conseil Souverain de Colmar ottenne una sentenza contraddittoria a suo favore.44 La sentenza del Conseil Privé du Roy intervenne quindi in ultima istanza chiudendo definitivamente la questione e confermando le decisioni dei Consuls de Metz che obbligavano Simon Roos al pagamento della cambiale; l’arringa finale fu pronunciata dall’avvocato Calvel con conclusioni dal rapporteur Boutin. Una volta ottenuta la sentenza, Borach Lévy decise di convertirsi e si mise subito in cerca di un prete che lo battezzasse. Ma a cosa dobbiamo quest’improvvisa conversione? Nel resoconto che Lévy ci ha lasciato sul suo primo soggiorno a Parigi non si dice niente di tutto questo, tuttavia gli interrogativi rimangono e si fanno tanto più pressanti quanto più ci avviciniamo al reale svolgimento dei fatti. Proviamo quindi a ricostruirne la vicenda.
Il 13 maggio 1752, un sabato di luna nuova, Borach Lévy si presentò allo studio del notaio Langlard, in rue St. Honoré, proprio accanto alla chiesa di St. Roch. Portava con se un quaderno, in caratteri francesi, del quale voleva una copia autenticata; il notaio, per accertarsi che quello scritto corrispondesse alle sue intenzioni, glielo lesse attentamente parola per parola chiedendogli di volta in volta la sua approvazione; poi glielo fece firmare in caratteri ebraici e
44 II Conseil Souverain de Colmar era una corte giudiziaria creata da Luigi XIV, dopo la conquista dell’Alsazia, allo scopo di rappresentare gli interessi della Corona in quella regione; «Le Conseil Souverain jugeait en dernier ressort les appels des justices intermédiaires et inférieures. Il jugeait en première instance et en dernier ressort toutes les affaires civiles et criminelles concernantes les abbés, prévots, ecclésiastiques séculiers et réguliers de la province, ainsi que celles de princes, sei-gneurs et gentilshommes non immatriculés au directoire de la noblesse immédiate de la Basse-Alsace»; in M. J. Krug-Basse, L’Alsace cit., p. 108.
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volgari. In quello scritto Borach Lévy raccontava la propria vita.45 Aveva trentun’anni, era nato a Haguenau; suo padre Moyse Lévy era morto già da diciannove anni mentre sua madre Elle Wolf si era risposata con un certo Mayer-Aaron. Lui stesso era sposato da diciassette anni con Mendel Cerf, dalla quale aveva avuto due figlie, l’una di quattro, l’altra di dodici anni. Era cugino di Moyse-Pline [Bline?] e d’Aaron-Mayer, entrambi ebrei residenti a Moutzig nei pressi di Strasburgo. Una volta arrivato a Parigi, aveva sentito il bisogno di convertirsi al cristianesimo: ne aveva parlato prima con un certo padre Croust, poi con il padre Lamblat, un domenicano di lingua tedesca, il quale lo aveva indirizzato ad un prete della parrocchia di Sainte Margueritte. Durante il catechismo questo prete gli aveva suggerito che il battesimo avrebbe potuto rompere il suo vincolo coniugale; così si era messo in cerca di un’altra moglie. Un giorno aveva incontrato una ragazza che forse avrebbe potuto fare al caso suo; il prete di Sainte Margueritte la fece ritirare in un convento promettendogli una pensione di trecento lire l’anno. Ben presto scoprì che si trattava di una donna di malaffare e non volle più vederla. Intanto, il prete di Sainte Margueritte lo aveva presentato all’arcivescovo di Parigi, Christophe de Beaumont, il quale inizialmente lo aveva accolto con tutti i riguardi ma poi lo aveva scoraggiato dal proseguire la sua impresa. Tutto era già pronto per il battesimo quando, una domenica delle Palme, qualcuno tentò d’assassinare il padre Lamblat; intanto alcuni ebrei avevano tentato di corrompere il prete di Sainte Margueritte perché lo consegnasse nelle loro mani. Allora si era rivolto ad alcuni avvo-
45 I documenti che ho recuperato negli archivi del notaio Langlard furono in parte pubblicati dagli avvocati Pothouin d’Huillet e Travers in occasione del processo che coinvolse Borach Lévy e il Parlamento di Parigi; restano del tutto inediti il suo passaporto ed alcuni documenti ufficiali facenti parte dell’istruzione del processo; cfr. ANP, Minutier centrai, notaio Langlard, Et/LXXlX/76, 13 maggio 1752; v. anche Pothouin d’Huillet et Travers, Actes et pièces servant de memoire à con-sulter, Paris, Paulus-Du-Mesnil, 1752.
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cati del Parlamento i quali gli avevano suggerito d’inviare un usciere al curato di Saint Sulpice con la supplica di battezzarlo; ma il curato si rifiutò ancora una volta dicendo che della sua decisione avrebbe reso conto a chi di competenza. Tali circostanze lo avevano indotto a chiedere aiuto ai signori del Parlamento ed è per questo che aveva fatto redigere il presente racconto.
Il 10 agosto 1752, Borach Lévy venne battezzato nella parrocchia di Montmagny con il nome di Joseph-Jean-Fran^ois-Elies; il curato, un certo Pierre Le Soudier, dopo aver preso conoscenza degli atti depositati presso il notaio Langlard, lo ritenne sufficientemente istruito nelle verità della religione cattolica e celebrò la consacrazione. Alla cerimonia erano presenti il padrino, Joseph Elies Dupin, scudiere, signore di Monceau, Gagny e altri luoghi; la madrina Henriette-Genevieve Meusnier de Mauroi vedova di Guillaume le Pel-letier, sottobrigadiere della prima compagnia dei moschettieri del re nonché cavaliere dell’Ordine di San Luigi e signore di Villeneuve, Maréé e altri luoghi;46 gli avvocati Pierre Olivier Pinot, Pierre Dubois, Jean Clement e altre personalità di rilievo. Ma il battesimo costò caro al curato di Montmagny il quale dovette fuggire inseguito da una lettre de cachet dell’arcivescovo di Parigi che lo avrebbe volentieri esiliato a Haguenau; i soldati della Maréchaussée perquisirono inutilmente il castello di Monsieur e Madame de Chàteau Brehan nonché la casa di Du Boscq, insegnante nella scuola parrocchiale di Montmagny, senza trovare il fuggiasco.47 Ma
46 Di Guillaume Le Pelletier non sappiamo molto; le ricerche biografiche che ho condotto alle Archives Nationales non hanno dato per il momento i risultati sperati; tuttavia il fatto stesso di chiamarsi Le Pelletier non è indifferente e ci richiama alla mente una delle maggiori dinastie di parlementaires nella Parigi del Settecento; cfr. J. Swann, Politics cit., p. 17.
47 Cfr. Acte de Baptesme de Borach Lévy, par M. Pierre Le Soudier, cure de Montmagni, Diocèse de Paris, extrait des Registres de Baptèmes de la Paroisse de Montmagni, Diocèse de Paris; BN Ld 184 9.
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perché tanto accanimento contro un infedele così animato da tante buoni intenzioni? Cerchiamo di capirci qualcosa di più.
Gli archivi della cittadina di Haguenau conservano ancora oggi alcune importanti testimonianze sulla vita del nostro protagonista prima della sua partenza a Parigi. Borach Lévy non era uno sprovveduto; anzi, al contrario era un abile frequentatore delle aule dei tribunali e dei corridoi della giustizia. Nel giro di dieci anni si era aggiudicato ben quattro sentenze; la prima in qualità di cessionario del figlio di Abraham Macholj, suo cognato, contro Nicolas Ernst il quale fu costretto a pagargli la somma di ventiquattro fiorini a saldo di un precedente debito di trentatre;48 la seconda contro Henry Wild, che gli doveva ventiquattro fiorini per la vendita di un cavallo;49 la terza contro Nicolas Guebhard, per quarantotto fiorini per la vendita di un altro cavallo,50 e infine la quarta contro Joseph Barth, macellaio, per un totale di settanta fiorini a saldo di una fattura comprovante la vendita di due buoi.51 Poi gli affari precipitarono fra il 1747 e il 1751: in questo stesso anno, Borach Lévy risultava insolvente nei confronti del fisco per circa due lire e mezzo, non avendo pagato il diritto di protezione.52 Che cosa era successo nel frattempo? Da una denuncia conservata negli archivi del magistrato, Borach Lévy risulta fortemente indebitato.53 Vediamo cosa era successo. Il 21 maggio 1753, il giovane bottaio Jean George Christophe, si rivolse alle autorità perché convinto di essere stato vittima di un terribile raggiro. Nella denuncia accusava la mechanceté execrable di un certo Borach Lévy, il quale con la scusa di non saper
48 AMH, BB 126, année 1742, ff. 170v e 171r.
49 AMH, BB 128, année 1744, f. 18r.
50 AMH, BB 129, année 1745, f. 11™.
51 AMH, BB 131, année 1747, ff. 152r e 153r.
52 AMH, BB 135 (1), année 1751, ff. 134™ e 135r.
53 AMH, BB 16, n. 108, 21 maggio 1753.
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scrivere, lo avrebbe invitato nell’anno 1743 a rimpirgli una cambiale di 374 fiorini destinata a un suo debitore nella città di Metz. In seguito gli avrebbe chiesto di controfirmare tale cambiale in qualità di testimone, cosa che egli fece in tutta buona fede. Il supplicante si diceva stupito di quella somma, in quanto Lévy era sempre vissuto nell’indigenza tan-t’è che aveva lavorato nei magazzini per sei, otto soldi al giorno. Lui stesso gli aveva prestato a più riprese delle piccole somme, i cui pegni erano stati ritirati solo recentemente dal cognato, Hirtzel Macholj. Per di più la sua casa era stata giuridicamente venduta in virtù della sentenza del 22 marzo 1752 e nonostante fosse stata valutata millecinquecentosei lire, molti creditori non vi avevano trovato di che rifarsi. Sua moglie Mendel aveva perso l’intera dote e si lamentava del disordine in cui versavano gli affari del marito. Il 26 febbraio del 1745, Lévy aveva fatto condannare il supplicante dai Consuls di Metz; dopodiché aveva riempito di monete l’usciere Joseph Demanye il quale, venuto a Haguenau in compagnia del brigadiere Pierre Toussaint, lo aveva perquisito e gli aveva sequestrato i beni.54 Questo lo stato deplorabile in cui si trovava il supplicante il quale era dovuto fuggire onde evitare spiacevoli complicazioni. Per di più la sentenza dei Consuls de Metz, era stata resa in favore di un ebreo di Haguenau, contro qualcuno domiciliato nello stesso luogo; ora il supplicante non essendo né negoziante, né banchiere, né dedito al commercio o agli affari, non avrebbe avuto alcun interesse a prendere in prestito una tale somma. Di conseguenza il biglietto in possesso di Lévy, datato dell’anno 1743, non era che un falso, non potendo essere considerato come una cambiale, poiché Lévy
ne luy a jamais fourny de lettre de change, par consequent suivant Farticle vingt huit du titre 5. de Fordonnance mil six cens soixante et treize /: sans entrer en detail sur la fausseté /: il ne peut avoir
54 Ivi, f. 5.
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le privilege des lettres de changes ny emporter la contrainte par corps, car l’essance d’un billet de change est d’estre cause pour lettre d’echange fournie, ou a fournir.
Ce billet est suivant ce qu’en disent ceux a qui Levy en a fait confidence, un billet a ordre, ou payable au porteur, pour va-leur recuè de Levy, dont la signature qui se trouve au bas est tres suspecte, pareils billets dequelles facons ils puissent estre concu ne peuvent estre considerò, que comme de simples billets pour ar-gent prete, dont la connoissance apartient aux juges ordinaires, dés qu’ils ne sont pas fait entre marchands pour raison des mar-chandises; ou de leur negoce, ou dés que le debiteur n’est ny mar-chand commercant, negotiant, banquier, ny dans les affaires.55
Per di più nel 1743 Lévy era nella miseria più assoluta, per-niente in grado di commerciare, come lo attestano i registri delle imposte. Altre persone erano cadute nella sua trappola; fra queste Jean Danner il quale però a differenza del supplicante aveva avuto l’accortezza di esaminare la cambiale presentatagli dall’usciere, prima di riconoscerne la falsità. Quello che il supplicante chiedeva in definitiva era l’annullamento della sentenza dei Consuls de Metz oltre a un attestato di buona condotta. I magistrati accolsero la richiesta inviandogli un certificato con il quale si dichiarava che il supplicante non era né mercante, né negoziante, né dedito al commercio o agli affari; che la sua sola professione era quella di bottaio; che era un uomo onesto, di buona fede, di buona condotta, anche se considerato un pò semplice dai suoi compaesani e che non aveva mai contratto prestiti con nessuno.56
Da una tale testimonianza possiamo dedurre con sufficiente approssimazione che Borach Lévy intorno al 1752 era fortemente indebitato; la vendita della sua casa ci è confermata anche da una lettera della moglie Mendel Cerf conte-
55 Ivi, ff. 6-7.
56 Ivi, ff. 10 e 11.
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nuta negli atti raccolti da Pothouin d’Huillet. La donna lo supplicava di non fare passi falsi: non è straordinario, scriveva, qu’on soit tenté quelquefois à faire le mal; mais Dieu a des moyens pour nous soutenir & ramener à lui. Dites-moi, mon cher Borach, les bien de ce monde n’étant que passagers, méritent-ils qu’à leur égard vous sacrifiez votre ame, celle de votre épouse & de vos enfans? Helas! Que pensez-vous, vous ai-je donné le mondre sujet de vous plaindre de moi? Si Paris n’etoit qu’a vingt lieuès d’ici, j’irois à pied vous y joindre. J’aurois mille choses à vous dire qui sùrement vous retourneroient le coeur. Dieu vous pardonnera tout autre peché, si seulement il vous voit retourner vers nous. On a vendu votre maison; mais cela ne doit pas vous mettre en souci; je s^ais qu’on est prèt à faire tout pour vous, venez donc je vous en conjure.57
Inoltre Fanno precedente Borach Lévy risultava insolvente nei confronti del fisco per non aver pagato le tasse.58 Lo stesso Jean George Christophe ci racconta che nella settimana santa del 1753, era partito in tutta fretta da Haguenau con ciò che possedeva.59 Convertirsi al cristianesimo quindi, per Borach Lévy, era un atto di sopravvivenza se non altro per sfuggire alle richieste dei suoi creditori; la cosa ci viene confermata non solo dalle disposizioni legislative, ma anche da un certificato emesso il 21 febbraio 1753 dai magistrati di Haguenau in cui si diceva che Borach Lévy, in qualità di nuovo convertito jouira pendant trois années con-secutives de Vexemption de tous les charges et impositions roya-les et du pareil delais de trois années pour le payment du capitai de ses dettesi
Sulle cause dell’indebitamento di Borach Lévy non possiamo che limitarci a delle ipotesi; quello che sappiamo da
57 Pothouin d’Huillet Travers, Actes et pièces servant de mémoire à consul-ter cit., p. 16-17.
58 V. nota 52.
59 AMH, BB 16, n. 108.
60 AMH, BB 16, n. 78.
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un documento del 1748 è che la sua fortuna si aggirava intorno ai mille fiorini.61 D’altra parte, l’accusa di Jean George Christophe, secondo cui Borach Lévy non sarebbe che un falsificatore di cambiali, è fortemente sospetta: per quale motivo infatti il supplicante si sarebbe rivolto alla magistratura solo nel 1753 quando la sentenza dei Consuls de Metz era stata pronunciata già nel 1745? Jean George Christophe aveva dichiarato di non essere un negoziante; tuttavia dal suo racconto traspare molto bene che non era poi così digiuno di pratiche commerciali: conoscere la differenza che passa fra una cambiale e un «biglietto al portatore» non è cosa da poco conto. E presumibile quindi che Jean George Christophe si sia deciso di rivolgersi ai magistrati solo nel momento in cui Borach Lévy era ormai in balia delle acque e non avrebbe potuto più rifarsi citandolo in giustizia. La cosa più plausibile è quindi che tra il 1748 e il 1751 gli affari di Borach Lévy abbiano subito un vero e proprio tracollo dovuto a un avvenimento particolare. Da questo punto di vista gli studi che sono stati fatti in questi ultimi anni sulla vita rurale del Baliato di Haguenau, possono fornirci alcune timide indicazioni. Come abbiamo visto Borach Lévy era dedito al commercio di bestiame; ora, se osserviamo tale attività nel corso del XVIII secolo, possiamo notare che intorno al 1746 numerosi villaggi subirono delle ingenti perdite di bestiame dovute ai saccheggi degli eserciti durante la Guerra di Successione Austriaca. Le curve sul numero dei buoi e dei cavalli presentano in quell’anno delle forti flessioni; un documento proveniente degli archivi di Haguenau parla di una perdita di 4115 capi di bestiame di cui 722 cavalli (17,5%), 388 vacche (9,4%), 58 viteUi (1,4%), 55 buoi (1,3%), 2381 maiali (58%) e 511 pecore (12,4%).62 A que-
61 Cfr. E. Scheid, Histoire des juifs d’Haguenau pendant la période frangaise, «Revue des Etudes Juives», 10, 1885, pp. 214-217.
62 Cfr. Aspects du Grand Bailliage de Haguenau, «Etudes Haguenoviennes», 17, 1991, pp. 83-84.
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sti dati sono da aggiungere i danni provocati da una forte epidemia di afta epizootica che in quegli stessi anni colpì quella regione. Quanto tutto questo abbia influenzato sugli affari e le attività di Borach Lévy, non ci è consentito di saperlo; tuttavia è probabile che per i piccoli e medi commercianti come lui gli effetti di una tale congiuntura furono sicuramente devastanti. Ora, se questi dati ci spiegano in parte le ragioni della partenza di Borach Lévy da Haguenau e della sua successiva conversione, tuttavia non ci rendono abbastanza conto dei motivi sottostanti il suo divorzio da Mendel Cerf. La parola divorzio è da prendersi qui con tutte le dovute cautele: per quale motivo infatti, si chiedeva lo stesso Isidore Loeb, Borach Lévy non inviò mai un libello di ripudio a sua moglie, come avrebbe voluto la legge ebraica? Era forse per conservare la dote oppure in realtà Lévy non ebbe mai l’intenzione di divorziare da sua moglie?63 Ma facciamo qualche passo indietro e torniamo alla primavera del 1751.
Quando Borach Lévy arrivò a Parigi si mise subito in cerca di un avvocato che perorasse la sua causa contro Simon Roos; tale avvocato lo trovò nei panni e nella persona di Calvel. Di lui non sappiamo molto se non che aveva uno studio in rue de la Harpe e che lo aveva presentato al curato di Saint Severin in vista del suo battesimo.64 Di Calvel ci resta anche un attestato depositato presso gli archivi del notaio Langlard, nel quale dichiarava Borach Lévy una persona exact en tout.^ Quanto questo avvocato fosse legato a delle personalità della politica non lo sappiamo; certo è che Borach Lévy si trovava in una situazione difficile e la vincita di quel processo al Conseil Privé era questione di vita
63 Cfr. Questa è la supposizione dell’unico studio attualmente esistente su Borach Lévy, quello di I. Loeb, Borach Lévy, «Annuaire de la société des Etudes jui-ves», 3, 1883, p. 294.
64 V. nota 45, ANP, Langlard, Et/LXXIX/76.
65 Ibid.
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o di morte. Inoltre doveva assolutamente provvedere alla sua conversione in modo da guadagnare tempo nei confronti dei suoi creditori; le due cose andavano di pari passo e vincere la sola sentenza del Conseil Privé, non lo avrebbe certamente messo ai ripari dai suoi persercutori. Ci voleva quindi una moratoria tale da permettergli nel giro di qualche anno di risalire la china e di rimborsare i suoi crediti. Tutto questo ovviamente aveva un prezzo da pagare e tale prezzo non poteva che essere a mio avviso la sentenza del 2 gennaio 1758 con la quale il Parlamento di Parigi dichiarò il matrimonio un vincolo di diritto naturale, indissolubile anche se contratto fra coniugi infedeli. Quanto Borach Lévy fosse consapevole di tutto questo non lo sappiamo; certo è che per lui prima di tutto contava salvare la faccia con i soldi. Di tutto il resto non ne sapeva niente; erano questioni di lana caprina, di diritto naturale, canonico, delle quali ignorava probabilmente i risvolti e le conseguenze. Decise quindi di stare al gioco e chiedere così la mano di Anne Thévart, che guarda caso era proprio una delle domestiche di Henriette-Genevieve Meusnier de Mauroi, sua futura madrina e protettrice, vedova di Guillaume le Pelletier, luogotenente delle Guardie francesi, cavaliere dell’Ordine di San Luigi, nonché signore di Villeneuve-sur-Bellot. Tuttavia l’affare non sarebbe potuto andare in porto senza la complicità di qualche alto funzionario del Conseil, il quale si fosse adoperato per aggiudicare la causa a Borach Lévy. E chi poteva essere questo funzionario se non Machault d’Arnouville, garde de sceaux nonché ministro della marina? La sentenza del 6 dicembre 1751 porta la sua firma, insieme a quella del cancelliere Guillaume de Lamoignon de Blancmesnil nonché dei maitres de requétes, Poulletier, Boutin, Brou de la Grandeville e Fey-deau de Brou. Quest’ultimo in particolar modo doveva aver giocato un ruolo sicuramente importante nella vicenda, visto che negli atti pubblicati da Pothouin d’Huillet e Travers, si parla di un certificato con il quale Borach Lévy veniva dichiarato suo segretario quando egli era ancora intendent in
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Alsazia.66 Ora, Machault d’Arnouville, che aveva recentemente lasciato il posto di contróleur général per quello meno politicamente esposto di segretario di stato per la marina, era un avversario temibile del cancelliere Lamoignon nonché del ministro della guerra Pierre Marc de Voyer de Paulmy, meglio noto come il conte d’Argenson.67 Da quanto ci dicono gli studi recentemente condotti dallo storico Julian Swann, Machault era un fedele di Mme de Pompadour, così come d’Argenson lo era di Maria Leczinska e di tutto quel circolo di cortigiani legati al partì dévot, fra i quali spiccavano in prima linea il duca e la duchessa di Luynes, il presidente Hénault e alcuni vescovi constìtutìonnaires fra i quali giust’appunto Charles de Beaumont, arcivescovo di Parigi.68 Quest’ultimo in particolar modo aveva percepito qualcosa di strano nell’aria ed è per questo che si era radicalmente opposto al battesimo di Borach Lévy. Forse aveva ricevuto qualche soffiata; ad ogni modo non è da escludere che sia stato uno dei mandanti del fallito attentato alle spese del padre Lamblat e delle minacce profferte all’usciere Claude Antoine quando si presentò al curato di Saint Sulpice per chiedere il battesimo di Borach Lévy. La cosa risulta tanto più evidente quanto più ci addentriamo nella realtà delle lotte politiche del momento; non è un caso infatti che Vaffaire Borach Lévy venne puntualmente registrato anche da quel prezioso “sismografo” quale fu il giornalista E.J.L. Barbier; questi, il 12 giugno 1752, nel suo giornale, annotava che era stata fatta una consultatìon da Pothouin d’Huillet e Travers per un ebreo che chiedeva di essere battezzato, ma il curato di Saint Sulpice si era opposto alla cerimonia. Quella consulta-
66 Cfr. Pothuin d’Huillet et Travers, Actes et pièces servant de mémoire à consulter cit.
67 Cfr. J. Swann, Politics cit., p. 91.
68 Ibid., p. 125. Su Charles de Beaumont, v. E. Regnault, Christophe de Beaumont, Paris, Lecoffre, 1882.
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tion era molto istruita in materia di battesimi e per il momento non era stata né denunciata né soppressa come inizialmente si sarebbe creduto. Tuttavia sembrava che il clero avesse richiesto una lettre de cachet contro i due avvocati.69
Nel 1747 Christophe de Beaumont fu nominato arcivescovo di Parigi in un momento in cui la tensione politica fra molinisti e giansenisti aveva raggiunto i suoi massimi livelli. La bolla papale Unigenitus, promulgata a suo tempo da Clemente XI nel 1713, aveva sollevato una valanga di proteste soprattutto fra coloro che si richiamavano ancora alle libertà gallicane del 1682 con le quali la Corona aveva affermato la propria supremazia rispetto alle pretese ultramontane. La disputa aveva portato alla ribalta i cosiddetti biglietti di confessione, una sorta di certificati di “buona condotta”, rilasciati giust’appunto al momento della confessione e ritenuti indispensabili al ricevimento dell’estrema unzione. La pratica a mio avviso, piu che ottenere dei tanto odiosi quanto improbabili atti di fedeltà, era stata concepita allo scopo d’isolare, all’interno dello stesso clero, i focolai di giansenisti, partendo dall’insieme delle loro relazioni; di questi biglietti infatti venivano poi redatti dei registri dai quali era facile operare le eventuali ritorsioni;70 dare un biglietto di confessione a un noto giansenista, voleva dire insomma predisporsi ad una tanto sicura quanto temibile ritorsione. Che questo sia stato uno dei possibile utilizzi dei biglietti di confessione ce lo conferma anche lo stesso Barbier parlando del caso le Mere. Quest’anziano prelato si era ammalato e aveva richiesto l’estrema unzione; il frate Bouèttin della parrocchia di Saint-Etienne-du-Mont si era allora presentato chiedendogli un biglietto di confessione, ma questi gli aveva risposto di non averlo e di non conoscere neppure
69 Cfr. E. J. F. Barbier, Journal historique et anecdotique du règne de Louis XV, III, Paris, J. Renouard, 1851, 3, p. 389.
70 Ibid., p. 378.
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il nome del suo confessore; tuttavia se avesse avuto la pazienza d’ascoltarlo si sarebbe confessato a lui. Allora il frate Bouèttin gli disse che si trattava di sapere se riconosceva la costituzione Unigenitus ma l’anziano prelato rispose che non gli sembrava necessaria.71 Pochi giorni dopo Le Mere morirà sprovvisto di sacramenti; non era la prima volta che ciò accadeva,72 tuttavia la cosa suscitò un tale scandalo, che il frate Bouèttin fu condannato a pagare una multa di tre lire per non aver assolto alle sue funzioni.75 Sul caso intervenne anche il Parlamento; un arrèt del 18 aprile 1752 vietò agli ecclesiastici di rifiutare i sacramenti. Ma la questione si ripropose tale e quale pochi mesi più tardi quando il curato di Saint Médard, Pierre Hardy, si rifiutò di consacrare due suore della comunità di Sainte Agathe.74 La crisi sfociò nelle grandi rimostranze della primavera del 1753; il re rispose con l’esilio del Parlamento che riprenderà le sue funzioni solo nel settembre del 1754. La corona pensò allora d’imporre il silenzio in materia di religione, senza tuttavia risolvere il problema che si ripresentò più acuto che mai nel novembre dello stesso anno quando in occasione del caso Feillet, Christophe de Beaumont si rifiutò di cooperare con gli stessi magistrati.75 Il presidente Mole suggerì addirittura di prendere dei provvedimenti giudiziari contro l’arcivescovo, ma Beaumont non si fece intimidire e nel gennaio del 1755 ammonì i magistrati di non interferire con la Chiesa in materia di religione. Il 18 marzo di quello stesso anno il Parlamento dichiarava la bolla Unigenitus «inefficace»; il 4 novembre lo Chàtelet ordinava di bruciare in pubblico una
n Ibid., p. 362.
72 V. il caso Coffin in E. Regnault, Christophe de Beaurmont cit., I, pp. 163 e sgg.
73 Cfr. E. J. F. Barbier, Journal cit., p. 362.
74 Ibid., p. 417.
75 Cfr. J. Swann, Politics cit., p. 101-102.
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lettera pastorale dell’arcivescovo di Parigi,76 ma il Ut de ju-stice del 13 dicembre 1756 dichiarò YUnigenitus legge di Stato senza tuttavia sottoporla al vincolo di fede.77 Il 5 gennaio 1757, Robert Francois Damiens, un semplice domestico originario di Monchi-Breton nell’Artois, tentò d’assassinare il re colpendolo alla schiena con un coltello a due lame; Luigi XV se la cavò con qualche settimana di convalescenza; ma il colpevole fu condannato a subire uno dei più orrendi supplizi mai pronunciati nella storia della giurisprudenza.78 Di Damiens ci restano ancora oggi un guanto e il vestito che indossava al momento della cattura, entrambi gelosamente custoditi alle Archives Nationales™ addosso aveva anche una lettera nella quale si leggeva:
Je suis bien faché d’avoir eù le malheur de Vous approcher, mais si Vous ne prenez pas le party de notre peuple, avant qu’il soit quelque année d’icy, Vous et Monsieur le Dauphin et quelques autres periront; il serait facheux que un aussy bon prince par la trop grande bonté qu’il a pour les ecclesiastiques dont il accord toute sa confiance ne soit pas sùr de sa vie; et si vous n’avez pas la bonté d’y remédier sous peu de temps, il arriverà de très grands malheurs, votre royaume n’étant pas en sùreté. Par malheur pour Vous, que vos sujets vous ont donné leur démission, l’affaire ne provenant que de leur part. Et si Vous n’avez pas la bonté pour votre peuple, d’ordonner qu’on leur porte les sacrements à l’article de la mort, les ayant refusés depuis votre lit de justice, dont le Chàtelet a fait vendre les meubles du prètre qui s’est sauvé, je Vous réitère que votre vie n’est pas en sùreté, sur l’avis qui est
76 Ibid., pp. 105-114.
77 Ibid., p. 127.
78 «... tanagliato alle mammelle, braccia, cosce e grasso delle gambe, la mano destra tenente in essa il coltello con cui ha commesso il detto parricidio bruciata con zolfo e sui posti dove sarà tanagliato, sarà gettato piombo fuso, olio bollente, pece bollente, cera e zolfo fusi insieme e in seguito il suo corpo tirato e smembrato da quattro cavalli e le sue membra e il corpo consumati dal fuoco, ridotti in cenere e le sue ceneri gettate al vento»; M. Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Torino, Einaudi, 1993 [Paris, Gallimard, 1975].
79 ANP, X 2 B 1362.
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très vrai, que je prends la liberté de vous informer par l’officier porteur de la présente, auquel fai mis tonte ma confiance. L’arche-vèque de Paris est la cause de tout le trouble par le sacrements qu’il a fait refuser. Après le crime cruel que je viens de commettre contre votre Personne sacrée, l’aveu sincère que je prends la liberté de vous faire me fait espérer la clémence des bontés de Votre Ma-jesté.80
Che cosa significava quella lettera? Da quali file proveniva? Il riferimento agli ecclesiastici e alla bontà che il re gli riservava era del tutto palese ma i mandanti furono trovati ben presto nei gesuiti, i quali in quel momento erano accusati di professare il tirannicidio. In quello stesso anno, le Nou-velles ecclésiastiques si erano adoperate per far apparire in pubblico una nuova edizione della Theologia moralis di Hermann Bausembaum, un gesuita tedesco, che aveva teorizzato il regicidio.81 Ma il re non dovette apprezzare quello scherzo e ritenuto i giansenisti i maggiori responsabili del fallito attentato, ne esiliò gli elementi di spicco, rimborsandogli le cariche. Il 1 febbraio di quello stesso anno, i due celebri contendenti Machault e d’Argenson, furono licenziati e mandati in esilio.82 Nel frattempo il 25 maggio 1757 anche il Parlamento di Bordeaux aveva presentato le sue umili rimostranze alla Corona chiedendogli di prendere dei provvedimenti contro il rifiuto delle confessioni. Come, ci si chiedeva, Vous puniréz, sire, les Ecclésiastìques qui auront refusé d’ad-mìnistrer les sacremens hors les cas dans lesquels les canons autorisent ce refus: et hors de ces cas, vous ne pourréz pas leur enjoindre de les administrer?
Intanto il 17 aprile 1761 l’abate Chauvelin, nel bel mezzo di una sessione plenaria del Parlamento di Parigi, denun-
so ANP, AE V 7. 3.
81 Cfr. D. Van Kley, The Jansenists cit., p. 63 e sgg.
82 Cfr. J. Swann, Politics cit., pp. 138-145.
83 ANP, Conseil Secret du Parlement, x/l/b/8936, vers. 820154.
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ciava il dispotismo della Compagnia di Gesù aprendo un contenzioso che durerà oltre tre anni e che finirà con la cacciata dei gesuiti nel 1764.84 L’intero processo ruoterà intorno al caso La Valette, un gesuita della Martinica il quale si era adoperato a cambiare la valuta dei suoi conpaesani senza perdita di valore. Il sistema era molto semplice: con il denaro ricevuto acquistava zucchero e caffè che poi rivendeva in Francia a un quinto anziché un terzo delle perdite sul valore monetario; poi convertiva il ricavato in monete d’oro che infine ricambiava nella Martinica recuperando l’intero valore iniziale. L’attività del padre La Valette tuttavia comportò, per una serie di circostanze, il fallimento della società Lion-cy et Gouffre la quale denunciò le responsabilità della Compagnia di Gesù. Il processo di prima istanza si concluse con una condanna dei gesuiti i quali commisero l’errore di ripresentarsi in appello in Parlamento; questa volta i magistrati non li perdonarono e nel marzo del 1764 la Compagnia verrà definitivamente sciolta.85
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Ancora nel tardo 1780 il teologo domenicano poi prete refrettario Charles-Louis Richard si apprestava a ribadire che il divorzio non è vietato né dal diritto naturale né da quello divino poiché in virtù della sua potenza Dio può separare il marito dalla moglie come la moglie dal marito permettendo a entrambi di contrarre nuove nozze.86 Di lì a poco la parola passerà alla Rivoluzione che con la legge del 20 set-
84 Cfr. J. Swann, Politics cit., pp. 206 e sgg.
85 I gesuiti erano già stati espulsi dal Portogallo nel 1759; fra il 1764 e il 1767 verranno espulsi dalla Spagna, da Napoli, da Parma e dalla maggior parte del Sud America; infine la bolla Dominus ac redemptor del 21 luglio 1773 abolì definitivamente la Compagnia almeno fino alla Restaurazione.
86 Cfr. C. L. Richard, Un juif seul contre tout le Parlement de Paris, in Re-cueil de pièces intéressantes sur les deux questions célebres ..., s.l., Aux Deux-Ponts, 1779, pp. vi-vii.
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tembre 1792 proclamerà il divorzio in nome della libertà individuale.
Partendo da questi dati potremmo azzardare alcune modeste conclusioni; se è vero infatti che la sentenza del 2 gennaio 1758, con la quale il Parlamento di Parigi definiva il matrimonio un vincolo di diritto naturale e indissolubile, esprime in parte una tendenza già tutta presente in altre istituzioni, tuttavia questa non potrà che definirsi in rapporto a quel più ampio fenomeno quale fu il giansenismo francese nella seconda metà del Settecento. Infatti, se sul piano sociale una tale sentenza è povera di contenuti — almeno di non sostenere che il matrimonio nel Settecento fosse ritenuto del tutto indissolubile — su quello ideologico è ricca di riferimenti. D’altra parte quello che mi è sembrato interessante è il ruolo svolto dallo stesso protagonista, non tanto per la sua capacità di rappresentare un’universo sociale, quanto per il suo essere autore e fruitore delle regole da lui stesso concordate e prodotte all’ombra delle istituzioni. Da questo punto di vista, la sua conversione, come del resto il suo presunto divorzio, non corrispondono affatto all’oggettività della norma giuridica in essi contenuta, ma la trascendono in funzione di altre strategie: che il matrimonio qui possa essere pensato come indissolubile non è fondamentale; quello che conta è che fosse definito come tale. D’altra parte l’attitudine del nostro protagonista di fronte alle regole è del tutto coerente, salvo poi negarle nella loro successiva eversione; quest’aspetto ci induce ancora una volta a riflettere sulla natura delle istituzioni e sulla loro effettiva possibilità di rappresentare un’universo sociale.
Giacomo Francini