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Title
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«DIVORARE IL DENARO». POLITICA DEL VENTRE, DEMOCRAZIA E CLIENTELISMO IN BÉNIN
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Creator
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Richard Banégas
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Dainà Lozoraits
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Date Issued
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1998-04-01
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Is Part Of
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Quaderni Storici
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volume
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33
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issue
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97
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page start
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59
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page end
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86
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Publisher
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Società editrice Il Mulino S.p.A.
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Language
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ita
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Format
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pdf
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Relation
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La cura di sé. Italy: Feltrinelli, 2001.
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Rights
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Quaderni storici © 1998 Società editrice Il Mulino S.p.A.
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Source
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https://web.archive.org/web/20231101220018/https://www.jstor.org/stable/43779869?searchText=Foucault&searchUri=%2Faction%2FdoBasicSearch%3FQuery%3DFoucault%26sd%3D1998%26ed%3D1998%26efqs%3DeyJsYV9zdHIiOlsiYVhSaCJdfQ%253D%253D%26so%3Dold%26acc%3Doff&ab_segments=0%2Fbasic_search_gsv2%2Fcontrol&refreqid=fastly-default%3Adca5ff5df9ecdc3fa6ecc8e4664ce92e
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Subject
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the arts of existence
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governmentality
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extracted text
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«Divorare il denaro».
POLITICA DEL VENTRE, DEMOCRAZIA E CLIENTELISMO IN BÉNIN *
A partire dalla fine degli anni Ottanta, il Bénin è apparso come un laboratorio del cambiamento politico sul continente africano. Dopo diciassette anni di dittatura «marxista-leninista», questo piccolo paese del Golfo di Guinea, che negli anni Sessanta ha conosciuto un periodo di cronica instabilità politica, si è imposto come pioniere del movimento di democratizzazione, ideando una forma di pacifica transizione democratica (la «Conferenza Nazionale») e mettendosi in luce come il primo paese al cui vertice un ex dittatore, M. Kerekou, ha fatto ritorno per vie democratiche. Se la sua elezione, avvenuta nel 1996, ha suscitato apprensione tra gli osservatori stranieri, il ritorno del «Camaleonte in cima alTal-bero» (soprannome di M. Kerekou), cinque anni dopo il suo allontanamento deciso dalle urne, è stato interpretato dalla maggioranza della popolazione del Bénin come un segno di riconciliazione, di maturità politica, e soprattutto come un indizio del radicamento delle regole pluraliste. Pur rappresentando un indicatore sicuramente paradossale, questa prima alternanza testimoniava l’accettazione, da parte degli attori politici, delle procedure democratiche, viste come la sola strada possibile per accedere al potere1. In base a questo criterio minimalista del consolidamento democratico2, e senza sottovalutare la possibile reversibilità del processo di transizione3, possiamo effettivamente considerare che il Bénin è oggi ben avviato verso l’affermazione del pluralismo.
Ma questa osservazione ne introduce un’altra, che a priori appare meno incoraggiante: quella del rafforzamento senza precedenti del ruolo svolto dal denaro nella vita politica del Rinnovamento democratico4, della diffusione della corruzione, del nepotismo e delle pratiche clientelari, che in prima approssimazione si possono definire con il termine di «politica del ventre» 5. L’intro-
* Traduzione dal francese di Dainà Lozoraits.
QUADERNI STORICI 97 / a. XXXIII, n. 1, aprile 1998
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Richard Banégas
duzione del multipartitismo, avvenuta nel 1990, sembra in effetti aver consacrato la logica clientelare come principale veicolo di mobilitazione elettorale, restituendo alla scena politica del Bénin l’aspetto che aveva negli anni Sessanta, quando diversi grandi leader che controllavano estese reti di patronage si affrontavano in un gioco di alleanze estremamente fluido. Questo ritorno dei vecchi demoni clientelari, che avevano fatto la reputazione dell’ex Daho-mei (il «figlio malato dell’Africa»), è dunque giunto a moderare l’ottimismo degli osservatori e degli attori della scena politica del Bénin, suscitando crescenti riserve nei confronti del regime del Rinnovamento democratico.
Come interpretare questa duplice constatazione, che a prima vista appare così contraddittoria? È forse necessario vedere queste pratiche come residui del passato destinati a stemperarsi nella modernità democratica o bisogna cogliervi il peso di logiche culturali inconciliabili con il pluralismo? Dobbiamo dedurne il fallimento dell’innesto democratico? Concludere che tale cambiamento, invischiatosi nei retaggi della tradizione, non era che un miraggio? In opposizione a queste prospettive vorremmo piuttosto dimostrare che in Bénin il consolidamento democratico si realizza paradossalmente proprio nel solco delle logiche clientelari e nel quadro più ampio della «politica del ventre» 6.
Per capire le ragioni di questo paradossale consolidamento democratico sarà necessario spiegare per quale motivo il clientelismo elettorale («l’acquisto delle coscienze»), pur essendo moralmente condannato, è contemporaneamente interpretato dai cittadini come una virtù etica e civica, alla maniera dell’antico evergetismo studiato da Paul Veyne7. A questo scopo, ci sembra importante vedere nell’ambito di quali codici morali e logiche sociali si inseriscono queste pratiche e queste rappresentazioni della democrazia clientelare. Sulla scia della definizione di Ernest Gellner, che vede nel clientelismo un ethos, un «clima morale» che implica un sistema di scambio basato sulla asimmetria delle relazioni di potere8, cercheremo di individuare i fondamenti sociali, cognitivi e affettivi di questo ethos, al fine di capire per quale ragione il rapporto che viene stabilito tra il voto e la ridistribuzione conservi un carattere «incantato», malgrado il fatto che lo scambio elettorale avvenga in un sistema basato sul calcolo e l’interesse e non più nel quadro dell’economia simbolica del dono. Sarà inoltre necessario analizzare in che modo queste matrici morali della ricchezza e della autorità legittima si adattino alle nuove regole del gioco politico e, più in particolare, come esse possano servire da linguaggio di enunciazione della responsabilità (accountability) degli eletti. La riflessione
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sulle evoluzioni dell’economia morale del potere e sulle pratiche clientelati della democrazia ci porterà dunque a riflettere anche sull’eventuale «mercificazione» di essa e ad ipotizzare che il processo di «volgarizzazione» delle virtù civiche in Bénin sia mediato, tra l’altro, anche dal rapporto concreto con il denaro, dalla circolazione dei soldi e dei beni legati alla «civilizzazione materiale del successo» 9.
1. Il clientelismo elettorale, paradossale vettore di democrazia
A partire dal cambiamento di regime avvenuto nel 1990, i cittadini del Bénin sono stati chiamati alle urne più volte, in occasione di scrutini locali o nazionali (referendum costituzionale del 1990, elezioni presidenziali nel 1991 e nel 1996, elezioni legislative nel 1991 e nel 1995). Nel corso di ogni consultazione, mano a mano che il sistema partitico si consolidava, la politica clientelare sembrava svolgere un ruolo sempre più importante nella mobilitazione dei consensi. Il fenomeno ha progressivamente assunto proporzioni considerevoli, soprattutto in occasione del rinnovo del parlamento nel 1995, tanto da suscitare reazioni indignate e interrogativi sulle ipotizzate derive del Rinnovamento democratico.
1.1. Le «derive plutocratiche» del Rinnovamento democratico
Una tendenza di questo genere era individuabile fin dalle prime elezioni pluraliste del 1991, come testimonia la descrizione che ne fornisce uno degli osservatori10. In quella occasione, alcuni partiti ampiamente provvisti di mezzi hanno potuto organizzare raduni in stadi o sale per spettacoli affittate per l’occasione. Affinché il convegno politico divenisse una vera e propria festa, venivano generalmente invitati anche gruppi musicali. Spesso retribuiti a spese del leader della campagna, essi svolgevano il ruolo del griot (poeta-musicista, una figura tradizionale in Africa), cantando le lodi del pagatore, loro padrone per un giorno. Il costo di questo genere di riunioni è valutato da A. Adamon intorno ad un milione di franchi CFA H, comprensivi della prenotazione della sala, del pagamento dell’orchestra e dell’affitto di un autobus per condurre i «militanti-clienti» sui luoghi del meeting. In questo primo esempio, a dispetto delle somme impiegate, il clientelismo, inteso in senso stretto (in quanto relazione diadica di scambio tra ineguali), si limita a comprare le lodi di un griot e ad offrire una birra o un
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biglietto da 500 franchi a individui incontrati in città, perché prendano un autobus e vadano a riempire le gradinate di uno stadio scandendo il nome del padrone. Questo genere di scambio, embrione di «macchina politica», non è in grado di produrre un impegno durevole di fedeltà politica, né di fondare una relazione personale stabile.
Vi è una seconda modalità nelle campagne elettorali: le riunioni di quartiere, in cui intervengono in modo più deciso le relazioni sociali e le logiche di redistribuzione clientelare. «Questo tipo di contatti con la popolazione - afferma A. Adamon - comporta una minima spesa, ma necessita di un’organizzazione molto più accurata. È in genere ad un membro del partito, di una cellula del partito o ad alcuni individui influenti, che spetta il compito di mobilitare la popolazione di un villaggio o di un quartiere di una grande città e di invitare una delegazione ad alto livello del partito perché si rivolga direttamente agli elettori. In queste occasioni, le sedie vengono affittate a spese del partito e ci si arrangia per trovare un tavolo intorno al quale prenderà posto la delegazione. Di giorno, la riunione potrà svolgersi sulla piazza principale del villaggio, mentre la sera bisognerà trovare una casa in cui sistemarsi (...). Questo genere di riunioni ristrette, il cui costo va dai 25.000 ai 100.000 franchi CFA - si offre da bere ai partecipanti o gli si lascia del denaro per farlo - sono più efficaci dei grandi raduni, se si è in grado di organizzarne molte» 12. In questo caso intervengono due modalità di redistribuzione: la prima, interpersonale, coinvolge il padrone politico ed il suo intermediario locale, membro del partito o notabile influente, che ha l’incarico di organizzare il sostegno (logica della senseria, del «brokeraggio»); la seconda, collettiva (comporta l’acquisto di bevande per i partecipanti, banchetti, doni di vario genere, magliette e palloncini in regalo, «generosità» per il villaggio, realizzazione - o promessa - di infrastrutture, ecc.), è riconducibile ad un ethos della magnificenza, vicino alle «liberalità in favore del pubblico» di cui parla Paul Veyne 13.
Vi è, infine, anche un terzo tipo di campagna in cui domina lo scambio interpersonale: si tratta del porta-a-porta, metodo generalmente applicato durante gli ultimi giorni che precedono Io scrutinio. In questo caso, lo scambio non si limita ad una dimensione materiale, ma implica più apertamente una reciprocità sociale e si iscrive nel tessuto ristretto delle relazioni di vicinato, di parentela, di fasce d’età... In questo tipo di campagna, basata sulla prossimità, il candidato porrà piuttosto l’accento sulla propria
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appartenenza al territorio e sul significato di questi legami di parentela allargata, allo scopo di consolidare la reciprocità della relazione clientelare. Non essendo l’economia morale del dono e del contro-dono sempre sufficiente ad assicurare la fiducia reciproca, egli utilizzerà anche diversi meccanismi di obbedienza e, in alcuni casi, non esiterà a ricorrere a incitamenti negativi per forzare la reciprocità. In particolare, le minacce che rimandano all’ordine dell’invisibile, possono in buona parte chiarire la fedeltà del cliente nei confronti del «padrone», in un contesto favorevole alle defezioni (clientelismo concorrenziale, abbondanza di offerta legata alla competizione multi-partitica). Queste rimangono in generale implicite, ma possono anche manifestarsi alla luce del sole. Nei dintorni di Porto-Novo, ad esempio, ci è stato riferito che i candidati ricorrevano alla collaborazione di uno stregone per compiere «l’acquisto delle coscienze», assicurandosi in questo modo la fedeltà dei propri clienti. Prima di distribuire le liberalità, essi facevano passare gli elettori davanti ad un feticcio, dandogli da bere una pozione magica per sancire il contratto di fiducia 14. Questo tipo di costrizione resta tuttavia piuttosto marginale, e lascia spazio ad altri comportamenti, più in linea con l’ideale democratico della libertà individuale di voto e con le «virtù civiche» dello spazio pubblico pluralista.
1.2. La strumentalizzazione popolare del voto clientelare
Lo svolgimento della campagna per le elezioni legislative del 1995 indica in effetti che in molte occasioni gli elettori sono stati in grado di rovesciare tale relazione di dipendenza, mantenendo un’ampia libertà di azione nei confronti dei padroni. Jerome Ad-jakou Badou ce ne fornisce un esempio suggestivo 15 :
Dimanche 19 mars 1995, un petit village du Zou au sud du Bénin. La campagne électorale bat son plein. Sous un grand manguier, une foule attend. Sou-dain, un 4 x 4 s’immobilise sous les applaudissement des villageois. D’une voix de stentor, un jeune homme entonne un chant à la gioire de l’illustre hòte, hom-me de bien, fils de bonne famille, digne représentant de la région à l’Assemblée nationale. L’homme descend du véhicule, esquisse quelques pas de danse. Accla-mations! Des femmes accourent, certaines étendent leur pagne sur son passage, d’autres l’en couvrent. «L’honorable député» sort une liasse de billets de ban-que. Des coupures de 500 francs CFA «saluent» les fronts [Il est de coutume au sud Bénin d’aposer sur le front d’un ami un billet de banque pour lui souhaiter la bienvenue ou attire la chance sur lui]. L’homme est récupéré par le chef de village qui l’amène dans une case avant de revenir s’asseoir sous les ovations de
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l’assistance. Visiblement satisfait, le chef annonce que l’invité vient de donner 100.000 francs CFA et de quoi «mouiller la gorge». Hourra! On chante, on boit, on remercie; les affichettes comportant le symbole du parti sont distribuées à tous les présents qui promettent de voter pour ce député digne de ses glorieux ancètres.
Nel corso dello stesso giorno il villaggio ha accolto cinque delegazioni di diversi partiti politici. Quattro di esse sono state «gentili». Con la mano sul cuore gli abitanti del villaggio si sono impegnati a votare per ognuno dei quattro partiti. La quinta delegazione è stata invece giudicata un po’ avara. L’oratore, in effetti, ha terminato il proprio discorso fustigando coloro i quali vogliono «corrompere le nostre popolazioni»: « ho troppo rispetto per voi, non vi proporrò denaro per influenzare la vostra scelta». I presenti si guardano increduli. Un giovane si schiarisce la voce e chiede: «il nostro ospite ci dica con che cosa è arrivato». Approvazione generale. Il candidato spiega che ha previsto «si versi in terra dell’acqua per gli antenati». Un membro della sua squadra pone una damigiana di sodabi (la bevanda alcolica locale) in mezzo al cerchio. «Ma come! ci porta del sodabi? non è nemmeno in grado di darci una bottiglia condannata?» (ovvero del liquore importato). I presenti promettono, timidamente, di votare per il candidato.
Questa descrizione, confermata da testimonianze che abbiamo potuto raccogliere sul posto, indica che gli elettori sono stati in grado di adattarsi alle nuove regole del gioco pluralista e trarre profitto (in senso letterale) dalla concorrenza politica. Alcuni hanno giocato la carta dell’adulazione, la maggior parte ha accettato indifferentemente il denaro di ogni candidato, pur pronunciandosi liberamente il giorno dello scrutinio, in funzione di altri criteri ed interessi16. In alcuni casi i contadini o gli abitanti di un quartiere si sono organizzati, optando per un’azione collettiva per far fruttare al massimo il vantaggio tratto dalla campagna elettorale. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, è stata seguita la via dell’accumulazione individuale. L’introduzione del pluralismo ha rafforzato la posizione degli intermediari (capi di villaggio, leader religiosi o semplicemente individui dotati di spirito di iniziativa) che hanno saputo rendersi indispensabili per l’organizzazione dei raduni, presso i candidati ed i partiti. «In occasione delle prime elezioni legislative - osserva A. Adamon - è apparso un nuovo mestiere: quello di sensale politico. Il mediatore non appartiene ad alcun partito e afferma di avere il controllo di un dato numero di militanti o di elettori. Il suo ruolo consiste nell’incontrare i responsabili
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dei partiti e nell’aiutarli ad organizzare i meeting. Per questo, beninteso, bisogna pagarlo, o offrirgli da bere» 17.
Questi brokers non sono gli unici a sapersi avvantaggiare della congiuntura favorevole rappresentata dalle elezioni. Contrariamente a quanto lascia credere un’immagine diffusa, i semplici cittadini non si piegano passivamente al voto obbligato propostogli da questi mediatori, che pure dispongono di un capitale sociale e finanziario non indifferente. Essi contrattano accanitamente il proprio voto e si preoccupano, ognuno al proprio livello, di far fruttare al massimo lo scambio elettorale. Ben lontana dal sancire la messa sotto tutela degli elettori, spesso evocata dalle analisi del clientelismo, la relazione clientelare appare in questo caso come uno dei principali veicoli di iniziazione alle nuove regole del pluralismo. Gli studi sulla politicizzazione nel corso della Terza Repubblica in Francia hanno dimostrato, ad esempio, che le appropriazioni de-vianti del voto non escludevano un apprendistato elettorale, e che «le varie forme di deviazione del voto dimostravano (...) una presa di distanza dal ruolo tale da permettere di assumerne il controllo e di trarne un profitto» 18. Lo stesso avviene nel Bénin del Rinnovamento democratico. Una vignetta umoristica apparsa durante le elezioni legislative del 1995 riassume bene questa «distanza dal ruolo», strettamente legata alla razionalità della scelta elettorale, e illustra come il voto concorrenziale subisca un addomesticamento attraverso il veicolo clientelare, venga disciplinato e assimilato. Vi si vede un elettore che, nell’atto di introdurre la scheda nell’urna, dice a se stesso: «a forza di allenarmi riuscirò ad usare una sola scheda per mangiare a livello di tutti i partiti» 19.
1.3. La rivincita delle società africane20
Ma c’è di più. Coloro i quali vengono definiti come persone «più in basso del basso» non hanno semplicemente tratto un profitto immediato dal clientelismo elettorale, essi hanno trasformato la relazione clientelare in uno strumento di rivincita storica nei confronti degli «più in alto dell’alto». Il periodo delle elezioni è in effetti considerato dalla maggioranza dei cittadini come il momento in cui si può riprendere agli uomini politici quel denaro che essi hanno accumulato a partire dal loro accesso al potere, o più in generale a partire dall’indipendenza. Nel corso delle nostre interviste, tale giustificazione ricorreva costantemente, ribadita con la disinvoltura dovuta alla certezza di essere nel giusto: «recuperiamo il denaro che ci è stato rubato!». Il dibattito sui redditi dei
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dirigenti politici che ha caratterizzato la prima legislazione del «Rinnovamento» ha messo in luce il divario esistente tra i redditi dei deputati e quelli degli elettori, aumentando notevolmente la frustrazione e la «voracità» di questi ultimi. Gli eletti, considerati come debitori della loro posizione privilegiata, si trovano di conseguenza a dover affrontare un’inflazione di richieste, quando tornano nei loro villaggi durante il fine-settimana. Ricette mediche, partecipazione a funerali, lamentele di ogni tipo fanno del deputato un «ospite d’onore», visto come una vera e propria «cassa di previdenza sociale», come lamentano alcuni ex-parlamentari «depredati» dai propri elettori21. Questa logica della reciprocità e della ridistribuzione, che costituisce la matrice morale del governo legittimo, non è certamente nata insieme al multipartitismo, ma si è considerevolmente rinforzata con l’istituzionalizzazione della concorrenza politica.
Su di un piano simbolico, in effetti, la rottura introdotta dal voto pluralista è importante. Oltre ai benefici materiali che procura, la concorrenza tra le offerte clientelari permette anche di rovesciare i legami di dipendenza tra i semplici cittadini e i «grandi uomini» che ricercano i loro voti, consente di realizzare una temporanea inversione dei rapporti di forza tra governanti e governati. Come ci diceva un venditore di pneumatici di Coto-nou: «Siamo in democrazia, attendiamo il momento opportuno. Sappiamo che tra poco il deputato avrà bisogno di noi. Allora, lo aspettiamo».
È certo che in questo modo l’ineguaglianza delle risorse propria della relazione clientelare non viene rovesciata, tuttavia, scrutinio dopo scrutinio gli elettori del Bénin hanno preso coscienza del fatto che tenevano i candidati alla propria mercé, e che attraverso il prezzo del loro voto potevano far loro pagare un lungo e antico rapporto di subordinazione. È possibile interpretare tale rivincita storica come il rovesciamento fondamentale di quel «senso del debito» che Pierre Clastres riteneva un indizio della natura delle relazioni di potere?22 È troppo presto per poter esprimere un giudizio in proposito. Sembra tuttavia che tale inversione simbolica si collochi nel solco delle forme di insubordinazione o di «rivincita» evidenziate dalla ricerca africanista degli anni Ottanta23. Le forme popolari di azione politica che avevano contribuito al processo di indebolimento dell’autoritarismo si configurano oggi come capacità di strumentalizzazione del voto pluralista e del clientelismo concorrenziale, segno di una incontestabile (seppure ambivalente) appropriazione «dal basso» della democrazia.
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2. L'economia morale del clientelismo
Per cogliere il significato di questa riappropriazione, popolare è tuttavia necessario superare l’approccio utilitaristico al clientelismo e ai rapporti politici, per analizzare le logiche sociali, i modelli culturali ed i codici morali in cui si collocano le rappresentazioni del potere legittimo. Si potranno allora individuare diversi registri che aiutano a capire perché il clientelismo, pur essendo moralmente condannato, è in pari tempo considerato come una virtù etica e civile, finendo per rappresentare uno degli elementi caratterizzanti del nuovo ordine democratico del Bénin.
2.1. «Abbuffarsi di denaro»: affermazione e assimilazione dei diritti civili
Le nostre inchieste dimostrano, e il fatto non sorprende, che il linguaggio privilegiato di questa rivincita storica dei «più in basso del basso» nei confronti degli uomini politici consiste nell’accesso al denaro, quel denaro che si può «mangiare». Elemento centrale della contestazione del potere, della denuncia della depredazione, questa categoria del «mangiare» è anche divenuta, con la democrazia, espressione dell’equità e della giustizia sociale. A prova della sua adattabilità sta il fatto che oggigiorno serva da linguaggio per la manifestazione dei «diritti» dei cittadini nei confronti del potere, e in primo luogo del diritto ad approfittare della concorrenza politica, del rapporto clientelare. «Le elezioni - ci ha detto un pescatore di Cotonou, sono il momento in cui puoi abbuffarti!». Durante un’altra intervista, una venditrice di tessuti al mercato di Cotonou sostiene:
Nous, on veut de l’argent, parce qu’après les élections, on n’a plus rien à gagner; donc il £aut qu’on bouffe avant. Il faut profiter au maximum parce que quand le candidar est élu, il ne revient plus en arrière, lui il t’oublie, c’est fini (...). Pendant les élections, tout le monde a bouffé. Il y en a qui sont fidèles et qui bouffent pour un seul candidar. Mais il y en a d’autres qui ne sont pas fidèles et qui bouffent de droite à gauche et en définitive, on ne sait pas pour qui ils vont voter.
Alcuni dei nostri interlocutori, in sintonia con la stampa e le lettere pastorali che denunciavano vigorosamente la vergogna, l’indegnità dell’acquisto delle coscienze ed i rischi di «deriva plutocratica» 24, condannavano talvolta questo comportamento «poco civico». La maggioranza di essi lo considerava tuttavia come un fatto
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normale e non necessariamente in contrasto con le regole morali in vigore. Come interpretare questa «moralità» del clientelismo? Oltre al fatto che il «voto-abbuffata» è visto come una rivincita sociale e storica, come un diritto degli elettori a riprendersi «il denaro che gli è stato rubato», si può ipotizzare che tali pratiche siano considerate legittime in quanto si iscrivono nel duplice quadro di rapporti sociali fortemente monetarizzati, e di un’economia morale del potere che valorizza la redistribuzione ostentata, il dovere di aiuto reciproco e la mediazione.
2.2. La monetarizzazione delle relazioni sociali
Nell’analizzare l’economia morale della corruzione in Africa, J.-P. Olivier de Sardan ha recentemente sottolineato la significativa monetarizzazione delle relazioni sociali sul Continente, interpretandola come un fattore favorevole al clientelismo. In effetti gran parte dei regali connessi ai riti familiari (matrimoni, battesimi, funerali, ecc.), che un tempo consistevano in doni in natura, devono ormai passare attraverso il denaro e subiscono un’inflazione galoppante.
Perfino le comuni relazioni inter-personali assumono sempre più spesso una forma monetaria. Se in Europa le forme quotidiane del consumo esigono si metta continuamente mano al portafoglio, le espressioni quotidiane della socialità rimangono più distanti dal supporto monetario. In Africa, invece, esse sono estremamente esigenti in fatto di denaro: dare i «soldi del taxi» a chi viene a farci visita, donare monete ai figli degli amici, dare ad una cugina che va ad un matrimonio di che comprare stoffa, regalare una banconota alla suocera incontrata per strada (...), non vi è alcun camgo (neanche i rapporti coniugali) in cui il denaro non intervenga costantemente» .
Lo stesso fenomeno si verifica nel Bénin. Il ricorrere del tema del denaro nelle rappresentazioni del potere e della legittimità politica dimostra l’esistenza di una stretta articolazione tra il veicolo monetario, le interazioni sociali e la realizzazione di sé. È nel quadro di queste forme di socialità e di questo immaginario del denaro, che si collocano dunque le transazioni elettorali della democrazia clientelare ed i processi politici soggettivi che ad essa sono legati. È tramite il veicolo materiale delle banconote che «salutano le fronti» (o con il regalo di una bottiglia «condannata») che si sperimentano i vantaggi della modernità democratica e si enunciano le virtù civiche connesse. È importante sottolineare, a questo proposito, che ancora oggi in Bénin il giorno delle elezioni la gente tende ad incollare le schede elettorali sulla propria fronte. L’equivalenza che in questo modo viene stabilita tra le banconote e le schede elettorali è significativa: dimostra che il denaro rappresenta il vettore privilegiato di soggettivazione politica (incollarsi la scheda sulla fronte significa naturalmente anche esprimere le proprie convinzioni personali) e un mezzo di appropriazione, incorporazione, dell’atto elettorale.
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È in relazione a questa monetarizzazione delle forme quotidiane di socialità che bisogna interpretare i comportamenti degli elettori del Bénin nei confronti del potere e delle elezioni. L’acquisto delle coscienze, e più in generale la relazione clientelare, traggono la propria legittimità dalla loro banalità quotidiana, dal fatto che si inseriscono in un continuum di scambi sociali monetarizzati che conferisce loro un carattere «incantato».
2.3. I repertori della negoziazione e della mediazione
J.-P. Olivier de Sardan ha individuato nelle società del Sahel una serie di logiche sociali che si incontrano in modo evidente anche tra le popolazioni del Bénin meridionale, dalla ricca tradizione commerciale, e che possono essere messe in relazione con il concetto di «voto-abbuffata». Si tratta, in primo luogo, di una logica della negoziazione, del mercanteggiamento, che costituisce la norma comune degli scambi commerciali e che si «inserisce in un contesto più ampio di negoziazioni quotidiane, mercantili e non, dove non si tratta semplicemente di negoziare nel quadro di regole del gioco stabili e accettate dalle parti, ma anche di negoziare le regole stesse»26. La relazione clientelare, come la corruzione, si avvantaggia di questa logica del mercanteggiamento, assumendo le forme di una ordinaria transazione commerciale e approfittando della vaghezza delle regole. Ciò è particolarmente vero in quei contesti di fluidità politica propri alle situazioni di transizione democratica 27.
In secondo luogo interviene anche una logica della mediazione, che in senso stretto si potrebbe definire come una forma di transazione commerciale basata sulla remunerazione di un intermediario. Molto diffusa sul continente, la senseria si estende anche a rapporti di natura non commerciale: durante normali relazioni sentimentali, in occasione di una domanda di matrimonio, per gravi problemi familiari o per l’acquisto di un veicolo, per ottenere un favore dall’amministrazione o per cercare un idraulico, «la procedura normale consiste nel trovare chi potrà far da guida, da introduttore, da mediatore» 28. Tale logica intervenendo in tutti i campi della vita quotidiana, si colloca nel quadro delle antiche forme di organizzazione sociale, ma ha assunto una nuova importanza a partire dall’inizio degli anni Ottanta per vari motivi: la crisi occupazionale che ha spinto un numero crescente di vittime della crisi ad offrire i propri servizi; sia la crescita dell’aiuto esterno, che ha rafforzato la posizione di quella categoria di per-
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sone che gli antropologi definiscono oggi «sensali dello sviluppo»; sia ancora la liberalizzazione del campo politico con le conseguenti nuove opportunità per i «militanti-mercenari» delle elezioni. Nel Bénin, questa pratica del «brokeraggio» ha acquistato un’importanza decisiva durante le elezioni legislative e presidenziali, quando gli achosu, cioè i diplomati senza impiego rientrati al villaggio, o altri attori sociali che vivono ai confini dei due mondi socioculturali, hanno svolto un ruolo essenziale nel drenaggio dei voti e delle liberalità29.
2.4. Doni e dovere di aiuto reciproco
Vi sono tre altre logiche evidenziate da J.-P. Olivier de Sar-dan, che possono risultare utili per comprendere la dimensione morale della politica clientelare. Tutte evocano fattori legati alla reputazione sociale, allo stile di vita e al prestigio, quali il regalo, il dovere di aiuto reciproco e l’accumulazione ridistributrice. Quella di offrire piccoli regali è un’abitudine comune in Africa, che si impone a chiunque benefici di un aiuto, anche se minimo. Le «donazioni» non seguono necessariamente la logica della relazione clientelare: si indirizzano sia verso persone di status superiore, sia verso gli eguali o gli «inferiori». D’altra parte sono generalmente i «piccoli» che devono «dare man forte» ai detentori del potere per assicurarsi la loro benevolenza, che devono «compensare» il funzionario corrotto per «snellire» una pratica ed evitare che i documenti non «volino via», che devono pagare al marabut il «prezzo dell’inchiostro» vale a dire il prezzo della penna per usufruire delle sue capacità divinatorie o terapeutiche30. Nelle società del Sahel questa forma di ringraziamento è nota con il termine generico di «cola», essendo la noce di cola tradizionalmente offerta in segno di benvenuto, di simpatia o di riconoscenza. Il «dovere di cola» è un impegno che va ben al di là del servizio reso: si tratta prima di tutto di un obbligo morale, di un segno del saper vivere che deve essere rispettato, pena un considerevole indebolimento della propria reputazione.
Nel Bénin del sud le definizioni sono diverse ma le pratiche simili: si dirà, in modo più eufemistico, che «si è venuti a chiedere notizie della casa», portando con sé una bottiglia di gin o qualsiasi altro regalo. Il clientelismo elettorale si iscrive in questa complessa economia morale di distribuzione dei regali, che permette di cogliere meglio in positivo le interpretazioni della «politica del ventre»: agli occhi degli elettori del Bénin l’acquisto delle
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coscienze è legittimo, a condizione che l’operazione si svolga secondo le regole e le procedure dello scambio di regali, in armonia con la logica del dono e del contro-dono. In altre parole, il modo e lo «stile» dello scambio contano quanto il suo contenuto. Le parole di un meccanico di Bopa ce ne offrono, a modo loro, una conferma:
Quand tu es chef et que tu as aidé quelqu’un qui se trouve satisfait et que cette personne revient avec un cadeau, eh bien tu peux le prendre. Mais pren-dre de l’argent pour de l’injustice, non, ce n’est pas bon.
La logica del dovere di assistenza reciproca rinforza la legittimità della relazione clientelare. Com’è noto, nel continente africano le reti di solidarietà inter-personale sono molteplici ed estese. I legami tra persone originarie di una medesima località, le associazioni di classi di età, i rapporti basati sulla religione, le confraternite, le relazioni di vicinato o di lavoro, si aggiungono alla forza delle relazioni di parentela, peraltro molto estese. Queste forme di associazione implicano un obbligo morale generalizzato di mutua assistenza. Non si potrà negare un servizio, un favore, un appoggio, una cortesia, ad un parente, ad un vicino, ad un collega di partito, ad un amico. Né si potrà negarlo a qualcuno che è stato inviato «da parte di» una qualsiasi di queste persone. L’ambito di coloro nei confronti dei quali ci si sente in obbligo di rendere un servizio è dunque notevolmente vasto. Il sistema finisce per trasformarsi in uno scambio generalizzato di favori31. È dunque comprensibile che il clientelismo, dal momento che assume tali forme di scambio generalizzato, non venga considerato in contrasto con le norme sociali in vigore: anzi, poiché rientra nell’ambito del dovere di mutua assistenza, esso è visto come una virtù civica.
3. Le rappresentazioni del potere legittimo
In base a queste dinamiche sociali centrate sulla monetarizza-zione e ai diversi modi di valutazione del legame politico, è più facile comprendere come le transazioni elettorali di tipo clientelare possano acquisire una legittimità propria. È tuttavia opportuno spingersi più in là se si vuole decifrare «l’alchimia morale» che contribuisce, secondo la definizione di John Londsdale32, alla «conversione del calcolo politico in norme di una responsabilità (accountability)». Per poter spiegare il paradosso di un consolidamento democratico che si realizza in un contesto di relazioni clientelari e nel quadro più vasto della «politica del ventre», è
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necessario indagare più profondamente la struttura interiore della virtù civica: da una parte analizzando in modo dettagliato le matrici morali del rispetto di sé e le figure sociali del prestigio e della reputazione, che contribuiscono a formare le rappresentazioni del potere legittimo; dall’altra osservando il modo con il quale questa architettura interiore della accountability si adatta, con più o meno coerenza, alle nuove condizioni di azione politica.
3.1. Accumulazione, redistribuzione, reputazione
L’enunciazione clientelare della responsabilità si inserisce nel contesto di un’economia morale basata sull’accumulazione redistributrice, che condiziona fortemente il modo in cui si percepisce il potere legittimo. Nella maggior parte delle società africane, l’accumulazione di potere e di ricchezza è giustificata solo se accompagnata dalla ridistribuzione, da elargizioni individuali e collettive. Come il big man melanesiano studiato da M. Sahlins, anche il big man africano ha il dovere di fare atto di pubblica generosità, deve ridistribuire in modo ostentato per affermare il proprio prestigio. Il politico-imprenditore dispone di varie risorse, ma è «l’arte della ridistribuzione (...) che si trova al centro della sua strategia di accumulazione. Il big man accumula ricchezza per poi ri distribuirla: nel fare ciò la consuma, ma contemporaneamente la trasforma in capitale simbolico che potrà a sua volta essere riconvertito in ricchezza» 33. Il clientelismo funziona in base alla stessa logica di conversione delle risorse economiche in capitale sociale, in un patrimonio relazionale di lealtà.
In contrasto con le immagini «comunitariste» dell’Africa, che sottovalutano l’agonismo presente nelle società africane contemporanee, è sufficiente notare che tali comportamenti vengono incoraggiati dalla rivalità sociale, che le pratiche di redistribuzione, i doni e le elargizioni, non dipendono unicamente da un calcolo utilitaristico (crearsi una clientela di fedeli) ma anche e soprattutto da uno stile di vita, da un ethos spesso condiviso dai «grandi» e dai «piccoli» 34. Paul Veyne insisteva anch’egli su questo punto, sottolineando che la pressione esercitata dall’opinione o anche la vergogna, non bastano a spiegare nell’antichità il comportamento evergetico dei notabili: «espressione di una virtù etica, di una qualità del carattere, la magnificenza funziona solo se l’individuo è consapevole di compiere un dovere» 35. Alla maniera degli evergeti romani anche il potente del Bénin si sente in dovere di essere dispendioso, di essere «magnifico», in quanto anch’egli è parte di
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questa economia morale dell’ostentazione e dell’accumulazione redistributrice.
E in rapporto a questa economia morale che si devono concepire le rappresentazioni della politica clientelare, della democrazia e del potere legittimo. Il buon candidato, il buon capo o il buon presidente vengono certamente giudicati in base alle loro competenze politiche e alle loro capacità di gestione (in particolare per quanto concerne i programmi di sviluppo), ma anche in rapporto al loro «buon comportamento». Con questa espressione le persone da noi interrogate intendevano generalmente definire due tipi di atteggiamento: quello del capo (o del candidato) che lascia parlare gli altri, che sa prestare ascolto alle lamentele e ne tiene conto; quello dell’eletto che onora i suoi obblighi, consapevole di essere in debito nei confronti degli elettori. «Colui che è il capo deve ricordarsi di quelli che sono dietro di lui e dirsi che è suo compito aiutarli. Il buon capo è quello che non dice: solo il mio mais verrà cotto», ci diceva, ad esempio, un commerciante del mercato Dantokpa. «Il capo che ha un buon comportamento, aggiungeva, è colui che pensa alla famiglia. In famiglia, ci si conosce, e si sa chi ha fatto del bene per essa. Così, domani, quando chiederà qualcosa, tutti quelli a cui ha fatto del bene non potranno abbandonarlo. Ma quello che ne ha (denaro) e che malgrado questo cerca di prenderne al povero, se vuole diventare gan (capo) non si può prenderlo».
Questa testimonianza, anche se banale, dimostra che la relazione clientelare, inserita nel quadro dell’economia morale dell’accumulazione ridistributrice, costituisce un principio di legittimità politica. Ma c’è di più: attraverso l’enunciazione di queste regole che governano il prestigio, il clientelismo appare come una forma di «virtù civica», come l’espressione concreta della responsabilità dell’eletto nei confronti degli elettori. In questo contesto morale della redistribuzione clientelare si realizza l’esperimento dell’innesto democratico.
La visione del clientelismo come rapporto di dipendenza personale non legato alla parentela è generalmente accettata36. In base a questa concezione il clientelismo rappresenta un superamento della parentela, sia perché permette di ottenere apporti al di là dell’ambito più o meno limitato dei legami familiari, sia per il fatto che la logica del patronage può turbare o sovvertire i rapporti di ubbidienza in vigore all’interno della famiglia. Dalle nostre ricerche emerge tuttavia il fatto che la relazione clientelare, in quanto espressione concreta della accountability, venga spesso enunciata in base ai registri della parentela e dell’anzianità: il padrone politico
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ha gli stessi obblighi di cure e reciprocità di un padre nei confronti dei figli.
Michael Schatzberg, nella sua analisi delle matrici morali del potere legittimo in Africa, sottolineava l’importanza di questo nucleo centrale della famiglia e della paternità. In particolare, egli individuava nella implicita promessa di cibo e assistenza paterna uno dei principali fondamenti della legittimità del potere, in virtù del quale il padre è autorizzato a «mangiare» una parte del lavoro del figlio37. La sua teoria era fondata sull’analisi dei regimi autoritari, (in particolare quelli del Kenya e dello Zaire) in cui l’ideologia paternalista poteva servire da supporto alla dittatura. In Bénin, tuttavia, si osserva che questa categoria della paternità può trasformarsi in terreno di espressione della democrazia, in quadro interpretativo delle nuove relazioni tra governanti e governati, viste principalmente in base al sistema di redistribizione clientelare.
Agli occhi della maggior parte delle persone che abbiamo potuto interrogare, la democrazia appare in effetti come un rapporto di parità con il potere, come un accesso diretto agli uomini politici, che si possono abbordare per strada, a cui è possibile stringere la mano. E soprattutto questa relazione personale, questa nuova vicinanza, ad esprimersi nei termini di una relazione tra padre e figlio o tra fratelli. Ne è testimonianza questo brano tratto da un colloquio con un pescatore di Cotonou:
Hier nous pouvions dire que Kérékou était loin de nous, à la révolution. Aujourd’hui, il est plus proche de nous comme un pére, à qui on peut dire ‘Papa, donne-moi un pantalon, je veux une paire de chaussures (...). Kérékou n’est plus le Kérékou d’hier. Il a changé de mentalité. Il est plus £ort qu’avant, mais le silence dit beaucoup de choses; le silence est plus £ort que le bruit. Avant, mème ses discours... on était terrorisé dans le pays, tout le monde était craintif. Mais aujourd’hui, nous savons que si on veut, on peut s’approcher de lui en tant que pére et fils ou bien grand £rère et petit frère, ou bien en tant que mon président, mon chef, je lui soumet ce que je sais et ce que je veux.
Oltre alla nuova vicinanza del potere democratico, questa testimonianza esprime, sempre in base al paradigma della paternità, l’obbligo di reciprocità e di redistribuzione clientelare che condizionano la responsabilità dell’eletto. Ma il richiamo a tale categoria rivela anche l’ambivalenza di questa accountability democratica, la sua lontananza dall’ideale della partecipazione dei cittadini. Il linguaggio immaginoso di un venditore del mercato di Dantokpa ce ne fornisce la prova:
Lorsque tu mets au monde un enfant, tu es son pére. Si quelque chose lui arrive, c’est toi qui est responsable. S’il a besoin de quelque chose, c’est à toi de
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le savoir. Si ton enfant n’a pas mangé jusqu’à cette heure-ci, toi-mème tu dois le savoir; et ce que tu dois faire pour qu’il mange, tu dois y penser. Mais si tu as un enfant et que tu ne te demandes pas s’il doit manger, comment il se porte, s’il est habillé ou ceci cela... Si cet enfant entre en ville, il fera ce qu’il ne devrait pas faire. Et qui sera responsable dans ce cas? C’est toi le pére. Donc celui qui est chef et qui est à cette place doit savoir qu’il est chef et que ceux qui sont sous lui, il est leur pére. Si quelque chose ne va pas à leur niveau, c’est à lui de trouver des Solutions. Ce n’est pas eux qui doivent réclamer. Par exemple, $a doit aller dans ce marché; les chefs doivent le savoir: à tei endroit, il n’y a pas de rigole... Ce n’est pas à nous à aller le leur dire (...); car ici nous payons des taxes (...) Si tu veux réclamer quelque chose à quelqu’un et que cette chose est un besoin criarnt, quelque soit le chef, tu vas le réclamer de la manière qui va l’énerver. Et lui, se voyant à sa ‘place’, se dira que celui qui lui a parlé lui a manqué de respect. Et ce disant, il manquera encore d’égard pour ses dirigés. Car ce qui manque à l’enfant, le pére doit le savoir. Lorsque le pére sait ce qui manque à son fils et le lui donne, le fils ne fera plus de mal en ville.
Il nostro interlocutore enuncia le regole tacite, implicite, della responsabilità democratica, molto simili a quelle che governano la relazione clientelare: da una parte il capo che, come il padre, deve indovinare i bisogni di «quelli che sono sotto di lui» e provvedere alle loro richieste; dall’altra i «figli-cittadini» che devono dar prova di lealtà nei suoi confronti e non manifestare le proprie esigenze in modo troppo chiassoso, per non «irritarlo e mancargli di rispetto». Questa citazione indica come le rappresentazioni e le pratiche della politica siano profondamente inserite nell’ideologia dell’anzianità e nei rapporti di primogenitura.
L’immaginario politico rimane in effetti profondamente segnato da questa ideologia, in modo particolare dalle figure protettive rappresentate dal padre, dal datore di lavoro o dal capo dello Stato. Diversi nostri interlocutori consideravano che la scelta di un capo, consisteva in primo luogo nel designare un padrone e che la principale funzione dell’eletto era di «patrocinare», di assolvere un compito di protezione.
Se Kerekou fosse stato un albero, sosteneva un venditore di pneumatici di Akpakpa, sarebbe un baobab, perché vedete un baobab dura, rispetto agli altri alberi ha una lunga durata di vita e quando cresce da qualche parte, copre una grande superficie, e allora vi sono molti uccelli che vengono a posarsi sopra di esso. Anche i cacciatori, vedete, possono venire a riposarsi sotto il baobab. Se Soglo (primo capo dello Stato democratico) fosse un animale, sarebbe un cane, aggiungeva un fornaio di Ouidah, sarebbe un animale domestico vicino all’uomo. Un animale che faccia la guardia a noi e ai nostri beni, come il cane.
«Se fosse un vodun - precisava - sarebbe un feticcio protettore, un feticcio della casa, domestico, che veglierebbe sulla mia famiglia: l’altro, invece, è un feticcio stregone, mangiatore di carne
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umana, se lo si addomesticasse, mangerebbe tutti i bambini della casa».
Oltre ad evidenziare il fatto che le rappresentazioni del potere rimangono fortemente segnate dal rapporto con Finvisibile, questi colloqui dimostrano la legittimità delle relazioni di patrocinio e la centralità negli immaginari politici della categoria della protezione. È tuttavia opportuno approfondire meglio questa osservazione. L’economia morale dell’anzianità e del patrocinio sembrerebbe infatti essere in via di trasformazione, per adattarsi alle nuove condizioni politiche del Bénin democratico. Se è vero che la caduta del regime rivoluzionario di M. Kérékou, il cui obiettivo era di distruggere le fondamenta della società feudale e le sue ineguaglianze, ha avuto l’esito di riabilitare per reazione il divario tra primogeniti e cadetti, in precedenza simbolicamente negato, con il crollo del regime autoritario le rappresentazioni del potere si sono evolute, passando da una concezione assoluta della primogenitura (la figura del padre) ad una concezione relativa di essa (la figura del primogenito, del fratello maggiore). È questa un’evoluzione significativa rispetto al modo di vedere precedente che dimostra come, in seguito all’introduzione del multipartitismo, i rapporti di potere non siano più concepiti unicamente in funzione della subordinazione, bensì anche in rapporto ad una forma di cooperazione che, seppure ineguale, implica la reciprocità. Questa evoluzione delle rappresentazioni del potere è legata al processo di adattamento dell’economia morale in funzione delle nuove condizioni dell’attività politica, e indica che i termini dello scambio clientelare tra «grandi» e «piccoli» hanno subito una significativa evoluzione a vantaggio di questi ultimi.
3.3. La ricchezza intesa come «virtù civica»
Nell’ascoltare i nostri interlocutori possiamo constatare che, oltre all’emergere dei concetti di primogenitura, patrocinio e redistribuzione paterna, la ricchezza rappresenta un altro elemento di caratterizzazione della legittimità politica, un’ulteriore enunciazione della responsabilità degli eletti del Rinnovamento Democratico e del rispetto loro dovuto. Per cogliere appieno gli avvicinamenti di questa architettura interiore della virtù civica è opportuno soffermarsi sulle figure immaginarie della riuscita sociale, analizzando il posto che la fortuna e la prosperità occupano nell’economia morale della reputazione e dell’onore. Alcuni dei nostri interlocutori davano la seguente descrizione:
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Quelqu’un qui est riche, doit étre respecté. C’est le pouvoir de l’argent. Quelqu’un qui est riche, c’est tout corame s’il avait le monde en main. Donc on doit forcément se prosterner devant lui pour avoir son pain. Alors bon, moi je dis: quelqu’un qui est riche, il a fait du bon travail pour l’avoir, il a travaillé. Puisque c’est lui qui a investi, on doit le respecter. Mais à condition que lui méme se fasse respecter (Vendeur de pneus de Cotonou);
Quelqu’un qui est riche, on lui doit du respect. Si tu es grand frère et que tu n’as pas l’argent, et que le petit frère a l’argent, c’est lui qu’on respecte (Chauffeur de taxi à Cotonou).
Il prestigio legato al successo sociale suscita indiscutibilmente il rispetto dei «più in basso del basso», fino a rovesciare le regole dell’anzianità. Comi Toulabor aveva già analizzato il manifestarsi di questo atteggiamento nei confronti del potere tra alcuni giovani delle classi popolari di Lomé, sottolineando l’ambivalenza del loro sguardo sui potenti, combinazione di sentimenti quali il timore, la frustrazione, il fascino38. Non si tratta solo del fatto che i ricchi rappresentano una riuscita sociale alla quale tutti aspirano, ma anche del fatto che la loro ricchezza appare, secondo la formula di John Lonsdale, come «il segno esteriore di una virtù interiore» 39. Pur esercitando una forte attrazione, questo successo è anche spaventoso poiché vi è in esso qualcosa di magico, di misterioso, essendo diffusa la concezione della ricchezza come «segno potenziale di un accordo con le forze del cosmo» 40. Nel Bénin del sud, come nel Togo studiato da C. Toulabor, il ricco deve badare ad assicurarsi i favori del vodun, attraverso doni e ricchi sacrifici agli dei. Ciò non è tuttavia sufficiente ad assicurargli la tranquillità: «colui che supera di molte lunghezze i propri simili ha semplicemente l’obbligo morale della solidarietà, pena il cadere sotto i colpi della giustizia soprannaturale»41. È per questa ragione che «la prosperità materiale è un’eminente virtù politica invece di essere motivo di biasimo» 42: equivale ad una qualità politica a patto che ad essa si unisca la redistribuzione. È in base a questa condizione che l’individuo agiato potrà diventare «uomo d’onore» e che sarà valutata la responsabilità dell’eletto del Rinnovamento Democratico, come spiega un pescatore di Cotonou (insistendo sulla relazione personale piuttosto che sulla ridistribuzione collettiva):
Un président doit étre riche. Ce n’est pas qu’il doive voler les affaires de l’Etat, les fonds de l’Etat. Normalement, il est le pére de tout le monde, il doit étre exemplaire à tous les niveaux. Je dis, le pére doit donner son propre argent, pas l’argent de l’Etat. Si moi je lui pose mes problèmes, il peut m’aider lui-mème avec son argent, et pas avec les fonds de l’Etat. Nous sommes comme un poids pour lui; s’il ne nous dépanne pas, s’il ne vient pas à notre aide, s’il ne nous regarde pas avec son propre argent, ga signifie qu’il est hypocrite dans sa téte. Il pense à son propre ventre et à son propre destin.
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La ricchezza diviene virtù anche per ragioni più prosaiche. Come sostengono alcuni dei nostri interlocutori: «è bene che i ricchi siano eletti (perché) se qualcuno è benestante non penserà più a sottrarre denaro, mentre un povero penserà a rubare o a corrompere la gente», «se un candidato è già ricco prima di arrivare al potere, tutto a posto, ci fideremo di lui. Ha già il suo bene, non deve pensare alla propria pancia: potrà lavorare». Queste immagini restano tuttavia ambivalenti e sono oggetto di dibattiti conflittuali su ciò che è giusto, morale e ciò che non lo è. Così, ad esempio, un pescatore di Cotonou, pur rimanendo nell’ambito della politica del ventre e della predazione legittima, nega il diritto di governare a colui la cui prosperità è già acquisita: «Non è il ricco che deve regnare ma il povero, perché vuole ingrassare a sua volta».
Segni esterni di virtù interiore, la ricchezza ed il successo sono percepiti in modo ambiguo. Nel rivelare un accordo con le forze cosmiche, essi costituiscono allo stesso tempo un richiamo al volto oscuro del potere, alla stregoneria, al concetto di «divoramento». Peter Geschiere ha mostrato, attraverso l’esempio dei Maka del Cameroun, che la stregoneria è il territorio privilegiato dell’accumulazione e dello sfruttamento. L’accumulazione è infatti percepita come divoramento dell’altro, e il manifestarsi di nuove forme di ricchezza è accompagnato dall’emergere di forme inedite di stregoneria43. Analogamente, nel Bénin si può osservare lo sviluppo di nuovi culti legati alla ricchezza e alla riuscita sociale44. Dalle parole dei nostri interlocutori, si può notare che l’arricchimento è in relazione anche con i concetti dello sfruttamento e del divoramento e che la persona facoltosa è in primo luogo qualcuno che «ha mangiato il sudore» di un altro:
La richesse, ga s’acquiert de plusieurs manières: (le riche) ga peut ètre le rusé, le malhonnéte, le voleur, mais ga peut ètre aussi le bon. L’essentiel n’est pas d’ètre riche, d’avoir de l’argent. Il faut aussi le chercher dans le bon sens, il ne faut pas torpiller son prochain pour ètre riche. (...). Je ne suis pas d’accord [avec le fait de s’enrichir en «mangeant sur le dos d’un autre»], parce que celui sur le dos de qui tu es en train de manger, il souffre. Toi tu manges sa sueur. Alors là, ce n’est plus juste. Moi je veux que chacun s’efforce (Vendeur de pneus à Cotonou).
La percezione della ricchezza come virtù politica, infine, è segnata da un’altra ambivalenza, dovuta alle sempre più frequenti denuncie della corruzione e alla rivelazione dei molti scandali finanziari che hanno costellato la fine del regno di Kerekou45 e di N. Soglo. Oggi l’arricchimento degli uomini di potere appare
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sempre più sospetto e immorale, come dimostrano le parole del medesimo venditore di pneumatici:
Tout homme qui travaille doit gagner son pain. Mais aller en politique pour s’enrichir, moi je ne suis pas d’accord. Vous pouvez faire la politique pour vous cultiver, avoir encore plus de sagesse... Mais dire je vais en politique pour m’en-richir, pour pouvoir terminer mon étage, pour m’acheter une voiture, non! Là ce n’est plus la politique, c’est la politique du ventre, voilà...
Per la verità si può constatare che in questo campo l’opinione pubblica esige dai propri leader tutto e il contrario di tutto: i benefici dovuti alla redistribuzione della «politica del ventre» e l’austerità che spetta alla good governance46. Bisogna forse cogliere in questo atteggiamento contraddittorio «una delle difficoltà della formazione della democrazia a sud del Sahara»?47 Oppure bisogna individuare in questa ambivalenza il processo di trasformazione degli immaginari conseguente all’introduzione del pluralismo, interpretarla come esito temporaneo dell’adattamento dell’economia morale alle nuove regole del gioco politico?
3.4. Il ventre, Vastuzia ed il rispetto di sé: i diversi registri della politica del ventre
E però necessario analizzare meglio le molteplici risonanze del repertorio del ventre, precisare i livelli di significato dei suoi diversi registri, se si vogliono cogliere i complessi rapporti che intercorrono in Bénin tra clientelismo e democrazia, superando l’approccio univoco che parrebbe legare in modo unilaterale redistribuzione e legittimità. Per capire come la politica del ventre, registro privilegiato dell’autoritarismo, possa divenire un repertorio di enunciazione delle virtù civiche della democrazia rappresentativa, è necessario distinguere vari fattori, in rapporto sia con l’astuzia che con la fiducia, riconducibili alle categorie del «governo di sé» come lo intende Michel Foucault48.
Si è visto che la «responsabilità» dell’eletto è concepita principalmente nei termini della ridistribuzione clientelare e che il «mangiare» costituisce il linguaggio privilegiato per l’enunciazione di questa «virtù civica». A condizione che la parità dello scambio venga garantita, la politica del ventre e la predazione da parte dei dirigenti sono legittime. Parafrasando Michael Schatzberg si potrebbe enunciare la seguente regola, in base alla quale viene determinata la legittimità del potere in Africa49: «è ammesso che il capo mangi, e mangi bene, ma non deve mangiare troppo, non deve
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oltrepassare i limiti moralmente accettabili del consumo ostentato, e non deve dimenticarsi, mentre si riempie, di sviluppare il paese». «Tutti arraffano, osservava con indifferenza una venditrice di bignè di Cotonou. Anche un semplice capo-quartiere arraffa. Quello che voglio dire è che non bisogna esagerare, non bisogna pensare unicamente ai propri interessi. Mentre si mangia bisogna anche cercare di sviluppare il paese».
Come si è detto, l’eletto responsabile è in primo luogo colui che ridistribuisce, mentre il buon candidato è colui che «saluta le fronti» con le sue banconote e porta al villaggio le «bottiglie condannate». Ma nel nuovo contesto pluralista favorevole al free-ri-ding, la redistribuzione clientelare non è più sufficiente a garantire la legittimità o a conquistare l’appoggio degli elettori. Nel confrontarsi con la «transumanza politica» dei propri elettori, il politico-imprenditore deve soddisfare due condizioni complementari: deve saper parlare al loro Xomé (il ventre, l’interiorità), ed essere in accordo con il proprio Xomé (rispettare se stesso). Precisiamo questi aspetti perché sono essenziali. Nelle regioni del Bénin del sud, che sono il luogo della nostra inchiesta, viene fatta una distinzione fondamentale tra l’atto dei candidati di «abbuffarsi di denaro» (Du Akwe) durante le elezioni, e le convinzioni profonde che appartengono anch’esse al ventre, allo Xomé, termine che serve più estensivamente a definire anche l’interiorità dell’uomo, il suo vero essere. «Abbuffarsi di denaro» è un atto che non ha conseguenze, contrariamente a ciò che avviene nello Xomé, sede dei sentimenti più profondi, della soggettività e delle convinzioni personali. «È ammesso che ci si abbuffi del denaro di un candidato pur non votando per lui», perché si tratta di un atto che non comporta nessun impegno, non svela le reali convinzioni racchiuse «nel ventre», come ci diceva il venditore del mercato Dantokpa di cui abbiamo già parlato:
Pour choisir un chef, c’est son comportement qu’on regardera. Si un candi-dat passe par ici, par exemple et nous salue sans dire ‘votez pour moi, votez pour moi !’; moi qui suis ici je saurais déjà dans mon ventre (Xomè) que c’est pour lui que je voterai. Mais si quelqu’un passe ici et dit prenez de l’argent, je prendrai son argent que je boufferai et le jour du vote j’irai dormir dans mon lit. Car je saurai qu’il m’a acheté (...). Celui qui distribue de l’argent et dit ‘votez pour moi, votez pour moi’; celui-ci ne pourra rien faire de bon dans le pays. II peut ètre un parent, je boufferai son million et le jour là, j’irai me cou-cher et je m’endormirai.
Tale atteggiamento, che in precedenza abbiamo analizzato in quanto forma di strumentalizzazione del clientelismo e rivincita
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dei ceti subordinati, è reso possibile dalla distinzione tra lo Xomé e F«abbuffarsi», in funzione della quale gli elettori superano la dissonanza cognitiva che può indurre «l’acquisto delle coscienze». Essendo moralmente legittimo, dato che non coinvolge lo Xoméy il comportamento degli elettori «transumanti» viene addirittura valorizzato dal ricorso ad un altro termine, riconducibile agli schemi del ventre e del nutrirsi, ma che appartiene più precisamente al registro della furbizia: Afù 50. Di difficile traduzione, il termine Afù indica il comportamento di colui che trae beneficio da una generosità che gli viene offerta, pur sapendo che non deve dare nulla in cambio. All’inizio, il termine veniva usato per definire quegli scrocconi che approfittano di feste, banchetti e di qualsiasi altra occasione propizia per bere e per mangiare. Ma sotto il regime di Kérékou, prima del 1990, e soprattutto dopo l’avvento del multi-partitismo, il termine Afù è servito a definire qualsiasi profitto, senza conseguenze, tratto dal rapporto con il potere. Dal nostro punto di vista è significativo il fatto che questo termine non abbia connotazioni negative; al contrario, XAfùduto è una persona furba, scaltra, che sa approfittare della stupidaggine di un altro, di colui che offre il festino o che distribuisce prebende per farsi eleggere, senza immaginare ciò che si svolge realmente nello Xomé degli elettori. La relazione clientelare e la «rivincita della società» di cui parlavamo in precedenza, devono dunque essere interpretate alla luce di questa economia morale della scaltrezza, in cui la figura del furbo, trickster, presente in molti racconti africani, svolge un ruolo centrale51. Jean Francois Bayart, Béatrice Hibou e Stefen El-lis interpretano questa immagine della scaltrezza come uno dei pilastri del «capitale sociale» dello Stato malfattore, uno dei maggiori repertori di criminalizzazione politica ed economica in Africa52. Ma questa scaltrezza può anche indicare il comportamento «democratico» degli elettori Afùduto i quali, come il trickster”y sanno approfittare delle circostanze e utilizzano la situazione in loro favore. Come il furbo, VAfùduto che non rispetta il patto clientelare suscita «sentimenti complessi», ambivalenti, che tuttavia si avvicinano piuttosto all’ammirazione per il tiro giocato dal cliente al suo padrone.
Spingendosi al di là della semplice redistribuzione clientelare, il candidato deve dunque rivolgersi allo Xomé dei propri elettori se vuole conquistarne la fiducia. Ma questo non è ancora sufficiente. Egli deve essere in accordo anche con il proprio Xomé. In risposta alle nostre domande sul «buon candidato» ricorreva spesso un’espressione misteriosa, che si è rivelata essere al centro delle
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rappresentazioni del potere legittimo e che metteva in gioco, an-ch’essa, lo Xomé: il capo deve «rispettare se stesso se vuole che lo si rispetti». Per i nostri interlocutori, il capo degno di rispetto è colui che sa trovare le parole giuste, che sa esprimere rimproveri senza essere brutale. È anche colui che si comporta con discrezione e sa dar prova di umiltà nel mostrare in pubblico le proprie qualità, le proprie ricchezze o la propria felicità personale54:
Avant, on criait pas, on ne tempétait pas pour dire qu’on voulait ètre chef. Maintenant, plus de huit personnes vont vouloir ètre chef. Ils vont faire des dépenses exorbitantes pour accèder au pouvoir. Et quand ils seront au pouvoir, avec quoi ils vont gérer le pays (...) Ils vont fabriquer des chemises, des slips, des soutiens-gorges, des bics, des montres, des trucs portant leur photo comme Houngbedji. Et maintenant, qui est élu? C’est Kérékou. Celui qui peut diriger le pays, Dieu va l’aider. Ils ne doivent pas dépenser, faire des sacs, des slips et consort pour se faire élire. Jésus ne s’est pas tant gèné avant d’ètre chef. Il était cool et on est venu le chercher pour ètre chef. Il n’a pas fait de campagne, de tapage. C’est à partir de ses faits, de ses réalisations qu’on l’a pris comme chef. Mais nous, au lieu de prier, on préfère gaspiller de l’argent (Une coiffeuse de rue à Cotonou).
Rispettarsi, significa dunque essere «cool come Gesù, non fare chiasso», adeguarsi ad un’etica del contegno secondo la quale è innanzitutto necessario umiliarsi e riconoscere i propri difetti, come ha fatto Kérékou, che si è «umiliato» durante la Conferenza nazionale e ha espiato le proprie colpe con la sua traversata del deserto, per poi fare ritorno provvisto di una nuova pelle di «camaleonte democratico». Per un candidato in campagna elettorale, rispettarsi significa conoscere l’arte e la maniera di distribuire denaro e liberalità, farlo con modestia, in modo che l’ostentazione non superi i limiti moralmente e socialmente accettabili della ma-gnificienza. Nel Bénin, come altrove, i corruttori devono tenere conto della suscettibilità degli elettori, badare a non urtare la loro dignità, adottando essi stessi un atteggiamento dignitoso nell’appli-care la politica del ventre e la ridistribuzione clientelare. La stima e la considerazione dei cittadini nei confronti dei loro dirigenti (o di coloro che aspirano a governarli), dipendono da queste qualità impercettibili che rimandano in primo luogo agli schemi dello «stile politico», in particolare all’^oj relativo all’economia simbolica del dono e del contro-dono. Sono queste qualità che conferiscono alla transazione elettorale il suo carattere «incantato».
Ma non è questo il punto più importante. «Rispettarsi» significa innanzitutto essere in accordo con il proprio ventre, o più precisamente con il proprio «interno», (che potremmo tradurre
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per estensione come «coscienza», pur sapendo che esistono altri termini idiomatici per definire questo concetto). Il buon candidato, il capo legittimo, deve dire veramente ciò che sente nello Xomé, deve parlare francamente, essere onesto e coerente con se stesso, altrimenti rischia di infrangere la matrice morale su cui si basa la fiducia55. La sua forza e la sua capacità di governare in quanto capo dipendono da questo, perché il «potere e la forza sono nel ventre» (Gan Xomé we éde). Lo Xomé è effettivamente il luogo da cui hanno origine le parole di verità, le parole «attive» (o parole dure), parole efficaci, che hanno un potere sugli esseri e sulle cose. Sono esse che durante le sue terapie il Bokonon estirpa dal proprio ventre, per deporle sul ventre del malato e lenire così il suo dolore56. Lo Xomé, inteso in senso lato, non è solamente il ricettacolo della «coscienza», è anche sede dei sentimenti e degli stati d’animo, quali l’allegria («essere allegri» si dice Xomé hùn wé) o la collera (essere in collera è letteralmente «stare male nel proprio ventre» o avere «qualcosa che marcisce nel ventre»). Entrando a far parte di molti vocaboli, il «ventre» (Xomé) e la man-ducazione (Du)57, costituiscono in senso proprio un autentico linguaggio.
E in questo idioma del ventre, così ricco e complesso, che si esprime dunque la responsabilità dell’eletto nei confronti degli elettori, che si enunciano le nuove norme della responsabilità democratica. È anche in funzione di questo registro che si esprimono le regole morali relative al rispetto di sé e degli altri che, come abbiamo visto, condizionano l’atteggiamento degli abitanti del Bénin nei confronti della politica clientelare. La legittimità del capo che ridistribuisce, il rispetto che il cliente deve al padrone, dipendono anche e soprattutto da queste regole tacite, che operano nell’interiorità ma determinano fortemente la reputazione sociale ed il prestigio. Di fatto, al di là delle diverse logiche sociali in esse contenute, ci sembra che le pratiche e le rappresentazioni del clientelismo debbano essere messe in rapporto anche con i «regimi di soggettività» che «stilizzano un rapporto a Sé, indissociabile da un rapporto all’Altro» 58.
In Bénin, la politica clientelare acquista il suo significato in funzione di questi codici morali della ricchezza, del ventre, della parentela e delle logiche sociali della negoziazione, della mediazione, della «donazione» e dell’accumulazione ridistributrice. Attraverso il prisma, complesso e ambivalente, di questa economia morale del potere legittimo il clientelismo può apparire come una virtù civica (accountability) e costituire un paradossale vettore del-
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l’apprendimento e della sperimentazione delle regole del pluralismo. È dunque possibile che siano queste ambigue procedure di «addomesticamento della modernità» importata e questa «mercificazione» del voto, a costituire il quadro all’interno del quale si svolgono i reali processi di formazione e di consolidamento della democrazia a sud del Sahara.
Université Lille 2
Note al testo
1 Per un approfondimento di questo percorso di consolidamento democratico, delle sue circostanze e delle sue paradossali modalità, rinviamo il lettore alla nostra tesi di dottorato: R. Banégas, La démocratie «a pas de camaléon». Transition et consolidation démocrati-que au Bénin, Tesi per il dottorato in scienze politiche, Istituto di studi poltici di Parigi, gennaio 1998 (dir. J.-F. Bayart): questa tesi, di cui l’articolo presenta alcuni risultati, è in gran parte frutto di una ricerca effettuata sul campo in Bénin tra il 1995 e il 1997, particolarmente nelle regioni del sud del paese, basandosi su di una serie di colloqui con elettori e responsabili politici, sull’osservazione etnografica dei modi di vita popolare in un contesto urbano come pure sullo studio di materiale di archivio, in particolare delle lettere di protesta inviate nel 1990 alla «Conferenza nazionale» da numerosi abitanti del Bénin.
2 J. Linz propone tale definizione minimalista ad esempio in Transition to democracy, in «The Washington Quartely», 1990, pp. 143-163. Si veda anche L. Morlino (a cura di), Costruire la democrazia. Gruppi e partiti in Italia, Bologna 1991 (in particolare l’introduzione).
3 Per una discussione della nozione di transizione democratica, si veda M. Dobry, Les processus de transition à la démocratie, in «Cultures et Conflits», 17 (1995), pp. 3-8 oppure R. Banégas, Transitions démocratiques: mobilisations collectives et fluidité politique, in «Cultures et Conflits», 12 (1994), pp. 105-140.
4 Termine ufficiale per indicare il regime pluralista scaturito dalla conferenza nazionale del 1990.
J.-F. Bayart, L'Etat en Afrique. La politique du ventre, Paris 1989. L’espressione «politica del ventre», indica i fenomeni di corruzione, di clientelismo, di nepotismo e di monetarizzazione della politica, ma non solo questo: rimanda anche ad un insieme di rappresentazioni che costituiscono un immaginario politico e che servono a definire in Africa i principi della legittimità politica.
6 Come ricorda in questo stesso numero J.-L. Briquet, gli studi sul clientelismo politico tendono generalmente a presentare questo fenomeno come un ostacolo alla modernizzazione e all’instaurazione di procedure politiche democratiche. Tale opposizione tra clientelismo e moderno Stato razionale può essere individuata nella maggior parte dei lavori degli africanisti di ispirazione sviluppalista ed è stato necessario attendere a lungo prima di giungere ad un superamento di questa opposizione e al riconoscimento del fatto che le relazioni clientelari possono partecipare alla diffusione della «modernità» politica e alla trasformazione dello Stato. Vedere a questo proposito J.-F. Bayart (ed.), La réinvention du capitali-sme, Paris 1994.
7 P.Veyne, Le pain et le cirque. Sociologie d’un pluralisme politique, Paris 1976.
8 E. Gellner, Patrons and Clients, in E. Gellner, J. Waterbury (a cura di), Patrons and Clients in Mediterranean Societies, London 1977, p. 3.
9 Secondo l’espressione usata da J.-P. Warnier, L’esprit d’entreprise au Cameroun, Paris 1993.
10 A. Adamon, Le Renouveau démocratique au Bénin. Les élections de la période de transition, Porto Novo 1995, pp. 69 ss.
11 Si tratta della moneta utilizzata in alcuni paesi africani. Ai tempi dell’inchiesta 100 franchi CFA valevano circa 50 centesimi francesi (150 lire).
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12 Adamon, Le Renouveau démocratique au Bénin cit., p. 70.
13 Veyne, Le pain et le cirque cit., spec. pp. 20 s.
14 Questa pratica rimanda alla cerimonia del «patto di sangue», durante la quale due persone «bevono il feticcio» per giurarsi fedeltà reciproca davanti agli dei. Si veda a questo proposito P. Hazoumé, Le pacte de sang au Dahomey, Paris (Travaux et mémoires de ITn-stitut d’Ethnologie, XXV) 1956.
15 J. A. Badou, La legon des paysans béninois, in «Le Matin» (29 mai 1995), p. 8.
16 II fattore regionale, che non è possibile studiare dettagliatamente in questa sede, sembra aver svolto un ruolo determinante per quanto riguarda l’orientamento del voto, come sottolinea R. Gbegnononvi, Les Législatives de mars 1995, in «Politique Africaine», 59 (1995), p. 67.
17 Adamon, Le Renouveau démocratique au Bénin cit., p. 70.
18 A. Garrigou, Le vote et la vertu. Comment les Francis sont devenus électeurs, Paris 1992, pp. 256-257. Si veda anche J.-L. Briquet, Potere dei notabili e legittimazione. Clientelismo e politica in Corsica durante la Terza Repubblica (1870-1940), in «Quaderni storici», 94 (1997).
19 «La Gazette du Golfe», (26 janvier 1995).
20 J.-F. Bayart, La revanche des sociétés africaines, in J.-F. Bayart, A. Mbembé, C. Toulabor, Le politique par le bas en Afrique, Paris 1992, pp. 65-106.
21 Secondo l’espressione usata da T. Callaghy e J.-F. Médard, che mostra come in Africa lo Stato non sia solo predatore della società ma anche «depredato» da essa. Si veda J.-F. Médard, L’Etat patrimonialisé, in «Politique Africaine», 39 (1990), pp. 25-36.
22 P. Clastres, La société contre TEtat, Paris 1976.
23 Si veda Bayart, Mbembé, Toulabor, Le politique par le bas en Afrique cit., e A. Mbembé, Afriques indociles, Paris 1988.
24 Si veda, ad esempio, L’achat des consciences: vers une ploutocratie?, in «Le Soleil (Co-tonou)», 52 (ler-15 mai 1995), pp. 4-5.
25 J.-P. Olivier De Sardan, L’économie morale de la corruption en Afrique, in «Politique Africaine», 63 (1996), p. HO. L’autore sottolinea, tuttavia, che il termine «monetizza-zione» della vita sociale non significa per forza «mercificazione» di questa. La circolazione di denaro nelle relazioni sociali non implica necessariamente il fatto che esse divengano relazioni mercantili.
26 Ibid., p. 101 ■
27 Banégas, Transitions démocratiques: mobilisations collectives et fluidité politique cit.
28 Olivier De Sardan, L’économie morale de la corruption en Afrique cit., p. 102.
29 Si potrebbe riflettere, con le dovute cautele, al fondamento religioso delle pratiche di senseria. Qualsiasi richiamo al divino, qualsiasi preghiera, esprime una richiesta di intercessione presso la divinità. Nelle religioni animiste, come il vodun in Bénin, l’intercessione avviene attraverso le divinità secondarie, spesso materializzate dai feticci. Sono esse che agiscono nel mondo e assicurano la mediazione tra il mondo dei vivi e quello della divinità suprema, che rimane direttamente inaccessibile dalla preghiera. Pur senza sostenere che il clientelismo sia determinato da questo genere di configurazioni religiose, possiamo tuttavia pensare che tragga da esse alcuni dei suoi registri di rappresentazione, secondo una relazione «dialogica».
30 Nelle società musulmane del Sahel, l’inchiostro serve al marabut per tracciare i versetti del Corano sul talismano che crea. Nel linguaggio popolare, come sottolinea Olivier De Sardan (L’économie morale de la corruption en Afrique cit., p. 104), l’espressione kalam deene (la «penna del porta-penne») che indicava l’offerta al marabut, viene adesso utilizzata per definire le offerte che vengono fatte al burocrate.
31 Ibid., p. 105
32 J. Lonsdale, Politicai Accountability in African History, in P. Chabal (ed.), Politicai Domination in Africa, Cambridge, 1986, p. 131.
33 J.-F. Médard, Le 'Big man’ en Afrique : esquisse d’analyse du politicien entrepreneur, in «L’Année Sociologique», 42 (1992), pp. 169 e 172.
34 Si veda ad esempio, per il caso dell’India, C. Jaffrelot, Oeuvres pies et rationalité économique en Inde, in Bayart (ed.), La réinvention du capitalisme cit.
35 Veyne, Le pain et le cirque cit., p. 33
36 Secondo la definizione classica che propone J.-F. Médard (Le rapport de clientèle: du pbénomène social à l’analyse politique, in «Revue Frangaise de Science Politique», 1
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(1976), p. 103): «Un rapporto di dipendenza personale non legato alla parentela, che si basa su uno scambio reciproco di favori tra due persone, il padrone ed il cliente, che controllano risorse ineguali».
37 M. Schatzberg, Power, Legitimacy and Democratization in Africa, in «Africa», 4 (1993), p. 451. ,
38 C. Toulabor, L’énonciation du pouvoir et de la richesse chez les jeunes conjoncturés’ de Lomé, in Bayart, Mbembé, Toulabor, Le politique par le bas en Afrique cit., pp. 131-145.
39 J. Lonsdale, La pensée politique kikuyu et les idéologies du mouvement mau-mau, in «Cahiers d’Etudes Africaines», 3-4 (1987), p. 347.
40 Bayart, L’Etat en Afrique cit., p. 297.
41 Toulabor, L’énonciation du pouvoir et de la richesse chez les jeunes Conjoncturés’ de Lomé cit., p. 145.
42 Bayart, L’Etat en Afrique cit., p. 296.
43 P. Geschiere, Sorcellerie et politique en Afrique: la viande des autres, Paris 1995.
44 Si veda ad esempio E. Kadya Tall, Dynamique des cultes ‘voduns’ et du christianisme céleste au Sud-Bénin, in «Cahiers des Sciences Humaines», 4 (1995), pp. 797-823.
45 Si veda M. Chabi, Banqueroute: mode d’emploi. Un marabout dans les griffes de la maffia béninoise, Porto Novo 1993.
46 J.-F. Bayart, L’illusion identitaire, Paris 1996, p. 159.
47 Ibid., p. 159.
48 M. Foucault, Le souqi de soi (Histoire de la sexualité. Tome 3), Paris 1984.
49 Schatzberg, Power, legitimacy and democratization in Africa cit.
50 Siamo in debito con il linguista J.-N. Vignondé per avere attirato la nostra attenzione su questo termine.
51 D. Paulme, La Mère dévorante. Essai sur la morphologie des contes africains, Paris 1976. >
52 J.-F. Bayart, B. Hibou, S. Ellis, La criminalisation de l’Etat en Afrique, Bruxelles 1997, pp. 60 ss.
53 A proposito dell’astuzia si veda anche M. Détienne, J.-P. Vernant, Les ruses de 1’intelligence. La mètis des Grecs, Paris 1974.
54 Uno dei motivi di critica nei confronti di N. Soglo è la sua propensione ad esibire in pubblico la sua «felicità privata», in tempi resi difficili dalla svalutazione; un comportamento che sembra aver colpito negativamente numerosi elettori.
55 Tale concezione della franchezza si avvicina all’espressione francese «dire quello che hai nel cuore». Ma in questo caso comporta una dimensione supplementare, di fondamentale importanza, relativa alle forze dell’invisibile che hanno sede nel ventre.
56 L. Hounkpatin, T. Nathan, La parole de la forèt indiale, Paris 1996.
57 II verbo «mangiare» (Du) è anche parte della composizione di molti termini associati all’idea di potere, all’accumulazione, alla morale, all’etica di vita, al piacere. Nel linguaggio locale il potere viene mangiato, letteralmente (du-gan = sono il capo = mangio il comando), come avviene con la stregoneria (dù-azè). Ma viene mangiato anche il denaro (dù -akwè), il beneficio (dù-lé), il debito (dù-axo), il fallimento (dù-agban). Vendere significa allo stesso tempo mangiare il prodotto della propria vendita (letteralmente: vendere-mangiare); l’espressione che indica l’averla vinta nei confronti di qualcuno è mangiare su di lui oppure mangiarlo (dù-mé, dù do mèji). Il piacere e la felicità utilizzano la stessa radice dù: festeggiare è mangiare la festa (dù-xwé), proprio come si mangia la vita (dù-gbé) quando si è felici.
58 Bayart, L’illusion identitaire cit., p. 157.