La moda diventa militare
La guerra divenne anche un’occasione per sperimentare nuovi look ispirati al contesto bellico. Si tratta di un chiaro esempio di trivializzazione, che intreccia moda e temi militari, promuovendo capi d’abbigliamento e accessori molto curiosi e, soprattutto, propagandando l'idea di una guerra quotidiana, alla portata di tutti.
Si pensi, per esempio, ai costumi da bagno ispirati alla mimetizzazione delle navi durante la Prima guerra mondiale. Il commento de «La Domenica del Corriere» (1919) non è però ottimista: «il trucco delle navi aveva uno scopo, e quello dei bagnanti non ne ha; per ciò si può prevedere che la nuova stranezza avrà brevissima vita».
Il tema bellico entrava in gioco anche per proteggersi dalla pioggia, come testimonia un modello di ombrello disegnato per essere portato come una sciabola. Si suggerisce anche un abbinamento: «Può essere indossato in modo molto appropriato con un abito che presenti elementi in comune con l’uniforme di un soldato» («Popular Mechanics», 1916). E anche la protezione dal freddo non era priva di riferimenti bellici, come mostra chiaramente la realizzazione di un cappotto per signore «dalle linee semplici ma graziose» ispirato a quello degli ufficiali dell’esercito («Popular Mechanics», 1916). Secondo «Popular Mechanics» (1915) «Uno degli stili bizzarri sviluppatisi in Europa dall’inizio della guerra» era un’acconciatura femminile sorvolata da aeroplano in miniatura corredata da una piccola bandiera.
Vi furono capi e accessori utili in caso di attacchi nemici, ma che – al tempo stesso – avevano anche una dimensione glamour o che ben si sposavano con abiti ordinari. Si consideri, per esempio, la tuta disegnata in modo tale che le signore britanniche potessero «soddisfare il loro desiderio di vestirsi alla moda e al tempo stesso avere protezione dai raid aerei». Tale indumento era realizzato in materiale ignifugo e garantiva (almeno in teoria) protezione contro il calore e le bombe incendiarie. Inoltre, la parte superiore aveva delle tasche in cui erano «inserite piastre di plastica spesse mezzo pollice, che proteggono gli organi vitali dagli oggetti volanti». E vi era anche la questione di garantire comodità nel trasporto dell’equipaggiamento necessario a difendersi, come dimostra la tuta antigas pensata per poter essere ripiegata all’interno di una borsetta e indossata all’occorrenza («Popular Mechanics», 1940).
Anche nell’abbigliamento maschile vi furono esempi di questa fusione tra (supposta) utilità e moda, come nel caso della cravatta trattata con materiali chimici fluorescenti che, in caso di blackout, si illuminava al buio («Popular Mechanics», 1942). E un trattamento simile si applicava anche a scarpe disponibili «per l’uso da parte di volontari antiaerei, agenti di polizia e altri operatori le cui mansioni o attività di difesa civile li tengono all’aperto di notte, specialmente durante i blackout» («Popular Mechanics», 1942).