Camorra anno zero

Item

Title
Camorra anno zero
Creator
Marcella Marmo
Date Issued
1999-07-01
Is Part Of
Contemporanea
volume
2
issue
3
page start
463
page end
492
Publisher
Società editrice Il Mulino S.p.A.
Language
ita
Format
pdf
Relation
Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Italy, Einaudi, 1976
Rights
Contemporanea © 1999 Società editrice Il Mulino S.p.A.
Source
https://web.archive.org/web/20230923084600/https://www.jstor.org/stable/24651621?searchText=Foucault&searchUri=%2Faction%2FdoBasicSearch%3FQuery%3DFoucault&efqs=eyJsYV9zdHIiOlsiYVhSaCJdfQ%3D%3D&sd=1975&ed=2000&pagemark=eyJwYWdlIjoxOCwic3RhcnRzIjp7IkpTVE9SQmFzaWMiOjQyNX19&groupefq=WyJjb250cmlidXRlZF90ZXh0Iiwic2VhcmNoX2NoYXB0ZXIiLCJjb250cmlidXRlZF9hdWRpbyIsInJlc2VhcmNoX3JlcG9ydCIsInNlYXJjaF9hcnRpY2xlIiwicmV2aWV3IiwibXBfcmVzZWFyY2hfcmVwb3J0X3BhcnQiXQ%3D%3D&ab_segments=0%2Fbasic_search_gsv2%2Fcontrol&refreqid=fastly-default%3Acf7d9a57d7f94cf4134f54cfe1770d0d
Subject
discipline
surveillance
biopower
confinement
extracted text
Camorra anno zero
a cura di Marcella Marmo
Gli autori. I due manoscritti che qui si propongono, archiviati presso il Ministero dell’Interno tra «atti diversi» di gabinetto del lungo cinquantennio 1849-1895, non recano firma né data; un appunto 1860 ci mette sulle tracce della congiuntura e dell’iniziativa politica che ne produssero l’elaborazione1. Benché in stesura non ufficiale, si tratta con ogni probabilità della documentazione sulla camorra pervenuta al Ministero di Torino nella primavera del 1861 dal Dicastero di Polizia della Luogotenenza napoletana, affidato fin dal novembre del 1860 a Silvio Spaventa, già emigrato di prestigio e leader
a Napoli del «partito piemontese». Tra i tanti e complessi problemi dell’ordine pubblico e degli indirizzi generali per la politica meridionale nel 1861, l’attivo ed intransigente Consigliere dell’Interno e della Polizia fin dalle prime settimane del suo insediamento si era orientato a reprimere la virulenta camorra della capitale, organizzazione misteriosa ma visibilissima nelle pratiche estor-sive tra carceri e città2. Benché non avesse ancora una lunga storia alle spalle (non ce ne è traccia nelle cronache del 1799, e tuttora non è chiaro come si fosse venuta strutturando a ridosso degli anni 1820-30)3, l’or-
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1 Archivio Centrale dello Stato (ACS), Ministero dell’Interno, Gabinetto, Atti Diversi 1849-1902, b.a 9, fase. 75, Memoria sulla Consorteria dei Camorristi esistente nelle Provincie Napolitane; fase. 28.2, Rapporto sulla Camorra, 1860.
2 A ridosso della repressione del 1862-64, ne fece un’ampia descrizione, che è tuttora una lettura utile, lo scrittore italo-svizzero di area liberale M. Monnier, La camorra. Notizie storiche raccolte e documentate, Firenze, La Barbera, 1863 (ried. Napoli 1965). Per l’attività di Spaventa nelle successive Luogotenenze, cfr. la compiuta ricostruzione di A. Scirocco, R Mezzogiorno nella crisi dell’unificazione (1860-1861), Napoli, 1981; S. Spaventa, Dal 1848 al 1861. Lettere, scritti, documenti, a cura di B.Croce, Napoli 1898, pp. 291-311, su cui prevalentemente si basa anche il profilo di V. Caianiello, R contributo di Silvio Spaventa alla lotta contro le associazioni criminose 1860-1864, in Silvio Spaventa. Filosofia diritto politica, Atti del Convegno svoltosi a Bergamo il 26-27.4.1990, Napoli, 1991.
3 Per le ipotesi di una compattazione di vari fenomeni estorsivi e delinquenziali tra ’700 e primo ’800, nella congiuntura di ordine pubblico particolarmente complessa che attraversa il 1799 e quindi la riforma di giustizia e polizia compiutasi a ridosso della seconda restaurazione, accanto a Monnier, op. cit., passim, si rinvia al profilo generale dello stato degli studi: M. Marmo, Tra le carceri e i mercati. Spazi e modelli storici del fenomeno camorrista, in «Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. La Campania», a cura di P. Macry e P. Villani, Torino, 1990. Si può aggiungere come risulti complessa ma promettente la ricerca sulla riforma della polizia, che non si è però spinta oltre la prima restaurazione: acquisiamo poche ma significative tracce sia di fatti estorsivi diffusi, che del termine «camorristi» per l’area del gioco d’azzardo, all’interno
Contemporanea / a. II, n. 3, luglio 1999



ganizzazione estorsiva era ben nota ai prigionieri politici meridionali vittime della repressione post-’48, e della sua feroce presenza nelle carceri, l’opinione colta e i patrioti dell’intera penisola avevano potuto leggere nel brillante opuscolo di propaganda filo-piemontese di Antonio Scialoj a del 1857 sulle virtù dei bilanci sardi a confronto con quelli napoletani4. La rete carceraria era peraltro intrecciata con le attività nei
quartieri, che a cavallo del ’48 avevano anche mobilitato dalla parte dei liberali un certo numero di popolani/camorristi; cospirazione marginale e restata in sordina, accanto alla più evidente cogestione dell’ordine pubblico tra la polizia e la camorra, vera autorità nella città plebea, nelle fratture sociali e culturali profonde tra le «due nazioni», che il potere borbonico tendeva certo a riprodurre ed utilizzare5. Gli aspetti
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peraltro del Foro Militare, nel cospicuo scavo archivistico di G. Alessi, Giustìzia e polizia. Il controllo di una capitale 1779-1803, Napoli, 1992, pp. 108 ss., 180,206,215. Filtrano specifici fatti estorsivi nei mercati anche in G. Ceva Grimaldi, Riflessioni su la polizia, Aquila, 1817, pp. 33 ss. Per altri contesti la ricerca di storia politica comincia proficuamente a proporre lo studio delle fonti di polizia: S.C. Hughes, Crime, Desorder and thè Risorgimento. The Politics ofPolicing in Bologna, Cambridge, 1994.
4 A. Scialoja, I bilanci del Regno di Napoli e degli Stati Sardi con note e confronti (Torino, 1857), alle già famose denunce di Gladstone del 1851 sullo stato vergognoso delle carceri borboniche aggiungeva dettagliati racconti della convivenza più conflittuale tra i patrioti «galantuomini» e i feroci camorristi che controllavano il territorio carcerario, alcuni dei quali vennero quindi prezzolati come spie degli stessi «galantuomini» e ne guadagnarono carriere nella bassa polizia (pp. 106-111). Lo cita come «testo commissionato dal regime» M. Petrusewicz, Come il Mezzogiorno divenne una questione. Rappresentazioni del Sud prima e dopo il Quarantotto, Catanzaro, 1998, p. 118. Nell’intervento di Scialoja, che ebbe grande diffusione a Napoli, parte dunque la vulgata liberale di una camorra emersa nella città plebea grazie all’alleanza strategica con la monarchia, che si leggerà chiara nelle Lettere meridionali di Pasquale Villari. Sembra in linea con la vulgata, più che informazione storica attendibile, il riferimento alla genesi della camorra nella setta dei Calderari («sparsa dal Canosa nella plebe ed alla quale si iscrissero tutti i soverchiatori, i birri e ogni altro pessimo arnese della società in morale scompiglio»), che viene da N. Nisco, Storia del reame di Napoli dal 1824 al 1860, Napoli, 1908, p. 42. Monnier viceversa nel 1862 accenna a relazioni massoniche, riprende le informazioni sull’importazione dai reggimenti siciliani di età napoleonica, che troviamo nei nostri documenti, ma dà poi specifico rilievo alla tradizione carceraria napoletana, attestata da prammatiche e fonti gesuitiche dei secc. XVI-XVII (op. cit., p. 116, passim). Si segnalano fatti estorsivi ricorrenti nei cospicui saggi di ricerca sul sistema carcerario borbonico e post-unitario: A. Tolomeo, Bagni penali e isole di relegazione nel Regno di Napoli, e G. Machetti, «Tre mesi di prigionia». Il caso dell’Inchiesta sulle carceri giudiziarie napoletane del 1869, in «Giustizia penale e ordine in Italia tra Otto e Novecento», a cura di L. Martone, Napoli, 1996.
5 Si può rapidamente qui accennare che, mentre da Cuoco a Villari diventerà topica la lettura della struttura politica della capitale in chiave di «due nazioni», in Monnier (op. cit., passim) le fratture e «ragioni sociali» in cui si sviluppa l’organizzazione camorrista ricevono un’interpretazione più aderente alla ricca descrizione dell’estorsione diffusa nei mercati e agli stessi flussi di relazioni politiche tra «alto» e «basso». Monnier ci informa che lungo gli anni ’50 alcuni gentiluomini liberali commissionarono a pagamento ai camorristi movimenti di piazza, finte risse che attestassero un’opposizione popolare alla tirannide (op. cit., pp. 119121; può trattarsi delle risse clamorose di cui parla il nostro documento Memoria). Nel ’48 napoletano peraltro tra il 15 maggio e i disordini popolari del 7 settembre, che avrebbero dato il via alla repressione dei grandi processi, sappiamo della partecipazione popolare di alcuni quartieri all’opposizione costituzionale contro la plebe di altre zone schierata invece con l’esercito; di qui la vaga memoria di una spaccatura nel ’48 tra una camorra liberale ed una sanfedista (A. Allocati, Napoli dal 1848 al 1860, in AA.W, Storia di Napoli, voi. IX, Napoli, 1970, pp. 161 ss.; G. Paladino, H13 maggio del 1848 a Napoli, Napoli, 1920, passim; P. Ricci, Le origini della camorra. 130 di malavita napoletana, Napoli (1953), 1989, pp. 32-33). Ci sono in realtà tracce di rapporti intercorsi tra il gruppo della Setta dell’Unità Italiana ed alcuni camorristi, che saranno



sistemici della cogestione spiegano bene la famosa cooptazione dell’estate del ’60 della camorra nella guardia cittadina, allorché il prefetto dell’interregno Liborio Romano, di fronte ai posti di polizia assaltati dal popolo ed in attesa dell’arrivo di Garibaldi, decise di prevenire i pericoli sanfedisti e l’incipiente saccheggio plebeo per l’appunto inserendo nella nuova guardia un certo numero di camorristi (i quadri intermedi che nei nostri documenti risultano appunto i picciotti^.
Se a tutto lo svolgimento dei plebisciti la camorra in coccarda tricolore era stata tollerata, di fronte &IY escalation nell’estorsione diffusa e nel contrabbando favorita dalla stessa divisa, con l’istituzione della Luogotenenza Farini il Dicastero di Spaventa passò a una rapida repressione, con l’arresto di
un top di camorristi e il loro invio alle isole di relegazione, già utilizzate in età borbonica, come accennano anche i nostri documenti. Questo tipo di misure extragiudizia-rie/preventive tornerà com’è noto nella grande stretta repressiva generale, dallo stato d’assedio del ’62 contro i garibaldini alle leggi eccezionali contro il brigantaggio; sarà appunto Silvio Spaventa da Torino, come segretario all’Interno nel Ministero Farini-Minghetti, a far inserire i camorristi nella legge Pica, unica criminalità locale esplicitamente citata accanto a briganti, ladri, vagabondi, persone sospette, che tornerà cosi citata (insieme ai mqffiosi e agli accoltellatori) nelle leggi ordinarie di polizia dal!8717.
Nella primavera del ’61 siamo alle prime battute di questa repressione. Nelle carte
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infatti processati e condannati insieme, ricostruibili incrociando la produzione sulla repressione giudiziaria con quella memorialistica e biografica sui patrioti (G. Paladino, Il processo per la setta L’Unità Italiana e la reazione borbonica dopo il '48, Firenze, 1928; L. Settembrini, Ricordanze della mia vita, Milano, 1961, pp. 142-5,182, 261; Id., Epistolario, a cura di F. Fiorentino, Napoli, 1898, pp. XVI-XVIII; N. Nisco, Storia del reame di Napoli dal 1824 al 1860, cit, pp. 42-45; E. Croce, Silvio Spaventa, Roma, 1969, pp. 70-102; M. D Ajala, Memorie di Mariano D’Ajala e del suo tempo (1808-1877) scritte dal figlio Michelangelo, Firenze, 1886, pp. 90-117; A. Monaco, I galeotti politici napoletani dopo il Quarantotto, Roma, 1932, passim).
6 L’episodio si legge bene in L. Romano, Memorie politiche, Napoli, 1870, pp. 19-20, e in Monnier, op. cit., pp. 117 ss. L’enfasi assunta dall’episodio nella memoria storico-politica successiva va riconsiderata alla luce della più ampia ricostruzione del fenomeno camorrista, cfr. Marmo, Tra le carceri e i mercati, cit, p. 700.
7 Sulla repressione della camorra si sono prodotte ricerche specifiche: G. Machetti, Le leggi eccezionali post-unitarie e la repressione della camorra: un problema di ordine pubblico?, in Camorra e criminalità organizzata in Campania, a cura di F. Barbagallo, Napoli, 1988; M. Marmo e O. Casarino, «Le invincibili loro relazioni». Identificazione e controllo della camorra napoletana nelle fonti di età post-unitaria, in «Studi Storici*, 1988, n. 2. Nel riprendere l’azione di Spaventa tra la repressione della camorra nella Luogotenenza e la più ampia vicenda della legge Pica, ne difende la coerente intransigenza V. Caianiello, Il contributo di Silvio Spaventa, cit; R. Martucci, Emergenza e tutela dell’ordine pubblico nell’Italia liberale, Bologna, 1980, trascura viceversa ogni riferimento al versante napoletano, e fonda sulla documentazione presente per alcuni casi di brigantaggio la tesi del complessivo stravolgimento del diritto nella lettera e nella gestione della legge Pica. Da questa congiuntura di emergenza partirà un aspetto strutturale e continuativo della politica penale italiana, le cosiddette «misure preventive» di polizia, che gli studi di parte giuridica tuttora stigmatizzano come illiberali ed abusate contro il dissenso politico, benché non se ne sia studiata poi la gestione contro le varie forme di criminalità a difficile controllo; cfr. C. Fiore, R controllo della criminalità organizzata nello Stato liberale: strumenti legislativi e atteggiamenti della cultura giuridica, in «Studi Storici», 1988, n. 2; L. Martone, La difesa dell’ordine. R dibattito parlamentare del 1888 sulla legge di pubblica sicurezza, in Giustizia penale e ordine in Italia tra Otto e Novecento, a cura di L. Martone, Napoli, 1996.



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della polizia di Spaventa ci sono restate (benché in disordine) numerose tracce sulle difficoltà a controllare l’ingombrante delinquenza organizzata e a darsi direttive efficaci. «Io taccerò d’ignavia qualunque uffi-ziale o agente che faccia quartiere ai camorristi*, si scrive ad esempio con nervosismo dalla prefettura di polizia all’ispezione di Mercato, quartiere dove «più che altrove la camorra è in pieno e libero esercizio. Siano costoro sorpresi sul fatto e arrestati. Il balzello che costoro impongono ai compratori è un furto, qualificato con la violenza perché è sotto l’impressione della paura che si cede alle loro criminose esigenze. È d’obbli-go dei Signori Delegati e delle Guardie di P.S. di dar loro la caccia senza posa né tregua. Bisogna star loro addosso, trovarsi presenti [...]*8. Presumibilmente, il prefetto-questore che dà queste direttive ha in mente che la presenza di una forza pubblica più solerte possa bloccare sul nascere i fatti estorsivi, producendo le prove che le vittime non producevano e rompendo dunque il circolo vizioso paura/omertà che bloccava la repressione giudiziaria del fatto estor-sivo, nodo cruciale che leggeremo anche nei nostri documenti. Per altri esponenti dell’élite di governo la necessità di attrez-
zarsi sembra partire ancora, preliminarmente, da una più adeguata conoscenza di un fenomeno così forte ed insieme magmatico. Ai primi di aprile, in coincidenza forse non casuale con la discussione parlamentare sull’ordine pubblico nelle province meridionali, al Dicastero di Spaventa venne dal Segretario Generale della Luogotenenza Carignano, il giovane diplomatico torinese Costantino Nigra, la richiesta di «precise informazioni» sulla «società pericolosa [...] dei camorristi, sull’origine [...], sul modo con cui si compone, sulle abitudini e il numero presuntivo dei suoi membri tanto nelle province quanto nella città di Napoli, indicando le misure che potrebbero tentarsi per sciogliere quella consorteria, non senza far conoscere i provvedimenti che fossero stati adottati nei tempi andati per ottenerne lo scioglimento»9. Sono appunto i quesiti dei nostri manoscritti.
Il Consigliere di Polizia Spaventa, che la settimana prima aveva risposto addirittura in giornata alla pressante richiesta ministeriale di un rapporto sulla sicurezza pubblica nelle province meridionali in vista dell’imminente dibattito parlamentare sull’interpellanza Massari10, per le notizie sul camorrismo chieste da Nigra prende tempo: invie-
8 Archivio di Stato di Napoli (ASN), Questura, Gabinetto, F. 8, fio 3, Prefettura di Polizia a Ispezione Mercato, 4.4.1861.
9 ASN, Alta polizia (AP), F. 202, f.lo 4, Luogotenenza Generale del Re (Carignano), Gabinetto del Segretario Generale di Stato (Nigra) a Dicastero di Polizia, 5 aprile 1861, riservata con oggetto Notizie sul camorrismo. Si osservi l’approssimazione linguistica di Nigra, che, mentre chiede notizie su un fenomeno/comporta-mento, ha in mente poi che si tratti di una associazione da vietare come tanti altri fatti settari e di cui quindi si tratta di ottenere l’immediato scioglimento.
10 Scirocco, E Mezzogiorno nella crisi dell'unificazione, cit, pp. 241, 356-8. Il rapporto di Spaventa del 29 marzo, che il Ministro dell’Interno Minghetti utilizzerà nel dibattito del 2-6 aprile ’61, affronta sinteticamente ma con sicurezza il quadro del brigantaggio in espansione e le sue connessioni con la questione demaniale, la difficoltà di organizzazione della Guardia Nazionale nelle province, lo stesso affluire alle bande tanto di soldati sbandati quanto di servi di pena, liberati dall’improvvida amnistia di Francesco II



rà solo dopo 50 giorni un suo rapporto ufficiale (purtroppo non rimasto in copia nell’ufficio di partenza). Nell’inoltrarlo al Luogotenente egli precisa che la «notizia sulla camorra» era stata «[...] compilata su basi indubitabili sebbene non ufficiali. È strano e pur vero che la Polizia napoletana che ha preso tante volte dei provvedimenti sopra i camorristi non abbia lasciato in questo Dicastero nessun documento importante da cui avesse potuto desumersi l’origine e l’estensione di questa piaga sociale. Ma resto mallevadore della verità dell’esposizione trasmessa essendomi astretto ai fatti universalmente notori e lasciando da parte il fantastico e favoloso che pure vi è sull’esistenza di questa turpissima setta»11.
Il tempo e la cura profusi dal titolare del Dicastero fanno presumere che egli abbia affidato ai suoi funzionari l’indagine preliminare sui quesiti propostigli. Ad «una memoria pregevolissima», compilata dal «sig. Cu-ciniello, uomo d’intelligenza chiara e ragguardevole, come impiegato superiore [...]
sotto il governo dello Spaventa», accenna di lì a qualche anno Marc Monnier nel suo La camorra. Notìzie storiche raccolte e documentate12, volumetto di buona scrittura ed ampia divulgazione, che potè disporre anche di altri materiali provenienti dagli archivi di polizia. Se il lavoro così benemerito di quest’impiegato può appunto essere la Memoria sulla Consorteria dei Camorristi esistente nelle Provincie Napolitane, che troviamo archiviata nelle carte del gabinetto ministeriale insieme al Rapporto sulla camorra, quest’ultimo può risultare il rapporto curato da Spaventa stesso per la Luogotenenza.
Il lavoro che veniva dal Consighere di Napoli fu molto apprezzato a Torino: il Ministro dell’Interno Minghetti lo trovò «interes-santissifiio», tanto da ritenere «cosa utile il farlo pubblicare su uno dei principah periodici» della capitale, «giacché è bene sia quella classe conosciuta e si attribuisca così a molte delle dimostrazioni Napolitane quel solo carattere che meritano»13.
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alla vigilia della partenza per Gaeta, quindi dagli stessi garibaldini; nessuna citazione si fa della criminalità camorrista, pur così forte appunto in quel mondo del carcere che si era riversato fuori e aveva alimentato la generale crescita dei reati, «conseguenza inevitabile del politico rivolgimento» (p. 356). Abbiamo dunque l’impressione di ima gestione della polizia e degli interni da parte di Spaventa, nel 1861, che ha un’ampia visione dei complessi problemi ed aspetti del crescente disordine pubblico nelle province meridionali (se pure non riesce certo a fronteggiarli; Scirocco, Il Mezzogiorno nella crisi deiruntficazione, cit, pp. 201-210). Il giudizio viene riproposto in A. Scirocco, Silvio Spaventa e il Mezzogiorno negli anni dell’unificazione, in «Atti del Convegno “Gli hegeliani di Napoli e la costruzione dello Stato unitario” (Napoli 6-7.2.1987)», Roma, 1989, pp. 200 ss.
11 ASN, AP, F. 202, f.lo 4, Dicastero di Polizia a Luogotenente, 25 maggio 1861.
12 Monnier, op. cit, p. 18.
13 ASN, AP, F. 202, f.lo 4, Ministro dell’Interno a Luogotenente, 30 maggio 1861. Il controllo sui quotidiani torinesi del periodo, che non ho ancora potuto completare, potrà permettere di verificare se il testo proveniente dall’ufficio di Spaventa fosse appunto il nostro Rapporto sulla Camorra. Il quotidiano cui accenna Minghetti potrà risultare la «Gazzetta del Popolo», che sin dall’autunno del 1860 riservava alla prima pagina, e financo agli articoli di fondo, le informazioni circostanziate e la più esplicita polemica politica sui disordini sociali nelle province meridionali e sull’opposizione convergente di borbonici e garibaldini. Il rapporto ricevuto dal Ministero dell’Interno non risulta reperibile nei pochi fasci sulla corrispondenza con



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Che c’entra la «classe dei camorristi» con le più ampie difficoltà politiche del governo di Torino nella capitale meridionale? Il riferimento di Minghetti, a fine maggio 1861, non è casuale e neanche può dirsi arbitrario. Tra le tante «impazienze» e «malumori» di «Napoli e Sicilia», alimentate dalla meridionale «teoria del Diritto aU’impiego» contro cui già da mesi polemizzano i giornali torinesi, e di là dalla paranoia che certo a Torino si nutre nei riguardi dell’opposizione convergente garibaldini/borbonici/auto-nomisti14, c’era stata a fine aprile una settimana di fuoco, con tumulti specificamente rivolti contro Silvio Spaventa, assediato nel palazzo della Prefettura, e culminati con l’assalto e la messa a sacco della sua abitazione15. Le violente dimostrazioni erano la risposta di una buona parte della guardia nazionale, inquinata da camorristi e garibaldini di basso profilo, al provvedimento di Spaventa di vietare l’uso della divisa fuori servizio, - evidentemente indispensabile a frenare gli abusi di ogni sorta che la divisa e le armi concedevano ai militi. È noto che il leader della Destra napoletana intrattenne un rapporto rigido e reciprocamente ostile con la città di Napoli nel suo insieme, dagli oppositori politici ai postulanti d’impieghi, dalle opere pie e dai mendicanti che si ammassavano sulle scale dei palazzi del pote-
re..., alla guardia nazionale che creò appunto in aprile le manifestazioni più violente contro la gestione «piemontese» della Polizia. La delegittìmazione della piazza non sembra turbare più che tanto il nostro leader politico: «[...] lo Spaventa, sublime sfrontato, non curando l’odio universale, restò in seggio»16, - commenterà il borbonico De Sivo. Contro un’opinione pubblica ampia e frustrata il Consigliere proseguì la sua politica di ordine, autoritaria ma non arbitraria, sino a quando nel luglio il nuovo Luogotenente Cialdini non aprì ai garibaldini spazi di mediazione per lui inaccettabili, a partire appunto dalla gestione del personale di Pubblica Sicurezza17. E nella stesura del rapporto sulla Società dei Camorristi richiestogli agli inizi di aprile - laddove si tratti effettivamente del nostro manoscritto siglato Rapporto sulla camorra - pur in quelle settimane così difficili per la sua legittimazione politica a Napoli, intese guardare al fenomeno delinquenziale violento nelle sue complesse articolazioni sociali più che alla cronaca politica di una camorra all’opposizione che tiene la piazza insieme ai garibaldini.
I documenti. I due manoscritti, prodotti nella congiuntura di unificazione con l’intento di attrezzare le nuove autorità di
la Luogotenenza napoletana archiviati presso l’Archivio di Stato di Torino (per il disordine con cui furono archiviate le carte dei governi provvisori e straordinari del 1859-61, divisi in diversi spezzoni poi concetrati tra Roma e Torino, cfr. Ministero dell’Interno, Pubblicazioni degli Archivi di Stato, Gli archivi dei governi provvisori e straordinari, 1859-1861, Roma, 1961).
14 Si scorra per esempio la «Gazzetta del Popolo» di Torino nei mesi di dicembre 1860-gennaio 1861.
15 Spaventa, Dal 1848 al 1861, cit, pp. 306 ss.; Scirocco, H Mezzogiorno nella crisi dell’unificazione, cit, p. 200.
i6 G. De Sivo, Storia delle Due Sicilie dal 1847 al 1861, Viterbo, 1867, voi. V, p. 68.
17 Scirocco, Il Mezzogiorno nella crisi dell’unificazione, cit, p. 255; Spaventa, Dal 1848 al 1861, cit, pp. 309-311.



governo contro la «turpissima setta», svolgono su questa criminalità organizzata un racconto a tutto tondo, che anticipa una procedura topica ricorrente nella pubblicistica (a partire dall’insuperabile Monnier, tutt’oggi talora ripercorsa in sede di ricostruzione storica). Per spiegare una criminalità così invadente ed inedita, che riprodurrà per circa un secolo una specifica cultura di organizzazione delinquenziale, sembra a chi scrive inevitabile partire dal far luce sulla parola, che risulta spagnola; si cerca l’origine della misteriosa Consorteria nei costumi importati dal dominio di quella Signoria e nelle analogie con organizzazioni estorsive di tutt’altro contesto. Si passa quindi a descriverne gli aspetti cruciali: l’«organamento» e le regole, i mezzi malvagi e i fini estorsivi, le tradizioni carcerarie; ma anche la proiezione in molte pratiche di socialità e di mercato, tra lecito e illecito; la straordinaria legittimazione presso le vittime; l’impotenza del controllo istituzionale e in particolare di quello giudiziario, e d’altra parte il ricorrere di qualche connivenza nei vari livelli del potere amministrativo, o delle stesse élite politiche quando si aprirà un mercato elettorale; eventuali storie di uomini e gesta famose. Nei nostri testi, che non hanno ancora un genere a modello né «notizie storiche» da riciclare, già distinguiamo quel che sarà il topos delle origini nebulose, accanto alle informazioni numerose e nell’insieme attendibili sulla «mala Consorteria»18.
Alla svolta di metà ’800 il discorso sulla camorra ha delle buone ragioni per porsi l’interrogativo sulle origini di una criminalità insieme straordinaria e recente. L’élite liberale deve capire da dove viene, da dove cioè essa derivi la sua forza e la sua stessa differenza rispetto alla criminalità corrente. Cerca quindi nella storia e nel modello negativo per eccellenza, il potere spagnolo, le ragioni di un fenomeno che già risulta un inspiegabile arcaismo nel moderno. La spiegazione risulta debole, giacché sposta sulla nebulosa delle origini spagnole o siciliane della consorteria la genesi evidentemente complessa e recente di aggregazioni delinquenziali con radici che ben affondano nel tessuto sociale indigeno. Resta tuttavia interessante che, nell’ansia di ragionare su lontane origini, i nostri testi glissino proprio sulle dinamiche della congiuntura, che dovettero passare tra il riassetto di poteri tra giustizia e polizia, e la compattazione di fatti estorsivi più smagliati tra carceri e città, l’aprirsi di spazi di cogestione tra i gruppi violenti e le istituzioni per il controllo di or-dine/disordine nella città popolare19. Sembra dunque che l’élite della «monarchia amministrattiva» non produsse memoria corrente intorno a un fenomeno che risulterà epocale, su fatti sociali e istituzionali che pure si erano venuti svolgendo tra la loro generazione e quella dei loro padri, e che non sempre erano confinati nei bassifondi plebei: com’è vaga nei nostri testi l’informazione su una filiazione della camorra dai
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18 Per riferimenti alla pubblicistica e spunti interpretativi sulla cultura del gruppo, si rinvia a M. Marmo, L'onore dei violenti, l'onore delle vittime. Un'estorsione del 1862 a Napoli, in Onore e storia nelle società mediterranee, a cura di G. Fiume, Palermo, 1989.
19 Cfr. le precedenti note n. 3,4.



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bagni di Sicilia attraverso una via dell’esercito, istituzione per eccellenza in mano alle élite!
I nostri intellettuali/funzionari ci informano inoltre sulla disattenzione del potere amministrativo borbonico al recente decollo della camorra nella ristrutturazione della politica di ordine pubblico: essi hanno trovato negli archivi della polizia poche tracce della «mala Consorteria», e sembrano stupirsene. Traspare implicito un giudizio sostanzialmente diverso dalla vulgata liberale, che della cogestione strategica tra polizia e camorra avrebbe enfatizzato le funzioni di spia dei liberali, a cui si dedica solo un accenno nella Memoria; riceviamo l’impressione di una cogestione prodottasi nelle difficoltà del potere amministrativo di far partire nella capitale il disciplinamento, più che programmata a fine politico.
Se i nostri testi risultano dunque omogenei per il discorso sulla nebulosa delle origini e su una genesi che filtra come in sordina, la lettura incrociata di essi ci offre un’ampia descrizione della camorra ormai visibile, che si arricchisce di informazioni anche queste omogenee, dall’eclatante presenza nelle carceri al suo articolarsi su territori e mercati, sicché le sistematiche estorsioni risultano tasse, tributi. Si può osservare come queste parole chiave di un aspetto rilevante della criminalità organizzata - l’imitazione cioè del modello fiscale da parte di una delinquenza imprenditoriale/accumulativa
ad ampio potere territoriale20 - non risultino qui enfatizzate, come sarà nella successiva pubblicistica, ma tuttavia ricorrano in entrambi gli scritti.
I due testi si caratterizzano poi diversamente per l’approccio allo stesso oggetto, la Consorteria indubbiamente vitale. La Memoria è testo tanto ricco di informazioni lato sensu culturali quanto schivo nell’interpretazione del loro significato. Ci immette in una cultura a tutto tondo dell’organizzazione il primo, rilevante riferimento folclorico: il patronato della Madonna del Carmine, la madonna del quartiere Mercato e della rivolta di Masaniello, linguaggio devozio-nale/politico barocco21 che la pubblicistica non mancherà di enfatizzare. Lo stile resta scarno nelle pur meticolose informazioni su gradi gerarchici, regole, rituali e linguaggi interni al gruppo. Della sua proiezione esterna, il testo riporta la contraddizione «singolare» tra la violenza estorsiva paras-sitaria e la sua legittimazione presso gli stessi lavoratori sfruttati, o le sue funzioni d’ordine, e addirittura l’impegno alla beneficenza. Messi dunque in campo l’uno dopo l’altro i vari aspetti di una criminalità efferata benché con forte radicamento sociale, il suo successo viene spiegato implicitamente con l’intelligenza e la tenuta del vincolo settario e dunque con la paura e l’obbedienza imposte ai più deboli. Il discorso del funzionario si fa più esplicito nella parte finale, con i precisi riferimenti alle forme di
20 Marmo, Tra le carceri e i mercati, cit, pp. 713 ss.; Monnier, op. cit., pp. 93 ss.
21 Per le simbologie religiose e politiche «rovesciate» della cultura popolare seicentesca ed in particolare per la devozione alla Madonna del Carmine, cff. P. Burke, The Virgin of thè Carmine and thè Revolt of Masaniello, in «Past and Present», 1983, n. 99; A. Musi, La rivolta di Masaniello nella scena politica barocca, Napoli, 1989.



controllo e repressione che, tra polizia e giustizia, sono risultate deboli.
Sulla stesura della Memoria calano qualche significativo tratto di penna e ritocchi linguistici, che, nell’attribuzione qui proposta ai due testi, immagino per mano dell’autore del Rapporto. Le soppressioni e postille, come si potrà verificare, ben possono corrispondere all’opinione espressa da Spaventa nell’inoltrare alla Luogotenenza il suo rapporto del maggio ’61, già citata: egli ha voluto attenersi «ai fatti universalmente notori [...] lasciando da parte il fantastico e favoloso che pure vi è sull’esistenza di questa turpissima setta»22. Il Rapporto risulta più sintetico nella descrizione dell’organizzazione, sicuramente attiva tra carcere ed aree illecite; senza bensì sminuirne la coesione intorno alle articolazioni gerarchiche e regole ferree, interpreta in termini decisamente razionalistici quel che nella Memoria poteva risultare di per sé un magma di appartenenze e cerimoniali, e suggerirne un intrinseco fascino. Con qualche puntiglio si riportano ad una economia e una politica ben funzionali dèi gruppo sia le strategie, sia gli stessi sentimenti degli individui, turpi ribaldi che si rivelano animali politici nello stesso uso organizzato della forza bruta: la quale nel territorio carcerario di partenza può combinare il potere più asimmetrico sui deboli con le relazioni di forte connivenza istituzionale, e mettere quindi in piedi un vero e proprio mercato a furia di estorsioni protette. Lo sguardo dell’intellettuale che scrive il Rapporto risulta particolarmente
intenso sulla «efferata violenza» che la camorra assume in carcere; intensità di sguardo che sembra riportare le parole a cose di cui si è avuta diretta esperienza. Quest’aspetto del testo può appunto corrispondere alla biografia di Spaventa, che nei lunghi anni di ergastolo con i camorristi dovette sopravvivere nella stessa camerata, come altri patrioti che ne scrissero23.
Più selettivo nell’informazione grazie alla riflessione più intensa che ha maturato, l’estensore del Rapporto perviene a un discorso più articolato sul fenomeno criminale, a partire dalla geografia in cui la Consorteria effettivamente risulti attiva tra le carceri e i mercati. Qui la lettura incrociata dei due testi diversifica il quadro d’insieme. Se la Memoria ci informa di una più ampia presenza sui mercati della Campania felix dei camorristi organizzati nella Consorteria che ha il suo centro nelle prigioni, il Rapporto vede una presenza più smagliata dei camorristi nella vita cittadina, e viene a riflettere con acutezza su un mercato attraversato da fatti estorsivi indipendenti ed autonomi dalla rete delinquenziale più stretta, onnipotente nelle aree più circoscritte del carcere e dei circuiti prostituzione/gioco illecito. Vuole trarne delle «osservazioni» generali, e conclude con una riflessione propriamente politica sulla natura complessa del fenomeno.
La tematica e la sua rilevali-Za. Insieme ad altre fonti amministrative sulla repressione della camorra di quegli
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22 ASN, AP, F. 202, f.lo 4, Dicastero di polizia a Luogotenente, 25 maggio 1861.
23 Nelle biografie e lettere edite per Silvio Spaventa non risultano ricordi di convivenza con i camorristi, che ricorrono invece precisi per Scialoja, Settembrini e Nisco, cfr. le precedenti note n. 2,4,5.



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anni, i due testi costituiscono un buon osservatorio sul fenomeno criminale di metà ’800. Sugli svolgimenti della criminalità organizzata meridionale tra ’800 e ’900 solo di recente si comincia a fare chiarezza, e la ricerca storica si presenta forse più difficile per la camorra che non per la mafia, per le stesse tracce più approssimative che hanno lasciato nelle fonti la marginalità plebea-delinquenziale del fenomeno in Campania e il suo carattere carsico, rispetto alle ascese siciliane, più consistenti e continuative nelle vicende economiche e politiche dell’isola24. Peraltro a una storia diversa ed analoga dei due fenomeni (che non a caso nel nostro ciclo di espansione mafiosa omogenea si sono avvicinati ed intrecciati), ha corrisposto una vicenda parallela nella stessa disattenzione propriamente storiografica. Le due virulente criminalità già ottocente-sce ricevevano a lungo una lettura di fenomeni residuali, connessi all’arretratezza meridionale e ad aspetti sub-culturali per definizione tradizionali: alla vulgata in chiave classista della memoria storico-politica (la mafia come braccio armato del proprietario assenteista, la camorra popolare,
«partito della pebe»25) si affiancava la sociologia dei non corporate groups, decentrati su territori circoscritti ed aderenti ai codici culturali di una società familista/clientela-re26. Su questa attrezzatura analitica centrata sull’arretratezza si è quindi modellata la lettura sociologica fortemente dicotomica tra passato e presente di Pino Arlacchi, costruita sul caso calabrese degli anni ’70 ma più estensiva: la recente «mafia imprenditrice», con marcati caratteri di impresa criminale e pervasività politica, risulta una vera e propria mutazione rispetto alla mafia onorifica/di status morta con il latifondo a metà ’90027. Il modello è passato alla camorra, la cui storia pregressa nelle ricostruzioni divulgative è stata ripresa sulla base delle sommarie informazioni della memoria storico-politica: il flash sulla camorra in coccarda tricolore del ’60, che può risultare ancora paradigmatico di una camorra «partito della plebe», estorsione diffusa che pogge-rebbe su complesse funzioni di rappresentanza e protezione nella città popolare; l’altrettanto paradigmatica «camorra amministrativa» dell’inchiesta Saredo di fine secolo, che segnala l’altra cruciale possibilità poli-
24 Per la storia della mafia si rinvia ai rilevanti studi recenti: S. Lupo, Storia della mqfia dalle orìgini ai giorni nostri, Roma, 1993; P. Pezzino, Una certa reciprocità difavori. Mqfia e modernizzazione violenta nella Sicilia postunitaria, Milano, 1990; R. Mangiameli, Banditi e mqfiosi dopo l’Unità, in «Meridiana. Rivista di storia e scienze sociali*, 1990, nn. 7-8; G. Raffaele, L’ambigua tessitura, Roma, 1997. Spunti comparativi tra mafia e camorra si svolgono in M. Marmo, Dalla camorra impresa alla camorra impresa. Alcune riflessioni su cause e contesti, in La mqfia le mqfie, a cura di G. Fiandaca e S. Costantino, Roma-Bari, 1994.
25 I. Sales, La camorra le camorre, Roma 1988, utilizza questa categoria per la camorra di metà ’800, recependo in particolare la lettura di Arturo Labriola, La leggenda della camorra, Napoli, 1911.
26 I primi e importanti rilievi critici su questa attrezzatura socio-antropologica sono venuti da S. Lupo, Storia e società nel Mezzogiorno in alcuni studi recenti, in «Italia contemporanea*, 1984, n. 154. Riprende il confronto con le letture delle scienze sociali nel cruciale ciclo del secondo dopoguerra lo stesso S. Lupo, Le mqfie, in Storia dell’Italia repubblicana, a cura di F. Barbagallo, voi. III.2, Torino, 1996.
27 P. Arlacchi, La mqfia imprenditrice. L’etica mqfiosa e lo spirito del capitalismo, Bologna, 1983. Quest’approccio viene in particolare discusso in Lupo, Le mqfie, cit, p. 266; S. Lupo e R. Mangiameli, Mqfia vecchia, mqfia nuova, in «Meridiana. Rivista di storia e scienze sociali*, 1990, nn. 7-8.



fica: lo scambio clientelare28. Quale che sia la ridefinizione di queste approssimative categorie della politica camorrista, non risulta tuttora facile seguire i vari passaggi di età liberale, che ai primi percorsi nel mercato elettorale vede corrispondere un progressivo indebolirsi dell’organizzazione a maglie strette di metà secolo, e produce dunque un mix diverso, nei fluidi adattamenti di successive generazioni camorriste ai più ampi processi di mutamento sociale. Ancor più difficile risulta studiare la tradizione carsica di una guapparia novecentesca, più smagliata tra territorio urbano e provinciale, che a tutto il secondo dopoguerra sembra vivacchiare in sordina intorno al contrabbando e all’intermediazione nei mercati agricoli, finché la grande congiuntura droga/appalti produrrà anche in Campania la più moderna «camorra imprenditrice»29. Se la domanda di storia (e ci fa piacere) sembra tuttora vivace nei profili dedicati al virulento ed anarchico quadro campano contemporaneo, può sorprendere che talora tratti ben noti della tradizione camorrista (la sua compenetrazione con le aree delinquenziali e dunque l’apertura alla disperazione sociale, la presenza a tappeto tra lecito ed illecito, la disponibilità merce-
naria verso la politica...) vengano ritenuti una specificità recente, e ci si interroghi per esempio sull’arcano di una «camorra massa» di Cutolo, o su altri presunti aspetti differenziali rispetto alla meno anarchica mafia39.
La comprensione del fenomeno criminalità organizzata sia nel presente che per il suo passato ha evidentemente bisogno insieme di precisi rinvii al contesto specifico e di una prospettiva comparativa. Della criminalità organizzata sappiamo molto più di quanto non comprendiamo, ha ben scritto un sociologo, nell’introdurre un modello della mafia siciliana come «industria della protezione privata», lettura che a differenza della «mafia imprenditrice» ha il pregio di misurarsi su un presente lungo e che offre un contributo fondamentale sullo snodo ricorrente estorsione/protezione, la cooperazione micidiale del più ampio milieu all’iniziativa dell’impresa criminale31. Questo modello a sua volta risulta più brillante che profondo: il fuoco sulle relazioni fiduciarie gioca infatti a sciogliere l’arcano della legittimazione mafiosa semplificando sulle razionalità dello scambio economico un fenomeno più conflittuale e politico, poiché si finisce per assimilare a un libero mercato
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28 Cfr. la ricostruzione storica d’insieme di Sales, op. cit, e le notazioni critiche di Marmo, Tra le carceri e i mercati, cit, pp. 704-711.
29 La prospettiva della recente modernizzazione è stata svolta, utilizzando le ricche fonti giudiziarie disponibili per il quadro contemporaneo, da E Barbagallo, Napoli fine Novecento. Politici camorristi imprenditori, Torino, 1997, e II potere della camorra (1973-1998),Torino, 1999.
30 Oltre a Sales, op. cit., passim, cfr. ad esempio L. Violante, Non è la piovra. Dodici tesi sulle mqfie italiane, Torino, 1994 (pp. 60, 72, passim), testo che in altri passaggi è invece recettivo delle nuove impostazioni storiografiche sulla «imprenditorialià» intrinseca allo stesso fenomeno camorrista/mafioso storico; riutilizza inoltre alcuni passi del Rapporto sulla camorra (ripresi da Marmo, Tra le carceri e i mercati, cit, e già citati in Rapporto sulla camorra. Relazione approvata dalla Commissione antimafia il 21 dicembre 1993, ed. L’Unità, 1994, p. 143).
31 D. Gambetta, La mqfia siciliana. Un'industria della protezione privata, Torino, 1992.



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neoclassico le relazioni violente e più asimmetriche tra venditori ed acquirenti di fidu-cia/protezione, non mettendo in evidenza che si tratta per molti degli scambi di un servizio truccato32.
Risultano più utili altri indirizzi sociologici, praticati sui più vari casi deWorganized crime stuatunitense, che propongono un approccio interazionista capace di integrare i numerosi fattori ed aspetti, che giocano tra l’aggregazione del gruppo criminale e il suo antagonismo, le ibridazioni culturali, gli scambi funzionali economici e politici verso il corpo sociale e le istituzioni pubbliche, in relazioni di reciproco adattamento, tra l’espansione otto-novecentesca del sistema di polizia e i processi di integrazione politica nelle città multietniche33. L’approccio ad includere un ventaglio di interazioni può ben coprire le complessità specifiche della criminalità organizzata meridionale, che, a differenza di altri casi di organized crime più circoscritti a specifici mercati ille-gali/legali, tra ’800 e ’900 ha assunto carattere di vero e proprio potere territoriale al crocicchio di rilevanti fatti sociali, ognuno dei quali va ripercorso nella sua rilevanza, a partire dal soggetto organizzazione. Con buona pace delle letture sociologiche in chiave di non corporate groups, le cosche
maliose studiate per il secondo ’800 come la nostra Consorteria dei Camorristi decollano e si riproducono intorno a strategie simili di estorsione/protezione, articolando intorno al gruppo coeso un’ampia struttura di relazioni: dalla cogestione sistemica con i sistemi di polizia nella funzione di filtro e relativo controllo delle alte densità delinquenziali in cui lo stesso fenomeno è immerso, ai network aperti nella rete sociale che producono la pervasività economica e politica verso l’alto più o meno pronunciata. Questa tematica richiede peraltro che la nostra storiografia politica si attrezzi a praticare non solo l’interscambio con le scienze sociali più di quanto non avvenga, ma con la storia sociale. La disattenzione al nostro fenomeno ha complesse ragioni nella tradizione italiana di cultura politico-storiografica, che è stata a lungo portata ad intendere la storia politica come storia delle élite e istituzioni emergenti più che dei processi di integrazione politica; nella scarsa attenzione agli aspetti processuali, la storia contemporanea ha dovuo misurarsi con il problema della «perdita dell’Ottocento»34. Se la nostra area di studio sulla criminalità organizzata richiederebbe un background più ampio di storia criminale quale praticato in altre storiografie, sul contiguo versante delle
32 Se ne discutono le categorie e gli svolgimenti analitici in M. Marmo, Le ragioni della mafia. Due recenti letture di storia politica e sociologia economica, in «Quaderni storici*, 1995, n. 88.
33 Se ne riprendono gli orientamenti, dalla Scuola di Chicago alle recenti fortune degli approcci neo-istitu-zionalisti ed interazionisti, in R. Monzini, Gruppi criminali a Napoli e Marsiglia. La delinquenza organizzata nella storia di due città (1820-1990), Roma, 1999, lavoro che, pur senza poter basarsi su ricerca propriamente storica, mette a frutto le possibilità comparative offerte da attenti incroci tra gli antagonismi e gli scambi funzionali, le dimensioni delinquenziali e i più ampi processi di mutamento economico-sociale e di integrazione politica.
34 P. Pombeni, La storiogrcfia politica sull’Italia (198)-1995), in «Ricerche di Storia Politica*, 1996, XI, include la tematica criminalità organizzata e il più generale rapporto Nord/Sud nelle considerazioni su «la perdita di rapporto con l’Ottocento* (p. 8).



politiche penale/criminale e dell’ordine pubblico non si è andati oltre lo studio della culture giuridiche e delle normative, ripercorse peraltro lungo l’interpretazione pregressa di una vicenda pohtico-statuale au-toritaria/classista, prestando scarsa attenzione al rinnovamento della prospettiva storiografica d’insieme che pur si è svolta sul «caso italiano»35.
Venendo dunque a guidare la lettura dei nostri documenti lungo queste tematiche, ne va innanzitutto sottolineata la chiara messa a fuoco della Consorteria, che ofire alla comparazione suSl organized crime un caso interessante, un «modello napoletano» ad estorsione diffusa e strutturazione precoce, a ridosso della comparsa della prima amministrazione di polizia. La ricerca potrà chiarire, se le fonti saranno meno avare di come sembrò agli estensori dei nostri documenti, che parte ebbe la cogestione del disordine popolare nella strutturazione della Consorteria tra le carceri, dove tradizioni estorsive sono attestate sin dal ’500, e i dodici quartieri a specchio delle rispettive ispezioni di polizia; che spazio ebbero a loro volta le funzioni di spia dei liberali, con cui peraltro i camorristi prezzolati entrarono come si è detto in contatto, e di cui possono aver imitato il modello settario36. Se sulla recente genesi del fenomeno i nostri testi come si è detto ghssano, la Memoria ci riporta la canzoncina camorrista irridente alla congiuntura politica alta (nuje nun simm cravunare...), cui è da prestare qual-
che attenzione. La doppia pratica mercenaria è intesa in funzione di una strategia autonoma (facimm ‘e cammurrist) ed intenzionalmente ostile (famm ‘ncul) agli altri attori con cui si entra in scambio; di questi il gruppo distingue l’appartenenza politica, ed a sua volta rivendica una propria identità antagonista, che è poi insieme una specializzazione di mestiere (spesso infatti ricorre come classe dei camorristi).
L’appartenenza al gruppo delinquenziale si legge a sua volta nei nostri testi (e in particolare nella Memoria), dove si accumulano le informazioni su regole e rituali, cerimoniale e linguaggi di onore, materiale folclorico che tornerà fino alla pubblicistica di inizio ’900, e che la storia politica deve attrezzarsi ad includere alla luce di qualche incrocio con le prospettive antropologiche. La comprensione della storia camorrista presuppone infatti uno sguardo d9en bas e passa anche attraverso la valorizzazione di quante informazioni, relativamente indirette, vengono dalla cultura di quest’élite criminale, e sono poi traccia della sua storia sociale. In breve, leggiamo nei dettagli una compatta organizzazione a reciprocità ge-neralizzata/negativa che delimita il gruppo nel milieu: le regole e i confini che aggregano l’élite e la ordinano, distinguendola in particolare dai ladri...; i valori di integrità sessuale/virile, forza e coraggio che devono assicurare la selezione all’ingresso; l’onore, patrimonio politico gerarchizzato ma collettivo, che già dà nome al primo grado d’in-
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35 Un bilancio può trarsi dallo stato degli studi offerto dal volume Storia d'Italia. Annali 12. La criminalità, a cura di L. Violante, Torino, 1997; sul quale si è svolto nel novembre ’98 un forum presso «Meridiana. Rivista di storia e scienze sociali» (in corso di pubblicazione).
36 Cfr. i riferimenti già ripresi nelle precedenti note 3,4,5.



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gresso (il Picciotto d’onore); la ritualizzazio-ne che assicura l’appartenenza, controlla i conflitti interni, sanziona e commina le pene37.
È rilevante nei nostri testi che il gruppo si distingua a partire dal suo strutturarsi in carcere, esperienza di vita corrente che diviene cultura condivisa: la pena del carcere, ci riporta la Memoria, sarebbe requisito di ammissione (come tutt’oggi è «un prestigio, un vanto» dei camorristi; non però dei mafiosi)38. La scellerata ferocia che a sua volta il Rapporto vede specificamente nel carcere, limen di massima asimmetria tra i più forti e i più deboli, è uno sguardo diretto sui tratti genetici della cultura camorrista (la quale nei suoi svolgimenti risulterà persino più soft). La comprensione della storia camorrista deve prendere sul serio questa violenza assoluta, che alle nostre date ha già un passato; la strutturazione meticolosa che qui ne leggiamo può avvalersi dell’importante discorso di Foucault sulla prigione come grande scacco della giustizia penale alle soglie della modernità. Sorvegliare e punire indica per un verso i percorsi della cogestione, che si attaglia a tanti contesti ed assai bene al nostro: la prigione abuso di potere produce subito recidivi, «solidali, ge-rarchizzati, pronti per tutte le future complicità»; delinquenza managgevole/ingra-naggio del potere nel sistema carcerario, che tra dentro e fuori produce spie per la polizia, servizi illeciti e colonizzazione de-
gli illegalismi popolari39. Un altro snodo del discorso foucaultiano è centrale per la comprensione della cultura camorrista, il fallimento del progetto disciplinare intorno al corpo. Beninteso, la barbarie dello sfregio, che tanto colpisce l’intellettuale civilizzato del Rapporto, non risulta, a tutto l”800 ed oltre, un’esclusiva del gruppo criminale e tanto meno ci convince la derivazione siciliana attraverso due reggimenti di età napoleonica. Il coltello omicida e la faccia tagliata ricorrono per esempio quotidianamente nelle carte di polizia giudiziaria sui reati contro le persone a Napoli per la fine del secolo, e sarebbe interessante studiarne la progressiva scomparsa dal comportamento popolare diffuso, per più numerose aree campione e lungo i tempi più o meno lenti del mutamento socio-culturale. Nella criminalità organizzata viceversa, come ben si legge anche nei nostri testi, la violenza risulta indubbiamente risorsa culturale primaria e specializzata dei singoli e del gruppo, il fondamentale capitale umano su cui regge questa specifica strategia economico/ politica, ieri come oggi. Gli arcaismi più eccessivi rispetto alla civilizzazzione generale della nostra società possono tuttora tornare vitalissimi, se ricordiamo solo le guerre di camorra e di mafia, o per l’appunto nel carcere di Poggioreale le gesta dei cutoliani nelle ore del terremoto del 1980 ed in altre esecuzioni raccapriccianti all’interno dello stesso gruppo.
37 Cfr. Marmo, L’onore dei violenti, cit
38 Violante, Non è la piovra, cit, p. 142: risulta questo effettivamente uno dei tratti differenziali rispetto alla mafia, per come desumiamo da un collaboratore di giustizia mafioso: «Per loro (i camorristi) è un pregio, un vanto quello di entrare e uscire perché si acquista più valore nella loro mentalità. Nella nostra mentalità invece meno si va in carcere e più sei apprezzato [...]».
39 M. Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Torino, 1975, pp. 293 ss., passim.



I nostri testi hanno quindi il pregio di affiancare questi tratti asimmetrici del gruppo a diverse informazioni sul suo intervento parassitario nel mercato, anche queste meno sommarie di quanto possano sembrare a prima lettura. Se sul nodo estorsione/prote-zione la paura di chi paga la tangente resta un richiamo scontato, la stessa varietà di «forme e frodi qualificate di camorra» riportate descrive l’insieme tipico del potere territoriale che combina intorno all’iniziativa polivalente del gruppo violento la sua strategia accumulativa. Nonostante il consenso che esso riceve non si ammetta mai legittimo, mercato per mercato i nostri testi lasciano filtrare più o meno implicite le diverse ragioni dello scambio, tipiche dell’estor-sione/protezione in tanti contesti: dai giuo-catori che pagano su vincite e perdite (in virtù dell’alea, su cui il controllo camorrista fa effettivamente da garante contro le frodi)40, alle arance protette dai furti (come nei giardini di Palermo), ai facchini camorristi che si organizzano per accaparrare il lavoro precario e ne difendono il prezzo (come nelle zolfare agrigentine), ai portuali che viceversa pagano sul salario qualcuno che si è organizzato probabilmente fuori del porto e permette loro di accedere alle banchine (come in ogni caporalato)41. Questa carrellata alquanto banale sui mercati napoletani attraversati da fatti estorsivi può
permetterci di riprendere la riflessione sulla lettura della mafia come «industria della protezione privata», che si è già citata. Le funzioni fiduciarie a cui l’estorsione si apre e che sembrano deconflittualizzarla, laddove le informazioni che abbiamo sul contesto ci presentano un gruppo violento strutturato, non risultano l’esito del libero mercato e dello scambio economico simmetrico che vuole la sociologia funzionalista di marca anglosassone, ma configurano piuttosto un mercato polaniano, attraversato da relazioni sociali, qui specificamente violente, finalizzate ad agire nel mercato/contro il mercato42. L’arcaismo della criminalità organizzata si fa qui meno iniquo all’interno della cultura sociale, ed apre infatti un ampio milieu alla convivenza con l’iniziativa del gruppo violento, che resta pur sempre il fatto sociale fondante.
I nostri scritti di metà ’800 percepiscono il disordine profondo di questi scambi, giacché l’élite liberale, almeno nella congiuntura di fondazione nel nuovo Stato ed almeno in via di principio, non può ammettere che il mercato sia attraversato da relazioni violente. Veniamo in particolare ad una lettura interna del Rapporto, che si situa al crocicchio delle diverse prospettive qui riprese: l’attenzione alla camorra cóme gruppo strutturato, la sua cultura economico/politi-ca violenta e parassitaria, la sua diffusione
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40 Si può osservare come nel controllo del gioco, attività camorrista sia in carcere che fuori molto specifica, fimzioni bene il modello fiduciario, giacché il gioco d’azzardo è attività propriamente aleatoria in cui la funzione d’ordine del gruppo violento presta un servizio reale e non truccato; cfr. Marmo, Dalla camorra impresa, cit, pp. 280-281.
41 Gli spunti comparativi rinviano a: Monnier, op. cit, pp. 69-70; S. Lupo, Il giardino degli aranci II mondo degli agrumi nella storia del Mezzogiorno, Venezia, 1990; Pezzino, Una certa reciprocità di favori, cit, pp. 205 ss.; Monzini, Napoli e Marsiglia, cit, passim
42 Marmo, Le ragioni della mcfia, cit



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nel mercato. Sembra che appunto la riflessione più intensa sull’orrore del carcere abbia permesso a quest’autore di vedere più cose: la camorra che nei mercati è «di altra indole», la rete più smagliata e il pullulare di fatti estorsivi ad ampia diffusione. Questa notazione risulterà rilevante per studiare la riproduzione di età liberale, quando come si è già detto andrà calando la combinazione barocca dell’estorsione alla luce del sole e dell’organizzazione coesa tra le carceri e l’intero territorio urbano, qui leggibile nella Memoria ed enfatizzata ad iosa dalla pubblicistica di inizio ’900.
Aprono all’età liberale a venire gli ultimi passaggi del Rapporto, riflessione che riprende vari fili del discorso nella prospettiva progressista e risulta un rilevante discorso politico. Nei due brevi capoversi finali si articolano vari nodi della cultura liberale del potere, a partire di nuovo dal carcere. C’è chiara la confessione di una gerarchia nella valutazione politica del disordine sociale, ammettendo (con Foucault) il fallimento della giustizia penale, che vede tutto l’orrore del carcere ma lo riconferma per i marginali, l’eccezione e il rifiuto della società: lì, è men grave sotto l’aspetto politico. Ma vediamo l’altro polo. È il disordine del mercato il disordine propriamente politico, nell’accezione alta della categoria, poiché segnala il fallimento delle coppie virtuose Sta-to/società civile, Stato/mercato. Il rapido commento sulla società della capitale ac-
cenna all’arcano di sempre, che ha molti attori: coscienza pubblica, tolleranza sociale, neutralizzazione del potere penale. Si può quindi osservare come il disordine napoletano diffuso risulti più circolare che non aderente a fratture rigide43, ed il nostro testo presenta qui analogie con la lettura «alta» della mafia di qui a poco svolta da Franchetti, la scoperta che l’infezione si annida, inspiegabilmente, nei «facinorosi delle classi medie», nella Sicilia «incapace di intendere il concetto del Diritto»44.
La prospettiva politica è peraltro diversa, poiché il discorso di Franchetti a metà degli anni ’70 si svolge a latere del più ampio problema italiano centralismo/autonomie e lo sguardo pur profondo sul fenomeno mafioso vi assume la intenzionalità politica di governare la Sicilia dall’esterno45; laddove questo rapido discorso sulla camorra della prima élite liberale ha il pregio, per chi ami collocare i fenomeni mafiosi nel loro contesto senza farne tuttavia una metafora dei mali generali, di non allontanarsi dal suo oggetto e di metterne a fuoco la specifica natura politica, che resta nel disordine sociale. L’antagonismo camorrista del 1861 non viene visto nello scandalo della coccarda tricolore né nei vari scambi politici che l’hanno preceduta; al centro sono a fuoco la «classe dei camorristi», il mercato e la società civile che la tollerano. Anche il discorso sulla camorra di qui a qualche decennio si farà ellittico, e diversamente politico: dalla
43 Si riprendono le successive rappresentazioni lungo l’età liberale in Marmo, Tra le carceri e i mercati, cit, pp. 706 ss. Sottolinea i percorsi circolari emergenti da recenti approcci di storia sociale e politica: P. Macry, Circuiti redistributivi di una città ottocentesca, in «Quaderni storici», n. 91,1996.
44 L. Franchetti, Condizioni politiche e amministrative della Sicilia (1876), Firenze, 1974, pp. 91,219-2 21.
45 Lupo, Storia della mqfia, cit, pp. 73 ss.



lettura di Villari in chiave di responsabilità del potere alto nella frattura tra le «due nazioni», che produrrà successive versioni populiste di sinistra imperniate sulla miseria e gli antagonismi popolari, a quella di Tu-riello sulla società sciolta, che manipola la legge e lo Stato, producendo in alto clientele e in basso camorre, relazioni circolari/ver-ticali46. Grazie alla congiuntura politica vergine in cui si svolge nel 1861, e supponendo che l’autore del Rapporto sia appunto Silvio Spaventa, si può apprezzare che questo testo non corra verso la prospettiva meridionalista47. La questione meridionale nascerà infatti negli anni ’70, non è stata ancora «inventata».
Ci si va interrogando, all’interno della tematica identità nazionali, su come decostruire le immagini negative del nemico, che nel natìon building italiano a più riprese sembra essere stato per definizione meridionale, diverso e inferiore; dell’élite na-poletana/piemontese che torna nel ’60 e trova un paese arretrato, servile e violento, si cercano i percorsi psicologici e politici, che hanno allontanato dalla prima patria e ne fanno produrre una rappresentazione negativa48. I nostri testi sulla camorra, ed altri prodotti a Napoli e circolanti nell’Italia appena unita, non sembrano autorizzare più che tanto un approccio a decostruire i discorsi negativi sul Mezzogiorno, per ri-
muovere che il negativo ci fosse. La «cosa» senza dubbio c’è nella società napoletana: la camorra è realmente una «specialità strana e trista di queste contrade», e la «condizione morale di quel popolo» giustamente non esce bene dalle ultime righe del Rapporto. Tuttavia la prospettiva progressista del testo, che mitiga il raccapriccio d’insieme, è quella di un’élite di governo, interessata alla politica dell’ordine pubblico più che ad una meta-rappresentazione.
L’altro funzionario chiudeva a sua volta la Memoria con un rilevante problema di governo della legge: l’utilizzazione delle fattispecie dei reati associativi contro questa criminalità evidentemente associata, che tuttavia ad essi sistematicamente sfuggiva, per ragioni che il potere esecutivo in particolare in età liberale ha attribuito alla proverbiale «mitezza dei giudici», e che la più garantista magistratura a sua volta ha difeso a lungo49; sicché lo Stato italiano (che pure ha svolto tra età liberale e fascista diversi cicli di repressione, prima della gran bonaccia degli anni ’50-’60) ha atteso più di un secolo prima di scegliere una srategia di antimafia imperniata in buona parte su una più articolata politica penale riguardo ai reati associativi. Le informazioni che ci dà la Memoria sono troppo poche per valutare la fondatezza del giudizio negativo sulla gestione di quel maxi-processo del 1859 di Castellam-
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46 Si rinvia alla nota 43.
47 Così osserva per la prospettiva politica generale di Silvio Spaventa nella congiuntura di unficazione, A. Scirocco, Silvio Spaventa e il Mezzogiorno negli anni dell'unificazione, in Silvio Spaventa. Filosofia diritto politica, cit, pp. 213 ss.
48 Petrusewicz, Come il Mezzogiorno divenne una questione, cit Diversa la prospettiva di C. Petraccone, Nord e Sud: le due civiltà, in «Studi Storici», 1994, n. 3.
49 Fiore, op. cit.



mare; un altro se ne svolse di lì a dieci anni, nella stessa area di contrabbando portuale camorrista/mercantile, ed i giudici a quanto sembra esercitarono al minimo il potere di punire, poiché di nuovo smantellarono il reato associativo50. Di rimbalzo, il potere esecutivo accetterà il gioco delle parti di potenziare le misure preventive di polizia, spazi di punizione arbitraria e di politica penale
schizofrenica51, che tuttavia (con buona pace delle critiche garantiste di parte giudiziaria) risultano per tante carriere criminali da noi studiate le uniche pene temute e subite. Anche la rilevante tematica dell’antimafia - dove porre i confini del diritto e della pena, che cosa tollerare e che cosa vietare anche nella cooperazione micidiale del milieu - ha molti attori ed un presente lungo.
Memoria sulla Consorteria dei Camorristi esistente nelle Provincie Napolitane52
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Sotto il patronato della Madonna del Carmine vive nelle Provincie Napolitane una mala consorteria che Consorteria dei Camorristi o Camorra semplicemente si appella53. Essa ha organamento, mezzi di azione e scopo determinato e questo scopo è: campare la vita nell’ozio mediante estorsione e scrocco da praticarsi a scapito dei giuocatori anzi tutto, poi di quanti si guadagnano anche onestamente un pane.
Non sono riuscito a spiegare la causa di questo nome: camorristi54.
Riguardo all’origine della malvagia setta, vuoisi che un tempo (né55 ho potuto conoscere precisamente quest’epoca) si fossero tratti dai luoghi di pena varii condannati per formarne due reggimenti Siciliani. Furono essi che diffusero poi nella massa generale dell’Armata primamente, ed in seguito nel resto della società il pravo56 germe della Camorra, la quale cominciò man mano a svilupparsi, a crescere e a fissare norme certe, aumentando ogni giorno il numero dei proseliti e delle inoneste57 im-
50 Marmo e Casarino, «Le invincibili loro relazioni», cit, pp. 411-416. Le fonti giudiziarie non sono ripercorse in maniera sistematica nella ricerca sulla mafia, ma sarebbe viceversa possibile e proficuo lavorare sui reati associativi per più tribunali ed anni campione. La problematica gestione di grandi processi accompagna la storia del nostro fenomeno sin dai primi decenni postunitari, cfr. Pezzino, op. cit., pp. 209 ss.; Lupo, Storia della mqfia, cit, pp. 94 ss.; Mangiameli, op. cit.
51 All’equilibrata ricostruzione di Fiore, op. cit., fa riscontro la meno feconda impostazione di D. Pettini, Il sistema di prevenzione personale tra controllo sociale ed emarginazione (in Storia d’Italia. La criminalità, cit) che ha basato la ricerca sul controllo del dissenso politico, ma estende poi ad un più ampio (quanto vago) «controllo sociale» il giudizio sull’intrinseco arbitrio del sistema.
52 ACS, Ministero dell’Interno, Gabinetto, Atti Diversi 1849-1902, b.a 9, fase. 75. Sul testo ci sono alcune correzioni, da mano diversa dall’estensore, che si riportano qui appresso in nota.
53 II chiosatore riscrive: «una consorteria che chiamasi del Camorristi o semplicemente Camorra».
54 II rigo viene cancellato.
55 Sic.
56 Pravo: cancellato.
57 Correzione: malvage.



prese. Il più impenetrabile velo del segreto copre gli statuti della pericolosa associazione58, e non fu che dopo accuratissime ricerche per parte della polizia, che si giunse a scoprire qualcuna delle regole che governano i camorristi e che verrò riferendo qui appresso59.
I Camorristi sono divisi60 in tre classi: la prima comprende i Picciotti d'onore, poi vengono i Picciotti di sgarro, nella terza categoria sono i Camorristi propriamente detti.
Queste tre classi costituiscono un vero ordine gerarchico, né si può essere Camorrista senza essere prima stato Picciotto d’onore e Picciotto di sgarro. Chi aspira a far parte della consorteria deve riunire molte e molto singolari condizioni; occorre cioè che egli dimostri di non essere né spia né ladro: -deve provare di non essere stato mai pederasta passivo, e di non avere nel meretricio né moglie, né sorella: - si ricerca inoltre che l’aspirante abbia corrispondenza con compagni forestieri, e sappia conservare un segreto, che promette di aver sacro prestando giuramento sopra ferri incrociati. Vuoisi ancora che egli dia prova del suo coraggio battendosi a singolare tenzone con quello degli associati che verrà estratto a sorte.
Sono esclusi dalla Camorra i congedati dalla gendarmeria, le guardie di polizia, e quelli che fanno parte della marina militare.
Taluno suppone che per essere ricevuto nella Consorteria, si debba anche provare di avere subito già la pena del carcere. Ma ciò potrebbe per avventura sembrare in
contraddizione coll’altra condizione sovra espressa che l’aspirante non sia ladro.
I membri della Camorra, per mezzo di informazioni attinte dalla patria (con un tal nome s’intende la consorteria dei malviventi in genere) assodano che nel Candidato concorrano i requisiti voluti, e, se il risultato delle informazioni prese è favorevole, egli, con deliberazione dei Camorristi, viene ricevuto Picciotto d’onore.
Questa qualità dura immancabilmente un anno. Trascorso l’anno, il Picciotto d’onore può far passo alla Categoria dei Picciotti di sgarro, sempre che però, dietro ordine datogli da uno dei Camorristi, si presenti per commettere un reato di sfregio, o di omicidio, oppure sia disposto ad addebitare a se61 un omicidio commesso da un camorrista, espiando anche, ove occorra, la pena che questi si è meritata.
Avviene talora che il Picciotto d’onore non possa entrare nella categoria dei Picciotti di sgarro, senza inoltre misurarsi a coltello con alcuni di questi Picciotti. Ciò succede quando glie se ne fa speciale invito.
Le stesse formalità richieste per passare dalla Categoria di Picciotto di sgarro sono pure richieste per passare dalla categoria di Picciotto di sgarro a quella di Camorrista. La Consorteria dei Camorristi ha tanti centri, quanti sono i Capo-luoghi di Provincia. A Napoli hawi un centro in ogni quartiere, e i quartieri della città sono dodici62.
Ciascun centro ha un capo, eletto di camorristi compresi nella sfera in cui egli avrà
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58 Si riscrive: il velo copre gli statuti, se statuti ci sono, della pericolosa associazione.
59 Si riscrive: di cui diconsi governati i camorristi.
60 Si riscrive: sono questi divisi in tre classi.
61 SÌC.
62 Correzione: in ciascuno dei dodici quartieri.



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impero. Si sceglie sempre a capo della società chi è più provetto ed abile in materia di Camorra e maneggio del coltello.
Nei bagni, nelle prigioni, nei corpi militari63, è pure stabilita la Camorra, ed in ogni luogo di pena come in ogni corpo militare64 hawi un proprio Capo-società.
Tutti questi camorristi sono in relazione fra loro, quelli di una Provincia con quelli delle altre Province, quelli dei Bagni, delle prigioni, e dell’armata65 con quelli che sono liberi. Accanto ad ogni Capo-società hawi un altro uffiziale. Chiamasi Contarulo ossia revisore. È nominato dal Capo di ogni frazione della Consorteria. Suoi ufficii sono: - tener conto delle tasse che si riscuotono dai Camorristi, le quali poi ogni domenica distribuisce equamente tra loro: - procurare le armi e consegnarle, dietro ordine del Capo, ai membri della Società.
I Camorristi s’istruiscono fra loro nella scherma del coltello, ed in questo esercizio mostrano molta bravura. Essi hanno una canzone propria, il proprio canto di guerra, che dice:
Noi non siamo cravunari (carbonari) Nemmen siamo realisti
Ma facimmo i Camorristi
Fammo in c... a chilli e chisti66.
Or ecco in qual modo lucrano i Camorristi.
Essi intervengono dove si giuoca, sui mercati, nei postriboli, nelle piazze e strade, dove vi sono vetture a nolo o facchini, si trovano al porto, si trovano in qualsiesi altro luogo pubblico, e sempre quando uno busca qualche cosa, deve farne parte al Camorrista. Così per ogni carlino di guadagno fatto da un giuocatore devesi dare al Camorrista un grano: ogni volta che una vettura è noleggiata il Camorrista riceve un grano eziandio. Generalmente, massime dove sono vetture pubbliche, i Camorristi, e anche più spesso i picciotti, fanno da intro-mettitori67: nei bordelli esercitano pure la bon uffiziatella.
E non vi è68 modo alcuno per sottrarsi al pagamento di questo tributo dovuto alla Camorra. Il Camorrista ha mezzi troppo potenti e temuti, perché gli si osi far resistenza. Egli parla, e la sua parola è precetto: -egli si presenta ed il suo diritto al barattolo (così è detto il prodotto della Camorra) niu-no vi ha che lo ponga in dubbio. Bastino i due seguenti documenti per provare quanto nel popolo si abbia timore dei Camorristi.
Il primo è un rapporto del Sotto-Intendente di Castellammare (in data 30 Giugno 1858). Ivi si legge:
«Un tale individuo ha saputo talmente incutere della tema al ceto dei facchini, da percepire da essi una parte della fatica, senza adoperare la sua persona, essendo bastante
63 Correzione: e prima anche nei corpi militari.
64 Come in ogni corpo militare: cancellato.
65 E dell’armata: cancellato.
66 La canzone è meglio riportata, in dialetto, in T.C. Dalbono, H camorrista e la camorra, in Usi e costumi di Napoli, a cura di E De Bourcard, Napoli, 1866 (nuje nun simm cravunare, nuje nun simm rialist, ma facimm ‘e cammurrist, famm tn... a chili e a chist).
67 Si chiosa con un punto interrogativo.
68 Corretto: era.



a siffatta marmaglia il semplice nome del Salvi per piegare a qualunque contingenza che parte dal suo volere*.
«E la tristizia di lui ha saputo talmente ammaliare69 la ciurma del facchinaggio pel trasporto del grano di mare, da non ricevere opposizione alcuna, e, durante la sua prigionia in Salerno70, ha ricevuto le porzioni dalla classe dei misuratori, dei facchini che si portano a bordo pel discarico del genere, e dall’altra ciurma dei facchini di trasporto,
alla quale egli escusivamente sopraintende, con avere costituito a simile Camorra l’altro pernicioso facchino Aniello Ajello, a conto del quale si porta sorveglianza speciale e rigorosa.
Premesse tali particolarità, non potrà in linea istruttoria venir mai chiarita sì riprore-vole condotta, per temenza che si ha di lui, e mentre taluni sedicenti negozianti ne riprovano l’andamento, quando poi son chiamati a deporre si scagionano con la negativa*.
Ricorso colla data del mese di settembre 1858 al Ministro di Polizia
Creditore un tale di un Camorrista, avendo osato chiedere dal suo debitore il pagamento di quanto gli doveva, si ebbe, invece della somma dovuta, gravi ferite. E minacciando il camorrista di ucciderlo se disvelava il feritore, il povero disgraziato ricorreva all’autorità politica sovrana per essere liberato dal pericolo in cui si trovava. Nel ricorso si legge: «in tal situazione non è rimasto altro all’infelice, se non indirizzare al sentimento di giustizia di V.E. supplicandola di prendere delle informative sull’esposto; ma non per la via del Regio Giudice, per la ragione che questi non farà conoscere sinceramente tutti i misfatti, temendo la vendetta del Tqfuri».
I Camorristi esercitano anche il contrabbando alle barriere daziarie, e fanno l’ufficio di pacieri componendo per prezzo le risse71. Il barattolo si divide tra i soli camorristi. I
Picciotti non hanno diritto ad altro che ad un soccorso, che loro viene dato dal Camorrista ai cui sono addetti, e di cui debbono curare a tutto uomo l’interesse.
Non rade volte però avviene che il Camorrista, mal contento del fatto guadagno, nulla dà al Picciotto, ma anzi lo licenzia con maltrattamenti e busse.
I Camorristi carcerati non hanno diritto alla porzione del barattolo guadagnato dai Camorristi liberi, né questi hanno ragione a parte del barattolo lucrato dai Camorristi carcerati, quantunque nel resto le altre leggi della Camorra, continuino nei loro rapporti ad essere in piena osservanza, quindi è, che trattandosi di deliberare sopra cose che interessino l’intera setta, vuoisi anche richiedere del loro parere i camorristi che sono nei luoghi di pena.
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69 Sottolineato dal chiosatore.
70 Sottolineato: durante la sua prigionia in Salerno.
71 Sottolineato: fanno l’ufficio di pacieri componendo per prezzo le risse.



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Nella consorteria dei Camorristi è pure stabilito un diritto di punire.
Le pene stabilite sono:
1° La sospensione temporanea.
2° Lo sfregio.
3° La morte.
Si annoverano come principali tra i reati che possono dare luogo all’applicazione di queste pene, i seguenti:
1° La mancanza di rispetto verso i compagni, e tanto più verso i Capi, come pure la mancanza di rispetto verso persone della loro famiglia, o che siano state ad essi specialmente raccomandate.
2° La consegna infedele del barattolo.
3° L’attentato all’onore delle donne dei so-cii, ancorché siano meretrici.
4° L’avere accettato da estranei commissione per uccidere, sfregiare o rubare.
Il potere giudiziario è esercitato dai Capisocietà.
Spetta ai Picciotti di onore e di sgarro l’esecuzione della pena dello sfregio, e della pena di morte.
Soltanto in mancanza di Picciotti l’esecuzione può spettare ad un Camorrista. La sorte decide chi debba essere l’esecutore, e se l’estratto a sorte si rifiuta, egli deve subire la stessa pena, che non ha voluto infliggere. Se il condannato per delitto o per rifiutata esecuzione di condanna fugge, il capo suo ne dà mediante lettera incontanente avviso a tutti i capi camorristi delle Provincie, perché lo cerchino, lo arrestino e lo puniscano. La pena della sospensione può estendersi da un giorno ad un anno. È effetto di questa pena che il Camorrista sospeso non possa
più lucrare veruna parte del barattolo. Lo esige, ma deve consegnarlo intieramente ai compagni.
L’effetto della sospensione cessa in un solo caso. Quando arriva in paese un Camorrista forestiero, suolsi offrirgli un lauto pranzo dai Camorristi del luogo. L’invitato deve in fine del pranzo patrocinare la causa del sospeso, e domandare il condono della pena. I Camorristi anziani deliberano, ed in onoranza del Camorrista forestiero, accordano il richiesto perdono.
Oltre i doveri la cui violazione importa l’applicazione delle pene, che son venuto esaminando, altre obbligazioni sono imposte ai Camorristi ed ai Picciotti.
Essi debbono adoperarsi a soccorrere i bisognosi di qualunque classe o ceto, ed a mantenere il buon ordine72 ne’ luoghi pubblici, nelle prigioni e nei giuochi. Questa obbligazione apparirà molto singolare se si pensa quanto malvagia razza sia quella dei Camorristi.
Un’altra obbligazione sta in ciò che essi devono sempre portare due armi uguali, ed ecco a quale uso. Avviene talvolta che assistano ad uno stesso giuoco due della Consorteria, e che eglino non si conoscano. Presenta allora uno di essi all’altro le due armi che ritiene, egli offre di battersi con lui per avere argomento che è propriamente addetto alla Camorra.
È ancora a ritenersi che i picciotti non possano assistere ai giuochi, fuorché in mancanza dei Camorristi.
Appena interviene un Camorrista, il Picciotto gli consegna fedelmente quanto ha
72 Essi debbono adoperarsi a soccorrere i bisognosi di qualunque classe o ceto, ed a mantenere il buon ordine: sottolineato.



esatto dai giuocatori, e se ne va, oppure rimane semplice spettatore. Quando poi gli affigliati alla camorra rincontrano per via alcuno dei capi, devono portare in atto di saluto la mano al berretto, ed avvicinandosi con rispetto volgergli le parole:
Maestro, volete niente?
Maestro, volete cosa?
Nella loro corrispondenza epistolare i Camorristi incominciano la lettera con l’espressione di affetto: Caro Compagno e fratello. Fanno poi uso di un vocabolario proprio, di cui si giunse a scoprire qualche parola:
Capo-lasagna significa Commissario di Polizia.
Tre Lasagne vale ispettore.
Capo-cavallo è il Procuratore Generale della Gran Corte Criminale.
Il Gendarme appellasi asparago, il sergente di Gendarmeria dicesi Lasagnaro. Chiamano palo la spia, serpentina la piastra, chian-tale il cambiamento di discorso. Accamuffa-re nel linguaggio dei Camorristi vuol dire prendere ad altri.
Ogni alterco o rissa tra Camorristi deve cessare quando uno dei compagni loro imponga di fermarsi. Prende questi esatto conto dei fatti, ne riferisce al Capo società, il quale pronunzierà sul piato. Che se i litiganti non sanno star contenti alla decisione del loro Capo, e vogliono reciproca soddisfazione, si concede ad essi la facoltà di battersi. Al duello assistono due padrini: l’arma è il col-
tello, i colpi vanno sempre tirati in cassa (cioè al petto). Si ebbe a Salerno nel 1858 esempio di un tale Raffaele De Rosa soprannominato Scialonc, Picciotto di sgarro, il quale fu sospeso perché, invece di deferire al capo-società la contesa, volle di propria autorità far vendetta di un compagno che amoreggiava con una sua druda.
Il Camorrista può sempre rinunciare al suo grado. Ma il carattere di Camorrista è indelebile. Chi rinuncia non può più partecipare alla divisione del barattolo, è dispensato dall’eseguire le pene, cui i compagni siano condannati, ma conserva il diritto al voto nell’assemblea.
Ora se mi73 si domanda come la consorteria dei Camorristi abbia potuto sotto il passato Governo raggiungere così vaste proporzioni, dirò che questo è un mistero. A meno che non si voglia credere coi più, che la polizia borbonica si valesse ai propri fini della Camorra74. Nell’aprile del 1858, in seguito ad una famosa rissa succeduta tra varii Camorristi della città di Napoli, il Direttore del Ministero e Reale Segreteria di Stato della Polizia Generale dirigeva al Sig. Prefetto di Polizia il seguente ufficio:
«Sig.r Prefetto, Il Commissario del Quartiere Mercato mi dà conto di una briga clamorosa, che ha avuto luogo tra taluni Camorristi dell’ambito di sua giurisdizione, la quale si è estesa ad altri quartieri ancora, ed i di cui particolari ritraggo pure dal suo rapporto giornaliero de’ 10 andante. Essendo questa la terza volta che tal classe perniciosa attenta alla pubblica tranquillità con clamori,
«L
73 Mi: cancellato.
74 L’intero periodo viene sottolineato dal chiosatore.



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scaglio di pietre ed impugnazione di armi, onde mi è d’uopo, Sig.r Prefetto, pregarla, siccome pure praticai con altra mia del 16 Settembre ultimo, in occasione della rissa avvenuta nel Quartiere S. Lorenzo, a rivolgere tutta la sua considerazione verso si trista genìa, procurando tutti i mezzi di efficacemente refrenarla. E nel fine di non arrestarci in idee generali sarà bene, e veggo opportuno che Ella faccia compilare dal Commissario ciascun quartiere, un elenco di tutti coloro che si fan distinguere come Camorristi75, onde essersi poi al caso, a seconda delle singole biografie di adottarsi temperamenti più o meno severi per ognuno.
«Trovo opportuno che tali stati contengano le seguenti categorie, nome e cognome, patria, età approssimativa, se abbia mestiere reale od apparente, se ammogliato e con figli. Compiuto questo lavoro, io la prego trasmettermelo, e le sarei tenuto se volesse favorirmi i suoi divisamenti sugli espedienti che crederebbe adottarsi per i più pericolosi. Il Direttore, firmato: Bianchini».
L’elenco dei Camorristi della città di Napoli fu compilato dai Commissari di polizia dei varii quartieri. Il numero dei Camorristi posti in nota non arrivò a cento. Nel quartiere di S. Lorenzo non se ne rinvenne alcuno; i quartieri della Vicaria, Pendino, di S. Ferdinando diedero il contingente maggiore. Si trovarono Camorristi in tutte le età e in tutti i mestieri; ma specialmente nella classe dei facchini e dei sensali. Gli espedienti proposti furono la sorveglianza, il carcere e la deportazione. Ma questi espedienti furono applicati con poca energia, e quindi con poco
frutto. Nello stesso anno 1859 incominciava anche un processo contro 39 Camorristi di Salerno.
Nell’atto di accusa erano: imputati di vaga-bondità e setta diretta a commettere furti ed altri reati con premessa di segreto.
La Gran Corte Criminale del Principato Citeriore pronunciava il... Aprile 1859 la sua sentenza contro di essi. Giova di tale sentenza riferire alcune parti.
«La Gran Corte, considerando che dalle cose già enunciate non si rivelano gli elementi costitutivi dell’associazione illecita. Invero nulla disvela che la stessa sia infatti organizzata in corpo, che vi sia un regime gerarchico, e che vi esistano capi, Direttori, organizzatori, né che si riunisca, molto meno che le riunioni siano periodiche, ed in determinati luoghi, che nulla di positivo si rimarca dalle dedotte cose, che gli affiliati si astringano fra loro con promessa o vincolo di segreto, e giuramento di non far palese a chicchessia, sia le persone, sia l’oggetto dell’associazione. E se inoltre siffatta classe di oziosi soggetti non operava clandestinamente, ma agiva a pieno giorno, fuori dalle tenebre nelle pubbliche vie, in riva al mare, nelle campagne che circondano la città, nelle carceri, nei caffè, cantine, bettole, nei siti di prostituzione, e sempre in generale in luoghi frequentati, in cui maggiore poteva essere lo implicito furto, ed alla portata senza dubbio di essere invigilati, e sorvegliati dalla pubblica autorità, vigilanza in effetti esercitata: non si potrebbe né punto né poco sul fatto pronunziarsi con giustizia e cognizione di causa.
75 Coloro che si fan distinguere come camorristi: sottolineato.



Considerando che la reale Indulgenza de’ 10 Gennaio 1859 metta al coverto di ogni responsabilità penale, prevista dall’art 302 L.P.... Per siffatti motivi La Gran Corte A voti uniformi Ordina che si conservino gli atti in archivio per tutti gli imputati suddetti fino a nuovi lumi in quanto alla setta. Dichiara abolita l’azione penale per tutti in ordine alla vagabondità, per effetto della Sovrana Indulgenza del 10 Gennaio ultimo». Per giudicare della giustizia di questa sentenza, basta porla al confronto col disposto dell’art 9 della Legge 28 Settembre 1822 contro le associazioni illecite. Tale articolo è così concepito:
«Quante volte l’associazione illecita organizzata in corpo, o comunque altrimenti formata, contenga promessa o vincolo di segreto, costituendo qualsivoglia specie di setta (qua-
lunque ne sia la denominazione, Soggetto, la forma, ed il numero de’ suoi componenti, o comunque venga artatamente combinata per comunicazioni ambulanti e senza determinazionefissa di luoghi, di giorni o di persone) i rispettivi componenti di essa saranno puniti col terzo grado di ferri e con una multa da cinquecento a duemila ducati. I capi, direttori, amministratori o graduati della stessa, saranno puniti colla pena di morte col laccio sulle forche e con una multa da mille a quattromila ducati».
Le cose sovra esposte sulla Camorra, e che ben erano a cognizione della Corte, perché quasi tutte riferite nella requisitoria del Pubblico Ministero, dimostrano troppo chiaramente quanto fosse il caso di applicare ai Camorristi di Salerno, la mentovata legge sulle associazioni illecite.
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Rapporto sulla camorra76
La camorra è un sodalizio criminoso, che ha per iscopo un lucro illecito, e che si esercita da uomini feroci sui deboli per mezzo delle minacce e della violenza.
La sua sede principale è nei luoghi di custodia e di pena, ivi si manifesta nella sua piena forza e vi giunge ad atti di scellerata ferocia.
L’origine di questa strana consorteria è spa-gnuola a quanto sembra, ed oltre le tradizioni del popolo, è a credersi esser dessa una importazione della signoria spagnuola dai seguenti fatti.
1° La voce è spagnuola e non ha vocabolo
corrispondente né77 in italiano né in dialetto. Camorra, rissa, e camorrista attaccabrighe sono vocaboli spagnoli.
2° È risaputo che presso gli spagnoli eranvi i Mironos, cioè spettatori e giudici in giuochi, che li perseguivano, dirimevano le qui-stioni, ed imponevano il loro pronunziato ai giuocatori, da cui prelevavano in ricambio un tributo. E la camorra appunto nella sua origine si limitava ad animare i giuochi tra i detenuti prelevando una parte del guadagno.
3° La circostanza finalmente che nelle Province Napolitane e Siciliane che furon per
76 ACS, Ministero dell’Interno, Gabinetto, Atti Diversi 1849-1902, fase. 75. Siglato: 1860
77 Sia



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lungo tempo sottoposte alla Signoria Spa-gnuola, ha vita la camorra e non in altre province d’Italia, è pruova evidente della vera origine di questa consorteria.
Era dessa per lo passato nelle province napoletane, men trista ed estesa e limitavasi alla sola percezione di una tassa sui giuoca-tori, ma nella Sicilia era più larga, più feroce ed anche più bassa. Fino al 1848 la Sicilia, che fu sempre sotto i Borboni esente dalla leva militare, forniva il suo contingente all’esercito napoletano mediante l’arruolamento volontario, e l’ammessione al servizio militare de’ condannati a pene di alto criminale, che dai bagni tramutati nello esercito vi portarono le tradizioni dei luoghi di pena. Nuovi reati li costringevano a nuove punizioni, e poiché trovavansi nelle province Napoletane, eran qui ristretti nei luoghi di pena, dove davansi ad esercitare la camorra secondo gli usi più pravi dei bagni della Sicilia.
Fu nei tempi di questa ribaldaglia organizzata in due Reggimenti, che la camorra s’insinuò anche negli altri corpi dell’esercito e si diffuse per la città, dove trovava adepti non pochi per la immaginosa indole di questi popoli, presso cui gli atti di braveria e le imprese arrischiate trovano caldi ammiratori. Un segno manifesto, che marca come documento storico questo periodo della camorra in Napoli, fu la frequente consumazione di un reato, rarissimo per lo innanzi, mentre era frequente nella Sicilia, cioè il ferimento sulla guancia che nel deformare lo offeso lascia traccia indelebile della ingiuria patita dall’offensore e dalla sua vendetta.
Le nostre leggi non prevedendo questa specie di ferimento, la classificarono tra le ferite ordinarie, onde la pena di prigionia al fe-
ritore, pena troppo mite in rapporto alla gravità del colpevole e al danno dell’offeso. I casi di ferimento alla guancia si moltiplicavano ogni dì e ne erano vittime le donne dei camorristi, che infedeli ai loro amori eran da costoro con lo sfregio sulla guancia punite del fatto e deturpate nella venustà del volto perché non avessero a rinvenire agevolmente novelli amatori. Invano la polizia era vigile ad impedire il porto dei coltelli; invece di essi si portavan rasoi, di cui fu d’uopo anche incriminare l’asportazione, ma ciò a nulla valse, che nuovo strumento, ritrovato Siculo e qui introdotto per la consumazione dello sfregio, fu la moneta di grana cinque, che assottigliata dall’un de’ lati, e fornita di taglio acuto, suppliva tanto meglio il coltello ed il rasoio, che ristretta e nascosta nel pugno del feritore, produceva inattesa e grave ferita. Fu allora necessario accrescere la pena dello sfregio, che dalla prigionia fu elevata ai ferri, provvedimento che valse a refrenare alquanto la frequenza di tali reati, ma la modificazione della legge restò documento di questo periodo della camorra.
Fuori dei luoghi di pena esistono anche dei camorristi, uomini predestinati alla pena, o che ne sortono, i quali nel breve periodo tra un reato e l’altro, tra l’uno e l’altro carcere segnano il loro ritorno nella società con azioni delittuose, importandovi i rei costumi dei bagni e degli ergastoli, l’ozio, la brutalità e la ferocia. Questi uomini tristi fan parte del sodalizio criminoso e la camorra da essi esercitata è l’irradiazione di quella esistente nei luoghi di pena.
Ma il vocabolo camorra col decorrere del tempo mutò il suo primitivo valore e fu applicato a denominare ogni abituale estor-



sione, e però furon detti camorristi non solo i veri adepti alla consorteria, ma ben anche tutti coloro che vivono di lucri indebiti prelevati sulle case di giuochi, di prostituzione e sopra alcune specie d’industrie e di commercio.
Di questa lebbra è infetta Napoli e le province tutte e sebbene essa riposi egualmente nella estorsione operata dal forte sul debole per mezzo della minaccia e della violenza, l’indole ne è diversa per caratteri sostanziali che la distinguono da quella che ha vita nei luoghi di pena.
Ed invero la camorra nel carcere costituisce un’associazione, i di cui membri hanno gerarchia di gradi, hanno usi tradizionali, metodi di ammissione, corrispondenza anche in luoghi lontani.
Il mestiere del vero camorrista è l’esercizio della camorra, la sua patria è il carcere e il bagno, in ognuno di questi luoghi si vede nel suo regno, è ivi preceduto dalla sua fama, trova compagni che lo attendono, ha dritto alla prelevazione dei lucri, che anzi, lungo il cammino per passare dall’uno all’altro luogo di pena,trova depositate le rate di sua spettanza che servono a fargli percorrere la via con minore disagio.
L’ascendente che esercita il camorrista sulle donne è favoloso. Ognuno di essi ha la sua amante, che si rende sua schiava, e l’obbedisce come ad un despota, lo visita e lo assiste nelle carceri, negli ospedali, reca la sua corrispondenza, e lo provvede di armi che con mille astuzie introduce nelle carceri.
La camorra poi della città è di altra indole. Il camorrista, così impropriamente denominato ha per lo più un mestiere, che esercita, il suo regno è limitato, egli non può uscirne. Fuori il luogo ove vive non è più riconosciu-
to, i suoi lucri cessano di un colpo e finisce il prestigio di cui godeva, e basta bene spesso rimuoverlo da un rione all’altro della stessa città.
Il camorrista vero, che esce dal luogo di pena, seguita spesso a percepire una parte dei lucri, che i compagni restati vi raccolgono, i suoi ordini seguitano ad essere obbediti colà, egli è rispettato al di fuori e in qualunque luogo si presenti dove il suo nome sia conosciuto fruisce sempre del pieno esercizio dei dritti, che la consorteria si arroga. Per opposto invece il camorrista che esercita la sua colpevole industria nella città se è divelto dal suo campo di azione, se si allontana dai suoi compagni e dalle sue vittime, perde ogni potere, e se va nel carcere deve ottenere di essere ascritto nella consorteria per non subirne il peso lui stesso.
Il modo di ascrizione alla consorteria dei camorristi non è definito da leggi certe e stabili, e sebbene si parli di un codice consuetudinario, che regoli i dritti e i rapporti reciproci dei camorristi tra loro, il modo di ammissione, l’elevazione dall’uno all’alto grado, i premi, le pene, esso non ha nessuna autenticità, ed è piuttosto una raccolta di fatti speciali, che non hanno forza di leggi, perché varii a norma dei tempi e dei luoghi. In generale può dirsi che l’ammissione nel rango dei camorristi si operi in tre modi cioè:
1° Per grado gerarchico, ed in tal caso il neofita cerca di entrare nelle buone grazie di un camorrista, che lo adibisce spesso come mandatario ed esecutore dei suoi voleri, comincia gradatamente a percepire qualche lucro, infino a che per la benemerenza del suo protettore, pei servigi renduti e per atti di bravura non giunga ad entrare nel nove-
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ro dei camorristi e consegua il pieno dritto alla sua parte di divisione di lucri.
2° Per violenta immissione, ciò che avviene quando un individuo qualsivoglia ristretto nel luogo di pena si neghi a pagare la sua parte di tributo, e riuscito vittorioso dagli attacchi che vince, si mostri a prima giunta talmente bravo e destro accoltellatore, che impone agli altri camorristi, e ne è salutato compagno, titolo, che una volta conquistato più non gli si contrasta.
3° Per acclamazione, lo che ha luogo in casi eccezionali quando venga ristretto in carcere un individuo, che abbia dato tali pruove di valentia e d’indomato coraggio, che ogni ulteriore esperimento, sarebbe stimata cosa inutile ed indecorosa.
Eravi per lo passato altro mezzo di ammissione, ora non più adoperato, ed era quello di mettere a terra una moneta di rame, cui facevano circolo i più destri accoltellatori, che colpivano quella moneta di fitta pioggia di colpi. Il candidato camorrista doveva impavido stendere la mano in quella tempesta di colpi ed impadronirsi della moneta, malgrado la trafittura, lo che se gli era dato conseguire, veniva accolto nella consorteria.
Le regole che sono serbate poi dai camorristi, lungi dall’essere determinate e prescritte, sono quelle appunto che logicamente convengono alla condizione loro, e però sono ad essi necessarie ed indispensabili.
Il capo quindi della camorra non è elettivo, come lo si crede, ma elevasi da sè a quel posto, dappoicché, in un’associazione che riposa sulla bravura e sulla ferocia, il più bravo ed il più feroce deve imporsi ai compagni. La divisione dei lucri a rate fra i camorristi è più che legge, necessità della loro coesistenza; una partizione arbitraria e disugua-
le sarebbe causa perenne di contese, donde la distruzione reciproca dei camorristi fra loro.
L’obbedienza poi degli aspiranti alla camorra ai camorristi, nasce dalla ammirazione che i proseliti hanno per i loro patroni, e dalla speranza di ottenere il grado che desiderano, grado agli occhi loro onorato ed ambito, e col quale sperano il conseguimento di tutto ciò che maggiormente ha valore col cuore umano, il potere, il denaro e l’amore. La stretta colleganza fra loro e la fede mantenuta, il segreto inviolato di ogni fatto operato da ciascuno di essi è anche condizione necessaria per convivere in un luogo di pena. Non è pertanto da ritenersi che questa fede e questa colleganza siano tanto inconcusse, da non presentare delle numerose eccezioni, se non che ogni mancamento dà luogo a scene di sangue, e le mura del carcere sono assai spesso spettatrici di risse sanguinose, di ferimenti, di stragi.
La storia dei reati di sangue intervenuti nei luoghi di pena, specialmente nei bagni e negli ergastoli, segna avvenimenti atroci, cui ripugna l’umana natura, e che non sarebbero reputati possibili senza la contestazione dei dibattimenti.
In questi avvenimenti resta però quasi sempre ignorata la vera causa, ed il vero colpevole; il Magistrato che deve quindi giudicarne è spesso fuorviato dalla mancanza di pruove, o da pruove false, le quali non possono essere da altri raccolte, che da coloro stessi che furono gli autori del malefizio.
Quanto la natura umana nel massimo del suo pervertimento à di più sozzo, di più feroce, di più ributtante, tanto avverasi in quei ribaldi, che chiedono alla forza bruta il conseguimento di ogni loro brama più turpe.

82.52.178.147 onSat,23Sep2023 08:43:01 +00:00

Rabbia di danaro, di libidine, di sangue, tutto essi sodisfano (sic), sol che v’abbia la debole vittima, non perdonando nemmeno alla tenera età, e a comunanza di reato e di pena.
L’abitudine protratta nelle nefandezze, la lunga dimora nel luogo di pene, l’ebrietà, la lascivia, tolgono gradatamente ogni senso di giustizia e di onestà ed uccidono a gradi l’intelligenza in questi uomini che finiscono tutti idioti e feroci.
Ben pochi camorristi giungono alla vecchia età, quasi tutti muoiono di ferite per mano degli stessi compagni. Spesso taluno giunge ad arricchire e conserva il denaro che converte in monete d’oro sulla persona. Tal fiata avviene che costui si rattrovi sgozzato il mattino e derubato il suo tesoro.
La prelevazione delle tasse si esercita nel modo più schifoso e brutale, che immaginar si possa. Tutto è soggetto a tributo, lo si preleva principalmente sul giuoco, ed il giuoco è imposto per comando, poi sull’ingresso dei detenuti nel luogo di pena o di custodia, poi sulla vendita del vino, dei commestibili, e di qualsiesi oggetto.
Tutto suscita l’ingordigia del camorrista, egli preleva la sua parte dal danaro largito dall’affetto dei congiunti e quando costui non ha più danaro, lo spoglia prima dei suoi abiti, poi lo priva del cibo.
In quei luoghi penali ove la camorra è potente la miseria dei condannati è spaventevole, e quei meschini che nulla possono ottenere dalle famiglie per soddisfare le esigenze dei camorristi vendono tutto, anche il giaciglio, anche il cibo quotidiano, contentandosi di solo pane.
Tutto questo danaro rapito alla più straziante miseria e preso dai camorristi è da costo-
ro partito coi custodi per ottenerne ogni maniera di favori e per fare entrare nel carcere vino ed armi e donne; onde che custodi, e camorristi, sono quasi sempre d’accordo e godono insieme i frutti delle commesse estorsioni.
Allorché poi un camorrista esce dal luogo di pena e ritorna nella società, vi esercita la camorra sulle case di giuoco e di prostituzione, e nelle une e nelle altre, riceve il tributo di cui fa parte coi suoi confratelli.
Il vero camorrista è quasi sempre largo spenditore di danaro per la faciltà che ha di acquistarne, e scialacqua il frutto delle estorsioni in bagordi ed in crapule. Allorché è senza denaro egli ne trova sempre la fonte inesausta nella debolezza degli uomini e nei vizi della società.
Alcuni attribuiscono ai camorristi un gergo convenuto, ossia lingua furfantesca per intendersi fra loro; questa assertiva è inesatta. Ewi in qualche luogo di pena ima specie di gergo, ma egli è comune a tutti i veterani del carcere e non è proprio della consorteria dei camorristi.
Sono questi i principali cenni della camorra, che possono essere ritenuti per indubitati; ogni altra indicazione è spesso fallace, come quella che deriva da casi speciali, propri di un tal individuo e di un tal fatto, eppe-rò essenzialmente mutabile.
A maggiore dimostrazione infine della differenza che intercede tra la vera camorra, che ha sede nel carcere, e l’altra che è nelle vie, si notano i principali mezzi, conché nella città di Napoli, si commettono estorsioni e frodi qualificate di camorra.
r Sulle case di gioco
2° Su i postriboli.
Queste due specie di estorsioni si operano
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per lo più dai camorristi usciti dal carcere o dai loro mandatari, essi prelevano il tributo a tìtolo di non accedere in quei luoghi.
3° Sulla percezione dei dazi di consumo, associandosi al controbando per prestar man forte, qualora ne sia il caso, contro gli agenti della forza pubblica.
4° Sopra le giuocate, che si fanno nelle bettole, nei caffè frequentati dalla plebe e qualche volta anche nelle strade remòte. Il camorrista esige duo grana per ogni carlino che si vinga o si perda secondo le vicende del giuoco. In tal modo egli in poco d’ora, prende il denaro di tutti i giuocatori.
5° Sui mercati di farine, di cereali, di frutta e di pesce, sulla vendita di carne di maiale, sul nolo delle carrozze e dei carri di taspor-to, sulla discarica delle barche che giungono con carico di mattoni e di calce, sulla vendita degli arangi, a che i generi non vengano derubati o di facilitarne la vendita o la locazione.
Oltre a questa specie di estorsione chiamasi anche camorra l’opera di alcune consorterie di facchini, che stabilitisi in determinati punti, ove giungono merci o oggetti di peso, come nei luoghi di approdo, fuori le stazioni delle ferrovie, alle barriere della città, per dove passano le carrozze o i carri provenienti dalle province, ingiungono ai conduttori o viandanti, di avvalersi dell’opera loro per lo discarico, ed esigono con prepotenza un prezzo massimo, che è molto al di sopra del merito del loro lavoro.
I vari autori di queste diverse estorsioni, lungi dallo stabilire una associazione come la camorra carceraria, son quasi ignoti gli uni agli altri; il magistrato è sempre impotente a punirli pel timore che essi incutono; che rendendo mutoli i testimoni, fa scomparire le pruove processuali della reità.
Dalle cose dette due osservazioni si presentano:
La prima cioè che sebbene sotto l’aspetto morale la camorra carceraria sia trista e scellerata molto più della seconda, ne è men grave sotto l’aspetto politico, poiché ha vita tra i detenuti ed i servi di pena, cioè fra l’eccezione ed il rifiuto della società. La seconda camorra per l’opposto infiltratasi nelle piazze, nei mercati, nelle abitudini della vita quotidiana, dà indizio che trista è la condizione morale di quel popolo, tra cui avvengono fatti di simole indole, che la coscienza pubblica riprova ma tollera, che il magistrato non può punire.
L’altra osservazione si è che ad eliminare la camorra carceraria, basta mutare l’attuale sistema dei luoghi di pena, e prescegliere custodi ad un tempo onesti e fermi, mentre per togliere la camorra dalle vie e dalle abitudini, bisogna attendere che il lento progresso del tempo, educando a miglior senso morale la generazione che sorge, faccia scomparire del tutto questo malanno che forma una specialità strana e trista ad un tempo di queste contrade.