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Title
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Note sullo sviluppo della teoria critica marxiana nella Repubblica federale tedesca
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Creator
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Otto Kallscheuer
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Date Issued
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1983-07-01
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Is Part Of
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Studi Storici
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volume
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24
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issue
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3/4
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page start
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507
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page end
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522
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Publisher
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Fondazione Istituto Gramsci
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Language
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ita
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Format
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pdf
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Rights
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Studi Storici © 1983 Fondazione Istituto Gramsci
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Source
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https://web.archive.org/web/20231101175231/https://www.jstor.org/stable/20565190?searchText=Foucault&searchUri=%2Faction%2FdoBasicSearch%3FQuery%3DFoucault%26sd%3D1983%26ed%3D1983%26efqs%3DeyJsYV9zdHIiOlsiYVhSaCJdfQ%253D%253D%26so%3Dold%26acc%3Doff&ab_segments=0%2Fbasic_search_gsv2%2Fcontrol&refreqid=fastly-default%3Ab551db9e157408a308d52c981da058c0
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Subject
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Marx and Marxism
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power
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extracted text
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NOTE SULLO SVILUPPO DELLA TEORIA CRITICA MARXIANA NELLA REPUBBLICA FEDERALE TEDESCA
Otto Kallscheuer
1 . La tesi d Louis Althusser, secondo cui non esiste alcuna « lettura innocente »1 della teoria marxiana, trova una sua espressa conferma in un bilancio dell’impegno tedesco-occidentale intorno allo sviluppo della filosofia critica e della teoria sociale dopo Marx. Mi sia consentito quindi richiamare brevemente le condizioni storico-politiche dell’esistenza del discorso marxista nella Repubblica federale tedesca2. Che nella Rft il « marxismo ortodosso », o meglio la tradizione marxista ufficiale (della II e della III Internazionale) non abbia mai avuto « diritto di cittadinanza » culturale è, dal punto di vista storico, una delle conseguenze del nazionalsocialismo tedesco, della seconda guerra mondiale e del nuovo ordinamento geopolitico ed ideologico del mondo dopo l’accordo di Yalta fra le potenze vittoriose. Infatti la « guerra fredda » non significava per la Germania sconfitta solo una spaccatura politica e militare, ma anche una spaccatura culturale della nazione, senza le cui tradizioni filosofiche non solo sarebbero incomprensibili le innovazioni teoriche di Karl Marx, ma anche il fatto che fino al 1933 poteva ancora essere considerata nel movimento internazionale socialista « patria » della cultura marxista.
Inoltre, la « cortina di ferro » fra i due sistemi sociali e militari, mantiene ancora in Germania da entrambe le parti una specifica « sovrastruttura nazionale », una « ideologica tedesca » che è rimasta finora vigente. Cosi la tesi del partito di Stato tedesco-orientale, secondo la quale « il socialismo reale costituirebbe l’attuazione delle idee di Marx »3, favorisce direttamente la semillegalità di ogni impegno, anche eterodosso, verso un’ac-
1 L. Althusser, Dal « Capitale » alla filosofia di Marx, in Althusser-Balibar, Leggere il « Capitale », trad. it. Milano, 1968, pp. 14 sgg.
2 Per una più ampia discussione dello sviluppo del marxismo critico nella Rft mi permetto di rinviare al capitolo relativo del mio saggio nella Storia del marxismo, voi. IV, Il marxismo oggi, a cura di E. J. Hobsbawm e C. Vivanti, Torino, 1982. Marxismo e teorie della conoscenza, in particolare pp. 458 sgg., da dove ho anche preso qua e là alcuni passi.
3 Thesen des Zentralkomitees der SED zum Karl-Marx-Jahr 1983, in « Neues Deuts-chland », 1-12-1982. Bisognerebbe aggiungere però che l’anno 1983 nella Rdt è stato molto meno segnato dall’« anniversario Marx » che dall’« anniversario Lutero ». A parte l’ovvia ricerca di consensi parziali fra V élite di Stato e partito e la Chiesa protestante nella Germania orientale — soprattutto in merito alla politica di pace e
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quisizione ed un ulteriore sviluppo della « eredità » della teoria sull’emancipazione di Karl Marx in Germania occidentale; una situazione che solo alla fine degli anni Sessanta con il movimento di massa antiautoritario, antimperialista e — di conseguenza, poi anche — anticapitalista degli studenti tedeschi sarebbe poi stata in parte interrotta. In altre parole, anche la militanza anticomunista della « scelta di campo » ufficiale della democrazia postbellica tedesco-occidentale può essere « compresa »4 storicamente e politicamente solo allorché nel contempo la circostanza che « nello stesso movimento comunista la teoria del marxismo e del leninismo si sia venuta configurando, in larga misura, come ideologia di Stato e strumento di governo »5, venga compresa per la storia postbellica tedesca in tutta la sua drammaticità: una drammaticità, si noti, che diversamente da altre democrazie dell’Europa occidentale non solo aveva un modo d’essere geo-politico ma anche nazionale6. Niente dimostra questa dialettica paradossale della cultura politica tedesco-occidentale meglio del fatto che il partito operaio tedesco-occidentale, l’Spd, potè diventare di nuovo un « partito di governo » per il fatto che esso nella famosa « svolta » di Bad Godesberg (1959) pose ufficialmente in atto lo « strappo » con la tradizione del marxismo riformista di Engels, Kautsky, Bernstein e Hilferding, ma che con questo « revisionismo » ideologico è rimasto piuttosto fedele agli obiettivi etico-politici del periodo di Weimar — ma corretti, o meglio « dinamizzati », in un punto essenziale: l’introduzione della « rivoluzione keynesiana » nella politica economica come cardine essenziale delle relazioni fra le masse, lo sviluppo delle forze produttive e lo Stato democratico. Dopo Bad Godesberg il welfare State avrebbe dovuto, per l’Spd, imporre in un certo senso gli stessi scopi, all’interno del capitalismo, che prima si chiamavano « socializzazione » o « socialismo »7.
2. Questo richiamo estremamente schematico al contesto ideologico-po-curezza, per rispondere al movimento pacifista semiillegale di quel paese — si potrebbe anche meditare sulle ragioni piu profonde che consentono all’ideologia marxista-leninista di utilizzare Vetica del lavoro di tradizione protestante e la visione luterana della auctoritas statale come male minore (di stampo agostiniano), come « risorsa di sicurezza » in situazioni di crisi di legittimazione.
4 Nel senso weberiano della verstehende Soziologie.
5 E. Berlinguer, Relazione al XVI Congresso nazionale del PCI, Milano, 2-3-1982 (bozze di stampa, p. 12).
6 Su questo si veda la raccolta di analisi e documenti con un ampio saggio introduttivo di P. Brandt-H. Ammon, hrsg. v., Die Linke und die nationale Frage, Reinbek, 1981; e, per quanto riguarda la letteratura, il rapporto morale fra scrittori e Stato nelle due Germanie, K. Wagenbach-W. Stephan-M. Kriiger, hrsg. v., Vaterland, Muttersprache. Deutsche Schriftsteller und ihrStaat seit 1945, con una prefazione di P. Ruhmkorf, Berlino ovest, 1979.
7 Su questo mi permetto di rinviare al mio saggio Filosofia e politica nella socialdemocrazia tedesca di oggi, in E. Collotti-L. Castelli, a cura di, La Germania socialdemocratica. SPD, società e stato, Bari, 1982, pp. 41 sgg. Non è quindi senza intima coerenza il fatto che il « compimento » di Bad Godesberg, una revisione della logica industrialista della tradizione del marxismo ufficiale nel senso dei « valori fondamentali » di un socialismo etico, si avvìi adesso in direzione dell’ala « eco-socialista » della
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litico rende chiaro che nella Rft, diversamente che in Italia e in Francia, l’interesse nato negli anni Sessanta per la teoria marxista non poteva svilupparsi con una continuità trasmessa istituzionalmente (nell’insegnamento accademico), politicamente (attraverso i partiti del movimento operaio) o culturalmente. Il marxismo, come fenomeno di massa nato solo con il movimento studentesco, dai suoi problemi e dalle sue rivendicazioni, è per cosi dire costituzionalmente un neomarxismo. Le (poche) linee tradizionali, alle quali esso poteva e voleva riallacciarsi politicamente e moralmente, movendo dall’ambito di esperienza (« Erfahrungsraum ») del movimento di protesta, erano in primo luogo tradizioni sepolte o emarginate dal marxismo ufficiale: il primo Lukàcs, Korsch, i lavori di Marcuse, Adorno e Horkheimer, l’ultima scuola di Francoforte8.
In secondo luogo, erano tradizioni di un marxismo specificamente « filosofico » diretto contro l’« obiettivismo » della socialdemocrazia marxista così come contro lo stalinismo del Comintern e il comuniSmo come potere di Stato9. Tentativi — da Marcuse a Sartre e alla nuova lettura « umanistica » della critica marxiana dell’alienazione propria del marxismo dissidente negli Stati dell’Europa orientale — di riguadagnare la pretesa di emancipazione del programma teorico di Marx in un confronto più o meno diretto con l’eredità storico-filosofica dell’idealismo tedesco, specialmente di Hegel.
Entrambi gli aspetti non erano senza pericoli, come, con il tramonto del movimento studentesco, avrebbe mostrato anche la seguente fase « neorto-dossa » di dogmatizzazione della discussione teorica: in primo luogo, la completa disattenzione alla tradizione marxista divenuta storicamente operante favori, in numerosi circoli teorici di sinistra ed in scritti e commenti a Marx, una dogmatizzazione dell’« autentico » Marx. Essa facilitò, in
Spd di oggi, piuttosto che della « ragione di governo » del cancelliere socialdemocratico di ieri, Helmut Schmidt. Su questo si veda recentemente Futile saggio di A. Bolaffi, L'entropia dell'universo socialdemocratico, in « Laboratorio politico », a. Ili, (1983), n. 1.
8 Si veda la bibliografia ragionata, scelta e curata da Rudi Dutschke nel numero speciale della « SDS-Korrespondez » (ottobre 1966), Ausgewàhlte und kommentierte Bibliographie des revolutionàren Sozialismus von Karl Marx bis din die Gegenwart, riprodotta anche in Rudi Dutschke, Geschichte ist machbar, Berlin, 1980, pp. 45 sgg. Per una bibliografia « più filosofica » a cura dell’altro leader del movimento studentesco, HJ. Krahl, si veda Vappendix al libro Brinkmann-Brùckner-Krahl-Lauermann, Sinnlichkeit und Abstraktion, Wiesbaden, 1973, pp. 244 sgg. (il libro contiene anche una delle tipiche Scbulungsdiskussionen nel Sds). Sulla figura di Krahl e la sua cultura filosofica cfr. il mio Marxismo e teoria della conoscenza, cit., pp. 465-467.
9 Come risulta chiaramente già dalla rassegna di Habermas, Literaturbericht zur pbilosophischen Diskussion um Marx und den Marxismus, che appunto cerca di di valorizzare l’accento « filosofico » del marxismo critico e umanista di Sartre, Marcuse, Adorno ed altri contro l’obiettivismo tecnologico e/o autoritario della tradizione kautskyana o del totalitarismo staliniano (J. Habermas, Theorie und Praxis. Sozial-pbilosophiscbe Studien, Frankfurt, 1957, pp. 387 sgg.). Ma anche nel saggio di I. Fet-scher, Der Marxismus im Spiegei der franzosischen Pbilosophie, in « Marxismusstu-dien », Bd. I (1954), si trova questa contrapposizione che nel decennio successivo sarà il bersaglio principale del marxismo strutturalista (Althusser ed altri).
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altre parole, il comodo comportamento « integrista » di ridurre gli sviluppi errati della storia del socialismo a « falsificazioni, disconoscimenti, appiattimenti ...» del messaggio originale (un pericolo di ogni forma di retour aux sources, che notoriamente negli anni Settanta non rimase limitato alla discussione marxista tedesco-occidentale) 10. In secondo luogo il riallacciamento a versioni specificamente « hegeliane » di un marxismo critico, condusse al fatto che la « hegelianizzazione ambigua » della concezione di scienza critica, già accertata negli anni Cinquanta da Habermas (per Lukàcs e Korsch), non venne evitata neanche nel neomarxismo tedesco-occidentale, prima prevalentemente militante, poi negli anni Settanta, prevalentemente accademico. Con pathos « materialistico » (e parzialmente inconscio) vennero ripetute nelle riviste teoriche di sinistra 11 e nelle numerose trattazioni pretese di sistema quasi-hegeliane con il linguaggio di una cosiddetta « logica del capitale » 12. Tentativi di « derivazione-deduzione » della totalità del presente borghese della forma-Stato u, fino alle « forme di pensiero » 14, furono nella discussione della scienza sociale internazionale caricaturizzate, non del tutto ingiustamente, come « marxismo riduttivista di derivazione tedesca » ed improntano oggi la specifica versione tedesco-occidentale della « crisi del marxismo », a partire dagli anni Settanta allargatasi in tutto l’Ovest europeo 15.
10 Si veda per il marxismo francese la (auto) critica di Jacques Rancière alla « nuova ortodossia » della scuola althusseriana: J. Rancière, Mode d’emploi par une réédition de « Lire le Capital », in « Les Temps Modernes », nov. 1973, ma anche piu tardi le tesi dello stesso Althusser sulla « crisi del marxismo ».
11 Come le riviste berlinesi « Prokla » e « Das Argument » o quella francofortese « Gesellschaft ». Su tutto questo si veda l’ottimo commento di G.E. Rusconi Uno strappo violento con la tradizione, in « Rinascita », n. 32, 1975.
12 H. Reichelt, Zur logischen Struktur des Kapitalbegriffs bei Karl Marx, Frankfurt, (trad. it. Bari, 1975) è, insieme con alcuni lavori di H.G. Backhaus nella rivista «Gesellschaft», n. 1, 1974, III, 1975 e XI, 1978, Materialien zur Rekonstruktion der Marxschen Werttbeorie, l’esempio più serio di questa lettura « logica » del Capitale di Marx. Ho criticato le basi hegeliane di questa versione « logica » del neomarxismo nell’ultimo paragrafo di Marxismo e teoria della conoscenza, cit., pp. 472 sgg.
13 Si vedano i saggi raccolti in V. Brandes-J. Hoffmann-U. Jùrgens-W. Semmler, hrsg. v., Handbuch 5. Staat, Frankfurt, 1977, che contiene anche una bibliografia della discussione tedesca sul problema della derivazione/deduzione « categoriale » della « forma Stato » dalle « forme di valorizzazione ». Il lavoro più interessante in questo contesto di discussione è probabilmente quello di B. Blanke-U. Jùrgens-H. Kastendiek, Zur neueren Diskussion iiber die Analyse von Form und Funktion des bùrgerlicben Staats, in « Prokla », n. 14-15, 1974. Per un recente bilancio retrospettivo cfr. E. Altvater-J. Hoffmann, Die westdeutsche Staatsableitungs — diskussion. Das Ver-hdltnis von Politik und Ókonomie als Problem einer marxistischen Staatstheorie, in corso di pubblicazione come introduzione a Marxisjam u svetu, Beograd, 1983.
14 Oltre alle discussioni suscitate dal libro di Alfred Sohn-Rethel, Geistige und korperliche Arbeit, Frankfurt, 1970, tradotto anche in italiano, si veda soprattutto l’interessante lavoro di R.W. Mùller, Geld und Geist. Zur Entstehung von Identitdts-bewufitsein und Rationalitdt seit der Antike, Frankfurt-New York, 1977.
15 B. Blanke, Krise der Linken - Krise des Marxismus, in Aa.Vv., Die Linke im Recbtsstaat, Bd. 2, Berlin, 1979. Si vedano anche i saggi contenuti nel fascicolo della rivista « Prokla », n. 36, 1979, dedicato alla crisi del marxismo.
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Tuttavia non ci si deve soffermare più a lungo su queste versioni dell’ortodossia neomarxista e sulle sue specifiche debolezze16 legate alle sue pretese di sistema. Cercherei piuttosto di ricordare quali punti di approccio specificamente problematici di un marxismo critico sono diventati proficui con il disfarsi delle esigenze unitarie di sistema. Quali erano le tradizioni della critica a cui la sinistra socialista nella intelligencija studentesca poteva riallacciarsi? Quali pretese di analisi socioscientifica e di critica filosofica ne derivarono? Citiamo ancora una volta i portavoce teorici della rivolta studentesca: per Rudi Dutschke, gli scritti di K. Korsch e del primo Lukàcs erano stati « i soli tentativi di un certo livello da parte di filosofi marxisti all’interno dei partiti comunisti, nella forma “delle azioni teoriche” di resistere ai processi divenuti visibili della reificazione e pragmatizzazione della teoria di Marx nell’organizzazione del Comintern e nel movimento operaio » 17 ; per Hans-Jùrgen Krahl l’influenza dei teorici della scuola di Francoforte rientrati in Germania Ovest dall’esilio americano, degli intellettuali ebrei e tedeschi, Adorno e Horkheimer, si spiega proprio con la radicalità in cui nel loro libro Dialettica deirilluminismo (1944) l’esperienza della distruzione della ragione nel fascismo tedesco aveva messo in crisi il concetto di ragione storico-filosofica.
Credo che a costituire la teoria critica siano stati, in modo ambivalente, da un lato l’esperienza del fascismo, dall’altro la riflessione sull’idealismo tedesco: essa è stata sf in grado di sviluppare con rigore teorico un concetto di totalità, riferito al nesso coercitivo del lavoro astratto, dello scambio e della razionalità borghese, ma non è riuscita a dominare teoricamente le mutate strutture dell’antagonismo di classe 18.
Se cerchiamo di ricapitolare la struttura teorica di queste tradizioni di marxismo critico, l’accento dovrebbe cadere sulla forma dell’articolazione tra filosofia e scienza, tra analisi e critica in Lukàcs, Korsch e la scuola di Francoforte. Su questo sfondo può anche essere compreso il significato e la portata della riforma della teoria marxista come essa viene oggi proposta da Jurgen Habermas.
3. La « crisi del marxismo », per la quale Storia e coscienza di classe di G. Lukàcs rappresentava il tentativo di risposta, era (sia teoricamente che politicamente) di natura totalmente diversa e molto più complessa che non la precedente « crisi del marxismo » — la controversia sul revisionismo. Politicamente, l’unità della teoria e della politica marxista non solo era minacciata dalla cesura tra II e III Internazionale, ma anche all’interno del movimento comunista era scoppiata una battaglia di ordine politico sulla questione della possibilità della generalizzazione delle esperienze del partito
16 Mi permetto di rimandare a questo proposito al mio saggio Das «System des Marxismus » ist ein Phantom, apparso in « Kursbuch », n. 48, 1977.
17 Dutschke, op. cit. (cfr. nota 8).
18 H.-J. Krahl, Konstitution and Klassenkampf. Zur historischen Dialektik von bùr-gerlicher Emanzipation und proletarischer Revolution, Frankfurt, 1971 (trad. it. Milano, 1973, p. 316).
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bolscevico nell’Europa centrale e meridionale; teoricamente, la scienza sociale marxista nell’Europa centrale si vedeva esposta allo scetticismo della filosofia vitalistica nei confronti della formazione dei concetti scientifici (Dilthey, Simmel e altri), che Lukàcs aveva conosciuto nei suoi anni di studio ad Heidelberg e la cui esperienza aveva vissuto durante la guerra mondiale.
Il ricorso all’obiettività della scienza non poteva perciò più soddisfare i bisogni di orientamento della teoria marxista dopo l’insuccesso della « rivoluzione dei Consigli » in Ungheria e Germania. La critica della conoscenza doveva riuscire a mostrare le condizioni che rendevano possibile sia la stabilità del sistema borghese (e del riformismo), sia il suo superamento rivoluzionario (come aveva mostrato l’esempio russo), per aiutare cosi il progetto di critica radicale di Marx ad ottenere nuovamente il suo posto centrale all’interno del movimento socialista.
Tuttavia il metodo di Lukàcs, cosi come la sua misura critica, è di una natura notevolmente più gnoseologica, o meglio più di filosofia della coscienza 19, anche se il suo presupposto centrale — il proletariato come soggetto-oggetto allo stesso tempo — è, tutto sommato, una (insostenibile) affermazione teleologica della filosofia della storia: « L’unità tra la teoria e la praxis è quindi soltanto l’altro lato della situazione storicosociale del proletariato: dal punto di vista del proletariato, vengono a coincidere la conoscenza di sé e la conoscenza della totalità, ed esso è, al tempo stesso, soggetto e oggetto della propria conoscenza »20.
Affinché questo rilievo critico possa essere applicato alla società borghese capitalistica, Lukàcs deve poter leggere il contesto dell’azione sociale nelle categorie della coscienza filosofica; e — come è noto — Lukàcs trae gli strumenti teorici necessari a ciò, in primo luogo dall’analisi marxiana del feticismo delle merci, « come forma di oggettualità e [...] dal comportamento soggettivo ad essa coordinato»21: «Soltanto in questo caso infatti si può scoprire nella struttura del rapporto di merce il modello di tutte le forme di oggettualità e di tutte le forme ad esse corrispondenti della soggettività nella società borghese »
Per poter servire alla diagnosi della totalità del mondo capitalistico, però, il meccanismo della « reificazione della coscienza », in secondo
19 Questa origine della concezione della dialettica di Lukàcs nella problematica della filosofia della coscienza (Bewu^tseinsphilosophie) risulta chiaramente nell’opuscolo Taktik und Ethik pubblicata da Lukàcs a Budapest nel 1919: « Coscienza significa un livello specifico della conoscenza, nel quale soggetto e oggetto sono omogenei nella loro sostanza: così la conoscenza avviene dall’interno, non dall’esterno. [...] Questa gnoseologia però implica anche, che per questa via scompare la differenza fra soggetto e oggetto e, perciò, fra teoria e prassi. La teoria, senza perdere il minimo della sua purezza, spregiudicatezza e verità, diviene azione, prassi» (in Lukàcs, Polifische Aufsàtze I, Neuwied, 1975, p. 58).
20 G. Lukàcs, Geschichte und Klassenbewu^tsein, Berlin (Malik), 1923, p. 34 (trad. it. Milano, 1971, p. 28).
21 Op. cit., p. 95 (trad. it., p. 108).
22 Op. cit., p. 94 (trad. it., p. 107).
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luogo, deve per così dire racchiudere contemporaneamente, originariamente la « condizione di possibilità » non solo della circolazione delle merci, ma anche di tutti gli altri sistemi dell’agire sociale di una società divisa nel lavoro, funzionalmente differenziata, moderna, capitalistica. Lukàcs prende gli strumenti per pensare questa espansione della diagnosi della « reificazione » dall’analisi weberiana del processo universale della espansione dei sistemi « razionali allo scopo » in economia, amministrazione, scienza, ecc.: « il principio della razionalizzazione fondata sul calcolo, sulla calcolabilità » B. Ma Lukàcs con ciò proietta il concetto di Weber « sviluppato nel contesto della teoria dell’azione sul piano della teoria della conoscenza »24, ed esso così diviene fondamento dell’universalità della « reificazione », della « gabbia d’acciaio » del mondo moderno, ancorato alla validità sociale della forma merce. La via d’uscita rivoluzionaria, concepita da Lukàcs, da questo contesto di costrizione e accecamento, che allo stesso tempo costituisce la reale « conoscenza della totalità », ricorda perciò quell’« ultrahegelizzazione di Hegel »25, quel programma degli « hegeliani di sinistra » mirante all’annullamento della filosofia attraverso la sua realizzazione, con cui era cominciato lo sviluppo filosofico di Marx
4. Karl Korsch, che ha formulato il programma di riflessione dell’applicazione del marxismo a se stesso nel modo certamente più radicale, e che nel suo libro K^rZ Marx intende la «critica trascendentale» di Marx come principio della specificazione storica27, incorpora nel suo sviluppo teorico l’esempio di una tentata nuova fondazione dell’unità fra critica e scienza nel marxismo, che infine fallisce — e proprio per questo è particolarmente istruttiva28.
Il suo principio della specificazione storica contiene infatti, come ha mostrato nel modo più chiaro G. E. Rusconi ^ due momenti che — proprio perché egli non ha, come Lukàcs, unito soggettività e oggettività in
23 Op. cit., p. 99 (trad. it., p. 114; corsivo mio).
24 J. Habermas, Theorie des Kommunikativen Handelns, Bd. L, Frankfurt, 1981, p. 482.
25 Così G. Lukàcs nella prefazione alla ripubblicazione di Storia e coscienza di classe (in G. Lukàcs, Werke, Bd. Il, Neuwied, 1968, p. 25).
26 Si veda G. Lukàcs, Moses He^ und die Probleme der idealistischen Dialektik, in « Archiv fùr die Geschichte des Sozialismus und der Arbeiterbewegung », Bd. XII (1926), (trad. it. in Scritti politici giovanili, cit., pp. 246-310), un saggio che in questo senso presenta aspetti quasi « autobiografici ».
27 K. Korsch, Karl Marx, Frankfurt, 1967, p. 220. Su questo si veda G. Vacca, Lukàcs o Korsch?, Bari, 1969, pp. 104 sgg., che sottolinea anche i parallelismi col marxista italiano G. Della Volpe.
28 Su Korsch si vedano: Aa.Vv., Vber Karl Korsch, Frankfurt, 1973; G. Marramao, Teoria della crisi e « problematica della costituzione », in « Critica marxista », a. 13, n. 2/3, 1975; M. Buckmiller, hrsg. v., Zur Aktualitàt von Karl Korsch, Frankfurt, 1981. Lo stesso Buckmiller è anche il curatore dell’edizione critica delle opere di Korsch in 10 volumi (due già usciti).
29 G.É. Rusconi, Dialektik in pragmatischer Anwendung, in Vber Karl Korsch, cit., (trad. it. in K. Korsch, Dialettica e scienza nel marxismo, Bari, 1974, con il titolo Tensione tra scienza e azione politica in Korsch).
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precedenza in un concetto di « coscienza » — non troveranno mai un’unità organica: da un lato l’istanza pratico-prammatica, estesa anche al significato della teoria marxista, dall’altro l’istanza autonoma della teoria quale conoscenza scientifica. Come per il Korsch ancora leninista di Marxismo e filosofia30 la condizione di possibilità della verità scientifica dell’analisi marxiana della società capitalistica è data dalla connessione genetica col « sorgere del reale movimento proletario di classe »31 — il termine « filosofia » in questo scritto rappresenta addirittura il rapporto « dialettico » fra teoria e movimento di classe che sarebbe andato perduto nella concezione secondinternazionalista della scienza 32 —, così anche la questione della verifica della teoria marxiana è per Korsch una questione pratica: quella della rivoluzione in occidente. Anche in questo scritto, generalmente letto come documento « canonico » del marxismo occidentale « hegeliano », il primato della filosofia di fronte alle scienze sociali positive non rappresenta un deprezzamento dell’empiria scientificamente controllata (come per Lukàcs e, poi, per i « marxisti fenomenologici ») ma, al contrario, la sua conseguente realizzazione: il rivoluzionario « superamento della filosofia » è Vexperimentum crucis per il suo valore empirico. La pratica testability ed il meaning teorico convergono nella concezione della teoria di Marx:
una filosofia rivoluzionaria, che in tutte le sfere della realtà sociale viene condotta contro la società come si è configurata fino ad ora, in una sfera determinata di questa realtà, nella sfera filosofica, per giungere infine veramente a sopprimere, assieme a tutta la realtà sociale esistente, la stessa filosofia che di questa realtà sociale è una parte anche se ideale33.
Siccome non ci interessa qui lo sviluppo del pensiero di Korsch, ma il luogo sistematico delle sue osservazioni trascendentali sulle condizioni della possibilità della teoria marxista come scienza empirica, può quindi essere sufficiente l’indicazione che Korsch nei suoi scritti teorici degli anni Trenta — sia negli scritti brevi come L'empirismo nella filosofia hegeliana (1931), sia nella sua monografia su Marx — si è attenuto all’orientamento empirico del suo principio di verifica con la stessa radicalità con cui nei suoi scritti politici si è attenuto alla sua premessa rivoluzionario-teorica della «pura» rivoluzione operaia, che lo legò all’ipotesi politica della sinistra comunista. Ma proprio questa doppia radicalità rese per lui sempre più impossibile, dopo la falsificazione pratica di questa ipotesi rivoluzionaria, legare il contenuto della verità del marxismo ad un movimento operaio autonomo e vincente (come suo « riflesso » teorico). Conseguentemente, per Korsch (nell’incontro con il positivismo logico, nella collaborazione con
30 K. Korsch, Marxismus und Philosopbie, in « Archiv fur die Geschichte des So-zialismus und der Arbeiterbewegung », Bd. 11 (1925), pp. 52-121 (trad. it. Milano, 1970 2).
31 Op. cit., p. 68 (trad. it., p. 47).
32 Op. cit., pp. 83 sgg. (trad. it., pp. 57 sgg.).
33 Op. cit., p. 99 (trad. it., p. 69).
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Kurt Lewin, ecc.) la teoria scientifica doveva separarsi dalla teoria della rivoluzione34. In questa isolata conseguenza finale {non nella versione specificamente «empiristica» dei suoi sforzi scientifico-teorici), a cui arrivò il comunista di sinistra Korsch nel suo esilio americano, c’è anche il risultato emblematico al quale la nostra preistoria del marxismo critico conduce: benché la riflessione gnoseologica e la teoria della rivoluzione siano orientate verso l’orizzonte dell’attività pratica degli individui sociali, tuttavia per il marxismo contemporaneo esse si separano. ’
5. È stata già richiamata l’attenzione sul fatto che la scuola di Francoforte potè tematizzare quelle vicende rimosse dalla democrazia tedesco-occidentale che Adorno ha sempre chiamato per nome — Auschwitz! —, anche come esperienza filosofica, poiché Adorno e Horkheimer disponevano ancora di un concetto unitario di ragione, che rese interpretabile l’esperienza della sconfitta della ragione nel fascismo anche come perdita storico-filosofica. H. Marcuse, del quale non possiamo occuparci in questo luogo, tentò dopo la guerra nei suoi lavori, fondamentali per il movimento antiautoritario35, di rifondare la base della ragione per l’emancipazione umana in una ottimistica interpretazione storico-filosofica della dottrina dell’istinto di Freud. I più recenti contributi sulla storia della scuola di Francoforte36 hanno sottolineato i parallelismi tra il concetto di totalità sostenuto da Horkheimer e dai suoi collaboratori all’inizio degli anni Trenta e la lukàcsiana « coscienza di classe » in senso di filosofia della storia37. Sebbene con pretese meno esplicitamente teorico-rivoluzionarie, anche il « materialismo interdisciplinare » del primo circolo di Francoforte intendeva rappresentare una unità di ragione che in quanto unità di teoria e prassi, di verità filosofica e conoscenza scientifica della società, mirava alla realizzazione storica dell’emancipazione proletaria. Questa doppia unità va in frantumi nella coscienza dei teorici francofortesi in conseguenza della sconfitta dei
34 Su questo si veda L. Ceppa, Lo sviluppo del pensiero di Korsch, in « Rivista di filosofia», voi. 60 (1969); G.E. Rusconi, op. cit.; A. Gilles-Peters, Dialektik und Empirismus im Marxismus von Korsch, in Zur Aktualitdt..., cit.
35 Per un bilancio del significato politico e teorico di Marcuse per la sinistra tedescooccidentale si veda il volume collettaneo a cura di D. Claussen, Spuren der Befreiung-Herbert Marcuse, Darmstadt, 1981. La prima ricostruzione complessiva dello sviluppo filosofico-politico di Marcuse è opera di un italiano: G. Palombella, Ragione e immaginazione. Herbert Marcuse 1928-1955, Bari, 1982.
36 Cfr. soprattutto: H. Dubiel, Wissenschaftsorganisation und politische Erfahrung. Studien zur frùhen kritischen Theorie, Frankfurt, 1978; A. Sóllner, Geschicbte und Herrschaft. Studien zur materialistischen Sozialwissenschajt 1929-1942, Frankfurt, 1979; N. BonB-A. Honneth, hrsg. v., Sozialforschung als Kritik. Zum sozialwissenschaftl-ichen Potential der kritischen Theorie, Frankfurt, 1982, e, ultimamente, gli atti della Adorno-Konferenz 1983, curati da L. von Friedeburg e J. Habermas, Frankfurt, 1983. È in preparazione un volume collettaneo su Horkheimer.
37 Si veda anche il quarto capitolo del recente opus magnum di Habermas, che individua nella diagnosi maxweberiana delle conseguenze del « razionalismo occidentale » la comune radice sia di Lukàcs sia di Horkheimer e Adorno, Theorie des kommuni-kativen Handelns, cit., Bd. I, pp. 453 sgg.
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principi di libertà socialista in Germania, del loro pervertimento nel socialismo di marca staliniana e, ultimo, ma non meno importante, a seguito dell’esperienza — compiuta nell’esilio americano — del carattere obsoleto di questi principi socialisti di fronte alla realtà del capitalismo statunitense e della democrazia di quel paese 38. La separazione della teoria sociale marxista — successivamente definita « critica » — dalla coscienza di classe proletaria ha luogo, nello sviluppo della scuola Francoforte, parallelamente alla separazione della critica teoretica dai metodi e dai risultati delle singole scienze. Sulla base dei loro studi di psicologia sociale e in seguito alla esperienza del fascismo e dell’emigrazione, per i teorici del circolo di Francoforte soggetto e destinatario della teoria rivoluzionaria si allontanano a tal punto l’uno dall’altro, che — almeno secondo l’idea che essi hanno della propria funzione — una teoria sociale emancipatoria può essere il contributo soltanto di gruppi marginali di intellettuali, che Brecht criticò ferocemente definendoli « TUIs ». Parallelamente a questo processo, l’immagine della scienza proposta dall’Institut fiir Sozialforschung assume una curvatura crescentemente « filosofica »39. Questo sviluppo procede dall’idea iniziale — gli anni sono quelli tra il ’30 e il ’36 — di una scienza sociale interdisciplinare, filosoficamente integrata alla critica quasi filosofica della formazione di ipotesi e leggi scientifiche, fino alla Dialettica dell’Illuminismo degli anni Quaranta, nella quale lo sviluppo moderno delle scienze e delle forze produttive viene liquidato come falsa totalità40. La teoria sociale divenuta negativa filosofia della storia41 sciolse definitivamente qualsiasi relazione con i possibili soggetti sociali dei « principi storicamente nuovi della ragione emancipativa » — come li chiamò Hans Jùrgen Krahl.
Questa linea di sviluppo — che fu concettualizzata da Adorno nella
38 Si veda la relazione di Dubiel, in Adorno-Konferenz 1983, cit., pp. 293 sgg.
39 Cfr. Dubiel, Wissenschaftsorganisation... cit.; H. Brunkhorst, Paradigmakern und Theoriedynamik der krìtischen Theorie der Gesellschaft, in « Soziale Welt », n. 1, 1983, come la relazione dello stesso Brunkhorst nella Adorno-Konferenz, cit., pp. 314 sgg.
40 Cfr. J. Habermas, Die Verschlingung von Mythos und Aufklàrung. Bemerkungen zur « Dialektik der Aufklàrung » — nach einer erneuten Lektiire, in K. H. Bohrer, hrsg. v., Mythos und Moderne. Begriff und Bild einer Rekonstruktion, Frankfurt, 1983, pp. 405 sgg., dove Habermas sottolinea le vicinanze di questo libro col Nietzsche della Genealogia della morale.
41 È interessante notare che proprio questo sbocco dello sviluppo del pensiero di Adorno che, come giustamente mostra M. Theunissen (Negativitàt bei Adorno, in Adorno-Konferenz, cit., pp. 41-64), rientra nella tradizione del « pensiero negativo », della negativistische Geschichtsphilosophie, oggi — a differenza degli anni Settanta — è piuttosto motivo di attrazione e rinnovata attualità di un Adorno « postmoderno» accomunato (soprattutto nella cultura di sinistra postmarxista americana, si veda la relazione di Martin Jay Adorno in America, in op. cit., pp. 354 sgg.) a Foucault e Derrida. Per una critica del concetto di potere in Foucault e in Adorno da una prospettiva di una teoria delFagire sociale si veda A. Honneth, Kritik der Macht. Foucault und die kritische Theorie (di prossima pubblicazione). È da segnalare anche il rinnovato interesse concentratosi sul nodo (non ancora risolto) Adorno-Heidegger. Si veda Hermann Mòrchen, Adorno und Heidegger. Untersuchung einer philosophischen Kommunikationsverweigerung, Stuttgart, 1981.
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sua Dialettica negativa (1966) — non è certamente priva di una intima coerenza, se si considera che per i teorici dell’istituto di Francoforte era radicalmente cambiato quell’Erwartungshorizont, quell’orizzonte delle aspettative circa una realizzazione della ragione, ma non la problematica della ragione da essi posta a fondamento. Di recente, Jùrgen Habermas ha sottolineato questo aspetto ricordando
che i francofortesi hanno tenuto saldo un concetto di teoria ed anche un concetto di verità basato su una immagine enfatica della ragione della tradizione filosofica. In Horkheimer e Adorno la ragione deve mostrare i momenti della ragione nella loro unità che sono stati separati nelle critiche kantiane: l’unità della ragione teoretica con quella pratica e con il giudizio estetico. Quando però si fa della scienza, si ha solamente a che fare con pretese di verità in senso stretto42.
Nonostante la critica ad Hegel sviluppata da Adorno e Horkheimer43, la pretesa alla totalità della teoria critica della società presenta lineamenti quasi hegeliani: la teoria critica nella sua fase più tarda si è progressivamente imimunizzata, dal punto di vista filosofico, mediante il presupposto della riducibilità del tutto sociale ad un unitario principio interno e mediante la sfiducia critica nei confronti dei controlli empirici nella scienza sociale 44. Tutti questi tratti, che rappresentano un involontario esempio classico di « pseudo-scienza » in senso popperiano — ovviamente non valido per la teoria marxiana —, caratterizzeranno successivamente la recezione del Capitale sviluppata negli anni Settanta dagli stessi allievi di Adorno, ora divenuti suoi critici ferocissimi.
L'enigma di questo riferimento alla totalità, che unifica teoria sociale e critica della conoscenza, si ritrova finalmente prefigurato in Adorno nel reciproco rapporto di fondazione tra la sua critica del pensiero identificante nella storia della filosofia occidentale e l’eguagliamento di prodotti dell’attività umana nella astratta relazione di valore di scambio: « Il processo di astrazione che la filosofia glorifica attribuendolo soltanto alla attività del soggetto, di fatto ha luogo nella società di scambio reale »45.
Entrambi i principi organizzativi della società capitalistica possono, secondo Adorno, venire decifrati quale logica strumentale « dell’autoaffer-mazione rinselvatichita » dell’umanità nella storia, culminante nel capitalismo come forma di dominio sulla natura interna come su quella esterna.
42 J. Habermas, Dialektik der Rationalisierung (a colloquio, con E. Knódler-Bunte, A. Honneth e A. Widman), in « Àsthetik und Kommunikation », n. 45-46 (1981), p. 131. Si veda anche H. Schnàdelbach, Dìalektik als Vernunftkritik. Zur Konstruk-tion des Rationalen bei Adorno, in Adorno-Konferenz, cit., pp. 66 sgg.
43 Adorno, Drei Studien zu Hegel, Frankfurt, 1963.
44 Cfr. C. Beier, Zum Verhdltnis von Gesellschaftstheorie und Erkenntnistheorie. Untersuchungen zum Totalitdtsbegriff in der kritischen Theorie . Adornos, Frankfurt, 1977.
45 Adorno, Negative Dialektik, Frankfurt, 1970, p. 178. Su questo si veda Habermas, Theorie des kommunikativen Handelns, cit., Bd. I, pp. 505 sgg. e i citati saggi di M. Theunissen e H. Schnàdelbach, in Adorno-Konferenz.
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Non è qui possibile discutere la unidimensionalità di una filosofia sociale che riduce la logica del dominio sociale a quella di identificazione logico-concettuale a un modello di base dell’^i^ monoiogico-strumentale 46 ; ma già quanto detto ci fa consentire con Alfred Schmidt, che, nella sua relazione introduttiva alla recente Adorno-Konferenz a Francoforte (settembre 1983), ha parlato di una « revisione stranamente squilibrata »47 del pensiero di Marx nella teoria critica di Adorno: un’ambivalenza — come ha rilevato nella stessa occasione J. Ritsert48 — riscontrabile metodologicamente nella ambivalenza del concetto di « oggettività » sociale in Adorno — fra « falsa » naturalità della reificazione capitalista e « legge essenziale » o strutturale —, che fatica a staccarsi da una ortodossia nascosta della « legge di valore » marxiana, senza però dotarsi di mezzi di ricerca sociologica e di controllo empirico precisati. Anche l’impossibilità dell’ultimo Adorno di dare un senso immanente alla sua pur persistente costruzione di filosofia della storia — che lo spinge secondo Theunissen a una tensione metafisica della dialettica negativa, mai però concettualizzata49 — potrebbe forse esser ricondotta a una sua intima fedeltà alla concezione di « totalità » della tradizione hegelomarxista.
6. Come abbiamo visto fu proprio l’enfatica unità hegelomarxista di critica della conoscenza, teoria della società e ragione della filosofia della storia ad andare, nella prima fase della scuola di Francoforte, in frantumi a causa della sua spiegazione dell’esperienza fascista in chiave di filosofia della storia. Non rimase spazio, nella diagnosi di un contesto universale di reificazione, né per domande di teoria della conoscenza, né per un concetto non aporetico dell’emancipazione sociale. I tentativi habermasiani di rimettere nuovamente in piedi — dopo Adorno — un contesto di teoria della conoscenza e teoria sociale con intenzioni emancipative dovettero lasciarsi alle spalle quegli elementi di filosofia della storia capovolti negativamente da Adorno, i quali, in certo qual modo, rappresentano il mero rovesciamento di un mito di progresso produttivistico di matrice marxista.
Più precisamente Habermas, in Erkenntnis und Interesse (1968), ha già dissolto questa unità sviluppando le categorie fondamentali della teoria critica della società in due diverse prospettive di razionalità dell’agire sociale: quella della conoscenza e della elaborazione della natura nel processo materiale di vita delle società e quella della prassi comunicativa simbolicamente mediata, nella quale trovano il loro fondamento norme e istituzioni sociali. Tuttavia, da tale distinzione metodologica discende per la prospettiva di emancipazione sociale la conseguenza che « libertà » e « necessità » non possono più — come emancipazione — venire fondate e « conciliate »
46 Cfr. Honneth, Kritik der Macht, cit.
47 Adorno-Konferenz, cit., p. 22.
48 Adorno-Konferenz, cit., pp. 229 sg.
49 Op. cit., pp. 53 sgg.
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in un unico principio: un ruolo svolto in Marx, come è noto, dal concetto di lavoro (come poiesis e praxis). Nelle condizioni dell’epoca moderna risulterebbe quindi non più possibile un unico concetto storico-filosofico di progresso. Una teoria della conoscenza che cerchi di accertarsi della validità di un orientamento teorico non offre più nessuna garanzia circa la realizzazione della ragione pratica: progressi per quanto riguarda l’emancipazione saranno, cioè, (oltre a poter essere descritti empiricamente) soltanto una questione della filosofia pratica e cioè della definizione di criteri e principi morali di giudizio delle formazioni sociali date, esistenti. Il dualismo kantiano di essere e dover essere si ripresenterebbe nell’ambito della teoria marxista e verrebbe connesso ai suoi problemi.
Questa costellazione problematica viene da Habermas al tempo stesso accettata, mentre ne cerca il suo superamento. Egli accetta, per così dire, con Kant contro Hegel, che gli standards di razionalità teorica e pratica non sono deducibili l’uno dall’altro, ma seguono invece diversi princìpi organizzativi. Basti pensare ai differenti obblighi di fondazione esistenti per il discorso teorico-descrittivo e pratico-morale. Habermas cerca però di superare le conseguenze dualistiche di un tale stato di cose: con Marx deve pur essere possibile trasformare la connessione sociale di sistema nell’orizzonte di un ampio concetto di emancipazione50.
In ogni caso il senso teorico, che Habermas collega alla fondazione pram-matico-linguistica della teoria della società, consiste nell’intenzione di realizzare il programma marxiano di ricerca sulla determinazione delle condizioni di possibilità per l’emancipazione sociale con mezzi non riconducibili alla filosofia della storia; o, in altri termini, nell’intenzione di trovare una fondazione non idealistica del primato della ragione pratica dell’interesse all’emancipazione. Se, almeno secondo gli argomenti di Habermas e Apel, può essere dato per dimostrato che gli individui sociali nel loro agire — e la prammatica linguistica consente certamente di concepire anche i discorsi come un agire — pretendono implicitamente standards di razionalità della ragion pratica, mediante la strutturazione comunicativa del mondo vitale societario, allora su questa base può esser fondato un primato etico dell’orientamento alla comprensione, nella valutazione di istituzioni e norme della convivenza sociale, senza arrivare — come ad esempio Max Adler all’inizio
50 Se questa resta la direzione complessiva del programma di ricerca di Habermas, egli ha invece modificato negli anni Settanta i mezzi metodologici per la sua realizzazione: dai concetti « quasi trascendentali » (di ispirazione anche pragmatista) di Conoscenza e interesse fino alla filosofia del linguaggio, la teoria degli speach acts (Austin, Searle), introducendo così il linguistic turn della filosofia anglosassone nell’ambito del materialismo storico, per una « ricostruzione razionale » o — meglio — per rifondarlo su una teoria dell’agire sociale che sia in grado di comprendere anche la « logica specifica dell’oggetto specifico » delle norme sociali quali « sottosistemi » ancorati aWhumus comune della comunicazione intersoggettiva. Su tutto questo si veda l’ottimo saggio di A. Wellmer, Kommunikation und Emanzipation. Uberlegungen zur « sprachanalytischen Wende» der kritischen Theorie, in U. Jaeggi-A. Honneth, hrsg., Theorien des Historischen Materialismus, Frankfurt, 1977, pp. 465-500.
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del secolo51 — all’errata conclusione idealistica che riduce anche le prestazioni sistemiche della moderna società di classe ad un a priori della « comunità comunicativa » e senza tener conto della differenziazione dei moderni saperi.
In tal modo la riformulazione della dialettica marxiana di forze produttive e rapporti di produzione in termini di differenza delle regole dell’agire strumentale e comunicativo, consente, allo stesso tempo, ad Habermas la ricostruzione della differenza dei processi conoscitivi delle scienze della natura e della società come razionalizzazione di modi e discorsi differenti con differenti obblighi di fondazione.
Il riferimento habermasiano alla distinzione weberiana tra razionalità formale e razionalità materiale, prima esposto in termini impliciti, viene esplicitamente formulato nel suo opus magnum intitolato Teoria deir agire comunicativo, non ancora tradotto in italiano. Al pari di Max Weber, anche Habermas prende le mosse dalla irreversibilità della differenza, nelle moderne società, dei sistemi di azione. Ma, diversamente da Max Weber, egli respinge però le conseguenze pessimiste di filosofia della storia che quest’ultimo trasse da questa distinzione. Detto altrimenti: contro Weber, Habermas cerca di assicurare una prospettiva della razionalizzazione evolutiva e non contingente delle norme sociali, di modo che l’obiettivo di una società socialista eticamente « riconciliata » non si basi su fondamenti decisionistici di scelte di valori irrazionali o non si spenga nella « gabbia di acciaio » della dipendenza da un modello tecnocratico di socialismo.
7. In conclusione e in modo necessariamente schematico, vorrei accennare ad alcuni problemi che mi paiono connessi a questa riforma habermasiana della dialettica marxiana. Dico subito che questi problemi non mi paiono consistere nella differenziazione habermasiana del concetto marxiano della prassi come produzione, che — come giustamente ha di recente sottolineato Massimo Cacciari — costituisce il contenuto classico del progetto filosofico marxiano52. Poiché il concetto di lavoro in Marx comprende tanto l’agire relativo allo scopo quanto quello comunicativo e quello poietico, da un punto di vista logico non può esistere nessuna opposizione tra lavoro e agire comunicativo. All’interno dell’attuale great transformation tecnologica e culturale verso il capitalismo postindustriale, perfino all’interno della classe operaia — come è confermato dalle ricerche di Accornero53 — si fanno strada in modo sempre piu deciso bisogni comunicativi e poietici nei confronti del lavoro. Il classico concetto marxiano di lavoro o ancor
51 Mi permetto di rinviare al mio saggio Erkenntnistbeorie als politische Intervention. Max Adlers Beitrag zum bistoriscben Materialismus, in «Leviathan», n. 3/4, 1981.
52 M. Cacciari, Marx — ovvero la verità classica, in « Politica ed economia », n. 5, 1983.
53 A. Accornero, Lavoro e non lavoro, Bologna, 1980; Id., Il lavoro come ideologia, Bologna, 1980.
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meno l’etica del lavoro della tradizione socialista non sono dunque più in grado di venire concettualmente a capo di questa differenziazione nell’ambito dei bisogni emancipativi54. Se il comuniSmo, come ha detto Marx, è la produzione della stessa forma di relazione, allora nessun riferimento a questa utopia razionale potrà riuscire senza una connessione di teoria comunicativa e teoria dell’agire.
Egualmente non vedo consistere la debolezza del tentativo habermasiano nel fatto di reinserire Vautonomia di una discussione morale all’interno della teoria di Marx. Questa discussione risale al marxismo neokantiano, che a torto è stato rimosso dalla cultura marxista55. Gramsci, infatti, ha fondato il suo concetto relativo al contenuto etico-politico dell’egemonia sul piano politico e culturale, ma non su quello morale, perché riteneva la potenzialità di razionalità del lavoro organizzato quale base sufficiente a legittimare le richieste di giusitzia sociale della classe operaia. Proprio le più recenti discussioni — sia nel mondo anglosassone sia in quello tedescooccidentale — hanno nuovamente iniziato un lavoro di esplicitazione delle premesse normative implicite nella critica marxiana di capitalismo56. E, in tal modo, tentano, per la prima volta, di rendere possibile l’esame circa e in quale misura il concetto di emancipazione marxiano, al di là di nostalgie comunitarie o di utopie statalistiche, abbia o addirittura possa nuovamente dopo il ciclo del welfare State riacquisire attualità per società complesse.
La problematicità dell’approccio di Habermas non consiste tanto nella sua distanza, ma semmai nella sua prossimità a Marx e cioè, di conseguenza, nel fatto che egli si è non di molto allontanato, con la sua versione quasi-cognitivista dei principi normativi della idea di giustizia (si veda il suo ultimo lavoro) dalla marxiana « utopia di progetto senza mito, di rivoluzione senza ideologia » 58. L’accordo comunicativo è non solo troppo povero come modello di emancipazione ma fallisce — come di recente ha dimostrato Rusconi — esattamente là dove deve fare i conti con decisioni di natura istituzionale59. Inoltre condivide, con la sua utopia della universabilità di tutti gli essenziali interessi umani, ancora elementi di quella prospettiva socialista di omogenizzazione delle differenze sociali e culturali, di riduzione dal complesso al semplice, che probabilmente già nello stesso Marx si presentavano in modo più articolato e che certamente non rappresentano
54 Si veda a questo proposito il dialogo tra Edmond Maire e Michel Foucault nel n. 25, 1983, di « Le débat ».
55 Cfr. Marxismus und Ethik. Texte zum neukantianischen Sozialismus, hrsg. v. H.-J. Sandkùhler e R. de la Vega, Frankfurt, 1970 (trad. it. Milano, 1975).
56 M. Cohen, Th. Nagel, Th. Scanlon, eds., Marx, Justice and History, Princeton, 1980; E. Angehrn-G. Lohmann, hrsg. v., Ethik und Marx, atti di un workshop a Berlino Ovest, ott. 1983, di prossima pubblicazione.
57 J. Habermas, Moralbewu^tsein und kommunikatives Handeln, Frankfurt, 1983.
58 Cacciati, op. cit.
59 G. E. Rusconi, « Discorso » e decisione. Il tentativo di Habermas di fondare una razionalità politica, in « Materiali filosofici », n. 6, 1981, pp. 43 sgg.
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una risposta credibile ed efficace circa il futuro di un capitalismo polimorfo 60.
Il bisogno di diversità, che oggi si diffonde non solo nei cosiddetti « nuovi movimenti », ma anche, e in modo crescente, all’interno del mondo del lavoro, necessita certamente di regole del gioco democratiche e socialiste, ma può rinunciare all’ideale della universabilità. Il tema di una filosofia sociale che con Marx superi Marx, ma al tempo stesso la ridefinizione dell’identità culturale della sinistra europea risiede piuttosto nel rendere produttive le differenze che sorgono nella comunicazione, nel trasformarle in risorse per nuove forme di solidarietà.
60 A. Mine, L'Après-Crise est commencé, Paris, 1982; E. Matzner, Der Wohlfahrtsstaat von Morgen, Wien, 1982. -